Intuito Tratnik: arriva Pogacar, si rialza e lo lancia verso l’iride

03.10.2024
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ZURIGO (Svizzera) – «Ho capito che Tadej stava arrivando – dice Tratnik – perché quando con la fuga abbiamo iniziato la salita, avevamo un vantaggio di circa due minuti e mezzo. Poi improvvisamente è sceso a un minuto e mezzo: un minuto in meno in pochissimo tempo. A quel punto la moto passando mi ha detto che avevano attaccato. E poi, qualche minuto dopo, ho visto sulla tabella che il numero 22 aveva 20 secondi di vantaggio sul gruppo: il numero 22 era Tadej. Da lì ho capito che era da solo e in quel momento ho deciso di aspettarlo per cercare di fargli risparmiare un po’ di energia».

Restiamo ancora un po’ sul mondiale. Le parole di Vanthourenhout hanno riportato l’attenzione su Jan Tratnik. Averlo visto nella prima fuga, ha raccontato il tecnico del Belgio, faceva pensare che Pogacar si sarebbe mosso. E sia pure con imprevedibile anticipo, così è stato. A quel punto i belgi si sono ritrovati con l’inseguimento sulle spalle, mentre Tadej davanti scriveva la storia. Ma non era solo, con lui c’era il compagno di nazionale.

Tratnik, 34 anni, era al via del mondiale in supporto per Pogacar o Roglic
Tratnik, 34 anni, era al via del mondiale in supporto per Pogacar o Roglic

Attacco a sorpresa

Tratnik era là, solido e pronto. La sua è stata finora una carriera a metà fra il protagonismo e la generosità. E’ stato capace di vincere un europeo U23 a crono, poi una tappa al Giro e anche l’ultima Omloop Het Nieuwsblad. Ma ha anche scortato capitani come Caruso, Roglic, Kuss e Vingegaard verso grandi risultati. E questa volta si è ritrovato davanti al mondiale con il più giovane connazionale che a suo modo era partito verso un’impresa leggendaria.

«Sono venuto a Zurigo – racconta – solo per aiutare Tadej e Primoz. Non ho mai nemmeno pensato alle mie possibilità personali. Sapevamo che loro due erano i nostri capitani e siamo andati lì solo per aiutarli. Però non mi aspettavo di vederlo arrivare così presto. Quando sono andato in fuga, sapevo che in qualche modo Tadej avrebbe avuto un vantaggio dalla mia presenza, ma pensavo che si sarebbe mosso nel giro successivo. Mi ha davvero sorpreso che abbia attaccato così presto, il piano non era assolutamente questo».

Un giro dopo aver lasciato Pogacar, Tratnik si è fermato e lo ha atteso al traguardo col resto della squadra (foto Vid Ponikvar)
Un giro dopo aver lasciato Pogacar, Tratnik si è fermato e lo ha atteso al traguardo col resto della squadra (foto Vid Ponikvar)

A tutta fino alla cima

Immaginate la scena, oppure riavvolgete il nastro e andate a rivederla. Tratnik è nella fuga in cui viaggia anche Cattaneo. Sembra tutto normale, come può essere normale essere inseguito da un gruppo così pieno di campioni. Eppure di colpo si rialza e smette di collaborare. Gli altri lo guardano e qualcuno capisce.

«Quando i ragazzi della fuga hanno visto che non tiravo più – sorride – hanno capito che forse stava succedendo qualcosa dietro. Quando poi mi sono staccato e mi hanno visto rientrare con Tadej, hanno smesso immediatamente di collaborare. Sapevano esattamente cosa stavamo facendo. Tadej non mi ha chiesto niente. Io invece gli ho detto di stare seduto alla mia ruota e di non fare niente. Ci avrei pensato io fino alla cima della salita, poi però avrebbe dovuto cavarsela da solo. Il mio compito era quello e poi vederlo andare via a tutto gas.

«Le poche cose che ci siamo detti sono state per dirgli di stare calmo, che avrei tirato io. E una volta sulla cima, gli ho augurato il meglio possibile e gli ho detto che speravo che sarebbe diventato campione del mondo. Io invece dopo un altro giro mi sono fermato e ho chiuso lì il mio mondiale».

Tratnik assicura che anche il lavoro di Roglic è stato prezioso per la conquista di Pogacar
Tratnik assicura che anche il lavoro di Roglic è stato prezioso per la conquista di Pogacar

Il lavoro di Roglic

Dal prossimo anno, Tratnik tornerà con l’amico Roglic alla Red Bull-Bora. Eppure in nazionale ogni rivalità sparisce. Soprattutto quando, come quest’anno, tutta la squadra sa di poter portare in patria la maglia iridata, che per ultimo Mohoric era riuscito a conquistare nel 2013 da under 23.

«Con Tadej siamo buoni amici – dice Tratnik – ci alleniamo insieme a Monaco, a volte andiamo a cena insieme. Siamo amici ed è un tipo che mi piace. E’ davvero rilassato e un vero campione. L’atmosfera della nazionale attorno ai nostri leader era davvero buona. Anche Primoz ha fatto un lavoro incredibile. Forse non si è visto, magari la televisione non lo ha inquadrato, ma praticamente ha lanciato lui l’attacco di Tadej. Si è molto impegnato. Abbiamo vinto la maglia e chiaramente Tadej è stato il più forte, ma Primoz lo ha aiutato molto. E’ stato anche lui una parte importante di questa vittoria.

«La sera la squadra era felice. Abbiamo festeggiato davvero bene e non importa in quale team corriamo. Eravamo semplicemente felici che questa nuova maglia fosse in Slovenia e che tutti abbiano lavorato per portarcela. A partire dai corridori, tutti hanno fatto un lavoro incredibile e tutti si sono impegnati. C’era davvero una bella atmosfera anche da parte dello staff e delle persone che ci hanno aiutato. Posso dire che è stato davvero bello». 

Sul pullman, anche per Tratnik la foto ricordo della fantastica avventura iridata di Pogacar (foto Vid Ponikvar)
Sul pullman, anche per Tratnik la foto ricordo della fantastica avventura iridata di Pogacar (foto Vid Ponikvar)

Orgoglio sloveno

Il tempo di tornare a casa e mettere nella valigia i capi con i colori della Visma-Lease a Bike e Jan Tratnik tornerà a lavorare per la sua squadra. Per festeggiare il mondiale, ne siamo certi, ci sarà tutto l’inverno, prima di andare magari nel raduno di Soelden con cui la sua nuova squadra tedesca è solita aprire la stagione.

«Dal prossimo anno – ammette – sarò di nuovo in squadra con Roglic. Penso che Primoz sia una persona adulta e sappia che questa volta Tadej era il più forte ed è anche per questo che lo ha aiutato. Qui non ci sono rancori, alla fine, siamo tutti amici. Forse non è neanche questo. Siamo sloveni, quindi se possiamo aiutarci a vicenda, lo facciamo. Poi però nelle gare normali, gareggiamo l’uno contro l’altro. Quindi nessun rancore o risentimento per aver aiutato un rivale. Avevamo un obiettivo chiaro. Volevamo vincere questa maglia, volevamo farlo e tutto ha funzionato alla perfezione. E io sono davvero felice di averne fatto parte».

In Malesia sfreccia De Kleijn ma a parlare è Tercero

02.10.2024
6 min
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BENTONG (Malesia) – Da dietro la curva il gruppo sembra una macchia nera che avanza minacciosa. Una massa indefinita che fagocita tutto, anche la fuga della quale faceva parte il nostro Manuele Tarozzi. E proprio una maglia di color nero ha sopravanzato tutti, quella di Arvid De Kleijn. L’olandese mette a segno il primo colpo in questo Tour de Langkawi.

In questa volata era presente anche la Polti-Kometa, che con Manuel Peñalver è salita ancora sul podio. Una Polti che stamattina al via abbiamo visto concentrata e compatta. E non a caso nel finale abbiamo assistito al magistrale lavoro di Andrea Pietrobon, determinante per chiudere sulla fuga ripresa nel rettilineo conclusivo come ci ha detto Tarozzi stesso, e portare avanti i suoi compagni.

De Kleijn batte Malucelli, che conserva la maglia della classifica a punti, e Penarvel. Quarto Pinazzi.
De Kleijn batte Malucelli, che conserva la maglia della classifica a punti, e Penarvel. Quarto Pinazzi.

Parola a Tercero

Tra questi compagni, senza dubbio spicca il nome di Fernando Tercero, uno dei gioiellini “made in casa”. Lui e Piganzoli sono gli atleti che da anni Basso e Contador stanno facendo crescere.

L’ultima volta che avevamo parlato con Fernando era al Giro under 23 del 2022, quello che dominò il suo connazionale Ayuso.

All’epoca Fernando era davvero un bimbo, adesso sembra decisamente più maturo. Anche nel modo di porsi e di parlare. 

«E’ stata una stagione difficile – dice lo scalatore spagnolo – perché a febbraio ho preso il citomegalovirus e fino a maggio sono stato fermo. Ora sembra che vada un po’ meglio. Anche per questo sto cercando di allungare il mio calendario e fare più giorni di gara possibile. Ho corso davvero poco. La mia idea è quella di arrivare al 20 ottobre e chiudere con il Giro del Veneto.

«Mi dispiace per tutto questo, perché l’anno scorso avevo fatto un bel passo avanti. Sarebbe stato bello e importante continuare in quella direzione, ma non è stato così. Per questo voglio finire bene. Mi serve per salvare questa stagione e per iniziare con voglia e fiducia la prossima.

 «Se ho commesso qualche errore? Sinceramente – Tercero ci pensa un po’ – non credo. In inverno mi sono allenato bene. Nel ritiro di gennaio stavo bene. Poi è arrivato questo virus e non ho potuto fare molto».

Il Giro mancato

Intanto De Kleijn sale sul podio. La gente in questo paesotto immerso nella giungla non è tantissima, a dire il vero, ma chi c’è è caloroso e come sempre i sorrisi e la gentilezza da queste parti non mancano mai.

Tercero va avanti e continua il discorso sulla crescita: «Piganzoli, per esempio, è riuscito a fare quel passo avanti che voglio fare io. Siamo cresciuti insieme. Lui al Giro d’Italia è riuscito a stare con i migliori 10-15 atleti. Mentre io ero a casa. Avrei dovuto farlo anche io il Giro. Per questo dico che voglio andare avanti e vedere se posso essere al suo livello».

Di certo il madrileno non manca di umiltà. E’ certamente una promessa e un ottimo scalatore. E lo ha dimostrato, semmai ce ne fosse stato bisogno, anche ieri verso Cameron Highland, dove in qualche modo è risorto giungendo quinto col drappello dei migliori. Ha le carte per stare con quella gente anche lui.

Tercero (classe 2001) sull’arrivo di Cameron Highlands, dove è risorto. Pensate che ad oggi ha inanellato solo 17 giorni di gara
Tercero (classe 2001) sull’arrivo di Cameron Highlands, dove è risorto. Pensate che ad oggi ha inanellato solo 17 giorni di gara

Futuro alla Polti?

Basso ha una grande stima di Tercero. E c’è da capire se Tercero resterà in questo team. E’ in scadenza di contratto e le proposte non gli mancano, anche in virtù della giovane età. L’idea, sembra, è quella che voglia restare in questo team. 

«La squadra – spiega Tercero – mi ha sempre trasmesso tanta tranquillità e mi è stata vicina. Mi dicono che ho qualità e che alla fine questa uscirà fuori. Io non posso che ringraziarli, perché in questi momenti difficili la fiducia da parte loro è stata importante. Con Basso, ma anche con Fran (Contador, ndr) parlo spesso. Loro mi danno consigli importanti e mi dicono che spesso la differenza la fa testa, che le gambe fanno male a tutti e che bisogna tenere duro. A volte Ivan e Alberto parlano anche delle loro sfide in passato e a me piace ascoltarli.

«Per il futuro ancora non abbiamo parlato, però posso dire che qui sono felice. Staremo a vedere… L’idea è di restare. Spero che loro mi vogliano!».

La potenza di De Kleijn e i nuvoloni in arrivo
La potenza di De Kleijn e i nuvoloni in arrivo

Obiettivo: podio malese

Per ora, se l’obiettivo a medio termine è fare bene il finale di stagione anche in ottica 2025, le cose non stanno andando male per Tercero. La salita di ieri non era impossibile. Uno scalatore come lui avrebbe preferito qualche rampa più dura. Per questo è un segnale che vale doppio.

«Il mio ruolo in questo Tour de Langkawi – riprende Tercero – era quello di stare vicino a Double, che ha fatto una grande stagione, ma ieri lui non stava bene e così ho tenuto duro io. Sono riuscito a stare davanti. Adesso l’obiettivo è quello di mantenere almeno la quinta posizione e magari provare a mirare al podio.

«Come mi trovo qui? Se parliamo del clima della Malesia posso dire che è l’opposto a quello di casa mia. Da me fa caldo, ma è secchissimo: qui è umidissimo. Se invece parliamo dei compagni, anche con gli italiani, mi trovo benissimo. Con Pietrobon, per esempio, siamo cresciuti insieme nella squadra under 23 e andiamo d’accordo. Lo stesso con “Piga”. Loro mi hanno insegnato a parlare italiano. E anche a cucinare bene la pasta!».

La giornata al Langkawi si chiude con le premiazioni fatte in fretta e furia. Come al solito nel pomeriggio ecco puntuale il monsone. Pochi istanti e viene giù il finimondo. La gente sparisce e anche i corridori in un attimo sono tutti in ammiraglia. Anche quei 19 atleti, tra cui Mareczko il nome più noto, finiti fuori tempo massimo. Il suo diesse, Frassi, temeva la salita in avvio e purtroppo ne aveva ragione.

Noi intanto per non bagnarci scriviamo dentro ad un autobus col computer sulle ginocchia. Ma è bello anche così.

Tiberi e le corse di un giorno: ne ragioniamo con Bartoli

02.10.2024
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La prima presenza al mondiale per Antonio Tiberi ha portato tanta pressione, soprattutto dopo la vittoria al Giro di Lussemburgo, ma anche un’esperienza nuova. Ce lo aveva detto lo stesso corridore della Bahrain Victorious a fine gara.

«Fare corse di un giorno – ha detto alla fine della prova iridata – è sempre una fatica un po’ diversa dal solito. Ci sono degli sforzi che non si fanno abitualmente nelle gare a tappe, poi in un mondiale dove tutto si amplifica è veramente dura. La prima gara di un giorno che ho disputato quest’anno è stata la Liegi. Il mondiale, invece, è stata la seconda».

Al Giro di Lussemburgo Tiberi ha mostrato ottime qualità negli sforzi brevi richiesti dagli strappi
Al Giro di Lussemburgo Tiberi ha mostrato ottime qualità negli sforzi brevi richiesti dagli strappi

Piccoli passi

Tiberi ha poi espresso la voglia di migliorare in questo tipo di competizioni, dichiarando la volontà di inserirne altre nel calendario della prossima stagione. Riflessioni giuste e ambiziose di un ragazzo di 23 anni che solo nel 2024 ha mostrato di poter fare i passi giusti per entrare nella cerchia dei corridori di primo livello. Con lui, quando è entrato a far parte della Bahrain Victorious, lavora Michele Bartoli. Il preparatore toscano è la figura giusta da interpellare per analizzare al meglio il mondiale di Tiberi e parlarne apertamente. 

«A Zurigo – spiega Bartoli – Tiberi ha corso la seconda gara di un giorno della stagione, era logico potesse soffrire in qualche modo. E’ un tipo di sforzo al quale non è abituato ma, come in tutte le cose, se vorrà dedicarsi anche a questi appuntamenti dovremo prepararli con le giuste modalità. A seconda degli obiettivi si devono poi impostare allenamenti diversi».

La Liegi è stata la prima e unica corsa di un giorno disputata da Antonio prima del mondiale
La Liegi è stata la prima e unica corsa di un giorno disputata da Antonio prima del mondiale
Lo stesso Antonio ha detto di essersi accorto che gli manca l’esplosività per affrontare certi percorsi. 

Innanzitutto vorrei dire che di questo mondiale ognuno ha dato la sua interpretazione. Si era partiti con l’affermare che fosse per scalatori, ma se arriva terzo Van Der Poel non mi viene da pensare a un percorso per scalatori. Penso sia stato un mondiale opposto alle sue caratteristiche di base.

Quali sono?

Lui è un atleta da corse a tappe, considerando che nel 2024 ha disputato solo questo genere di appuntamenti è difficile immaginarlo in gare di un giorno. Poi può migliorare. Anzi, sono sicuro che se un domani dovesse correre di nuovo il mondiale, Antonio sarebbe in grado di competere con i più forti. Alla fine è arrivato terzo O’Connor. Però va tutto preso con calma, non dimentichiamoci da dove è partito Tiberi. 

Il ciociaro si è reso conto che anche in un grande Giro serve avere tanta potenza per rispondere agli attacchi dei più forti
Il ciociaro si è reso conto che anche in un grande Giro serve avere tanta potenza per rispondere agli attacchi dei più forti
Ovvero?

Nel 2024 ha dimostrato di poter ricoprire il ruolo di leader per un Grande Giro in una formazione WorldTour. Il suo quinto posto al Giro potrebbe entrare di diritto nelle più belle prestazioni dell’anno, se non ci fosse stato un certo Pogacar. Però arrivare in una squadra come la Bahrain e al primo anno dimostrare di poter fare il capitano, a soli 22 anni, non è poco. 

Come ha detto lo stesso Tiberi le corse di un giorno possono aiutare nel migliorare anche nelle gare a tappe?

Sicuramente. Anche perché gli sforzi anaerobici, come i lavori sui cinque minuti, alla soglia lattacida, VO2 Max e interval training sono entrati in pianta stabile nelle tabelle di lavoro anche dei corridori da corse a tappe. Chiaro che la differenza arriva a seconda del tempo che dedichi a questi allenamenti. Alla fine credo che si vinca con la prestazione. 

Tiberi ha programmato la stagione puntando su due grandi corse a tappe
Tiberi ha programmato la stagione puntando su due grandi corse a tappe
Spiegaci.

Le gare le vince chi riesce ad avere la miglior prestazione massimale, chi è abituato a soffrire. Anche per staccare gli altri in salita sei costretto a fare sforzi molto intensi e se non sei in grado di replicare alla prima risposta ti fanno fuori. I lavori lattacidi, come i cambi di ritmo, sono quel tipo di allenamento che migliora questo genere di prestazioni. Tiberi ha una caratteristica che lo può rendere un grande corridore.

Cioè?

La gestione del proprio sforzo. Riesce a non andare fuori giri mantenendo una prestazione altissima. Per altri corridori amministrarsi vuol dire abbassare tanto l’intensità dello sforzo. Antonio riesce a fare una prestazione massima senza mai subirla.

Al mondiale le premesse c’erano e secondo Bartoli, il suo preparatore, in futuro Tiberi potrà fare bene in questi appuntamenti
Al mondiale le premesse c’erano e secondo Bartoli, il suo preparatore, in futuro Tiberi potrà fare bene in questi appuntamenti
Un po’ come Pogacar, con i dovuti paragoni?

Per me guardare il super campione diventa controproducente. Pogacar può fare tutto, anche sbagliando, e non subire conseguenze. Gli basta un chilometro per recuperare totalmente e poi ripartire. Magari altri corridori un errore lo pagano e devono riposare una notte intera per recuperare pienamente. Tiberi per me è un super atleta e ha delle qualità che per la sua giovane età possono portare a tanto: un gran motore e ascolta bene il proprio fisico. 

Quindi si può pensare a un Tiberi protagonista nelle corse di un giorno?

Tanto dipende dal calendario. Se fa come nel 2024 dove ha corso Giro e Vuelta, è più difficile perché la programmazione ti porta a lavorare in un determinato modo. Se dovesse saltare il Giro potrebbe concentrarsi sulle Ardenne e prepararle al meglio. Oppure, se si sceglie di fare la corsa rosa dopo lo stacco di metà stagione, potrebbe lavorare in ottica San Sebastian e Lombardia. Questo lo deciderà lui insieme alla squadra. 

L’altra monumento corsa in carriera è stato Il Lombardia, nel 2021 con la Trek e nel 2023 con la Bahrain (qui in foto)
L’altra monumento corsa in carriera è stato Il Lombardia, nel 2021 con la Trek e nel 2023 con la Bahrain (qui in foto)
Era comunque la prima esperienza a un mondiale.

Una volta si diceva che per essere competitivi in gare come Fiandre o Liegi servissero due o tre anni. Ora solo perché uno o due corridori fanno bene subito, sembra che non ci debba essere il tempo di adattamento. L’opinione pubblica cambia con l’attualità dei fatti, ma non sempre questa è la regola. Le cose si costruiscono un mattone per volta, Bennati, che di ciclismo ne sa, ha già detto che Tiberi deve vivere certe gare per abituarsi e capirle. 

E poi non va buttato quanto di buono ha fatto, come la vittoria al Lussemburgo.

Quella era una corsa vicina agli sforzi che trovi in una gara di un giorno. Sforzi massimali sui 3 minuti e rilanci in cima allo strappo. Ero il primo a essere fiducioso in vista di Zurigo, poi però le giornate difficili capitano. Comunque va considerata l’emozione di vestire la maglia della nazionale e di correre un mondiale. Rimango della mia idea: se domani dovessero correre ancora Antonio lo metterei nuovamente tra quelli che possono fare bene.

La nuova dimensione della De Jong, superando ogni dolore

02.10.2024
5 min
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Sembrano davvero lontani i tempi degli infortuni, della depressione, dei mille dubbi fra il continuare a insistere e mollare la presa. Per anni Thalita De Jong ha vissuto la sua attività ciclistica sull’altalena, pensando mille volte di mollare e per mille volte rilanciando sulla base delle sue ambizioni. Alla fine ha trovato la pace, la serenità, il fisico ha cominciato a rispondere, fino a questo 2024 davvero pieno di successi, scintillante.

Trionfo al Tour de l’Ardeche con 2 vittorie di tappa e classifica finale: Thalita De Jong è tornata
Trionfo al Tour de l’Ardeche con 2 vittorie di tappa e classifica finale: Thalita De Jong è tornata

La sua storia l’avevamo raccontata tempo fa, ma non l’avevamo mai persa di vista e finalmente oggi possiamo raccontarne una diversa, insieme a lei, disponibile e “chiacchierona” come la definiscono nel suo ambiente alla Lotto Dstny. E sapendo quel che ha passato, sentirla parlare è un piacere potendo finalmente parlare di vittorie e non di sofferenze.

Ti aspettavi una stagione così positiva?

Ho sempre lavorato duramente durante la stagione invernale e anche tra una gara e l’altra, quindi sapevo che il mio livello fosse tendente verso l’alto. Anche se ogni anno bisogna migliorare un po’ perché tutte sono più forti dell’anno precedente. Quindi ogni volta che inizi una nuova stagione è sempre una sorpresa sapere a che punto sei rispetto alle avversarie. In realtà sapevo di essere forte, ma non sapevo quanto e non potevo credere di essere così costante ad alti livelli. Me la sto godendo al massimo, è fantastico che stia andando tutto così bene.

All’Ardeche l’olandese ha subito imposto la sua legge a Beauchastel (foto Frison)
All’Ardeche l’olandese ha subito imposto la sua legge a Beauchastel (foto Frison)
Non vincevi dal 2022, cosa è cambiato da allora?

Ho vinto alcune kermesse in Belgio e criterium olandesi, ma anche una gara UCI, il GP de Mouscron. Da giugno 2022 correvo in una squadra WWT in cui c’erano chiaramente 2 leader. Un corridore per gli sprint e un corridore per i percorsi di salita e le corse a tappe. Abbiamo lavorato per anni interi, io non mi sono tirata indietro e ho dato il mio contributo. Ora ho le mie possibilità e posso correre per me stessa. Non è cambiato molto, solo che ho molta fiducia in me stessa e da parte delle persone intorno a me.

I grandi problemi fisici dal 2017 al 2021 sono ormai dimenticati, ma quella lunga e dura esperienza che cosa ti ha lasciato?

Tanto. Che hai “amici” solo nei momenti belli e non quando le cose vanno male. Che il mondo è abbastanza egoista. Mi ha reso davvero più forte della persona che sono e so che cosa posso aspettarmi dalle altre persone. Ho imparato che hai solo un corpo, quindi me ne prendo cura come sempre, ma ora tutto sta andando per il verso giusto e questo rende le cose molto più facili.

Thalita ha dato il suo contributo agli europei (nella foto) e poi ai mondiali, lavorando nella prima parte di gara
Thalita ha dato il suo contributo agli europei (nella foto) e poi ai mondiali, lavorando nella prima parte di gara
Quest’anno hai già conquistato 5 vittorie e ben 46 top 10: c’è stata una gara in particolare nella quale hai capito che qualcosa era cambiato?

Non una gara specifica, io guardo l’intera stagione ad alto livello, nella quale ho mancato solo poche volte il gradino più alto del podio che meritavo, ma dal Tour de France e dal Tour de Ardeche si vede tutto il mio duro lavoro ripagato. E’ fantastico, ma sapevo già che stavo andando forte. Quindi forse le vittorie sono state la ciliegina sulla torta.

Le corse a tappe sono la tua dimensione ideale?

Sapevo già dai miei primi anni che le corse a tappe mi si addicono bene, il mio corpo ha ottime doti di recupero, ma dipende anche dal tipo di gara. Dai percorsi, per ottenere un buon risultato, se si adattano alle mie caratteristiche. Ma mi piacciono di sicuro le corse a tappe!

Le corse a tappe sono la sua dimensione, sulla quale la Lotto Dstny sta investendo molto
Le corse a tappe sono la sua dimensione, sulla quale la Lotto Dstny sta investendo molto
Il ciclocross lo hai completamente messo da parte o pensi di tornare a fare qualche gara?

Non c’è abbastanza tempo per combinare entrambe le cose nella maniera giusta. Sto correndo in una squadra di corse su strada, quindi devo fare un’intera stagione su strada, il calendario è già ricco a febbraio fino a metà ottobre, quindi non c’è molto tempo per riposare e prepararsi per la nuova stagione. Il ciclocross mi piace, ma devo metterlo da parte come un bel ricordo del passato.

Quanto ha influito nella tua stagione l’approdo alla Lotto e quanto influisce il fatto che non sia un team WorldTour?

Mi hanno dato la “libertà” in inverno e durante la stagione. Potevo gestirmi nel mio programma di gare, allenamenti e periodi di riposo. Con la mia esperienza di così tanti anni, hanno creduto in me e in quello che ho fatto, e questo è anche qualcosa che aiuta. Ho sempre avuto un buon equilibrio riposo/allenamento/gara e non troppa pressione. Ovviamente ho avuto pressione nelle corse perché ero io quella che doveva portare a casa un buon risultato, in qualsiasi tipo di percorso. Ma sapevano anche che per questo dovevo gestirmi e essere presente solo nel finale o già a metà gara, quindi non è stato più facile conquistare un risultato di alto livello.

La decima piazza al Tour non rispecchia il suo valore: prima dell’Alpe d’Huez era quinta
La decima piazza al Tour non rispecchia il suo valore: prima dell’Alpe d’Huez era quinta
Cos’è che apprezzi del team belga?

Il fatto che mi piace molto lavorare con cicliste più giovani che devono anche imparare e crescere, quindi a volte non è che non volessero, ma semplicemente non potevano aiutarmi. Anche lavorare con la diesse Grace Verbeke, ex vincitrice del Giro delle Fiandre, è stato super bello. Abbiamo imparato l’una dall’altra e avevamo una “band speciale”, ci confrontavamo e ci ascoltavamo a vicenda.

A questo punto, quali sono le tue ambizioni per il prossimo anno?

Vincere una grande gara Uci, fare progressi su più aspetti e lavorare in squadra per raggiungere gli obiettivi di ciascuna di noi.

I cinque minuti a 700 watt di Pogacar. Chi poteva stargli dietro?

02.10.2024
9 min
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E’ quasi una abitudine, come si fa tra amici, ritrovarsi all’indomani di una grande corsa a commentarla con Pino Toni. Accadde con la fantastica Roubaix di Van der Poel e più di recente con il Tour di Vingegaard e la suggestione della Vuelta per Pogacar. Questa volta, appena rientrati da Zurigo, il tema della chiacchierata con il preparatore toscano, che ha avuto fra i suoi atleti anche Alberto Contador, Peter Sagan e il cittì azzurro Bennati, è il mondiale dello sloveno. Quei 100 chilometri di fuga non sono stati per caso, questa almeno la nostra sensazione.

«Secondo me – dice sorridendo – non è andato a tutta per tutto il giorno. Però nel momento dello scatto, ha fatto quella menata con i suoi soliti 5 minuti a 700 watt che li ha smontati tutti. Bagioli si è fatto male da solo a stargli dietro. Avrebbe potuto anche riprendersi, buttarsi nel gruppo e tirare il fiato. Ma quella che fa male è proprio la mazzata morale. E’ come essere in un gran premio di MotoGP. Sul rettilineo arrivi in scia a uno che vuoi superare, lo affianchi e quello allunga di 150 metri. A quel punto cosa fai?».

Cinque minuti a 700 watt?

Esatto. Secondo me, in un test di valutazione, lui nelle gambe ha 5 minuti a quasi 700 watt. E penso anche che potrebbe avere benissimo i 10 watt per chilo. Quando scatta ha la capacità di fare 700 watt per 5 minuti. Magari saranno stati 600 alti, ma comunque verso i 700. Del resto, Quinn Simmons che era dietro è stato staccato quando aveva un wattaggio medio di 743 watt. Magari li ha appena visti o li ha tenuti per 2 minuti, però vedendo i dati, per me Pogacar ha queste capacità. E una volta riportate in corsa, sono devastanti, perché gli altri sono lontanissimi da certi valori.

Se così fosse, saremmo davvero di fronte a un fenomeno.

Qui c’è una questione anche di forza, non soltanto di capacità fisiologiche. Forza e capacità di esprimere forza sui pedali. Quindi coordinazione, le leve giuste, i muscoli giusti. Questo ragazzo sembra una macchina perfetta. Dieci anni fa si pensava che i 500 watt sui 5 minuti fossero un numero già fuori dal seminato, lui però ha cambiato tutto. Magari un altro sulla salita lunga riesce a far valere il suo minor peso, le sue leve diverse, magari il suo miglior VO2 max. Però le differenze tra lui e tutti gli altri sono queste. Secondo me, per quello che posso intuire dall’esterno, Pogacar è uno che in una valutazione dei migliori 5 minuti, quindi non con la stanchezza addosso ma con un buon riscaldamento, ha una capacità che è più vicina a 700 Watt su 5 minuti che ai 600. Per me lui è uno che va vicino ai 10 watt/kg.

I dati degli altri

A conferma dei dati ipotizzati da Pino Toni arrivano i dati pubblicati su social molto aggiornati (in questo caso Knowledge is Watt), ripresi evidentemente dai file Strava dei diretti interessati. Risulta che Simmons e Sivakov per stare dietro a Pogacar avrebbero dovuto sottomettersi a dispendi energetici piuttosto brutali.

Per rispondere ai primi 41 secondi dell’attacco di Pogacar, prima di essere staccato, l’americano ha espresso una potenza media di 743 watt con una punta di 985 watt. Subito dopo di lui, lo stesso destino è toccato ad Andrea Bagioli.

Invece Sivakov, che Pogacar ha agganciato nella fuga, sullo strappo di Zurichbergstrasse è stato per 1’54” alla media di 641 watt (9,3 per chilo). Mentre sulla successiva salita di Witikon il tempo è stato di 4’38” a 483 watt (7 per chilo).

I pochi dati usciti del campione del mondo riguardano la performance complessiva. Si parla della media di 42,410 in 6 ore 27’30” per un consumo di 5.439 calorie, con 92 pedalate al minuto.

Pogacar è arrivato al mondiale 68 giorni dopo il Tour, correndo nel mezzo le due gare canadesi (foto Slovenian Cycling Federation)
Pogacar è arrivato al mondiale 68 giorni dopo il Tour, correndo nel mezzo le due gare canadesi (foto Slovenian Cycling Federation)
Non è andato a tutta, quindi secondo te si è gestito?

Ma diamine, certo: non è mica un ragazzo incosciente! Diciamo che è un esperto di fughe, pensate agli 81 chilometri con cui da solo ha vinto la Strade Bianche. E considerate che se fai 81 da solo su quelle strade, col rischio di bucare e di cadere e senza l’ammiraglia dietro per chissà quanto tempo, farne 100 di fuga al mondiale ti fa meno paura. Hanno parlato di rischio di suicidio tattico, per me è stato più rischioso quello che ha fatto per vincere a Siena. Non lo so, questo è così.  Si diverte a fare certe cose, c’è poco da fare.

Stando da solo ha speso tanto più di quello che avrebbe speso con una condotta più accorta?

Molto di più, perché bene o male la sua media diventa molto più alta. Azzardo un numero, posso sbagliare chiaramente. Metti che uno va a 370 watt, quindi a 0,8 della sua performance, ha consumato comunque 200 grammi di carboidrati l’ora. A prescindere che avessero previsto un’azione come quella, lui una borraccia fatta bene ce l’ha sempre. Ci sta che abbiano anche delle cose un po’ diverse, nel senso che tramite la borraccia riescono a buttare dentro anche i 100 grammi, aggiungi un gel e sei già a 140 grammi. Quindi è un bel rifornirsi e secondo me gli sono serviti tutti. Alla fine, secondo me, era tanto stanco. Ha fatto un numero, dietro non sono mica arrivati riposati…

Un bel rifornirsi per sostenere un bel consumare, quindi?

Il problema dei consumi è che li calcoli prevalentemente sul lavoro delle gambe, perché quando fai test li fai da seduto. Invece nel caso della corsa c’è un consumo più generale, perché ci sono tante vibrazioni e quindi consumi di più. E’ anche un’altra andatura, come quando Van der Poel alla Roubaix fece da solo più di 47 di media. E comunque anche Pogacar alla fine ha chiuso oltre 42 all’ora, non poco…

Secondo Pino Toni, Pogacar ha controllato per tutta la durata della fuga. Solo nel primo attacco ha dato davvero tutto
Secondo Pino Toni, Pogacar ha controllato per tutta la durata della fuga. Solo nel primo attacco ha dato davvero tutto
A fine corsa ha detto che probabilmente era stata una mossa stupida, ma secondo te quando uno così parte, davvero non pensa di poter arrivare? Quanto rischio c’è a questi livelli?

Secondo me lui ha fatto un’accelerazione. E’ partito non con la convinzione di andar via solo, ma di ridurre il gruppetto a una quindicina di persone e che i migliori gli andassero dietro. Erano ancora in tanti e di squadre diverse. L’avevano già allungato, però non abbastanza. Invece si è ritrovato da solo e ha gestito anche questo, tenendosi vicino prima Tratnik e poi Sivakov. Questo l’ha anche aspettato dopo lo strappo duro, perché gli ha permesso di respirare. Magari gli ha dato solo due cambi, però lui intanto non era da solo.

E’ Pogacar. Ha già fatto 80 chilometri di fuga alla Strade Bianche. Ha vinto Liegi, Giro e Tour e quando attacca ai meno 100, Evenepoel e Van der Poel non lo seguono?

Secondo me hanno provato la carta del “si ammazza da sé: si ripiglia e lo troviamo stanco”. Però diciamo che un pochino di fatica ce l’avevano anche loro a quel punto della corsa, nel senso che erano ognuno nel suo. Avevano la loro tattica, avevano in mente sicuramente qualcosa di diverso e volevano aspettare un pochino più avanti a fare la vera selezione. Anche perché quando è andato via Pogacar, c’era ancora tanto tempo. Hanno pensato che lo avrebbero ripreso per strada e lui sarebbe stato stanco. Capite che qui cambia tutto?

Cosa cambia?

Uno di questi che è in giornata cambia quelle che sono sempre state le tattiche del ciclismo. Cosa gli dici nel bus? Quando parte Pogacar, gli vai dietro? Lunedì ho mandato un messaggio a Daniele (Bennati, ndr) per dirgli: “Ti ho visto un pochino rammaricato, ma stai nel tuo, hai questi corridori qui, non potevi fare una selezione diversa e portare qualcuno di diverso”. Di fatto ci siamo ritrovati nella stessa condizione della Spagna, che con Ayuso, Mas e Landa si dice abbia dei campioni. Idem la Danimarca e la Germania. Purtroppo contro questi c’è poco da fare. Quando Bettiol non è in forma o ti dice di no, tolto anche il Ganna della Roubaix o della Sanremo dello scorso anno, tanto altro non abbiamo.

Quello visto all’arrivo è stato un Pogacar molto più stanco che nelle precedenti occasioni
Quello visto all’arrivo è stato un Pogacar molto più stanco che nelle precedenti occasioni
Tornando a Pogacar, nell’ultimo giro gli erano arrivati a 35 secondi, lui in salita ha dato una sgasata e li ha rimessi a 45…

Secondo me aveva tanti controlli cronometrici lungo il percorso. Ho visto la foto della borraccia, ma quella la preparavano e la davano lì al rifornimento. Però secondo me aveva persone sul percorso che gli davano i distacchi. Che poi bastava averne 5 o sei.

Secondo te è più sbalorditiva questa fuga o quella di Van der Poel alla Roubaix?

Sono entrambe belle cose, che però vengono in due momenti diversi della stagione. Secondo me è molto più apprezzabile questa del mondiale, soprattutto fatta da uno che quest’anno aveva già vinto la Liegi, il Giro d’Italia e il Tour de France. Prima del mondiale aveva già 22 vittorie. Trovare la forza per fare una cosa del genere è notevole.

Invece si può pensare che Evenepoel sia arrivato stanco al mondiale, avendo fatto e vinto dopo il Tour anche le Olimpiadi?

Allora, ho fatto un’osservazione. In tutti gli sport individuali, quello cioè dove conta tanto anche la testa, chi ha fatto le Olimpiadi ne è uscito martoriato. Nel tennis, i due che hanno fatto la finale sono usciti al secondo turno del torneo successivo. Secondo me anche mentalmente sono usciti tutti cotti. E poi, guardando il calendario del ciclismo, l’Olimpiade è quell’appuntamento in più che ti frega. E’ qualcosa che alla fine non riesci a metabolizzare. Tutte le stagioni hanno lo stesso schema, l’aggiunta delle Olimpiadi li ha stroncati tutti. E Remco a Parigi voleva fare bene.

Pogacar ha concluso la corsa consumando 5.439 calorie, pedalando a una frequenza media di 92 rpm
Pogacar ha concluso la corsa consumando 5.439 calorie, pedalando a una frequenza media di 92 rpm
Meglio di così, due ori in due gare…

E’ chiaro che è andato con grandi motivazioni, ma uno che vince due medaglie d’oro va giù anche di testa e di tensione. Qui si ragiona su percentuali minime che fanno grandissime differenze. E dopo il Tour, Evenepoel le Olimpiadi le ha dovute preparare: non c’è arrivato in scioltezza. Pogacar invece si è fermato ed ha avuto due mesi per recuperare e lavorare. Quindi forse anche la scelta di non andare a Parigi, se aveva già in testa il mondiale, gli ha permesso di arrivarci molto più fresco. Fermo restando, come ho già detto, che lui quest’anno poteva fare veramente tutto.

Il guizzo, il genio, l’istinto e l’oro. Ritorno a Parigi con Guazzini

02.10.2024
6 min
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GOSSAU (Svizzera) – Un colpo di genio. Forse meno dell’attacco con cui Pogacar ha conquistato il mondiale, ma comunque un colpo imprevisto che ha portato all’Italia l’oro olimpico della madison. Roba seria, insomma. Il colpo di genio è l’attacco con cui in la sera del 9 agosto alle porte di Versailles, Vittoria Guazzini ha guadagnato il giro, gettando la base per la vittoria. L’ha fatto con l’istinto e in barba alle raccomandazioni con cui Chiara Consonni le aveva appena raccomandato una tattica meno aggressiva.

La crono di Zurigo è stata per Guazzini uno degli ultimi impegni 2024. Mancano i mondiali pista di Copenhagen
La crono di Zurigo è stata per Guazzini uno degli ultimi impegni 2024. Mancano i mondiali pista di Copenhagen

Tutti stanchi

Perciò, approfittando di un momento di attesa prima della cronometro di Zurigo 2024, abbiamo intercettato Vittoria, cercando di capire come nasca effettivamente un colpo di genio. Da quale combinazione di istinto e calcolo. Soprattutto avendo di fronte una cronoman e un’inseguitrice di valore internazionale, abituata a scandire le sue prestazioni con il ritmo del cronometro. Lei ascolta e sorride, è raro che la “Vitto” non sorrida. E forse questa leggerezza di spirito è stata la molla per l’attacco.

«Sicuramente la madison è una gara diversa dal quartetto e dalle crono – dice – perché lì è tutto un po’ più matematico, numeri, watt. Serve tanta intesa con la compagna e poi un po’ di estro, mettiamola così. Quella di Parigi è stata una gara tirata dall’inizio e già da un po’ mi ero accorta che quasi tutte facessero fatica. Non potevamo essere stanche solo noi. Avevo visto che le altre nazioni avevano fatto tutti gli sprint quindi a un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento. E mi sono detta: “Adesso attacco. E se va male, ricomincio come prima”».

Un attacco improvviso di Guazzini e l’Italia prende il Giro: la madison svolta all’improvviso
Un attacco improvviso di Guazzini e l’Italia prende il Giro: la madison svolta all’improvviso

Una trappola per Chiara

Sembra facile, non lo è affatto. La madison è un girare frenetico e per cogliere l’attimo giusto serve avere le gambe e la capacità di leggere nei movimenti degli avversari. Serve l’istinto del velocista e la rapidità d’esecuzione del chitarrista rock. Vittoria è più quella che improvvisa o quella dei secondi e dei millesimi?

«Dipende – ride – Vittoria si trasforma in base a quello che la gara richiede. Sicuramente in una crono come qui in Svizzera, non so quanta improvvisazione ci sia, soprattutto se il percorso è impegnativo e c’è da spingere. E’ stato bello vivere quelle emozioni a Parigi. Ed è vero che Chiara mi avesse detto di non fare colpi di testa, infatti io non le ho detto niente. Ho pensato: “Vedrai, quando sono lì, il cambio me lo deve dare!”. Però sapevo che aveva la gamba, quindi non l’ho detto solo per non turbarla mentalmente. Non avevo dubbi che ce l’avremmo fatta».

Ultimo cambio, sarà Guazzini a chiudere la madison di Parigi, quando la vittoria diventerà matematica
Ultimo cambio, sarà Guazzini a chiudere la madison di Parigi, quando la vittoria diventerà matematica

Tornare a mani vuote

Alla fine Consonni ha apprezzato, inevitabile che fosse così. Anche lei si era accorta dei movimenti delle altre coppie ed è stata ben contenta alla fine di assecondare il gioco della compagna, che intanto continua il suo racconto.

«Erano tante volate che le altre nazioni continuavano a buttarsi dentro – ricorda – e si era sempre tutti al limite, quindi era da un po’ già che ci pensavo. Dicevo fra me e me: “Sto qui, sto qui, sto qui e quando vedo, parto!”. E quando siamo arrivati che mancava una quarantina di giri, ho ritenuto che fosse il momento giusto e sono andata. Venivamo dal quartetto, una grande delusione per tutti, perché ci speravamo. Sono tanti anni che lavoriamo insieme, inutile dire che ce lo meritassimo perché penso che tutti i quartetti se lo meritassero. Nessuno arriva lì per caso. Però mi sembrava che non ci meritassimo di tornare a casa a mani vuote. Diciamo che quella delusione è stata una motivazione in più per dare tutto».

Fra Balsamo e Consonni

Il fuori programma, oltre l’attacco, è che l’abitudine della madison azzurra negli ultimi anni ha visto Guazzini in coppia con Balsamo più che con Consonni. Il rammarico di Tokyo forse fu proprio aver smontato la coppia che aveva appena vinto i campionati europei della specialità. Ma qui il discorso si innesta sui trascorsi comuni in maglia Valcar e gli anni nella nazionale sin dagli juniores, che hanno fatto di questo gruppo una banda molto affiatata.

«Diciamo che Elisa e Chiara – dice – sono molto veloci rispetto a me, che magari sul passo ho qualcosa in più. Quindi come caratteristiche ci completiamo. E’ vero che forse ho corso più con Elisa, soprattutto nell’ultimo periodo. Però con Chiara c’è una grande intesa sia su che giù dalla bici, quindi poi alla fine non è stato così difficile adattarci. Sono molto diverse anche per il carattere, Chiara è più estroversa. Però poi sulla bici, si tira tutti fuori la giusta cattiveria agonistica.

«Ho capito che avevamo vinto le Olimpiadi quando ho preso l’ultimo cambio. Eravamo lì con le olandesi, mentre le inglesi erano avanti e avrebbero preso gli ultimi dieci punti, ma ne avevano più di dieci di distacco, quindi a quel punto era fatta. Mi sono goduta veramente a pieno gli ultimi giri. Ho capito che avevamo vinto la gara, però da lì a realizzare di aver vinto le Olimpiadi è stato qualcosa di incredibile. Guardavo sugli spalti le ragazze, i ragazzi, i miei genitori che erano lì e pensavo che questa volta l’avevamo combinata grossa».

Olimpiadi di Parigi 2024, 9 agosto: Chiara Consonni e Vittoria Guazzini sono campionesse olimpiche della madison
Olimpiadi di Parigi 2024, 9 agosto: Chiara Consonni e Vittoria Guazzini sono campionesse olimpiche della madison

Ha rivisto la gara una sola volta, almeno finora. «La mattina con Chiara – ammette – perché siamo rientrate in hotel che era mattina. Abbiamo fatto una doccia e poi ci siamo dette: “Dai, guardiamo la gara, che non ci abbiamo capito niente”. Poi è capitato di vedere qualche spezzone che hanno mandato qua e là. Adesso per finire la stagione su pista mancano i mondiali di Copenhagen. Ma non saranno quelli che ci permetteranno di rifarci della delusione del quartetto. Quello potremo farlo solo a Los Angeles, ma è presto parlarne adesso».

Langkawi: sparisce l’umidità e spunta Pesenti. Tappa a Poole

01.10.2024
6 min
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CAMERON HIGLANDS (Malesia) – Dallo zoo alle fragole. Dalla foresta equatoriale alle montagne. E finalmente l’umidità molla la presa. Questo è probabilmente il fattore che ha messo le ali a Thomas Pesenti, bravo ad inserirsi tra gli atleti del WorldTour.

La differenza tra la pianura e questa montagna a 1.620 metri di quota è tutta qui. E non è poco. Per il resto palme e foresta fittissima come in basso, ma anche tante coltivazioni di fiori e fragole. Salendo quassù abbiamo visto ettari di serre puntinare di bianco la foresta stessa. E intorno a queste serre villaggi remoti.

Il tappone del Tour de Langkawi va a Max Poole, inglese classe 2003, che ha vinto da favorito. E non era facile perché la salita era davvero velocissima, pertanto più di qualcuno in forma, anche se non scalatore avrebbe potuto dire la sua. L’abbiamo percorsa anche noi con i pullmini riservati alla stampa e, a parte un paio di dentelli, era roba da 54 fisso.

Ancora JCL 

Il Tour de Langkawi sta consacrando i ragazzi di Manuele Boaro. Ieri primo Malucelli, oggi terzo Pesenti. JCL Team UKYO in grande spolvero insomma.

«Cose che succedono quando si lavora bene e con serenità – spiega il giovane direttore sportivo – e poi i ragazzi sono contenti, motivati… Sono soddisfatti dei materiali, alcuni dei quali li compriamo noi e non li prendiamo perché magari quello sponsor ci dà qualche soldo in più. Nel ciclismo di oggi questo aspetto è molto importante».

Oltre a Pesenti infatti ha fatto bene anche Giovanni Carboni, il quale nonostante la caduta di ieri è arrivato sesto, nel duello con Max Poole, Harold Lopez e Anthon Charmig. Insomma i migliori corridori della corsa. Guarda caso gente del WorldTour.

Colori stupendi in Malesia… e anche una certa curiosità a bordo strada
Colori stupendi in Malesia… e anche una certa curiosità a bordo strada

Pesenti da podio

Dopo l’arrivo le consuete scene che vediamo ad ogni latitudine con i corridori che cercano subito il recupero dal massaggiatore. L’unica differenza rispetto ai giorni precedenti è che stavolta nessuno passa sotto al getto d’acqua dei pompieri. Qui a Cameron Highlands si sta freschi.

«Non mi aspettavo una prestazione così – racconta Pesenti mentre sorseggia dalla borraccia – specie dopo il primo giorno quando sono andato in fuga e le sensazioni erano pessime. Forse perché io pago molto l’umidità. E infatti anche stamattina nei primi 100 chilometri non mi sentivo proprio brillante, col caldo ho patito ancora. Non si andava forte e c’è stata anche un po’ di noia a dire il vero. Si parlottava.

«Negli ultimi 40 chilometri le cose sono cambiate e complice anche una maggiore concentrazione il tempo è passato più in fretta. La Dsm-Firmenich e la EF Education si sono messe a tirare forte. E quando abbiamo iniziato a prendere quota, ho percepito un po’ di fresco, è calata l’umidità e mi sono trovato subito bene».

Quando ci sono queste situazioni il corridore cambia la sua testa da una pedalata all’altra. In un secondo prende fiducia e si convince che può stare davanti.
«L’ultima salita – prosegue l’emiliano – l’abbiamo fatta con un ritmo veramente esagerato. Negli ultimi 8 chilometri Dsm ed EF l’hanno presa ancora più di petto. Io ero sul filo, al limite tra lo staccarmi e il tenere. Credevo che rimanessimo in 20-30 corridori e invece siamo arrivati una dozzina allo sprint».

Pesenti in fuga nella prima frazione del Langkawi. Che sofferenza l’umidità della pianura
Pesenti in fuga nella prima frazione del Langkawi. Che sofferenza l’umidità della pianura

Thomas attaccante

E qui forse un minimo di rammarico c’è. Quando dopo le premiazioni gli chiediamo delle sue caratteristiche, Pesenti dice di essere un limatore. Malucelli, che è alle nostre spalle, sente la domanda e replica: «Lui lima più di me!».

«Davvero – riprende Pesenti – sono un corridore che ama attaccare, che sa stare coperto, che va bene su percorsi vallonati e che è anche abbastanza veloce e infatti – fa una breve pausa – questa volata forse l’ho persa. L’ho presa un po’ troppo davanti e alla fine mi hanno saltato. Da dietro sono riusciti ad anticiparmi… però va benissimo. Un terzo posto qui non è poco».

Sempre meglio aver perso per essere stati sin troppo propositivi che per essere stati rinunciatari. 

«No, no… ho osato. Adesso ci sono altre tappe per cercare di guadagnare alcuni secondi: credo che da qui in avanti la classifica generale si giocherà un po’ sugli sprint intermedi. Sprint che ora diventano importanti. Immagino che cambierà anche un po’ la corsa. La mia tattica del primo giorno era quella di anticipare e prendere dei secondi di abbuono nei traguardi intermedi, però ne ho preso solo uno, complice un po’ la mia situazione con l’umidità».

Thomas Pesenti (classe 1999) al termine della tappa di Cameron Highlands
Thomas Pesenti (classe 1999) al termine della tappa di Cameron Highlands

Un passato complicato

Thomas Pesenti è un classe 1999: è giovane ma non giovanissimo. In carriera ne ha già vissute di cotte e di crude.

Quando doveva passare con l’Androni, la squadra di Savio fallì. E’ rimasto nei dilettanti e ha vissuto per un paio di anni sulle promesse di chi doveva prenderlo e poi lo ha lasciato a piedi. E in qualche altro caso, ci ha detto Pesenti stesso, ci ha messo del suo. Non sempre ha fatto alla perfezione la vita da corridore, come si dice in gergo. Ma è anche normale in certe situazioni.

Poi l’approdo in un team, appunto la JCL Ukyo, il cui ambiente è positivo ed eccolo rifiorire.

«Questa appena vissuta è stata una stagione abbastanza positiva – racconta Pesenti – ho fatto delle belle gare e per questo ringrazio il mio team perché mi ha fatto fare delle bellissime esperienze. Esperienze che rimanendo in Italia non avrei potuto fare. Dopo il Langkawi avrò ancora un paio di corse in Giappone, tra cui la Japan Cup».

Ora la classifica dice: 1° Max Poole (in foto) con 6″ su Harold Lopez e 10″ su Pesenti
Ora la classifica dice: 1° Max Poole (in foto) con 6″ su Harold Lopez e 10″ su Pesenti

Presente e futuro

La sensazione, visto anche la stima che abbiamo potuto raccogliere tra i vari diesse nei suoi confronti, è che questo ragazzo abbia ancora dei margini e mire importanti davanti. 

«Il progetto di questa squadra – dice Pesenti – è chiaro: vuole andare al Tour, diventando man  mano sempre più grande. Il punto di partenza mi sembra più che ottimo. Bici, staff, gare di buon livello: abbiamo tutto a disposizione. Fare trasferte di questo genere non è da tutte le squadre continental». 

Pesenti ha ambizioni importanti: «Da parte mia voglio continuare a crescere e migliorare. Facendo il massimo, magari arriverà l’occasione della vita».

E chissà che l’occasione non arrivi proprio qui. Visto che la gara d’ora in poi si deciderà sugli abbuoni, cosa che ha detto anche il neoleader Max Pool, e visto che Pesenti è veloce e limatore, magari ne potrà approfittare. E perché no, potrebbe essere proprio Malucelli ad aiutarlo. E’ tutto da vedere. Il futuro passa, anche, da qui.

Reusser fermata dal long covid. Quanto è diffuso?

01.10.2024
4 min
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Ai mondiali di Zurigo c’era un’assenza che ha fatto rumore. E’ quella di Marlen Reusser, la specialista della cronometro che sarebbe stata una delle più chiare speranze di podio per i padroni di casa. Sarebbe, perché l’elvetica non gareggia da maggio. Anzi, non si allena e non perché non ne abbia più voglia.

Per la Reusser l’ultima gara risale a metà maggio in Spagna. Il suo futuro è nebuloso
Per la Reusser l’ultima gara risale a metà maggio in Spagna. Il suo futuro è nebuloso

In un’intervista a SRF, la Reusser ha raccontato il suo calvario: «A fine primavera ho avuto un mal di gola trasformatosi in bronchite. Nonostante le cure continuavo a peggiorare. A giugno ho provato a riprendere ma con la febbre che saliva e scendeva non aveva senso. Ad agosto ho avuto la diagnosi di sindrome da Long Covid che mi ha trasformato in una malata cronica, con momenti buoni alternati ad altri molto brutti. E ho paura che non passerà».

Una diagnosi che dà da pensare e per questo abbiamo voluto allargare il discorso parlando con Carlo Guardascione, medico della Jayco AlUla per capire quanto il virus che quattro anni fa ha congelato non solo l’attività ciclistica ma la vita quotidiana di buona parte del mondo sia ora impattante nei suoi effetti: «Premesso che del caso in questione non possiamo saperne a sufficienza, se non quello che la ragazza ha detto, oggi con il Covid si viaggia a vista, ma mi sento di dire, anche in virtù della mia esperienza di medico di base, che i casi di long covid sono strettamente legati alla mancata vaccinazione. Chi ha fatto almeno parte delle dosi prescritte, è molto più garantito».

I sintomi principali manifestati in età adulta dalla sindrome del Long Covid
I sintomi principali manifestati in età adulta dalla sindrome del Long Covid
Quanto incide su chi fa attività ciclistica?

L’allenamento intenso influisce sulle difese immunitarie, le fa diminuire e quindi chi fa sport, senza un’adeguata protezione data dal vaccino, è più esposto. Che cosa è cambiato rispetto ai primi tempi? Ora il Covid è stato quasi sdoganato, quando si avvertono i sintomi come raffreddore e mal di gola, si pensa che siano solo questi, invece se si tratta di sintomi Covid, è importante che si stia fermi, si dia uno stop alla propria attività.

Per la sua esperienza sul campo, i casi sono molti?

Ce ne sono, e per quel che vedo nella stragrande maggioranza colpiscono chi non si è vaccinato. In base a quel che sappiamo, noi possiamo usare una terapia sintomatica, in presenza in particolare di quei segnali tipici del long covid: astenia, problemi a gusto e olfatto che persistono, turbe del sonno. E’ importante però che si agisca nei primissimi momenti, con integratori e farmaci per alzare le difese immunitarie, un po’ come avviene nella mononucleosi, per questo è importante fermarsi e riprendere solo quando il fisico tornerà a rispondere adeguatamente.

In caso di sintomi da covid è importante consultare subito il medico riinunciando al “fai da te”
In caso di sintomi da covid è importante consultare subito il medico riinunciando al “fai da te”
Nei team i controlli vengono fatti?

Noi prima di ogni corsa a tappe e di ogni serie di corse d’un giorno ravvicinate nel tempo e quindi riservate agli stessi atleti, facciamo una serie di tamponi a tappeto, a tutti i componenti della squadra, corridori e staff. Chi presenta sintomi viene fermato preventivamente. Anche noi vediamo che le maglie regolamentari sono diventate più larghe, che chi è positivo ma asintomatico viene fatto gareggiare, ma d’altronde abbiamo ormai acclarato che la risposta di ogni individuo al virus è diversa, anche in base a che cosa si è fatto come vaccinazione. Chi le ha fatte resta più protetto.

Di vaccini oggi si parla abbastanza poco. Quelli disponibili sono aggiornati alle ultime varianti del virus?

Sì, assolutamente. Il vaccino è consigliabile per bambini, anziani e persone fragili per malattie pregresse, per questi è bene fare il richiamo. Per gli altri, compresi i nostri atleti, è importante che facciano il vaccino antinfluenzale che agisce sui virus stagionali esponendo molto meno i soggetti. Anche il vaccino antinfluenzale è aggiornato alle variazioni dei virus e dà un’ottima protezione. Nel nostro team oltre l’80 per cento dei tesserati si vaccina contro l’influenza.

La vaccinazione è la principale difesa, a cominciare da quella antinfluenzale
La vaccinazione è la principale difesa, a cominciare da quella antinfluenzale
Il covid è ancora diffuso?

Sì, molto. Anche nell’ambiente ciclistico, abbiamo visto come al Giro di Francia siano stati tanti i casi e molti corridori presentando sintomi siano stati fermati. Io riscontro casi tutti i giorni di mia presenza a studio. L’unica differenza con il passato è che sono molti meno i casi che necessitano di ricovero e questo è frutto della campagna di vaccinazione.

Cronoman e statura. Remco resta una particolarità

01.10.2024
5 min
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Remco Evenepoel ci ha anche scherzato su qualche giorno fa dopo aver rivisto il titolo iridato contro il tempo: «Per fortuna che ero sul gradino più alto del podio altrimenti con questi due spilungoni ai miei lati neanche sarei entrato nelle foto». I due spilungoni erano Filippo Ganna ed Edoardo Affini, entrambi più alti di un metro e 90. Ma questa frase ha sollevato una questione interessante: l’altezza è sempre sinonimo di forza?

Pensiamoci. L’ultimo cronoman di bassa statura di un certo livello fu Chris Boardman e forse Levi Leiphemer, il quale però prima di altri aveva intuito determinate posizioni, altrimenti il gesto della crono è sempre stato a favore dei passistoni alti. Gente che può sfruttare tanti muscoli e leve lunghe.

E tutto sommato anche a Zurigo tra gli juniores e gli under 23 hanno vinto corridori di statura elevata. E prima dell’era Remco bisogna scorrere appunto a Boardman, Catania 1994, per trovare un iridato contro il tempo più basso di un metro e 75 centimetri. Ricordiamo che Remco Evenepoel è alto 171 centimetri.

Boardman è stato uno degli iridati a crono più bassi: era alto 174 cm (foto Getty Images)
Boardman è stato uno degli iridati a crono più bassi: era alto 174 cm (foto Getty Images)

Sentiamo Malori

La stazza quindi conta? E fino a che punto? Ne abbiamo parlato con i due italiani forse più esperti in materia: Adriano Malori e Marco Pinotti.

«Remco è piccolo, è vero – spiega Malori, 1,82 di statura – ma quel che conta è la muscolatura. Torniamo indietro di qualche anno. C’era Cancellara che vinceva poi venne Tony Martin. Lui era due spanne più alto, ma al tempo stessa aveva quadricipiti enormi e spalle strettissime. E per questo guadagnava: era super aerodinamico. O al contrario, prendiamo Enric Mas: anche lui è alto, ha leve lunghe e potrebbe andare forte a crono, ma non ha la stessa muscolatura di Remco. E ancora Castroviejo, che è alto 1,71. Lui è forse in assoluto il corridore più aerodinamico come posizione che abbia visto. E’ molto schiacciato, grazie anche alla sua elasticità, ma non ha la stessa potenza e spalle tanto strette, quindi perde qualcosa rispetto a Remco e agli specialisti».

La scena che più ha fatto sorridere dopo i mondiali crono di Zurigo, con “il piccoletto” in mezzo ai due giganti
La scena che più ha fatto sorridere dopo i mondiali crono di Zurigo, con “il piccoletto” in mezzo ai due giganti

Il fisico di Remco

Malori entra nel dettaglio dell’analisi della fisionomia di Evenepoel. Remco è un brevilineo: «Ma anche le braccia relativamente lunghe e questo unito alle spalle più piccole rispetto ai cronoman puri gli consente di distendersi e chiudersi bene. Ecco quindi che ha il fisico perfetto per andare forte a crono. Non solo, ma questa sua caratteristiche si riscontra anche su strada. Perché quando attacca a 60 chilometri dall’arrivo fanno fatica riprenderlo? Perché è potente e super aerodinamico».

Facendo un passo indietro e ipotizzando un paragone con gli specialisti degli anni ’90, per Malori gli sviluppi aerodinamici e le nuove posizioni lo hanno agevolato.

«Consentite infine un commento alla crono iridata. Ganna ha perso il mondiale per 6”, io sono convinto che sia andata così perché il percorso non era del tutto per specialisti. C’era una salita piuttosto impegnativa. E lì Pippo ha pagato non solo in termini di tempo, ma anche di dispendio energetico. Pensateci, l’ultimo vero percorso a crono per specialisti tra mondiali ed olimpiadi qual è stato? Quello delle Fiandre 2021 e chi ha vinto?». La risposta è implicita e dice proprio Ganna.

Anche Castroveijo secondo Malori è super aerodinamico, ma ha spalle più larghe e meno forza rispetto a Remco
Anche Castroveijo secondo Malori è super aerodinamico, ma ha spalle più larghe e meno forza rispetto a Remco

Parola a Pinotti

Da Malori passiamo a coach Marco Pinotti. Una brevilineo tra gli spilungoni.  «Parlo dei mio caso – dice Pinotti, alto 1,76 – e nel contesto dei miei tempi. Io non avevo una grande potenza assoluta, ma avevo una buona posizione, una posizione stabile che mi consentiva di spingere bene. Remco oltre ad avere un cda (coefficiente aerodinamico, ndr) ottimo, ha anche un grande motore, una grande potenza, che unito ad un’ottima posizione ne fa un grande cronoman».

La sua abilità in questa disciplina quindi da dove viene? E’ un fattore di watt, di aerodinamica, di posizione…

«Per me è di posizione e di conseguenza di aerodinamica. Certamente Evenepoel è un cronoman atipico. Ha il busto corto, una gabbia toracica importante e quadricipiti possenti: tutto ciò lo rende particolarmente adatto al tipo di sforzo che richiede una prova contro il tempo. Chiaro che i watt assoluti contano: un cronoman di alta statura ha più muscoli, più forza, più leva… Remco non avrà mai gli stessi watt di Ganna. Il fatto è che lui ha i watt di un atleta di 65-67 chili, pure essendo più leggero (60-61 chili, ndr). E poi pensiamo a come va in pianura anche su strada».

Sia Malori che Pinotti hanno preso a esempio anche la posizione d’attacco di Evenepoel su strada: anche questa potente e aero
Sia Malori che Pinotti hanno preso a esempio anche la posizione d’attacco di Evenepoel su strada: anche questa potente e aero

Punti di vista

E qui Pinotti ripete esattamente quel che ha detto Malori prima: Remco è aerodinamico “per natura” e per questo riesce ad andare via quando è in fuga. Mentre va in disaccordo con Malori quando si parla di regole.

Secondo Malori le quote fisse, come la distanza fra linea del movimento centrale e punta delle appendici, svantaggiano gli atleti più alti: «In alcuni casi si vede che Ganna è sacrificato in certe posizioni – spiega Adriano – e tutti questi studi sull’aerodinamica, l’evoluzione dei materiali lo hanno aiutato ad ottimizzare la sua potenza». Mentre per Pinotti il ritocco ai regolamenti ha ridato vantaggio anche a questi ultimi e che tutto sommato Remco sarebbe stato Remco anche con materiali e posizioni meno aero.

«Io penso – conclude Pinotti – che la forza di Remco a crono dipenda molto dalla sua posizione. Fate caso a quanto è stabile. Se non fosse per le curve, sulla sua schiena potresti mettere un bicchiere d’acqua e quello non si muoverebbe, questo perché è riuscito a riportare i test in galleria su strada. Tanti in galleria del vento ottengono buone posizioni, ma poi su strada si muovono e molto di quel lavoro decade. Io credo che questa sua stabilità dipenda anche da una buona forza nella parte alta del corpo: spalle, braccia… che gli consentono di sostenersi bene».

Insomma, la regola che il cronoman debba essere alto e potente resta valida: leve lunghe e watt assoluti hanno ancora il loro perché. Poi la cura dell’aerodinamica può aiutare, certamente, ma è Remco Evenepoel la vera eccezione.