La legge di Widar è una prova di forza. Tappa e maglia a Champoluc

20.07.2024
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CHAMPOLUC – Lo vede è lì. E’ da 45 chilometri che lo insegue a testa bassa, spingendo come un ossesso. Due chilometri all’arrivo. Lo acciuffa. Meno di un chilometro all’arrivo: gli scatta in faccia e se ne va. Una grinta pazzesca, una forza delle natura. Jarno Widar è stato spietato oggi con Vicente Rojas. Per il belga della Lotto-Dstny Devo il più classico dei “tappa e maglia” al Giro della Valle d’Aosta.

Una tappa lunghissima. Difficile, che in tanti pensavano potesse mettere in crisi il re del Giro Next, rimasto con un solo uomo. E la stessa cosa Ludovico Crescioli, maglia gialla al via da Saint Vincent, visto che i suoi compagni non erano degli scalatori. Invece Jarno non ha fatto una piega. E già scattano i paragoni con Pogacar, per la fame, per la forza.

Partenza complicata. Alla fine ne esce una fuga a sette della quale fanno parte tra gli altri anche Vicente Rojas e Matteo Scalco della VF Group-Bardiani e anche Filippo Agostinacchio. Scalco fa un lavoro eccezionale per il compagno cileno. Il quale da parte sua si porta a casa quasi tutti i Gpm e a fine giornata si consola della beffa della vittoria con la maglia a pois.

VF Group all’attacco

Sullo Tsecore si decide, forse, l’intero Valle d’Aosta. Widar per un attimo smette di tirare, iniziano gli scatti e lui risponde con veemenza. Solo l’ex maglia gialla, Dostiev, lo tiene. Davanti anche Rojas resta solo. Inizia un lungo duello a distanza. Il cileno davanti, il belga dietro, con a ruota il kazako.

Nel vallone finale, in leggerissima ascesa, il vantaggio di Rojas è quasi di un minuto. Sembra fatta anche perché il vento è a favore. Invece…

«Invece nel finale ero un po’ stanco – ci racconta Rojas dietro al palco in attesa di vestire la maglia dei Gpm – e sono saltato sia di gambe che un po’ anche di testa. A mentre fredda posso dire sia andata così. Forse anziché insistere potevo farmi riprendere e giocarmi il finale in volata».

Rojas però è sereno. Sa di aver dato tutto e non ha poi tutti questi rimpianti. Domani ha ancora una chance.

«Verso Cervinia ci sarà ancora una tappa dura. Io poi vado sempre meglio con il passare dei giorni. Il ciclismo inoltre è sport di squadra e la mia è forte. A proposito, ringrazio i ragazzi che mi hanno dato una mano oggi. Domani ci riproverò».

E la squadra potrebbe essere l’unica crepa per far vacillare Widar. Lui infatti di compagni ne ha uno solo. Nel tratto pianeggiante iniziale potrebbe far fatica a difendersi. Però è anche vero che ha mostrato una forza incredibile e su Rojas vanta oltre 2′ di vantaggio.

Nel finale azione clamorosa di Widar che va a prendersi tappa e maglia
Nel finale azione clamorosa di Widar che va a prendersi tappa e maglia

Jarno o Tadej?

Widar invece davvero in certi momenti ricorda Tadej Pogacar. Stamattina al via, Jarno era il ritratto della tranquillità. Ad un tratto gironzolava per Saint Vincent e con tutta calma ci ha chiesto dove fosse il foglio firma. Poi eccolo spianato sulla sua Orbea. Mani fisse sulle leve e giù a stantuffare.

Ha demolito ad uno ad uno tutti gli avversari. Non si è innervosito quando nel falsopiano, adatto ai passistoni, il kazako non gli dava i cambi e all’ultimo chilometro ha dato un colpo da finisseur. E pesa appena 52 chili (per 167 centimetri di altezza).

Mentre divora gli ormai noti orsetti gommosi, Widar racconta: «E’ stata una tappa difficile, ma io ero tranquillo. Mi sono sempre sentito molto bene. Nel finale ho chiesto a Ilkhan Dostiyev di aiutarmi negli ultimi chilometri. Ha detto che non poteva farlo, che non ce la faceva e così ho fatto tutto io. Ma avevo paura. Non lo conoscevo molto bene, ma come abbiamo visto nella prima frazione è veloce».

Animale da gara

Come Pogacar, Widar dopo la tappa era quello più fresco. Segno che sta molto bene. Il suo finale famelico non è stato cosa da poco. Chiunque si sarebbe accontentato della maglia gialla. E avrebbe contestualmente risparmiato qualche energia in vista di domani.

«Negli ultimi chilometri – continua il suo racconto Widar – ci ho creduto. Però sono diventato strabico per un chilometro, guardavo avanti e dietro. Mi sono detto supero una rotatoria e vado. Ho aspettato il triangolo rosso dell’ultimo chilometro, appena l’ho visto mi sono detto: “Vediamo cosa succede” e sono andato».

«Il momento più difficile di oggi? Forse l’inizio della tappa. C’è stata una grande lotta per andare in fuga e io ero nelle retrovie. Avevo bisogno di andare davanti. Aspettavo le salite quindi. Sapevo che gli ultimi 50 chilometri erano una follia! E io queste salite non le conoscevo e neanche questa zona dell’Italia».

Domani verso Cervinia è attesa pioggia e lui da buon belga dovrebbe aver un certo feeling con il meteo avverso. «Va bene! Ovviamente a nessuno piacciono la pioggia e il freddo, ma la pioggia all’inizio è un’ottima cosa per me. Sì, penso che sia perfetto».

Crescioli tenace

Ma un plauso lo merita anche Ludovico Crescioli. Il suo sogno giallo è durato 24 ore. Certe pendenze sono troppo per lui. O più semplicemente è stato troppo questo Widar.

«Oggi – ha detto l’atleta della Technipes #InEmiliaRomagna – è stato un tappone molto duro. Mi sono staccato sullo Tsecore e ho cercato di gestirmi al meglio. Già avevo perso contatto nella salita precedente. Ero rientrato, ma poi non c’è stato nulla da fare. A quel punto mi sono ritrovato con Torres e ci siamo dati i cambi fino all’arrivo. E tutto sommato è un buon quarto posto alla fine. 

«All’inizio, visto il caos che c’è stato nei primi chilometri con mille tentativi di fuga ho provato anche io ad entrarci però non è andata. Da parte mia sono contento. Ho dato il massimo e ora sono terzo nella generale. Domani c’è un podio da difendere. Se si pensa all’Avenir? Sì, ma prima voglio finire al meglio questo Giro della Valle d’Aosta»

Giro d’Italia Women: il punto finale dall’interno

20.07.2024
5 min
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A chiusura di un cerchio iniziato a gennaio, con la presentazione del primo Giro d’Italia Women, è il momento di trarre un bilancio conclusivo. Sono passati sette mesi da quel pomeriggio grigio nel quale dall’alto di Palazzo Regione, a Milano, è stata lanciata la Corsa Rosa al femminile. La prima sotto la gestione di RCS Sport & Events. La gara è ormai alle spalle e il successo di Elisa Longo Borghini, conquistato dopo otto tappe vissute sul filo dei secondi, brilla ancora nei nostri occhi (in apertura foto LaPresse). Per capire l’importanza di un passo del genere siamo entrati in ammiraglia con gli stessi diesse che ci diedero il loro parere sullo svolgersi del Giro d’Italia Women

Un passo in avanti

Di sicuro quel che emerge dai colloqui fatti con i diesse è la grande capacità della macchina organizzativa di RCS nel dare un Giro d’Italia all’altezza dei professionisti. 

«E’ un atto dovuto – spiega Fortunato Lacquaniti, diesse della Ceratizit-WNT – il movimento femminile è cresciuto parecchio. All’estero questo passo era già stato fatto, con A.S.O. che ha preso in mano il Tour de France Femmes. Per non parlare della Classiche del Nord. Mancava la risposta italiana, per fortuna è arrivata, ed è stata ottima. Possiamo dire di aver messo la marcia in più che mancava, ora tutti e tre i Grandi Giri sono al livello che questo movimento merita. Tornerà, con grande probabilità, la Milano-Sanremo femminile, sempre gestita da RCS. Che la gestione fosse in mano loro si è visto, il primo passo è stato fatto».

I servizi di motostaffette e giuria sono stati gli stessi del Giro d’Italia uomini
I servizi di motostaffette e giuria sono stati gli stessi del Giro d’Italia uomini

Il montepremi

La chiave di lettura di Walter Zini, diesse della BePink Bongioanni, si trova nel montepremi. Sembra una banalità ma in un mondo che cresce e gira veloce questi fanno la differenza. 

«Tutto è curato al meglio – spiega – a 360 gradi. La logistica degli arrivi, le partenze, gli hotel, ecc. Non ho mai avuto un’organizzazione così semplice e una gestione della corsa così facile. Gli anni scorsi era capitato di mandare il massaggiatore a preparare le stanze in hotel per i massaggi e che non fossero pronti o all’altezza. Quest’anno tutti erano al corrente delle nostre esigenze e ci sono venuti incontro. Poi il passo in avanti si è visto anche con il montepremi finale. Nel 2024 la vincitrice (Elisa Longo Borghini, ndr) ha portato alla squadra 250.000 euro. Gli anni scorsi c’era uno zero in meno. La volontà è chiara e sicuramente lo step positivo c’è stato».

La Isolmant di Giovanni Fidanza è stata l’unica continental, insieme alla BePink a terminare il Giro con tutte le atlete
La Isolmant è stata l’unica continental, insieme alla BePink a terminare il Giro con tutte le atlete

La gestione

Passare un evento in mano a RCS Sport vuol dire consegnarlo all’azienda che gestisce già il Giro d’Italia e le Classiche Monumento del nostro Paese, oltre a tante altre gare. La macchina organizzativa funziona ed è collaudata.

«E’ stato trasferito l’impianto di RCS al mondo del ciclismo femminile – afferma Giovanni Fidanza, diesse della Isolmant-Premac-Vittoria – e questo si è visto. Si tratta del primo organizzatore di gare di ciclismo in Italia. Sono contento per le ragazze, se lo meritavano davvero tanto. La differenza si è vista fin da subito: la sicurezza in corsa è altissima. Le strutture che usano per i professionisti sono state trasportate qui. Si vede che il personale è gente esperta e che conosce le esigenze delle squadre. Io arrivavo dall’esperienza con gli uomini quindi avevo già un’idea di quello che avremmo trovato. Ed è stata totalmente rispettata».

Barbara Malcotti è stata la rivelazione in casa Human Powered Health con il suo 15° posto finale
Barbara Malcotti è stata la rivelazione in casa Human Powered Health con il suo 15° posto finale

Qualche passo in più

Eppure si tratta della prima edizione, RCS avrà messo in moto la sua macchina dal motore potente e collaudato, ma si sa che il primo giro serve anche come riscaldamento. 

«A mio avviso – afferma Giorgia Bronzini, la quale ha condotto il Giro d’Italia Women dalla macchina della Human Powered Health – ci sono stati dei ritardi nella comunicazione. Gli hotel ci sono stati confermati una settimana prima, uno quando eravamo già partite. I posti riservati da RCS per il personale, in ogni struttura, erano cinque. Il problema è che il ciclismo femminile segue ormai le orme del maschile, quindi lo staff al seguito è di dodici persone. Non è stato facile trovare altri posti letto, e i costi non erano bassi. RCS ci ha messo a disposizione un’agenzia che faceva da tramite, ma i prezzi non erano esattamente accessibili. E’ il primo anno e anche loro devono prendere le misure, poi se si passa al discorso di organizzazione della gara non c’è niente da dire. Sono stati di altissimo livello, come sempre».

Tour e Covid: problema vero? Risponde doc Rotunno

20.07.2024
5 min
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EMBRUN (Francia) – Siamo probabilmente gli unici in Europa ad andare (nuovamente) in giro con le mascherine e per questo veniamo anche presi un po’ in giro da chi è a casa e ascolta. Eppure il Covid c’è ancora. Al Tour sono attentissimi che la misura venga rispettata, perché corridori positivi ci sono stati e probabilmente ce ne sono ancora. Racconta qualche direttore sportivo che si era già iniziato ad avere delle avvisaglie al Delfinato. E che poi, nei giorni del Tour in cui se ne è preso coscienza, capitava di vedere ragazzi che arrivavano alla partenza nell’ammiraglia e non sul pullman. Oppure altri che di colpo si staccavano anche su percorsi semplici e finivano fuori tempo massimo.

Al UAE Team Emirates per il Covid hanno dovuto rinunciare ad Ayuso e non osiamo pensare quanto sarebbe stata devastante la squadra di Pogacar avendo tra le sue file anche lo spagnolo. Recalcitrante e dotato di un ego importante, Juan resta comunque un signor atleta e al Tour teneva tanto. Perciò, per capirne di più, ci siamo rivolti ad Adrian Rotunno, il medico della squadra emiratina. Magari non abbiamo scelto il momento migliore per farlo, dato che sul bus si stava pianificando la tattica per il giorno di Isola 2000. Eppure, visto come è andata a finire, si può dire che gli abbiamo portato anche fortuna (in apertura, Mauro Gianetti e il fotografo Lorenzo Fizza Verdinelli).

Adriano Rotunno è nato in Italia e cresciuto in Sudafrica (foto UAE Team Emirates)
Adriano Rotunno è nato in Italia e cresciuto in Sudafrica (foto UAE Team Emirates)
Buongiorno dottore, ecco la prima domanda: perché indossiamo queste mascherine?

E’ importante cercare di limitare il diffondersi delle infezioni, non solo per il Covid, ma per qualsiasi altro virus. Soprattutto perché c’è così tanta interazione con la folla. Non è come il calcio o il rugby, dove sei in uno stadio separato dai tifosi. Quindi dobbiamo cercare di mantenere la massima distanza possibile. E ovviamente le indossiamo anche per il Covid, che resta una malattia molto contagiosa, cercando di mitigarne gli effetti.

Quanto è diverso il Covid per un atleta e una persona normale?

Colpisce il corpo allo stesso modo, ma una persona normale non corre 200 chilometri ogni giorno per tre settimane. Per questo la sua incidenza sull’organismo è enorme. Ovviamente dobbiamo essere consapevoli del rischio e valutare, qualora avessimo un atleta positivo, se sia salutare o meno per lui continuare la gara o non sia meglio tornare a casa e riprendersi. Normalmente lo prendiamo molto sul serio e ci assicuriamo che i nostri corridori siano sempre assistiti al meglio.

Può essere pericoloso correre con il Covid addosso?

Può esserlo, ma può essere pericoloso anche per chi va a fare una passeggiata. Dipende da come influisce sul corpo. L’importante è che non ci siano segnali di pericolo in termini di rischio cardiovascolare o di compromissione respiratoria.

I corridori fermati quest’anno per il Covid sembrano molto stanchi, come se fossero più stanchi del solito.

Normalmente la spossatezza è una delle manifestazioni più grandi. Non si riesce a sostenere lo stesso sforzo. A volte si ha una frequenza cardiaca più alta, perché il corpo sta combattendo un virus, oltre a cercare di ottenere prestazioni elevate sulla bicicletta. Generalmente, questi sono quelli di cui ti preoccupi maggiormente e che di cui ti accorgi. Durante il Tour abbiamo visto spesso molti ragazzi, che normalmente sarebbero stati davanti sulle salite, penzolare nelle retrovie. Alcuni hanno mollato, altri si sono ripresi e sono tornati forti la settimana successiva.

Perché alcuni sono stati fermati?

Non lo so, onestamente. Penso che si siano basati sui sintomi. Quindi, se lo hanno fatto, vuol dire che c’era uno spettro di malattie più preoccupanti. Alcune persone hanno sintomi lievi. Altre non hanno nulla. Mentre alcuni hanno sintomi molto gravi e questo è ciò che metterebbe in pericolo il corridore. Ovviamente il quadro deve essere esaminato e valutato dal punto di vista medico, prima che il corridore inizi la tappa. Dobbiamo capire se sia sufficientemente in forma per correre. Bisogna anche tenere sempre presente che gli atleti hanno bisogno di ascoltare il proprio corpo.

Che cosa significa?

Se qualcosa va storto, devono fermarsi immediatamente. E poi ovviamente li mandiamo via perché recuperino.

Ayuso si è ritirato nella tappa di Pau: sapeva di essere positivo, ma ha provato a partire lo stesso
Ayuso si è ritirato nella tappa di Pau: sapeva di essere positivo, ma ha provato a partire lo stesso
Ayuso è stato fermato per il Covid o perché era stanco?

Principalmente per il Covid. Era in buone condizioni, ma anche estremamente sintomatico. Non c’era niente di pericoloso nel suo caso, tanto che gli è stato permesso di iniziare la tappa. Era già successo alla Vuelta del 2022 ed era andata bene, tanto che Juan finì terzo. Invece questa volta, a causa di quei sintomi, sfortunatamente non è riuscito a tenere il passo. E’ stata proprio una giornata difficile per lui.

Ecco perché anche stamattina, andando verso la corsa, ci siamo sincerati di avere una mascherina nuova. L’organizzazione del Tour ha in giro degli addetti alla loro distribuzione e adesso viene da chiedersi se alle Olimpiadi si andrà a finire allo stesso modo. Il disagio c’è, perché ci si disabitua facilmente alle pratiche scomode. L’elenco che a causa del contagio dovranno rinunciare a Parigi vanta già i primi nomi. Per rispetto verso tutti gli altri, indossare una mascherina non è certo la cosa peggiore.

Il calvario è finito, Nizzolo riassapora la vittoria

20.07.2024
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Quella ottenuta a Sibiu è stata per Giacomo Nizzolo la prima vittoria del 2024 e chi conosce la carriera dell’ex campione europeo non può non stupirsi di un simile ritardo. Soprattutto considerando il ricco palmarés diluito negli anni del corridore milanese, approdato quest’anno alla Q36.5. Il suo inverno era stato traumatico, un incidente in allenamento il 23 dicembre gli era costato la frattura della tibia della gamba destra, il che ha enormemente rallentato la sua preparazione tanto che è tornato a correre solo a fine aprile.

La volata vittoriosa a Sibiu, battendo di un nulla il forte canadese Pickrell
La volata vittoriosa a Sibiu, battendo di un nulla il forte canadese Pickrell

«Questo ha reso la mia stagione complessa – spiega Nizzolo al suo ritorno in Italia – sono partito tardi e con qualche dubbio su quanto sarei riuscito a recuperare, considerando i miei 35 anni. Sapevo però che con l’applicazione sarei tornato a buoni livelli. La vittoria in Romania è stata una bella soddisfazione che mi ha dato morale, ma so che c’è ancora tanto da fare per tornare il “vero” Nizzolo».

Quanto è stato importante l’apporto del team nel tuo ritorno alla vittoria?

Tantissimo, innanzitutto prima, lungo tutto il cammino di ripresa. Non è un team nuovo per me, tanti dello staff sono gli stessi con cui lavoravo ai tempi della Qhubeka, è come una famiglia. In squadra i meccanismi cominciano a funzionare ed è normale perché finora ho collezionato appena 18 giorni di gara. Già nella seconda semitappa del primo giorno avevamo lavorato bene, ma allo sprint ero stato beffato dal canadese Pickrell. Nella tappa finale ci siamo presi la responsabilità della corsa sin dalle prime battute perché volevo fortemente la vittoria.

Nizzolo sul gradino più alto del podio, dal quale mancava dal Tro.Bro Leon del maggio 2023
Nizzolo sul gradino più alto del podio, dal quale mancava dal Tro.Bro Leon del maggio 2023
Com’era il percorso, adatto a te?

Era abbastanza particolare, c’era un piccolo strappo a 600 metri dal traguardo, con 200 metri in pavé, bisognava arrivarci nella posizione giusta e la squadra ha lavorato duramente per questo. In questo modo mi sono preso la rivincita sul canadese dell’Israel, è stato davvero un buon gioco di squadra.

State quindi facendo adesso quel processo di amalgama che solitamente si fa a inizio stagione.

Giocoforza è così. Bisogna conoscersi, entrare in sintonia, muoversi in pieno accordo. Abbiamo potuto gareggiare troppo poco insieme perché questo potesse avvenire, inoltre serviva anche che raggiungessi un certo livello di condizione. Quelle del Sibiu Tour sono state le prime vere volate a cui ho potuto partecipare e per questo il bilancio può essere considerato molto positivo.

Due anni di contratto per il milanese, che svolge anche un ruolo di maestro per i più giovani
Due anni di contratto per il milanese, che svolge anche un ruolo di maestro per i più giovani
Quando sei arrivato alla Q36.5 la dirigenza aveva parlato di te come uomo che doveva portare punti alla squadra (e quindi vittorie) ma anche come maestro per i più giovani. Come ti trovi in questo ruolo?

E’ stato una delle ragioni che mi ha spinto ad accettare la proposta. Io in generale cerco di dare sempre supporto ai più giovani, anche come esperto di dinamiche in gruppo, anche se quelli che passano oggi non sono come eravamo noi alla loro età. Ormai arrivano che sono già pronti, conoscono molto di come funziona questo mondo, sanno che cosa fare ma cerco comunque di essere utile e questo mi dà soddisfazione perché riesco a farmi ascoltare.

Nel team c’è qualcuno che ti ricorda Nizzolo?

Bella domanda alla quale vorrei dare una risposta compiuta più avanti nel corso della mia stagione, perché lavoriamo da troppo poco tempo insieme. Posso dire che un ragazzo c’è, nel quale mi rivedo, ma sono tante le cose da valutare e soprattutto le esperienze da condividere per dare un giudizio.

Nizzolo ha iniziato a correre solo a fine aprile, ora vuole rimpinguare il suo numero di giorni di gara
Nizzolo ha iniziato a correre solo a fine aprile, ora vuole rimpinguare il suo numero di giorni di gara
Dove ti vedremo prossimamente?

Il mio calendario ora si va infittendo: sarò alla Vuelta Castilla y Leon, a Villafranca, al Giro di Danimarca, poi si vedrà ma credo che gareggerò anche ad Amburgo. Sono tutte corse che si adattano alle mie caratteristiche, le prove ideali per continuare a salite di condizione. D’altronde ho bisogno di un calendario così ricco e ne ha bisogno anche la squadra, visto che per forza di cose sono uno dei corridori più freschi attualmente nel team.

Il poker di Pogacar, puntuale come una promessa

19.07.2024
7 min
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ISOLA 2000 (Francia) – La spallata più decisa nel giorno da cui, in teoria, sarebbe dovuto partire il riscatto. Ci sono dichiarazioni che si fanno per onorare la corsa e quelle di cui sei davvero convinto. E forse alla Visma-Leasa a Bike sapevano da almeno due giorni – dallo scatto di Evenepoel a Superdevoluy – che Vingegaard non fosse all’altezza del compito. Il continuare a rimandare appellandosi alla presunta crescita oggi ha impattato contro il muro giallo di Pogacar, in una giornata in cui nel team olandese si era pensato a un attacco più per forma che per convinzione. La presenza di Jorgenson là davanti e il suo rammarico finale dicono chiaramente che, nonostante una finestra aperta, si fosse partiti per vincere la tappa, lasciando dietro il capitano con scelta piuttosto rischiosa.

«In teoria non dovrei essere così deluso – dice Jorgenson, secondo all’arrivo – ma ci sono andato così vicino… Sento che io e il Tour de France abbiamo un pessimo rapporto. Io do il massimo, ma non ottengo niente. Negli ultimi 10 chilometri pensavo alle mie gambe, non agli altri. Cercavo di fare il massimo sforzo possibile, finché negli ultimi tre ho sentito che stava arrivando Pogacar ed ho avuto una brutta sensazione. Quando mi ha superato, mentalmente sapevo che anche se fossi rimasto alla sua ruota, mi avrebbe battuto ugualmente.

«Quindi sono deluso, anche per una giornata che non è andata come volevamo. Inizialmente dovevamo essere dei riferimenti per Jonas. Poi via radio ci hanno dato via libera di concentrarci sulla tappa. Devo dire grazie a Kelderman, altruista e un ottimo compagno di squadra. Poteva correre per sé, invece ha lavorato per me senza fare domande. Entrare nella fuga è sempre uno sforzo, ma senza quei quattro minuti, non avremmo avuto la possibilità di arrivare prima del gruppo. E’ stato uno sforzo necessario».

Jorgenson, qui con Carapaz (più combattivo di tappa), ha chiuso secondo a 21 secondi
Jorgenson, qui con Carapaz (più combattivo di tappa), ha chiuso secondo a 21 secondi

Una squadra pazzesca

Pogacar ha gestito la tappa con una sicurezza infinita, avendo intorno tutta la squadra. Di solito in una tappa come questa, sull’ultima salita i primi della classe hanno attorno un paio di uomini, mentre gli altri sono sparpargliati fra discese e salite. Il UAE Team Emirates ha puntato Isola 2000 tutto compatto, perdendo appena Politt, che pure ha tirato come un fabbro. Il cielo qua in cima è velato, si suda anche a stare fermi, anche se qualche folata d’aria a tratti rimette le cose in pari.

«Ho vinto la tappa regina del Tour de France – ansima Pogacar in maglia gialla – e posso confermare che la Bonette è davvero spaventosa da fare in gara. In allenamento è davvero bella perché puoi saltare l’ultimo chilometro, ma lo stesso sono super felice di aver avuto buone gambe. Siamo stati qui ad allenarci per un mese intero tra Giro e Tour, è stato un periodo difficile. Non sono mai giornate facili, perché ogni giorno bisogna rifare la salita, per questo la conoscevo bene. Questo ci ha permesso di fare la strategia che volevamo. Ne avevamo parlato già durante il nostro ritiro ed è incredibile che l’abbiamo fatta esattamente come avevamo detto. Sono scattato nel punto che avevamo indicato, è stato davvero perfetto al 100 per cento».

L’attacco (sfumato) di Jonas

Eppure i due uomini Visma in fuga per qualche chilometro hanno creato apprensione o comunque un sottile strato di allerta nell’ammiraglia e nel gruppo in gara. Vingegaard vuole attaccare? Perché è vero che la classifica è ormai tutta scritta, ma se uno t’ha staccato malamente come il danese negli ultimi due anni, il ricordo genera sempre timore.

«Ho pensato che Jonas volesse provarci sulla Bonette – dice Pogacar – questo è stato il mio pensiero iniziale. Ma davanti stavano andando davvero molto forte, non sembrava stessero aspettando qualcuno che attaccava. E quando abbiamo capito che puntavano alla tappa, ci siamo un po’ tranquillizzati. Devo dire però che non è stata facile come potrebbe sembrare. Nell’ultimo chilometro mi sono voltato spesso. Ho speso tanto per riprendere Carapaz e Simon Yates. Quando mi hanno detto che anche Matteo (Jorgenson, ndr) stava perdendo un po’ di smalto, ho provato a superarlo di slancio e lì mi sono ucciso le gambe. Così ho cominciato a pensare che forse sarebbe rientrato e mi sarebbe scattato in faccia o qualcosa del genere, perché indubbiamente oggi è andato davvero forte…».

Per Vingegaard all’arrivo l’abbraccio di sua moglie Trine Marie
Per Vingegaard all’arrivo l’abbraccio di sua moglie Trine Marie

La resa del re

Jonas ha abbracciato sua moglie Trina Marie e in quella stretta ha sfogato tutto lo stress di tre settimane cercando di ritrovare se stesso anche quando tutto diceva che sarebbe stato impossibile. Ed è la prima volta che parla di quel che gli successo, avendo evitato per tutto il Tour di usarlo come scusa.

«Ho capito di dover semplicemente lottare per qualcos’altro – dice – ed è quello che ho fatto. Non sono così deluso, perché ho ben chiara la storia degli ultimi 3 mesi. Ho lottato per quasi tre settimane e ora probabilmente possiamo dire che è quasi finita e probabilmente non vincerò. Penso ancora che posso essere orgoglioso di come abbiamo corso e di come ho corso io per primo. La vittoria ormai non c’è più, ecco come stanno le cose: devo accettarlo. Invece Tadej la merita, è andato fortissimo. Io non ero al mio livello normale, tanto che mi sono messo dietro a Remco quando ho capito che vuole il mio secondo posto. Ho cambiato tattica dopo Superdevoluy, accettando anche di non scattare per toglierlo di ruota, altrimenti avrei finito per perdere il secondo posto. Ho detto per tre settimane che volevo correre per vincere, ma quando ti rendi conto che è del tutto impossibile, allora forse è anche meglio lottare per un obiettivo ragionevole».

Vingegaard è certo che domani Evenepoel darà l’attacco alla seconda posizione
Vingegaard è certo che domani Evenepoel darà l’attacco alla seconda posizione

Il pericolo Evenepoel

Ma il Tour non è finito. Evenepoel ha fiutato il suo… dolore e sa che fra domani e domenica nella crono può riuscire nel sorpasso. E così da cacciatore, sia pure ferito, ora Vingegaard si ritrova nei panni della preda. Ugualmente ferita, pertanto più fragile.

«Adesso vado in albergo – dice – e poi domani spero di avere gambe migliori. So che sarò attaccato, quindi nei prossimi due giorni non mi resta che dare tutto quello che ho. Mi aspetto che Remco vada per il secondo posto, lo farei anche io se fossi al posto suo. Per cui mi metterò alla sua ruota e la squadra mi darà una mano per controllarlo. Ma adesso lasciatemi andare, il viaggio è ancora lungo».

Novanta chilometri, per l’esattezza, fino all’hotel di Nizza da cui domani partirà la ventesima tappa. Un lungo trasferimento, come i tanti di questo Tour. Mentre noi ci mettiamo a scrivere le sue parole, aspettando il momento giusto per riprendere la strada.

La Bonette, il valico più alto d’Europa: lo scollinamento è a quota 2.802
La Bonette, il valico più alto d’Europa: lo scollinamento è a quota 2.802

Domani senza fretta

Si potrà scrivere la parola fine sotto questo Tour de France? Il sorriso con cui Pogacar racconta la sua ennesima impresa ti fa capire che è davvero contento della conquista e per niente annoiato per la superiorità. Sta accadendo quel che abbiamo già visto al Giro e anche se lo strapotere sembra eccessivo, perché mai dovrebbe rallentare?

«Ho guadagnato ancora 1’42” su Jonas e Remco – dice – la situazione sembra più bella che mai. Sono felice perché domani potrò godermi la tappa. Magari lasceremo andare la fuga e ci godremo le strade su cui ci siamo allenati. Speriamo che non accada nulla. Questo Tour è stato davvero sorprendente per le vittorie di tappa. Diciamo che quest’anno ho bilanciato il conto rispetto alle due che ho vinto l’anno scorso. Posso dire che marcio al ritmo di tre tappe per Tour, il che è pazzesco e mi rende davvero orgoglioso».

Ballerini, Cavendish e Cees Bol sono stati gli ultimi tre ad arrivare: distacco di 43’46”, tempo massimo di 48’49”
Ballerini, Cavendish (con loro anche Cees Bol) sono stati gli ultimi tre ad arrivare: distacco di 43’46”, tempo massimo di 48’49”

Qualcuno crede che domani, sulle strade di ogni giorno, rinuncerà a vincere ancora? Con Isola 2000 è arrivato a quota 15 tappe vinte. Come dire che al ritmo di tre vittorie all’anno, fra sette Tour potrebbe battere il record di Cavendish, facendolo però con lo stile di Merckx. Eppure sette anni in questo ciclismo così veloce sono lunghi come un’era geologica. Forse per questo fa bene a godersi un passo alla volta e anche a non andare alla Vuelta, lasciandosi la porta per altri stimoli. Le carriere restano lunghe se si sceglie di non bruciare tutto e subito.

Valle d’Aosta: risorge Golliker ma fa notizia Crescioli in giallo

19.07.2024
5 min
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PRE SAINT DIDIER – Un finale di quelli belli, di quelli che ti fanno saltare sulla sedia fino alla fine. La terza tappa del Giro della Valle d’Aosta ha regalato una pagina di grande ciclismo giovanile. Vittoria per Joshua Golliker, maglia gialla per Ludovico Crescioli e altri due protagonisti: Jarno Widar e Guillermo Martinez.

Nel finale è andato in scena il gioco delle coppie. Golliker e Martinez per la tappa, Crescioli e Vidar per la generale. Dopo due tappe interlocutorie il Valle d’Aosta è entrato così nel vivo con la Sarre – Pré Saint Didier e le sue salite vere.

Golliker, staccato da Martinez in salita, ha recuperato e contrattaccato in discesa
Golliker, staccato da Martinez in salita, ha recuperato e contrattaccato in discesa

Golliker, forza e lacrime

Dopo l’ennesima batosta stagionale (ieri aveva incassato 8′) sembrava proprio che la ruota non girasse per l’inglese della Groupama-Fdj. Lui vinse qui un anno fa. Conquistò la prima e l’ultima tappa. Poi tanti alti e bassi, più bassi che alti. Tanto che Joshua stesso si era messo in discussione.

Staccato sul San Carlo dallo scalatore della Q36.5, Martinez, Joshua è rientrato in discesa. E ci è riuscito un po’ perché è bravo lui, parecchio perché il colombiano ha qualche difficoltà e un po’ perché con la squadra era venuto qui in ritiro e con l’occasione avevano provato le tappe del Giro del Valle d’Aosta.

«Ero a arrivato a dubitare della mia condizione – ha detto Golliker commosso nelle interviste post arrivo – è stata una tappa molto dura e nel finale Martinez mi era molto vicino, ma sono riuscito a mantenere il vantaggio fino al traguardo». Golliker aveva fatto il diavolo a quattro nelle fasi iniziali e la fuga buona era stata propiziata soprattutto da lui.

Anche oggi gran caldo, specie nella prima metà della tappa
Anche oggi gran caldo, specie nella prima metà della tappa

Occhio a Widar

In tanti qui al Valle d’Aosta ci chiedevamo cosa davvero volesse fare Jarno Widar. Il belga non era stato chiaro circa i suoi piani: vittoria di tappa o classifica generale? Lui aveva detto di optare per le tappe, ma dopo oggi qualche dubbio sorge.

«Sulla prima salita – ha detto un quasi stralunato Widar – abbiamo provato ad attaccare con un ragazzo della VF Group – Bardiani e provato a ridurre il distacco fino all’ultima salita. Non sai mai cosa può succedere in una scalata così alta, così lunga e anche così dura, specie nel finale. Io e Crescioli abbiamo provato ad attaccare ancora. Abbiamo recuperato e anche se non ho preso la maglia gialla sono soddisfatto.

«Domani il tappone? Vediamo come va e quel che succederà».

Il problema per il re del Giro Next Gen è che è praticamente da solo. Gli è rimasto un solo compagno, Eeman, che tra l’altro non sembra in grande forma.

Però lui è stato un samurai, lottando come un leone. Forse in qualche occasione si è esposto troppo, ma se voleva restare attaccato a questo Valle d’Aosta o faceva così… o faceva così.

Crescioli in giallo. Ora Ludovico vanta 6″ su Widar e 1’23” su Verstrynge, entrambi belgi
Crescioli in giallo. Ora Ludovico vanta 6″ su Widar e 1’23” su Verstrynge, entrambi belgi

Italia in giallo

E ci teniamo il piatto forte per il finale. Ludovico Crescioli è in maglia gialla. Ed esserlo a questo punto del Giro della Valle d’Aosta non è cosa da poco. Restano due tappe, tappe molto dure e una, quella di domani, anche lunga (163 chilometri), ma oggi c’erano tante e durissime salite, pertanto è lecito attendersi una stabilizzazione dei valori in campo.

Il ragazzo della Technipes #InEmiliaRomagna dopo una buona primavera è un po’ mancato al Giro Next Gen. A quel punto si è riposato ed è rientrato al Sibiu Tour, perfetto per tornare su. Lì non mancavano neanche le WorldTour. Risultato ne è uscito con una grande gamba.

E si è visto sin dalla tappa iniziale di questo Valle d’Aosta, in quel di Passy, quando è arrivato terzo.

«E’ stata una tappa con molta salita – ci ha detto Crescioli mentre mangiava il pasto di recupero post tappa – Widar ha preso l’ultima il San Carlo di petto e ha fatto la selezione. Io vedevo che il gruppo si assottigliava e io ne facevo parte. In cima il belga ha dato ancora una sgasata e l’ho tenuto. Nel finale gli ho dato qualche cambio. Lui ha provato a staccarmi ancora, ma l’ho tenuto benone».

«Ora che ho la maglia cosa farò? Faremo il massimo e lo faremo fino in fondo. Non sarà facile ma ci si proverà. Devo dire che anche i compagni sono stati bravi, mi hanno aiutato nei tratti in pianura e li ringrazio».

I ragazzi di Chicchi al via della prima tappa al Valle d’Aosta. Ora lotteranno per difendere la maglia gialla
I ragazzi di Chicchi al via della prima tappa al Valle d’Aosta. Ora lotteranno per difendere la maglia gialla

I piani di Chicchi

Da stasera cambieranno diverse cose nel clan Technipes – #inEmiliaRomagna guidato da Francesco Chicchi.

«Questa maglia è un bel premio – ha detto il diesse toscano – noi ci proviamo, ma il livello è altissimo e non è detto che ci si riesca. Sapevamo che Ludovico stava bene. Attaccare? Ora tocca a lui, al belga, attaccare. Sono 6” di vantaggio ma se avremo le gambe ci proveremo senza dubbio. Occhio però, perché questo Wider è un fenomeno, non scordiamo che è al primo anno.

«Restano due tappe, molto dure e domenica verso Cervinia danno brutto tempo. Questa maglia ci dà più energie e diventa la priorità. E anche se gli altri ragazzi non sono scalatori come Crescioli, ora con questa maglia daranno ancora di più. Dispiace solo che Filippo Omati ci abbia lasciato per una caduta».

Giro della Lunigiana: novità, conferme e al via ci sarà anche Finn

19.07.2024
5 min
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E’ stato presentato ieri sera, nella cornice dell’azienda agricola Terre di Luni, il 48° Giro della Lunigiana. La “Corsa dei Futuri Campioni” così è stata soprannominata nel corso degli anni visti i nomi che ne sono usciti. Vi basti pensare che il vincitore del Giro Next Gen 2024, Jarno Widar, l’anno scorso si è aggiudicato le prime due semitappe della corsa toscana. Se si allarga lo sguardo ai primi dieci del Giro Next Gen allora si trovano anche altri due volti che nel 2023 erano presenti al Lunigiana: Pablo Torres e il vincitore Léo Bisiaux

Chi succederà a Léo Bisiaux ereditando il trofeo simbolo del Lunigiana?
Chi succederà a Léo Bisiaux ereditando il trofeo simbolo del Lunigiana?

Grande attesa

Quando si ha un parterre così importante è normale che l’attenzione sia elevata, soprattutto se si parla della categoria juniores. I giovani fanno gola e se si vogliono vedere i migliori al mondo allora l’appuntamento è per il 4 settembre a Luni per la partenza della prima tappa.  

«Ieri erano presenti 200 ospiti alla presentazione della corsa – dice Alessandro Colò, uno degli organizzatori –  tra sponsor, istituzioni e appassionati di ciclismo. Un bel numero per essere una corsa juniores. Per l’edizione 2024 non avremo più l’arrivo dell’ultima tappa a Luni, ma la partenza. Abbiamo voluto fare una cosa in grande stile, partiremo dagli scavi archeologici della città romana e dal loro cuore: l’anfiteatro. Lì ci sarà il foglio firma e prenderà il via l’edizione numero 48 del Giro della Lunigiana».

Ecco le altimetri del prossimo Giro della Lunigiana, che scatterà il 4 settembre
Ecco le altimetri del prossimo Giro della Lunigiana, che scatterà il 4 settembre
Città confermate ma anche qualche novità interessante

La maggior parte degli arrivi e delle partenze sono stati confermati, con qualche modifica al percorso però. I nomi che hanno reso famosa questa corsa ci saranno tutti: l’arrivo in cima a Bolano e a Terre di Luni. Una bella notizia è il ritorno di La Spezia come sede di arrivo della prima tappa. Una new entry importante è quella di Sestri Levante, da dove partirà la seconda semitappa del venerdì. 

Com’è arrivato l’ingresso di Sestri Levante?

Nel 2023 il sindaco della città è venuto a vedere una tappa ed ha apprezzato la nostra organizzazione e la corsa. Così ci ha chiesto di poter avere una partenza dalla sua città. Abbiamo già una frazione interamente corsa nel Tigullio, con l’introduzione di Sestri ora le città di questa regione sono tre. 

Le semitappe sono state spostate dal primo giorno al terzo.

La questione è logistica, ma anche legata al pubblico. L’arrivo di Bolano raccoglie sempre un gran numero di appassionati. Abbiamo voluto metterlo di venerdì pomeriggio per permettere al pubblico di accorrere ancor più numeroso. 

Veniamo al disegno della corsa, sembrerebbe più ammorbidito. 

Più che altro la scelta è stata quella di rendere la corsa più “frizzante” dal primo all’ultimo giorno. La tappa che va da Portofino a Chiavari non prevede più il dislivello dello scorso anno ma è meglio distribuita. Gli ultimi 20 chilometri ci aspettiamo che saranno esplosivi grazie all’ingresso di una nuova salita, quella di Bocco, da noi conosciuta come Leidi. Cinque chilometri impegnativi che potranno essere un bel trampolino di lancio. 

Cosa intendi con corsa frizzante?

Ci aspettiamo bagarre fino all’ultimo chilometro dell’ultimo giorno. Anche perché la tappa finale che va da Fivizzano all’azienda agricola Terre di Luni, sarà movimentata. L’anno scorso ai fini della classifica l’ultima tappa ha detto poco. Invece in questa edizione ci saranno tre passaggi sulla salita di Montemarcello, gli uomini di classifica dovranno uscire allo scoperto. 

A proposito di uomini di classifica, ieri alla presentazione ha partecipato Lorenzo Finn. 

Lo abbiamo invitato in quanto campione italiano e atleta ligure. In più nel 2023 è stato secondo classificato, dietro a Léo Bisiaux. Di sicuro sarà al via di questa edizione a rappresentare la sua regione e a sfoggiare la maglia tricolore. 

Lorenzo Finn, intervenuto ieri alla presentazione, sarà della partita
Lorenzo Finn, intervenuto ieri alla presentazione, sarà della partita
Il rischio era di non averlo, vista la sovrapposizione con il Grand Prix Ruebliland, altra corsa internazionale juniores in Svizzera.

Alcune nazionali dovranno dividersi tra noi e loro e non è una cosa molto simpatica. Noi avevamo anche pensato di anticipare i giorni della gara spostando tutto a fine agosto, ma sarebbe stato impossibile. La nostra è un’area molto turistica, lo si capisce dalle località toccate, e le strutture alberghiere non sarebbe riuscite a riceverci. L’appuntamento rimane per il 4 settembre e lo spettacolo sarà comunque garantito.

Nuova Canyon Aeroad, ancora di più e ancora meglio

19.07.2024
7 min
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CALPE (Spagna) – La nuova Canyon Aeroad è il risultato di un lavoro certosino mirato a non stravolgere una bici che dal 2011 (anno in cui venne lanciata la prima versione) è diventata un simbolo. Zero compromessi per un mezzo super prestazionale che vuole rimanere aero prima di tutto.

Una vera bicicletta aerodinamica che vince sul pavè, apprezzata in salita e ancora di più per la precisione di guida? La Canyon Aeroad. Si è lavorato molto sul cuore del progetto, meno sul design complessivo ed impatto estetico (che comunque prevedono aggiornamenti e migliorie) e proprio il design vuole essere ancora una volta distintivo e riconoscibile. Entriamo nel dettaglio del nuovo progetto Aeroad.

CFR o CF SLX l’impatto estetico non cambia (foto canyon)
CFR o CF SLX l’impatto estetico non cambia (foto canyon)

L’apporto dei corridori

«Perché non sfruttare le evidenze di una bici che nasce aerodinamica e che primeggia un po’ ovunque, anche sul pavè? Non ci siamo basati esclusivamente sui riscontri del wind tunnel e dei modelli CFD – racconta Lukas Birr, responsabile design ed engineering – non abbiamo solo pensato a quello che i corridori avevano bisogno, ma li abbiamo coinvolti direttamente nello sviluppo. Non siamo andati da un solo corridore, anche se aver ricevuto il contributo di Van der Poel è stato fondamentale. Abbiamo chiesto agli sprinter, ai passisti, ma anche a chi è più scalatore.

«E’ anche per questo motivo che l’impatto estetico della nuova Aeroad è del tutto accostabile a quello della generazione precedente. Le differenze principali si concentrano in un orizzontale più largo, ma con un carro posteriore più sfinato, tubazione per tubazione. Significa – continua Birr – avere una bici leggermente più confortevole, più leggera e con un maggiore controllo, più facile da guidare che non ha perso in efficienza aerodinamica.

Nel complesso ogni tubazione ha un impatto frontale ridotto, se messo a confronto con la generazione precedente.

«L’aerodinamica ha un senso – argomenta Birr – anche nella cura del dettaglio. Ad esempio abbiamo calottato completamente l’ingaggio filettato del perno passante, aggiungendo pulizia estetica. I volumi maggiori riguardano gli steli della forcella, che sono più grandi. Particolare attenzione è stata posta alla zona dello sterzo e alla base dello stelo della forcella, che presenta un anello in titanio con il chiaro obiettivo di rinforzare un punto notoriamente critico. Nel complesso la nuova Aeroad è stata ridefinita e rinforzata anche nel modulo di carbonio».

Viti con testa Torx25 per tutto

«I produttori, i meccanici e anche gli utilizzatori da sempre si confrontano con una giungla di viti e minuteria che obbliga a continui cambi degli attrezzi. Per fare manutenzione sulla nuova Aeroad – ci dice Birr – abbiamo applicato quella che ci piace definire smart solution. Cambiano le lunghezze ed i diametri delle viti necessarie, ma la sede d’ingaggio rimane la medesima per ogni vite, ovvero un Torx T25. Con una chiave sola si gestisce tutto».

Le peculiarità della nuova Canyon Aeroad

I moduli di carbonio sono due, CFR e CF SLX, non ci sarà più la versione CF. CFR, ovvero la stessa bici in dotazione al World Tour e la CF SLX (cambiano ovviamente gli allestimenti). Il valore dichiarato alla bilancia della CFR è di 2070 grammi (kit telaio completo), telaio (il solo frame ha un peso di 960 grammi, verniciato), forcella e serie sterzo, reggisella ed il nuovo manubrio integrato PaceBar. Utilizza il medesimo concetto del cockpit in dotazione alla Ultimate, una sorta di componibile dove le curve si possono estrarre, ma è stato migliorato e aggiornato. Aggiornato perché la disponibilità delle curve è doppia. Si può avere un manubrio con flare classico, oppure con svasatura che volge all’esterno.

Non è necessario smontare tutto il manubrio, è sufficiente cambiare la piega, senza neppure sfinale le guaine idrauliche. La zona anteriore dello stem integra il supporto frontale del device ed è una sorta di guida anche le estensioni per le prolunghe da crono (o per il triathlon). Con il passare degli anni abbiamo imparato che il manubrio integrato Canyon è parte di un ecosistema.

Doppia regolazione per il reggisella

Il reggisella è specifico ed ha una sorta di arretramento a zero. E’ stata aggiunta una vite superiore che facilità l’inclinazione della sella. La sezione posteriore (piatta) presenta due asole per posizionare la luce. Il passaggio delle gomme è garantito fino a 32 millimetri di sezione.

Sei allestimenti e prezzi aggressivi

I due allestimenti CFR top di gamma sono il Di2 Shimano Dura Ace (power meter incluso e 7 chilogrammi precisi nella misura S) a 9.999 euro e quello con il Red AXS (misuratore Quarq compreso) a 10.499 euro. Non sono bruscolini, ma se consideriamo questa categoria di bici siamo al di sotto della media.

Sono quattro invece i CF SLX (due le versioni 8 e due per la 7). Ultegra Di2 con misuratore 4iiii e Force AXS con misuratore Quarq, rispettivamente a 6.499 e 6.999 euro, per passare alle configurazioni 7 con 105 Di2 e Rival AXS, rispettivamente a 4.799 e 4.199 euro.

Canyon

Paladin ci presenta Bradbury: determinazione, salita e… ketchup

19.07.2024
6 min
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Neve Bradbury in qualche modo è stata la sorpresa di questo Giro d’Italia Women. Dopo il secondo posto al Tour de Suisse, l’australiana è arrivata terza e ha vinto la maglia bianca di migliore giovane. Un risultato che non nasce dal nulla e la sua compagna di stanza, Soraya Paladin ce lo ricorda bene.

«Siamo partite con l’idea di supportarla – ha detto Paladin che a sua volta è stata autrice di un ottimo Giro – l’obiettivo principale era quello di stare vicino a Neve ed Antonia (Niedermaier, ndr) per la generale. Poi se c’era l’occasione avevo lo spazio per puntare ad una tappa. E io ci sono andata vicino. Sono soddisfatta. Sì, c’è stato un po’ di rammarico per quella tappa ad Urbino, però è stato un bel Giro. Poi Neve ha dimostrato di essere fortissima, quindi nel complesso è stato un Giro Women più che positivo».

L’arrivo di Urbino, dove Soraya Paladin è giunta seconda
L’arrivo di Urbino, dove Soraya Paladin è giunta seconda

Come Vine

Insomma vale la pena conoscere meglio questa australiana in forza alla Canyon-Sram. Neve, classe 2002, è di Melbourne, nel Sud dell’Australia, terra di ciclismo e ciclisti, si è laureata in Scienze Motorie. Figlia di Haydn, anche lui un ciclista, è colui che in qualche modo le ha trasmesso la passione. E anche il senso della corsa. Si racconta che il suo sesto posto al primo anno tra le elite sia stato figlio di una grande visione di gara nata dall’ascoltare il papà che seguiva le gare.

Eppure l’arrivo al professionismo e in un grande team, non è stato facile per Bradbury. All’inizio, specie tra le juniores non fu fortunata. Perse un titolo nazionale al primo anno. Tagliò il traguardo in testa ma fu squalificata, perché la sua bici era di poco inferiore al peso. L’anno successivo invece fu messa ko da una bruttissima caduta che le procurò diverse fratture. Le restava la carta Zwift.

E così al pari del suo connazionale Jay Vine, Neve Bradbury è arrivata al grande ciclismo grazie a questa porta.

Bradbury quest’anno è cresciuta moltissimo: è stata 2ª e maglia bianca sia all’UAE Tour (in foto) che al Tour de Suisse
Bradbury quest’anno è cresciuta moltissimo: è stata 2ª e maglia bianca sia all’UAE Tour (in foto) che al Tour de Suisse
Soraya, si sapeva che Bradbury potesse fare bene, ma da qui ad avere il supporto di una squadra per la classifica in un grande Giro era una cosa nuova per lei?

Un po’ sì, ma la squadra non ha voluto metterle troppe pressioni perché Neve è giovane, però sapeva che era lei che avrebbe dovuto fare classifica. E ha affrontato questa sfida giorno per giorno. E’ stata brava perché non si è fatta prendere dall’ansia. Ha saputo gestire anche il ruolo da capitana, dimostrando di poter essere una vera e propria donna da classifica.

Cosa le dicevi in merito?

Beh, abbiamo parlato, tanto più che ero la sua compagna di camera. E lì cercavamo di parlare il meno possibile di ciclismo, proprio per deviare la mente. Ogni tanto mi chiedeva dei consigli sull’approccio alla gara. E lei mi esponeva le sue idee.

E tu?

Le dicevo magari di stare un po’ più calma o al contrario, a seconda dei momenti, di essere un po’ più consapevole. Di provare a dimostrare quello che veramente valeva.

Il momento in cui Neve ha attaccato sul Blockhaus
Il momento in cui Neve ha attaccato sul Blockhaus
Dove c’è stato secondo te il suo cambio mentale di consapevolezza? Sul Blockhaus o prima?

Prima. Era un po’ dispiaciuta dopo la crono, perché aveva perso comunque un po’ di tempo. Poi già dalle tappe successive e dal primo arrivo in salita soprattutto, ha capito che stava bene. E non erano tappe facili. Quando arrivavamo, noi dicevano che eravamo finite, lei invece che stava bene. In salita non soffriva. Anche questo le ha fatto capire che la gamba c’era. Pensate che sul Blockhaus voleva partire addirittura sulla prima scalata. La squadra le ha detto di stare tranquilla e di dare tutto sull’ultima ascesa. Poi una volta lì come sarebbe andata… sarebbe andata.

Quindi vi aspettavate una sua azione sul Blockhaus?

Sì, sapevamo che stava andando forte e ci credevamo già da quando avevamo fatto la riunione la mattina. Lei era positiva, ci credeva, quindi anche noi siamo partite mentalizzate per andare a vincere la tappa. Sapevamo che sarebbe stato difficile, però alla fine ha dimostrato di essere una grande atleta.

Sul Blockhaus dati super per Bradbury (considerando il suo peso, 50 kg) si stima che nei 46′ del suo attacco abbia sviluppato 5,2 watt/kilo
Sul Blockhaus dati super per Bradbury (considerando il suo peso, 50 kg) si stima che nei 46′ del suo attacco abbia sviluppato 5,2 watt/kilo
Eccome, ha fatto una grande azione. Invece da un punto di vista tecnico come si muove in gruppo?

E’ migliorata tanto. Io non ho corso in squadra con lei al primo anno che è arrivata in Canyon-Sram, ma ora si muove bene. All’inizio tendeva sempre a correre indietro, si vedeva che non aveva tanta esperienza specie per le gare europee. Però la squadra è stata brava perché non le ha messo pressione e le ha sempre fatto fare le classiche o comunque corse in cui s’imparava anche a correre. Al Giro eravamo io e altre due ragazze che avevamo il compito di tenerla davanti. Però come detto è migliorata, non ha più paura, sa stare in gruppo, corre più davanti e se ogni tanto finisce dietro, viene richiamata e risale.

Le tirate le orecchie insomma!

Sì, però ha il grande pregio che riesce a vedere il momento buono per attaccare. Il tempismo del Blockhouse è stato molto intelligente.

L’abbraccio fra Soraya e Neve (foto @thomas_maheux)
L’abbraccio fra Soraya e Neve (foto @thomas_maheux)
Parlando di aspetti di colore, non possiamo non partire dalla scena dell’acqua che le ha versato tua mamma…

Sì, era mia mamma. Era venuta al Giro e ha tifato per noi. Per il resto Neve è una ragazza molto semplice e interessata. Legge molti libri, le piace andare a camminare in montagna, a fare dei picnic, è una ragazza molto alla mano. Vive a Girona e quando è lì si ritrova con le altre ragazze e ragazzi: hanno un gruppo di australiani. 

E del Giro Women e dell’Italia cosa ti ha chiesto?

Sotto questo aspetto c’è ancora da lavorare, si vede che non è italiana! A Neve piace tantissimo il ketchup, lo mette dappertutto. Allora ogni volta che lo vuole mettere sulla pasta, mi cerca con gli occhi come per dire: “Soraya non guardarmi”. La sera del Blockhaus il cuoco ci ha fatto gli spaghetti e lei li ha tagliati… ovviamente. Di nuovo: “Soraya non guardarmi”. Quella sera le ho dato il mio assenso ma solo perché aveva vinto!

Invece Soraya, quali sono i tuoi programmi adesso, dopo il buon Giro Women?

Farò il Tour Femmes (12-18 agosto, ndr). Finisco questa settimana di recupero e poi inizio ad allenarmi in vista del Tour. Sarà ancora più duro del Giro. Di nuovo possiamo far bene anche nella classifica generale, quindi l’obiettivo principale sarà proteggere le leader. Ma ci sono secondo me tappe adatte a fughe… e spero di coglierle.