Roglic attacca e viene punito. O’Connor tiene, Castrillo vince

01.09.2024
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Se qualcuno pensava che la vittoria di Castrillo nella dodicesima tappa, alla Estacion de Montaña de Manzaneda, fosse stata per caso, a quest’ora ha dovuto ricredersi. Lo hanno fatto tutti, forse anche Sivakov e Vlasov che sono stati in fuga con lui per tutto il giorno, immaginando in che modo lo avrebbero staccato, quando lo hanno visto andare via non appena le rampe più severe del Cuitu Negru sono iniziate sotto le ruote. La montagna di Dario Cataldo ha premiato un ragazzino spagnolo con tante cose da dire e la maglia della Kern Pharma sulle spalle.

Il ragazzo non è piccino come uno scalatore. E’ alto 1,83 e pesa 74 chili, eppure quando ha cambiato passo, lo ha fatto con una frullata degna del miglior Froome e ha preso il largo. Prima della vittoria di tre giorni fa, la sua precedente risaliva al campionato spagnolo della crono U23 del 2022: l’identikit si fa interessante.

Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili
Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili

Il sogno di Castrillo

E se l’altro giorno la vittoria aveva portato con sé una gradazione pazzesca di emotività, oggi si è trattato dell’esplodere di gambe e voglia di dimostrare qualcosa. Si dice che sulle tracce del corridore di 23 anni originario di Jaca ci sia già la Ineos Grenadiers e lui ce l’ha messa tutta per dargli qualche spunto aggiuntivo.

«Tre giorni fa – dice – non ho fatto che pensare a Manolo Azcona in ogni momento, per tutta la tappa. Quando ho tagliato il traguardo ho pensato molto a lui. E’ stata una fortuna avergliela potuta dedicare. Grazie a lui sono emersi grandi corridori come quelli che erano in fuga con me, cioè Soler e Rodriguez. Perciò ho voluto dedicargli la vittoria per tutto ciò che ha significato per il ciclismo e per la nostra squadra.

«La verità è che oggi non me l’aspettavo. Stamattina – prosegue – sono arrivato con l’intenzione di andare in fuga e vedere come sarebbe andata, ma non mi aspettavo di arrivare nella posizione per vincere. La prima vittoria è stata incredibile, ma ottenerne una seconda è un sogno. Penso che sia la migliore Vuelta possibile. Non so cos’altro dire».

Red Bull-Bora all’attacco

Oggi era il giorno della prima, vera resa dei conti fra Roglic e O’Connor. Anche Landa voleva lasciare il segno. Eppure nonostante il gran lavoro della Soudal-Quick Step, quando si è scatenata la bagarre, la maglia rossa ha tenuto più di quanto si pensasse e domani vivrà il riposo da leader della Vuelta per l’undicesimo giorno consecutivo. A preparare l’attacco dello sloveno si è ritrovato Lipowitz, che occupando a sua volta il sesto posto della classifica, non ha badato a spese nell’affondare il colpo.

«L’intera tappa è stata super dura – spiega il tedesco della Red Bull-Bora – è stato un ritmo super duro fin dall’inizio. Nell’ultima salita, ho cercato di stare con i migliori. Poi, negli ultimi 3 chilometri ho lanciato l’attacco di Primoz. Ho dato tutto quello che potevo, poi sono esploso completamente. Ho cercato di arrivare al traguardo nel miglior modo possibile, ma alla fine ero completamente al limite. Penso che Roglic abbia fatto un buon lavoro e avevamo anche Vlasov davanti, quindi penso che oggi abbiamo fatto bene tutti e ora siamo molto più vicini alla maglia rossa».

La risposta di O’Connor

O’Connor ha la faccia tosta di dire che tutto sommato ancora ci crede e a diventare l’agnello sacrificale non ci pensa troppo. E a ben vedere è stato bravo. Non ha neppure provato a rispondere allo scatto di Roglic, anzi ha preso il suo passo. E anche se alla fine il suo vantaggio risulta dimezzato (risalirà sopra al minuto per la penalizzazione inflitta a Roglic), intanto arriva al riposo con la maglia rossa. E magari per la sua squadra va bene anche così.

«Oggi ero ottimista – dice inaspettatamente – immagino di aver smentito le persone che si aspettavano che perdessi la maglia. Ho avuto una giornata piuttosto buona. E’ un peccato che sia scoppiato un po’ nel finale, ma è stato uno degli arrivi in salita più orribili che abbia mai fatto. C’è stato un solo attacco, quello di Roglic. E’ stato super impressionante, poi è stata una scalata uomo contro uomo. Mi sentivo come se non stessi andando da nessuna parte, non riuscivo a vedere nulla con la nebbia. È stato difficile, ma sono ancora in testa, quindi va bene. Domani mi riposerò e poi martedì affronterò i Lagos de Covadonga. Sono orgoglioso di me e dei ragazzi. Penso che sia davvero un momento magico».

Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia
Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia

Il cambio bici di Roglic

Roglic ci ha provato anche cambiando bici. Si è fermato quando la corsa era nella direzione della scalata finale e si è fatto passare dall’ammiraglia una Tarmac Sl8 con monocorona da 46 e pacco pignoni 10-44. Ruote a profilo medio di Alpinist, per un peso di 6,81 contro i 6,9 dell’altra. Non l’aveva mai usata prima, ma sapendo di dover affrontare una salita così ripida, lo sloveno non ha rinunciato a giocare la carta della tecnologia, puntando sull’inerzia inferiore dei cerchi più bassi.

Purtroppo il margine guadagnato in salita è stato vanificato in parte dai 20 secondi di penalità che gli sono stati inflitti per il rientro dietro troppe scie, proprio in occasione del cambio di bici. Lo sloveno ha mostrato ottime gambe e probabilmente la sua erosione al trono di O’Connor darà i frutti che spera. Forse c’è da sistemare un po’ la mira: il punto scelto per il cambio bici non era forse dei migliori.

Nocentini, 9 anni (e 9 giorni in giallo) alla corte di Lavenu

01.09.2024
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Ha fatto notizia il recente licenziamento di Vincent Lavenu da team manager della Decathlon-Ag2R La Mondiale, squadra da lui fondata nel 1992. Dapprima si chiamava Chazal-Vanille, poi diventò la Casinò e infine, dal 2000 al 2023, ha avuto come primo sponsor Ag2R.

Qualunque fosse il nome, Lavenu è stato per 32 anni l’anima di quella realtà, tuttora il più antico team professionistico francese in attività. Capace di conquistare complessivamente 19 vittorie di tappa al Tour de France, 5 al Giro d’Italia e 7 alla Vuelta a España.

Ne abbiamo parlato con Rinaldo Nocentini, nove anni alla corte di Lavenu, tra i quali spicca un 2009 memorabile in cui ha indossato per 8 tappe la maglia gialla al Tour de France. Oggi il toscano collabora con una squadra juniores che si chiama Mepak.

Rinaldo, come hai preso la notizia del licenziamento di Lavenu?

Non ne sapevo niente, me l’ha detto l’altro giorno Enzo Vicennati al telefono. Mi sembra molto strano, qualcosa dev’essere successo, si devono essere rotti degli equilibri. Anche perché normalmente i francesi sono molto attenti a queste cose, a gestire queste dinamiche internamente. Ripeto, è strano che sia stato licenziato così, a stagione in corso, subito dopo il Tour. Avrebbero potuto aspettare la fine dell’anno, quando anche l’attenzione mediatica è meno presente. Ho letto che sembra possa entrarci il caso doping di Bonnamour. Quello che posso dire io è che con noi ha sempre trattato il discorso doping molto chiaramente e rigidamente. Quindi l’impressione è che, forse, la nuova dirigenza possa avere preso la palla al balzo per sistemare attriti interni con questo pretesto.

Di lui che ricordi hai, che tipo di team manager è stato?

Ho corso nella sua squadra per nove stagioni, dal 2007 al 2015, ed è sempre stato un ottimo manager. Meticoloso, sempre presente nelle gare più importanti, al Tour la prima ammiraglia la guidava lui. Personalmente mi ci sono sempre trovato bene, perché ha un carattere molto tranquillo, ci potevi parlare, non era uno che urlava o sbraitava. Per esempio, quando sono stato in maglia gialla ha lasciato che mia moglie rimanesse con noi tutti i nove giorni, assieme alla squadra, una cosa tutt’altro che scontata. Mi trattava come un figlio, si potrebbe dire.

Hai accennato a quella maglia gialla del 2009, un momento speciale per te ma anche per tutto il team. Ci racconti com’è andata?

Quel giorno era in maglia gialla Cancellara, e alla riunione della mattina avevamo deciso di andare in fuga. La tappa era Barcellona-Andorra, arrivo in salita oltre i 2000 metri. Alla fine ci siamo riusciti, in tutto eravamo in dodici, due della nostra squadra. All’inizio ovviamente pensavo solo alla tappa, poi negli ultimi chilometri è passato la moto con la lavagnetta che diceva che avevamo ancora quasi 6 minuti di vantaggio. In quel momento ho detto, ok, ci provo, vediamo se riesco a prendere la maglia. Non mi sono più preoccupato di seguire gli scatti degli altri e sono andato su del mio passo, anche se mi ricordo che c’era vento contro ed è stata molto dura. Ma dopo l’arrivo del gruppo, quando abbiamo capito che avevamo conquistato la maglia, è stato fantastico.  In hotel abbiamo festeggiato tutti assieme, per quanto possibile durante un Tour de France, e Vincent era più che felice, radioso.

Anche perché quella maglia poi l’avete tenuta per molte altre tappe, otto in totale.

Esatto, otto tappe più il riposo, nove giorni in totale. Non è stato facile perché avevo solo 6’’ di vantaggio su Contador e 8 Armstrong. Quindi sarebbe bastato un buco, una volata, per cui è stata battaglia ogni giorno. Poi c’è da dire che a loro, i favoriti, andava anche bene che la maglia la tenessimo noi, almeno per un po’. Quel periodo per noi è stato bellissimo, il giorno di riposo poi hai il mondo addosso, tutti ti cercano, tutti vogliono farti interviste. A fine Tour calcolarono che il valore della visibilità per lo sponsor data da quei giorni in maglia gialla era quantificabile in circa 60 milioni di euro. Capite bene perché Vincent non poteva che essere contento.

Facciamo un passo indietro, all’inizio della tua esperienza con Lavenu. Qual’è il tuo primo ricordo a riguardo?

Molto bello direi. La prima corsa con loro è stato il Giro del Mediterraneo e sono riuscito a vincere la 4ª tappa, quella del Mont Faron. Era la salita simbolo della gara, dove avevano vinto campioni come Bartoli e Casagrande. Lavenu lì non era mai riuscito a vincere, e così è stato un tripudio. Mi ricordo che feci la premiazione e poi partimmo subito in macchina per correre in albergo a berci una birra tutti assieme. Eravamo appena partiti quando gli addetti dell’antidoping ci hanno bussato sul finestrino per fermarci. In quanto vincitore di tappa dovevo presentarmi al controllo, ma dalla contentezza tutti in squadra se n’erano dimenticati. Ovviamente poi siamo scesi e l’abbiamo subito fatto.

Un team manager presente e allo stesso tempo alla mano, insomma.

Direi proprio di sì. Mi ricordo un altro episodio, al Tour del 2010. Quell’anno ero reduce da un infortunio, quindi tendevo a correre sempre in fondo al gruppo. Ad un certo punto Lavenu è venuto da me e mi ha detto, con la sua pacatezza ma comunque molto deciso: «Non penserai mica di stare lì tutto il tempo…». Allora ho annuito e ho subito risalito il gruppo.

Per finire un’ultima domanda su quel magico 2009. Quel Tour non era nei tuoi programmi ad inizio stagione. Quando hai saputo che ci saresti stato?

La stagione iniziò bene con la vittoria di una tappa al Giro di California, poi purtroppo presi la mononucleosi. Al campionato italiano però feci bene e il giorno dopo, era un lunedì, Lavenu mi chiamò per chiedermi se volessi andare al Tour. Io ovviamente accettai di corsa, perché si trattava della mia prima volta alla Grande Boucle. In squadra c’era una certa aspettativa perché l’anno prima avevamo fatto 9° e 10° in classifica con Valjavec ed Efimkin. Io avrei dovuto aiutarli, ma loro ebbero dei problemi e alla fine io feci 13°, un risultato di tutto rispetto per un esordiente. Però nulla a confronto con quei 9 giorni in giallo. Quelli, per me e per la squadra, certamente anche per Vincent Lavenu, valsero quasi un podio.

Basilico ha conquistato il Sud America, ora vuole il Nord Europa

01.09.2024
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La collezione di vittorie e risultati ottenuti da Valentina Basilico in Sud America occupa una lista bella lunga del suo palmares (in apertura Basilico è in maglia nera, foto Federazione Colombiana). Con la formazione Eneicat – CMTeam ha girato in lungo e in largo l’america latina nel 2024, vincendo quattro tappe tra Guatemala, Salvador e Colombia. A tutto questo c’è da aggiungere la classifica generale della Vuelta Ciclista a Guatemala. L’ultima esperienza messa in cascina è la Vuelta a Colombia Femenina, nella quale ha vinto una tappa: la quarta. 

Jet lag e rientro in gara

Neanche il tempo di tornare in Italia e adattarsi al fuso orario che Basilico si trova già in viaggio verso altre gare. Rientrata dalla Colombia il 28 agosto, il giorno dopo è partita per il Giro di Toscana, che si chiude oggi con una tappa mossa a Montecatini Alto. 

«Rientrare e partire subito per un’altra corsa non è facile – racconta Valentina Basilico – avevo ancora da smaltire il fuso orario. Il 28 agosto mi sono svegliata alle due di notte pensando fossero le otto del mattino, mi sono riaddormentata a fatica. Ho riposato un po’ e quando mi sono svegliata erano le otto, ma pensavo fosse ancora notte. Insomma, dovevo riprendermi un attimo.

«Nonostante tutto – continua – la Vuelta a Colombia è andata bene, la squadra si è comportata in maniera buona. Siamo andati con l’intenzione di ottenere qualcosa e così è stato. Abbiamo vinto due tappe, una io e l’altra la mia compagna Campos, con lei siamo stati in lotta anche per la generale».

Per la prima volta la Vuelta a Colombia si è corsa sulla costa, le ragazze alloggiavano a Cartagena de Indias
Per la prima volta la Vuelta a Colombia si è corsa sulla costa, le ragazze alloggiavano a Cartagena de Indias
Che gara è stata?

Strana, il percorso prevedeva tre tappe pianeggianti e due con arrivo in salita. Nelle prime due frazioni sono stata parecchio sfortunata, una caduta e un guasto meccanico mi hanno impedito di fare la volata. Nella terza mi sono salvata e il giorno dopo sono riuscita ad ottenere una bella vittoria.

Correre in Colombia com’è? 

Il ciclismo è lo sport nazionale, ci sono tante squadre forti e le atlete arrivano pronte al meglio. Penso sia l’appuntamento più importante del calendario, equiparabile ai nostri tre Grandi Giri in Europa. Alcune ragazze le conoscevo, avendole già affrontate in qualche gara in Francia. La cosa bella è che in Sud America si conoscono tutte. Noi abbiamo due compagne colombiane e chiedevamo loro spunti tecnici sulle avversarie. Ci rispondevano con una scheda tecnica precisissima. 

Sulla strada tanto pubblico con i colori della Colombia sempre al proprio fianco (foto Instagram)
Sulla strada tanto pubblico con i colori della Colombia sempre al proprio fianco (foto Instagram)
Sulle strade il ciclismo è così sentito?

E’ uguale all’appuntamento maschile che si corre a giugno. Ci sono tanti appassionati e molte scuole a bordo strada, con bambini e insegnanti che ci aspettavano. Non è mai mancato il pubblico, chiaro che ci sono tappe più frequentate e altre meno. Quest’anno per la prima volta si correva sulla costa, quindi si passava dal mare alla montagna con questi stradoni larghi e dritti. Avevamo l’hotel sulla spiaggia, bellissimo.

Vi siete godute qualche bagno rigenerante tra una tappa e l’altra?

Purtroppo no. Il fuso orario ci impediva di stare sveglie oltre le 21. Facevamo i massaggi e andavamo a dormire, il tempo di adattarci alle ore di differenza che è arrivato il momento di tornare a casa. 

Dopo tante corse nel Sud America Basilico vuole mettersi alla prova nel nord Europa nel 2025 (foto Instagram)
Dopo tante corse nel Sud America Basilico vuole mettersi alla prova nel nord Europa nel 2025 (foto Instagram)
Hai corso tanto in Sud America, tra le diverse gare che differenze hai visto?

In Guatemala e Salvador i percorsi erano mossi, mentre in Colombia no. Le tappe erano di due tipologie: totalmente piatte oppure piatte con una salita di dieci chilometri alla fine. Pedalavamo su uno stradone larghissimo, poi il tempo di fare una “s” o un’inversione a “u” e si saliva subito. Nelle gare di marzo (Salvador e Guatemala, ndr) c’erano molti su e giù, come si trovano da noi in Europa. 

Le avversarie erano le stesse?

In primavera abbiamo trovato più squadre europee, invece alla Vuelta a Colombia no. Il livello era alto, le continental sono attrezzate e competitive, le altre squadre meno. 

Vuelta a Colombia Femenina, Valentina Basilico e le compagne: il buon umore non manca
Vuelta a Colombia Femenina, Valentina Basilico e le compagne: il buon umore non manca
A proposito, cosa ti manca per ottenere gli stessi risultati in Europa?

Un po’ di continuità. Ho gareggiato spesso in Spagna su percorsi non adatti a me, con tante salite lunghe e ripide. Quello che mi manca è andare in posti dove trovare pane per i miei denti. Mi piacerebbe correre in Belgio e Francia il prossimo anno, dove trovo percorsi nervosi e duri. Credo sia un ciclismo più divertente, che mi può entusiasmare tanto: vento, strappi, stradine…

Secondo te la squadra riuscirà a partecipare quelle corse?

Siamo giovani, stiamo crescendo. Credo di sì, serve un po’ più di organizzazione ma è un passo che si può fare. D’altronde certe gare non puoi vincerle se non inizi a frequentarle e provarle anno dopo anno.

L’abbondanza del Belgio ci ricorda Zolder 2002. Parola a Petacchi

01.09.2024
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Con Alessandro Petacchi vogliamo fare un viaggio nell’abbondanza tecnica del Belgio. Quell’abbondanza di cui già vi avevamo parlato in vista del campionato europeo, quando nel mazzo erano finiti Tim Merlier e Jasper Philipsen, i due velocisti “di Bruxulles”… Il tutto senza contare un certo Wout Van Aert. Giusto qualche giorno fa, Sven Vanthourenhout, il commissario tecnico belga, ha diramato le convocazioni. Ebbene ci sono tutti e tre. Come farà a metterli d’accordo?

Questa vicenda, e forse anche il luogo dove si disputerà l’europeo, cioè nel Limburgo, ricordano un po’ il famoso mondiale di Zolder 2002, con Mario Cipollini capitano e una serie di uomini tutti attorno a lui, tra i quali Alessandro Petacchi.

Il tecnico del Belgio, Sven Vanthourenhout, durante la proclamazione dei convocati: «Una nazionale difficilissima da fare» (foto Photonews)
Il tecnico del Belgio, Sven Vanthourenhout, durante la proclamazione dei convocati: «Una nazionale difficilissima da fare» (foto Photonews)
Alessandro, dicevamo dei problemi di abbondanza per il Belgio. Lefevere diceva di schierarli entrambi, per esempio…

Con due velocisti più Van Aert non è una cosa semplice per Vanthourenhout. Ovvio che Lefevere vorrebbe il suo atleta in corsa ed è normale che abbia spinto per quello. Ma Philipsen viene dal Tour, dove ha vinto, mentre Merlier ha ripreso adesso a correre. Tim veniva dal Giro d’Italia, dove aveva vinto anche lui. Sono la squadra super favorita. Hanno anche Van Aert che sta andando molto forte alla Vuelta e magari alla fine sarà lui il capitano del Belgio.

Perché?

Perché il percorso è veloce, ma presenta anche qualche piccola difficoltà e poi c’è anche del pavè. Per me non è così facile. Loro dovranno tenere la corsa, e con due uomini veloci più Van Aert, dovranno farlo in cinque.

Uno dei quali è Jordi Meeus, che in pratica è un velocista aggiunto…

A questo punto, fossi stato il cittì del Belgio, avrei portato un velocista in meno e un uomo in più da far lavorare.

Dopo aver vinto al rientro in gara al Polonia, pochi giorni fa Merlier (a destra) è caduto al Renewi Tour
Dopo aver vinto al rientro in gara al Polonia, pochi giorni fa Merlier (a destra) è caduto al Renewi Tour
Merlier e Philipsen sono compatibili? Ed eventualmente come potrebbero convivere?

La vedo difficile. Se gli chiedi di fare l’europeo o il mondiale, entrambi ti dicono di sì. Ma sono rivali prima di tutto. Il discorso è un po’ diverso da quello che fu tra me e Cipollini all’epoca. Primo, lui era già Cipollini, in più quell’anno aveva vinto la Sanremo, la Gand… dava più garanzie per certe corse e certe distanze rispetto a me. Philipsen e Merlier sostanzialmente sono sullo stesso livello, stanno vincendo adesso in questa fase di carriera. Io credo che Vanthourenhout abbia già scelto il leader, tra i due.

Chi è?

Credo abbia scelto sulla base di quanto ha visto quest’anno e quindi Philipsen (che ha vinto anche ieri, ndr). In primis, per il secondo in una corsa lunga e dura come la Roubaix, poi per la Sanremo. Jasper ha dimostrato che dopo 250-300 chilometri il suo sprint non perde troppa potenza. Sono vittorie di un altro livello rispetto a quelle di Merlier, danno più garanzie. 

Merlier non potrebbe fare l’apripista?

Meglio uno Stuyven allora (che non è stato convocato, ndr) che è più forte e ha dimostrato di saperlo fare. Lo abbiamo visto al Giro con Milan. Merlier non so com’è in questo ruolo. Magari è bravissimo, ma ribadisco che sono rivali e che tutto sommato stanno vivendo una carriera parallela. 

Chiaro…

Sarebbe davvero brutto in un europeo, per di più in Belgio, vedere due atleti della stessa nazione disputare lo sprint. L’unica cosa che al massimo potrebbero fare è essere super onesti e ad un certo punto della corsa chi dei due non è super, decide di mettersi a disposizione dell’altro. Ma se fossi nei loro panni, direi di no.

Anche Philipsen è tornato in gara dopo il Tour. Qui è battuto da Milan, ma sta già ritrovando la sua brillantezza
Anche Philipsen è tornato in gara dopo il Tour. Qui è battuto da Milan, ma sta già ritrovando la sua brillantezza
Facciamo un passo indietro, Alessandro: Zolder 2002. Situazione vagamente simile. Anche quella volta c’erano tre velocisti: tu, Lombardi e Cipollini…

Lombardi era lì perché era l’ultimo uomo di Mario e non perché fosse un velocista. Io ero lì perché ero andato bene in primavera e al Giro. Nella prima parte di stagione Cipollini lo avevo anche battuto, ma come detto, lui aveva inanellato una serie importante di vittorie e sarei andato per aiutare. Ero adatto a quel percorso. Già se fosse stato l’anno dopo, il 2003, probabilmente non avrei accettato.

Comprensibile…

Quella era una squadra forte con un solo unico leader ed un obiettivo e non poteva non andare così. Abbiamo preso in mano la corsa sin da subito. Non ci sono mai stati rivali in campo, abbiamo fatto e gestito noi azzurri tutta la gara. Quella nazionale era fortissima per quel tipo di percorso.

Che lavoro fece Ballerini? Ricordiamo anche di qualche polemica che girava prima del mondiale: qualcuno metteva in dubbio che avresti rispettato i ruoli…

So bene a cosa vi riferite. Tutto nacque da Giancarlo Ferretti, mio diesse alla Fassa Bortolo, che un po’ spingeva per me e un po’ non amava molto Cipollini. Fece delle dichiarazioni e i giornalisti iniziarono a parlare di questa cosa. E io rischiai persino di fare la riserva! Al mondiale ero in camera con Bramati, corridore importante, esperto e uomo fidato di Ballerini. Ogni sera in hotel, mi parlava un’ora, un’ora e mezza della corsa. Voleva fare gruppo, sincerarsi che stessi ai patti e che accettassi il lavoro da fare… Ma non ce n’era bisogno. Io non dissi mai di non essere d’accordo.

Che storie!

Solo il venerdì sera ebbi un incontro da solo con Ballerini. Gli risposi che se fossi venuto per fare la mia corsa con Cipollini in squadra, me ne sarei stato a casa. Gli dissi che poteva contare su di me, che mi sarei messo a disposizione. Poi è chiaro che se Mario avesse avuto dei problemi, se fosse caduto, a quel punto si sarebbe corso per me.

Ballerini e Petacchi a colloquio. Ma nel mondiale di Zolder per il Peta non ci sarebbe neanche stato bisogno di parlare
Ballerini e Petacchi a colloquio. Ma nel mondiale di Zolder per il Peta non ci sarebbe neanche stato bisogno di parlare
Il che era anche scontato…

Fare quel mondiale sarebbe stata comunque un’occasione, anche se avessi lavorato per lui. Se fossi rimasto a casa perché volevo essere io il leader quell’occasione non l’avrei avuta a prescindere. Quindi diedi la mia parola a Ballerini e la mantenni.

E tirasti anche forte nel finale. Dai 750 metri…

Diciamo dal chilometro e cento – interrompe con fermezza e orgoglio Petacchi – ai 350 metri (qui il video dei 1.500 metri finali, ndr). Davanti a me infatti ci sarebbe dovuto essere Bettini. Ma Paolo rimase intruppato in un contatto con Freire e non riuscì a risalire. Per non rallentare il treno entrai subito in scena io e tirai il più possibile. Fu una situazione complicata. Se mi fossi spostato prima non sarebbe stato uno scandalo.

Già fare 400 metri al vento in quelle situazioni è qualcosa di mostruoso. Figuriamoci 700 metri…

Avrei poi lasciato lungo Lombardi e magari Cipollini non avrebbe vinto. A quel punto immaginate che discussioni che sarebbero emerse. “Petacchi non si è tirato indietro, non ha fatto lui la volata, ma ha cercato di fargliela perdere”. Per questo dico che tra Merlier e Philipsen non sarà facile.

Fattore Q e perni dei pedali, come cambia la pedalata?

31.08.2024
4 min
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Il fattore Q dei pedali è legato principalmente alla lunghezza dei perni. I pedali Shimano (Dura Ace) sono stati i primi ad offrire la lunghezza dell’asse in due versioni, quella standard e quella più lunga di 4 millimetri. Ora anche Time amplia la disponibilità per la versione Xpro, grazie a ben tre lunghezze del perno, 51, 53 e 57 millimetri.

Cosa significa avere una piattaforma di appoggio più vicina oppure più lontana dalla pedivella? Come si sceglie la lunghezza più consona alle nostre esigenze? Cosa comporta in termini di performance tecnica? Entriamo nell’argomento anche grazie al contributo di Alessandro Colò, ex corridore e ora biomeccanico specializzato al centro Bodyframe di La Spezia.

Alessandro Colò di Bodyframe
Alessandro Colò di Bodyframe
Cos’è il fattore Q del pedale e del suo perno?

In sostanza è il parametro che allontana, oppure avvicina il piede/la scarpa alla pedivella. A mio parere è necessaria una premessa. Le variazioni legate al fattore Q dei pedali sono un valore che non fa una grande differenza in termini di performance generale, non tanto quanto un’altezza sella, solo per fare un esempio.

Altezza sella e larghezza di quest’ultima, ruoli primari rispetto al fattore Q dei pedali (foto Bodyframe)
Altezza sella e larghezza di quest’ultima, ruoli primari rispetto al fattore Q dei pedali (foto Bodyframe)
C’è uno standard?

Parlando di pedali da strada, possiamo considerare 53 millimetri una sorta di standard per tutti i produttori.

Stringere o allargare il fattore Q cosa comporta?

Non bisognerebbe mai farlo da un giorno all’altro, perché è necessario un periodo di adattamento. Ogni piccolo cambiamento sulla bicicletta deve prevedere un periodo di assestamento per il corpo. Il rischio di farsi male è reale, soprattutto per quanto concerne le articolazioni, soprattutto quella rotulea del ginocchio.

I pedali Shimano Dura Ace i primi ad offrire una doppia opzione
I pedali Shimano Dura Ace i primi ad offrire una doppia opzione
Una larghezza maggiorata a chi è dedicata?

In linea generale a chi presenta delle gambe molto arcuate e un angolo di lavoro dei piedi con le punte abbondantemente verso l’esterno. A chi ha una distanza intertrocanterica superiore ai 36 centimetri. Sono casi rari, ma esistono. Mentre i perni con lunghezza ridottissima si rivolgono a chi ha un bacino molto, molto stretto, con la distanza ridotta delle teste dei femori. E’ fondamentale partire da una corretta misurazione, evitando il rischio di commettere errori.

Molte delle valutazioni passano dal ginocchio (foto Bodyframe)
Molte delle valutazioni passano dal ginocchio (foto Bodyframe)
Meccanicamente parlando, un fattore Q del pedale può essere vantaggioso?

Meccanicamente sì, magari per prestazioni lampo o per chi riesce ad erogare tanti watt in poco tempo. La valutazione corretta deve considerare le soggettività della persona, prima di tutto il resto.

Scelta errata, c’è modo di rimediare?

In parte sì e la soluzione più semplice è quella di inserire una o più rondelle, quando il perno è corto e la necessità è quella di allargare, rispettando la filettatura della pedivella tra la battuta del pedale e la pedivella stessa.

Asse tra piede e ginocchio, fattore importantissimo, ma deve tenere conto delle soggettività
Asse tra piede e ginocchio, fattore importantissimo, ma deve tenere conto delle soggettività
Nel gesto della pedalata c’è un aspetto da considerare più importante di altri?

Una regola importante, ma non perentoria è il rispetto dell’asse tra ginocchio e piede. Però, anche in questo caso è fondamentale prendere in esame anche i trascorsi del soggetto ciclista. Chi ha subito degli interventi chirurgici agli arti inferiori può avere bisogno di assumere una posizione non perfettamente in asse, ma adeguata alle sue necessità. Gli incidenti influiscono non poco sul nostro corpo. E poi è da prendere in esame il movimento della caviglia, che non deve mai essere troppo chiuso o eccessivamente aperto.

Da considerare in cima alla lista anche il movimento della caviglia
Da considerare in cima alla lista anche il movimento della caviglia

In conclusione

La possibilità di scegliere la larghezza del perno del pedale (parallela alla tipologia di tacchetta) è un ulteriore passo in avanti nella ricerca della resa più performante. La larghezza del perno del pedale ed il fattore Q di questo non è mai stato un argomento primario, balzato all’attezione di molti grazie ai nuovi pedali Time. Non è il fattore Q delle pedivelle, perché sono due cose diverse. Quest’ultimo è rappresentato dalla distanza tra le sezioni esterne delle due pedivelle. La scelta di un pedale con la giusta lunghezza del perno non dovrebbe essere fatta a caso, ma assecondata da una corretta e approfondita valutazione di un biomeccanico esperto, capace di leggere ed interpretare anche le caratteristiche soggettive dell’atleta.

Raccagni chiude il cerchio con la Polti: da U23 a professionista

31.08.2024
5 min
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Il segno della continuità in casa Polti-Kometa porta il nome di Gabriele Raccagni, il corridore classe 2003 ha firmato un contratto di due anni con il team professional di Ivan Basso e Alberto Contador. Un cerchio che si chiude visto che il bresciano è passato under 23 proprio con il team di sviluppo nel 2022, ai tempi ancora Eolo-Kometa. Nonostante siano cambiati gli sponsor e di conseguenza il nome, Raccagni è rimasto continuando il suo percorso di crescita. Un cammino che lo ha portato ad un periodo da stagista, iniziato in Francia al Tour du Limousin, e proseguito con il contratto da professionista per le prossime due stagioni. 

Gabriele Raccagni (in foto a destra) ha esordito tra i professionisti al Tour du Limousin
Gabriele Raccagni (in foto a destra) ha esordito tra i professionisti al Tour du Limousin

Esordio tosto

Un primo assaggio del mondo che lo aspetta lì alla finestra, sul quale è bene prendere le prime misure per non arrivare impreparato. Il livello non era altissimo, visto che si trattava di una corsa di categoria 2.1, tuttavia sono stati quattro giorni davvero importanti per Raccagni

«Non nascondo – spiega subito – che alla vigilia ero parecchio nervoso riguardo al mio esordio con i professionisti. Per fortuna ho avuto al mio fianco dei compagni forti e in particolar modo empatici che mi hanno messo a mio agio e scortato passo dopo passo. Il Tour du Limousin è stata la prima gara ma ce ne saranno delle altre da qui a fine stagione. Mi sono sentito subito parte del gruppo, un fattore che ha contribuito a far sentire meno la fatica in gara, anche se di chilometri ne abbiamo fatti».

I ritmi alti in corsa e il tanto lavoro lo hanno messo subito “vento in faccia”
I ritmi alti in corsa e il tanto lavoro lo hanno messo subito “vento in faccia”
Arrivi dal team di sviluppo della Polti-Kometa con il quale hai corso spesso tra Spagna e Italia. Com’è andata in un ambiente diverso come la Francia?

Ci sono delle differenze rispetto alle corse in Spagna, innanzitutto tra i professionisti si “lima” di più. Complice anche il percorso diverso, nervoso e con tanti sali e scendi. In Spagna le gare hanno tutte le stesse caratteristiche più o meno, ovvero salite lunghe sulle quali si fa la differenza. Quelle spagnole sono competizioni lontane però dalle mie caratteristiche. 

In Francia invece hai trovato un ambiente più familiare?

Sono un corridore abbastanza veloce, quindi da under 23 mi sono trovato spesso a lavorare per i miei compagni, in particolare per i velocisti. Tra under e pro’ il ritmo gara è totalmente differente, nel primo caso si va a tutta dall’inizio alla fine. Nel secondo caso, invece, siamo davanti a una condizione di gara lineare: la fuga va via, viene ripresa e poi si va in crescendo. 

Qui alle spalle dei compagni di squadra che gli hanno insegnato a muoversi in gruppo
Qui alle spalle dei compagni di squadra che gli hanno insegnato a muoversi in gruppo
Quali sono le tue caratteristiche ideali di percorso?

Salite corte ed esplosive, strappi da fare a tutta dove si fa man mano la differenza. Penso di poter diventare sempre più competitivo, chiaro che serve lavorare e allenarsi con costanza. 

Che livello hai visto al Tour du Limousin?

Alto, nonostante non fosse una corsa di primo livello. E’ stato bello confrontarsi con corridori e squadre che solitamente ho visto solo in televisione. Sicuramente si va forte, ma non è nulla di irraggiungibile, tanto che insieme Samuel Marangoni stiamo lavorando già sui miei punti deboli. 

Quali?

Tenere sulle salite più lunghe e imparare a pedalare in agilità. Ho il vizio di indurire troppo il rapporto e Marangoni mi sta facendo fare tanti allenamenti ad alte cadenze.

Raccagni è nel team sviluppo dal 2022 e nel 2025 passerà ufficialmente professionista (foto Instagram)
Raccagni è nel team sviluppo dal 2022 e nel 2025 passerà ufficialmente professionista (foto Instagram)
Quanto è importante avere una continuità di progetto come nel tuo caso?

Tanto. Sono arrivato qui nel 2022 e in tre stagioni sono cresciuto molto. Ad esempio Marangoni mi segue dallo scorso anno, la fortuna è che mi seguirà anche da professionista. Mi conosce, sa come lavoro e non dover trovare un nuovo equilibrio è sicuramente un vantaggio. In generale con lo staff sarà così, l’unico che non so se ritroverò è il diesse, vista la chiusura del team U23 (in favore dell’apertura di una formazione juniores, ndr). 

In gruppo come ti sei comportato, qual è stato il tuo ruolo?

Prendere vento in faccia. L’ho fatto per anni con gli under 23 e lo farò anche con i professionisti al momento. Il mio caposaldo in Francia è stato Maestri, un ragazzo gentilissimo che mi ha aiutato a capire come muovermi in gruppo. Spesso, quando ero in testa a tirare, mi diceva di rallentare e controllare lo sforzo visto che nei giorni successivi avrei dovuto fare la stessa cosa. Avere accanto qualcuno così è un bel vantaggio. Voglio farvi un altro esempio sulla continuità.

Dicci.

Arrivare da una squadra di sviluppo ha fatto sì che il mio lavoro di supporto ai compagni fosse riconosciuto e valorizzato. La Polti-Kometa ha ripagato i miei sforzi e la mia dedizione, per questo li ringrazio. Ora non so bene il programma ma se tutto andrà per il meglio dovrei fare la Bernocchi e il Gran Piemonte. 

Due settimane agli europei: squadra per Milan, ma pronti a tutto

31.08.2024
6 min
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Con Jonathan Milan che continua a macinare volate, la vista sugli europei di Hasselt del 15 settembre si fa decisamente interessante. Il percorso che parte da Zolder è stato definito come una Gand-Wevelgem senza il Kemmelberg, ma questo non significa automaticamente che sarà una corsa facile. Soprattutto se al via ci sarà un corridore come Van der Poel, cui l’arrivo in volata non sta per niente a cuore.

Daniele Bennati è andato a vederlo nei giorni attorno Ferragosto e ne è tornato con le idee sufficientemente chiare per intavolare la conversazione con i potenziali convocati, i cui nomi saranno diffusi martedì prossimo a Roma. Quel che è abbastanza chiaro è che si tratterà di una corsa veloce, con un tratto del circuito finale in cui gli attaccanti come l’olandese e il degno compare Van Aert potrebbero tentare il colpo di mano. Rispetto alle perplessità di partenza infatti, il tecnico del Belgio Vanthourenhout ha scelto di portare Philipsen, Merlier e pure Wout, che dalla Vuelta qualche perplessità sui ruoli l’ha già espressa.

Volendo immaginare un po’ di nomi, consapevoli di non avere frecce azzurre così abbondanti o appuntite, forse solo il miglior Ganna sarebbe in grado di stare con quei due in caso di attacco. Mentre per l’eventuale sprint, la carta Milan, magari tirato dallo stesso piemontese e lanciato da Consonni sarebbe la scelta migliore. Bennati però non si sbilancia, osserva, annota e intanto costruisce la possibile strategia.

Il percorso degli europei di Hasselt è lungo 222,8 km per 1.273 metri di dislivello
Il percorso degli europei di Hasselt è lungo 222,8 km per 1.273 metri di dislivello
Partiamo dal percorso: come si potrebbe definirlo?

Non direi che sia facile, di facile non c’è nulla. La parte centrale sarà sicuramente da gestire bene, perché ci sono due tratti di pavé esposti anche al vento. Uno è anche in salita e vista anche la partecipazione, non è proprio così scontato che si arrivi in volata. Van der Poel non ha interessi ad aspettare il finale.

Serve una squadra compatta per chiudere oppure è bene avere qualcuno che possa andare via con chi attaccasse?

In quella parte centrale, secondo me c’è bisogno di uomini che abbiano la capacità di saltare sulle ruote di chi partisse. In quel momento bisognerà decidere se stare tutti assieme e chiudere oppure far saltare dentro qualcuno di noi e non tirare. Potrebbe essere una delle ipotetiche soluzioni, non ce ne sono molte altre a ben vedere. Dall’ultimo pavé all’arrivo ci sono 45 chilometri e c’è in giro gente capace di reggere certe distanze in un ipotetico attacco. Si mette ogni cosa sul piatto, anche se in gara tutto può cambiare.

Ai mondiali di Zolder, Ballerini decise che si sarebbe corso per Cipollini e non si fece andare via nessuno.

Potremmo anche decidere di fare così, ma per chiudere subito quando attacca un Van der Poel a meno di 50 chilometri dall’arrivo, bisogna che ci siano ancora uomini in grado di farlo. Non immagino certo che Milan si metta a tirare per inseguirlo.

Van Aert alla Vuelta ha già vinto tre tappe e chiede chiarezza di ruoli nel Belgio degli europei
Van Aert alla Vuelta ha già vinto tre tappe e chiede chiarezza di ruoli nel Belgio degli europei
I belgi portano tre uomini velocissimi: vedi una logica?

Non mi stupirei se, in caso di arrivo allo sprint, decidessero di fare due volate. Tra Merlier e Philipsen non mi sembra che corra buon sangue. Da una parte per noi è meglio così, però vedrete che una logica c’è e non verranno certo a spiegarcela prima. Non credo proprio che il loro tecnico sia uno sprovveduto.

Escludi che possa aver chiesto a Merlier di tirare la volata a Philipsen, tenendo Van Aert per un attacco?

E’ difficile, ma non conoscendo i soggetti, non saprei dirlo. Probabilmente avrà già parlato con loro, ma ci sta anche che possano adottare la soluzione di fare la volata entrambi, privando gli altri di un riferimento sicuro.

Nell’ipotesi di Milan leader per lo sprint, l’idea è quella di usare Consonni come ultimo uomo?

Simone è il suo uomo di fiducia quindi potenzialmente potrebbe essere così. Poi ovviamente in base alle dinamiche di corsa nel finale, anche loro dovranno valutare la situazione. Quanto a Ganna, vediamo come sta dopo il ritiro al Renewi Tour, i prossimi giorni saranno decisivi.

Ganna fu già protagonista agli europei 2023: lo fermò una caduta ai meno 25
Ganna fu già protagonista agli europei 2023: lo fermò una caduta ai meno 25
Ai mondiali di Copenhagen sei stato capitano in un mondiale che sarebbe finito in volata e Bettini ancora oggi dice che il suo rammarico da tecnico fu di non aver provato abbastanza il treno…

In allenamento il treno viene sempre bene. Ne ho fatti tanti e non sbagliavo mai nulla. In gara ti devi sicuramente affidare a uomini di esperienza e ovviamente ognuno deve avere il proprio ruolo. In quel mondiale c’era anche tanta gente giovane e si venne a creare una situazione per cui a un certo punto il treno deragliò completamente. Io potevo anche decidere di battezzare un’altra ruota e lo stesso si dovrà essere capaci di fare se il finale si complicasse.

Quanto tempo prima della corsa andrete in Belgio?

Arriviamo il giovedì e l’indomani andremo provare soprattutto quel tratto di pavé che si fa tre volte. Quello è importante da vedere, perché invece l’arrivo è abbastanza semplice. La strada è tutta dritta, è la statale che arriva nel centro di Hasselt. Impercettibilmente sale e nell’ultimo chilometro tende a girare verso sinistra. Non ci sono curve però, né spartitraffico.

Si può pensare che l’eventuale treno prenda in mano la corsa con un po’ di anticipo?

E’ un arrivo abbastanza complicato da gestire. Sicuramente l’ideale sarebbe aspettare il più possibile e poi uscire con gli ultimi uomini, però sono situazioni in cui devi stare sempre molto davanti. In ogni caso abbiamo corridori capaci di tenerti davanti e poi anche di portarti fuori nell’ultimo chilometro.

Consonni sta correndo il Renewi Tour con Milan
Consonni sta correndo il Renewi Tour con Milan
Ormai i treni non riescono più a gestire i finali, d’altra parte…

Infatti le volate si fanno sempre da dietro, riesce a vincere chi ha la capacità di aspettare più possibile. Ma questo te lo puoi permettere solo se hai qualcuno che ti tiene coperto fino a quel momento e impedisce che ti chiudano. Potenzialmente è più semplice organizzare una volata quando ci sono molte curve nel finale, perché prendi la testa e le curve ti fanno respirare. La velocità si abbassa, il gruppo è lungo e da dietro è più difficile rimontare. Con una strada così dritta e larga invece, è molto importante avere uomini che sappiano fare quel lavoro. Gente come Cattaneo e Affini, ad esempio, può essere una garanzia.

Quindi non essendoci curve o punti in cui frenare, si svolgerà tutto alla velocità della luce?

Se non sbaglio l’ultima curva è a tre chilometri e mezzo, poi è tutto uno stradone. L’ultimo chilometro e mezzo tende tutto ad andare verso sinistra, per cui non avendolo visto con le transenne, direi che il traguardo inizi a vederlo quando mancheranno 600 metri.

Ne hai parlato con Milan?

Sì, ci sentiamo spesso. Lui è motivato, perché ne stiamo parlando già da molto tempo. Ovviamente, dopo le Olimpiadi, abbiamo ripreso il ragionamento, come è giusto che sia. Voglio rimanere con i piedi per terra perché non c’è nulla di scontato. Per un po’, dopo quattro europei vinti di fila, sembrava che non avessimo altra possibilità che vincere il quinto e proseguire. Però i cicli finiscono, ci sono anche gli avversari e non è detto che sia tutto così facile. Per cui teniamo i piedi per terra e cerchiamo di mettere in strada la miglior squadra possibile. Le corse non si vincono con i colpi di fortuna, ma con le gambe e le strategie migliori.

Intanto Hirschi a suon di vittorie prepara il mondiale

31.08.2024
5 min
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E’ innegabile che Marc Hirschi sia uno dei grandi protagonisti di questa fase della stagione, in alternativa alla Vuelta e in preparazione a un rutilante finale di stagione. Non solo per i suoi risultati, perché il suo passaggio alla Tudor è stato uno dei “botti” del ciclomercato in vista del 2025, una scelta che dice molto anche della nuova conformazione che la Uae sta assumendo sempre più intorno al vincitutto Pogacar ma anche delle ambizioni della squadra elvetica, protagonista di acquisti eccellenti.

Nel testa a testa di San Sebastian beffa Alaphilippe, suo prossimo compagno di colori
Nel testa a testa di San Sebastian beffa Alaphilippe, suo prossimo compagno di colori

Doppio colpo

Hirschi, anche per rispetto nei confronti dei suoi attuali datori di lavoro, non vuole parlare della sua nuova destinazione, d’altro canto c’è molto da dire in relazione a quanto sta facendo, basti pensare che in 55 giorni di gara ha colto 5 vittorie e 14 Top 10, ma viene soprattutto da due trionfi prestigiosi nelle ultime due classiche del WorldTour, San Sebastian e Bretagne Classic.

«Entrambe le vittorie sono state importanti perché parliamo di WorldTour – racconta l’elvetico – ma soprattutto di corse con tanta storia nel ciclismo, con grandi nomi nel loro albo d’oro. Non posso dire quale sia più stata la vittoria più grande, sono molto felice di aver vinto queste due gare che da sole portano in ampiamente positivo il giudizio sulla mia stagione, anche se la voglia di vincere è ancora tanta».

Hirschi sul podio di Plouay dopo aver battuto Magnier e Cort
Hirschi sul podio di Plouay dopo aver battuto Magnier e Cort
Quattro vittorie nell’ultimo mese: pensi sia il tuo periodo migliore da quando sei passato professionista?

Sì, penso sia molto simile al 2020. Ero allora in ottima forma dopo il Tour de France e portai a casa vittorie importanti e ora sono sicuro di essere al top della forma al momento. Spero di poter sfruttare questo stato ancora a lungo.

Ti è pesato non aver potuto effettuare un Grande Giro o per le tue caratteristiche sono state meglio le corse che hai fatto?

Avevamo deciso insieme con la squadra il mio calendario, in particolare questo periodo della stagione incentrato sulla preparazione per i campionati del mondo a Zurigo. Piuttosto che la Vuelta, che pure so essere utilissima per fare la gamba, preferisco andare in quota e se il meteo è molto buono è una buona preparazione, ma senza rinunciare alle corse perché non sai mai che tempo potrai trovare nel periodo stabilito in altitudine, soprattutto in questo periodo. Per cui preferisco alternare brevi periodi in altura e gare. Ora farò un periodo in quota, di nuovo un blocco di allenamento e poi farò le gare italiane, dal GP Industria e Commercio dell’8 settembre al Matteotti del 15, cinque corse in tutto.

Per Hirschi 4 anni alla Uae, con 17 vittorie ma non sempre vissuti in tranquillità
Per Hirschi 4 anni alla Uae, con 17 vittorie ma non sempre vissuti in tranquillità
E quale è quella che ritieni più adatta a te?

Nessuna in particolare, sono tutte gare molto buone per me e sono anche una preparazione super buona per le caratteristiche del percorso del mondiale. Il Toscana l’ho vinto due anni fa e so che va molto bene per me, la prova di Peccioli dove ho prevalso lo scorso anno ha un percorso molto mosso, il Memorial Pantani ha molte salite brevi e ripide. Penso che siano tutte buone per me.

Guardandoti indietro, ai Giochi di Parigi potevi fare di più?

Alla fine è stata una gara molto particolare, senza radio, con piccole squadre. Tutto molto diverso dal solito e non era facile adattarsi. A un certo punto c’era Kung davanti, quindi non era il caso di muovermi, poi nel finale sul pavé era davvero difficile capire come muoversi, non avevamo riferimenti ed eravamo tutti davvero al limite. Su quel percorso, con la forma che avevo al momento ero comunque inferiore a chi è andato a medaglia. Col senno di poi penso che la corsa avrebbe dovuto essere più dura e lottata nella prima parte, prima di arrivare al circuito finale, lì per me è stato difficile seguire il ritmo dei migliori.

Ai Giochi Olimpici di Parigi un 16° posto non pari alle sue aspettative, a 2’13” da Evenepoel
Ai Giochi Olimpici di Parigi un 16° posto non pari alle sue aspettative, a 2’13” da Evenepoel
Il mondiale nella tua Zurigo lo ritieni adatto a te e ha un’importanza particolare correre davanti alla tua gente?

Sì, per me ce l’ha. E’ il grande obiettivo di quest’anno. Si corre in casa e il tracciato non è male per le mie caratteristiche. È un percorso duro, un po’ per tutti, emergerà chi ne avrà di più. Può essere buono per chi ha fondo, per chi è portato ad attaccare, ma anche per gli scalatori. Quindi è una gara abbastanza aperta. Io mi gioco tutto lì, ci tengo particolarmente a emergere davanti ai miei connazionali.

Viste le tue caratteristiche, tra corse di un giorno e brevi corse a tappe dove pensi di andare più forte?

Dipende molto dal momento. Per ora mi alleno molto per le gare d’un giorno. Ma penso di poter essere tra i migliori anche in altre gare, soprattutto sto lavorando molto per il futuro. Io credo di poter far meglio anche nelle corse a tappe più grandi. Sapendo però che i grandi giri sono un altro livello, non basta sentire che le gambe vanno super forte, devi avere anche caratteristiche di resistenza, di gestione che devo ancora fare mie. Ma spero intanto in futuro di diventare molto competitivo anche nelle corse di una settimana.

Per il bernese la vittoria nel Czech Tour a conferma della sua dimensione anche nelle corse a tappe
Per il bernese la vittoria nel Czech Tour a conferma della sua dimensione anche nelle corse a tappe
Quanto è importante per tutto il ciclismo svizzero avere una squadra prossima all’ingresso nel WorldTour come la Tudor nella quale correrai nel 2025?

Penso che sia fondamentale soprattutto per i giovani corridori perché è più facile trovare spazio nella formazione di casa. Guardate le squadre francesi, prendono principalmente i corridori giovani francesi, consentendo loro di completare la loro crescita. A noi serve una realtà simile. E’ difficile entrare in una realtà straniera per un giovane corridore svizzero, quindi penso che dia molte opportunità ai giovani corridori di mettersi in mostra. Non ci sono tanti spazi per trovare un contratto, quindi questo aumenterà le possibilità.

Due fratelli, il loro tandem e un bronzo storico

30.08.2024
8 min
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Il giorno dopo di Davide Plebani, Lorenzo Bernard e del loro tandem ha il ritmo del riposo. Ieri sera dopo la medaglia di bronzo nell’inseguimento le cose sono andate per le lunghe, tra formalità e antidoping. Tempo per riflettere poco: i festeggiamenti, la medaglia sotto il cuscino e tutti a nanna.

Plebani racconta, le domande servono solo per indirizzare il fiume delle parole. Il bergamasco ha sempre trasmesso la sensazione di avere di fronte una brava persona. E il suo stupore per i valori dello sport paralimpico lo conferma. L’ambiente lo aveva già colpito nei giorni dei mondiali di Rio, la dimensione olimpica ha fatto il resto. Dice che non gli era mai capitato di abbracciare un avversario prima del via di una finale, mentre ieri lo ha fatto. Lui che normalmente soppesa le parole, ha voglia di raccontare ed è un’occasione da cogliere al volo. Accanto c’è Lorenzo Bernard.

Il tempo di rendersi conto e poi sul tandem esplode la gioia. Medaglia di bronzo al primo tentativo (foto CIP)
Il tempo di rendersi conto e poi sul tandem esplode la gioia. Medaglia di bronzo al primo tentativo (foto CIP)
Che effetto fa il giorno dopo avere quella medaglia tra le mani?

Abbiamo dormito insieme, l’ho tenuta sotto il cuscino e l’effetto è bellissimo. Io ho questo rito che quando prendo le medaglie, la notte ci dormo insieme. E’ un’emozione grandissima e siamo molto contenti, perché comunque il giusto e duro lavoro paga. Non sempre, pur lavorando, si viene ripagati, magari perché si sta lavorando male.

Voi avete fatto tutto bene?

Sono contentissimo di lavorare con Lorenzo e di essere cresciuti insieme, anche se in poco tempo. Ho spinto un po’ sull’acceleratore con lui per riuscire ad ottenere subito il massimo. Vedendo le sue qualità, sapevo che avremmo potuto far bene. Solo che dovevamo recuperare terreno sui nostri avversari, che ormai stanno insieme da dieci anni.

Ieri Perusini ha parlato proprio del poco tempo, da Glasgow in avanti…

E noi tra l’altro Glasgow non l’abbiamo fatto. Praticamente facciamo pista da veramente poco, da ottobre scorso. Però adesso non vorrei che arrivasse il messaggio che è banale prendere una medaglia Paralimpica, mi dispiacerebbe che passasse questo messaggio. Perché non lo è stato affatto!

Nella finale per il bronzo, gli azzurri hanno fatto il tempo di 4’04″613 (foto CIP)
Nella finale per il bronzo, gli azzurri hanno fatto il tempo di 4’04″613 (foto CIP)
Che cosa ha fatto la differenza?

Il discorso è stato solamente che Lorenzo è portato. Tutti i nostri avversari ci temono veramente tanto e ci hanno fatto i complimenti. Soprattutto perché lui è l’unico B1, cioè totalmente cieco. Vuol dire che deve avere doppia grinta. Perché hai sicuramente dei deficit in più rispetto agli altri, che riescono a vedere il movimento di quello davanti. Che si allenano da soli con la loro bicicletta, su strada. E’ una situazione totalmente diversa.

Davvero in così poco tempo gli avversari vi hanno inserito fra quelli da guardare?

Capiscono che Lorenzo è veramente forte, mentre io ho fatto il professionista praticamente fino a ieri. Avevo smesso e quando mi hanno chiesto di continuare sembrava che fare la guida del tandem fosse una passeggiata. Invece ci siamo trovati davanti a un livello devastante. Basta vedere i tempi: 3’55” significa volare. Ieri abbiamo spinto il 67×14, sono numeri da inseguimento al top. Sicuramente il fattore che ha permesso di abbreviare i tempi è stata la mia esperienza. Abbiamo anche preso delle batoste, però il duro lavoro ha pagato. E vi assicuro che Lorenzo non è ancora al massimo.

Di te si diceva che girassi sui tempi di Ganna, per cui Lorenzo è forte, ma tu non sei da meno…

Sono arrivato davvero a giocarmi due Olimpiadi (parlando di questo, la sua voce cambia impercettibilmente e vira su un tono più freddo, ndr), ma non ci sono mai riuscito. E quando mi si è aperta la porta di Lorenzo, che comunque aveva questo motore eccezionale, mi sono detto che dovevamo crederci fino in fondo. La cosa è che, come i nostri tecnici giustamente continuavano a ripetere, essendo la prima Paralimpiade, poteva anche non venire il risultato. Io però non l’ho mai vista così. E’ la mia prima Paralimpiade, ma voglio portare a casa qualcosa. Sapevo che era possibile.

Fra europei e mondiali, Plebani ha conquistato cinque podi. Qui l’argento nell’inseguimento agli europei di Monaco 2022
Fra europei e mondiali, Plebani ha conquistato cinque podi. Qui l’argento nell’inseguimento agli europei di Monaco 2022
Siete sempre stati in vantaggio, c’è mai stato un momento difficile?

Sì, ai meno 6. In partenza l’abbiamo gestita bene. Sentivo che siamo stati sempre in vantaggio, perché eravamo entrambi costanti. Solo che noi avevamo un ritmo maggiore, quindi guadagnavamo. Non abbiamo mai avuto un cedimento. In qualifica il tempo era stato migliore, però nell’ultimo chilometro avevamo sofferto di più. Qui invece siamo riusciti a essere sempre costanti, anche se un pelo più lenti. Però a un certo punto il fisico ti dice no. Ti dice: aspetta, guarda che adesso sta finendo la batteria! Quindi le gambe diventano durissime e non si va più avanti. Ecco, il fulcro secondo me è arrivato a quel punto, perché ho capito di dover andare a tutta e allora avremmo fatto la storia. Quindi ho chiuso gli occhi e ho dato tutto. Per modo di dire (ride, ndr), altrimenti chi lo guidava il tandem?

A proposito di tandem, ne avete usato uno in carbonio?

Sì, siamo stati fortunati perché la squadra di Lorenzo, il Team Equa, ha permesso l’acquisto di questo tandem. Altrimenti non saremmo riusciti ad averlo. Quando ho parlato con Ercole Spada, il suo presidente, è stato subito gentile. Ha detto che credeva in noi e grazie a lui abbiamo potuto fare una grande differenza nei materiali e per i ritiri, per i quali ci ha appoggiato. Quindi un grazie va a lui e sicuramente anche da parte mia alle Fiamme Oro, perché senza il loro permesso e il loro supporto, non sarei potuto venire qui a giocarmi la medaglia.

E’ presto per pensare a Los Angeles 2028?

Decisamente. Ero molto concentrato e mi sono detto di fare un passo alla volta. Quando hai un obiettivo, cerchi di focalizzare le tue energie. Non abbiamo neanche fatto un giro nel Villaggio. Ho tolto anche Instagram per un mese, ho cercato di isolarmi e concentrarmi con Lorenzo. Sono stato veramente bene. Non ho pensato al futuro, ma una cosa la so. Avrei dovuto fare i mondiali, ma non andrò, perché in quei giorni devo sposarmi.

A proposito di matrimonio, raramente si è vista Elisa Balsamo tanto commossa per un risultato…

Lo ha detto anche lei: «E’ stata un’emozione più forte di quando vinco io». E io le ho risposto: «Adesso almeno capisci cosa provo quando vinci tu!».

Lorenzo Bernard, classe 1997, ha debuttato come canottiere (foto Instagram)
Lorenzo Bernard, classe 1997, ha debuttato come canottiere (foto Instagram)

Come due fratelli

Qui potrebbe scattare la gelosia, diciamo ridendo. Cosa dirà Lorenzo Bernard, sapendo che il suo compagno di Paralimpiadi preferirà andare a sposarsi piuttosto che fare con lui il prossimo mondiale? La risata scatta per entrambi. Il posto di Davide sarà preso da Manuele Caddeo, ligure, a sua volta un ex stradista.

«No, no – sorride – non sono geloso. Lui per me è come un fratello e assieme a lui ho realizzato il sogno di una vita. Come ho sempre detto a tutti, vincere una medaglia era una mia ossessione. Mi stava turbando e mi sono levato un grosso peso di dosso. Sapevo che Davide sarebbe stato la persona migliore per me. Abbiamo visto da subito che se ci impegnavamo e avevamo un buon feeling, si poteva fare questa roba. Quindi io ci ho creduto dal primo giorno e ho messo tutto me stesso. Come ha fatto anche lui».

Plebani ammette di aver trovato un livello stellare nei tandem. Ieri hanno corso con il 67×14 (foto CIP)
Plebani ammette di aver trovato un livello stellare nei tandem. Ieri hanno corso con il 67×14 (foto CIP)
E’ stato davvero così semplice passare dal canottaggio alla bicicletta?

Devi avere gambe veramente forti e poi più o meno lo sforzo è quello. Io facevo i 2.000 metri: erano 6 minuti di sforzo intenso. Quindi ho dovuto solamente trasformare il mio corpo in un corpo da ciclista, quindi levare un po’ di massa sopra e mettere tutta la concentrazione nelle gambe. E’ stata una progressione, pian piano sono migliorato e siamo arrivati alla medaglia. Mi hanno mandato messaggi un sacco di persone, mentre la mia famiglia era qui.

Davide ha parlato di strette di mano prima del via, ma come sono state le fasi prima della partenza?

Secondo me le ho gestite molto meglio rispetto ai mondiali. Certo, è un’altra situazione. Ha funzionato il fatto di restare tranquillo e con la mente abbastanza rilassata, non pensarci troppo e dare tutto. Però comunque c’era tensione, l’adrenalina non mancava.

Al sesto chilometro si è capito che la gara fosse alla svolta. Siete riusciti in qualche modo a comunicare?

Durante la gara no. Noi abbiamo la nostra tecnica, che consiste nell’andare a tutta finché ne hai. Quindi io metto giù, so che sono 16 giri e mi metto a contarli. Almeno ci provo. In qualifica e ieri in finale fra il dodicesimo e il tredicesimo giro ho perso il conto. Ma sapevo che ne mancavano pochi e sono andato avanti a pedalare finché non ha smesso anche Davide.

Secondo Bernard il tipo di sforzo fra i 2.000 metri al remo è simile a quello dell’inseguimento (foto CIP)
Secondo Bernard il tipo di sforzo fra i 2.000 metri al remo è simile a quello dell’inseguimento (foto CIP)
Qual è stato il primo pensiero, quando hai capito che era fatta?

Ci sono stati due o tre giri di assestamento, per prendere entrambi fiato. Poi quando Davide me l’ha detto, è esplosa una gioia infinita. Non sono mai stato così felice, credo, in tutta la mia vita. Secondo me, nulla succede per caso. Credo che ci sia un motivo per tutto e quindi sono contento. Cerco di raccontare a tutti quello che mi è successo, affinché non succeda ad altri (Lorenzo ha perso la vista per l’esplosione di una granata della Seconda Guerra Mondiale mentre era a lavorare nei campi, ndr). Quindi in qualche modo l’ho presa bene e non ho rimpianti.

Si guarda al futuro o, come dice Davide, si vive il presente?

Fino ad ora, ero concentrato su questa gara, si vedrà poi come andrà avanti nei prossimi anni. Adesso lascio finire queste Olimpiadi, che abbiamo ancora tre gare da fare, poi ci penseremo. Intanto però mi godo questa medaglia, sapeste da quanto tempo la inseguivo…