Viezzi al palo, con grandi progetti in tasca

14.10.2024
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Terza tappa del Giro delle Regioni a Osoppo, ma il più atteso non c’era. Stefano Viezzi, campione del mondo juniores, ha saltato l’appuntamento e non si sa quando tornerà alle gare. Un guaio fisico? No, c’è da risolvere una questione delicata, legata al suo cambio di squadra.

Che ci fosse qualche problema lo avevamo capito in settimana, quando sul profilo Instagram di bici.PRO il Fan Page Viezziofficial aveva commentato la story dell’articolo su Salvoldi e i suoi ragazzi: “In primo piano il campione del mondo Viezzi. In questi giorni boicottato dalla sua squadra DP66. Incredibile storia tutta italiana”.

Per Viezzi la maglia iridata resta ben custodita nel cassetto. Da U23 tutto ricomincia
Per Viezzi la maglia iridata resta ben custodita nel cassetto. Da U23 tutto ricomincia, ma con grandi ambizioni

Era importante saperne di più e Viezzi non si è tirato indietro, spiegando con garbo la situazione: «Domenica scorsa a Tarvisio era andato tutto bene, ma la società non voleva che gareggiassi con le mie nuove bici. Il team utilizza le Dynatek, ma io sono passato alla Canyon. Con il team ci siamo chiariti, ma a Osoppo non mi hanno iscritto. Ora aspetto il loro nullaosta, essendo fino a fine dicembre ancora junior per la Federazione anche se nel ciclocross gareggio già da U23. Poi potrò cambiare squadra».

Dopo la vittoria del titolo mondiale ti sono arrivate proposte, anche da team stranieri?

Molte, da valutare bene considerando anche il mio futuro su strada.

Viezzi in gara a Tarvisio. Da notare il telaio coperto dall’adesivo del team (foto Billiani)
Viezzi in gara a Tarvisio. Da notare il telaio coperto dall’adesivo del team (foto Billiani)
D’altronde il tuo profilo corrisponde in maniera pressoché perfetta a quelli che cerca l’Alpecin Deceuninck. E’ quella la tua destinazione? Il marchio delle bici è più che un indizio…

Non ci sono solo loro che fra i team WorldTour o altri permettono la doppia attività. Attendiamo che la situazione si sblocchi e poi potrò annunciare il passaggio alla nuova squadra.

La prima tua apparizione da under 23 com’era andata?

Non era stata propriamente semplice, considerando che sono dovuto partire quasi dal fondo e che in partenza ho subìto qualche intoppo. Poi però mi sono trovato bene, anche oltre le mie aspettative considerando che per la prima volta affrontavo una gara da un’ora, quando da junior si arrivava a 40 minuti. Sicuramente la condizione acquisita su strada mi ha dato una mano. Mi aspettavo dei disagi che invece non ci sono stati.

Per l’iridato del cross subito una vittoria su strada, alla Coppa Palazzolo con 2’40” sul gruppo
Per l’iridato del cross subito una vittoria su strada, alla Coppa Palazzolo con 2’40” sul gruppo
Della delicata situazione contrattuale hai parlato anche con il cittì Pontoni, che è legato al tuo vecchio team?

Sì, ma giustamente non vuole entrare nello specifico. Mi ha detto comunque che vorrebbe che gareggiassi il più possibile anche perché l’approccio con la nuova categoria è delicato e già a novembre ci sono obiettivi importanti come l’europeo.

La stagione su strada com’è stata nel suo complesso?

Un po’ strana a dir la verità. Ero partito bene con una vittoria alla Coppa Palazzolo il 1° aprile, ci tenevo a far bene all’Eroica e la prima tappa avevamo già conquistato un bel terzo posto nella cronosquadre, ma il giorno dopo sono caduto fratturandomi una clavicola. La ripresa è stata più lunga del previsto, anche perché la frattura era nella parte esterna vicino alla spalla, quella dove porto la bici nel ciclocross. Ho fatto una lunga riabilitazione, alla fine sono tornato a gareggiare a fine agosto.

In 600 in gara a Osoppo nella terza tappa del Giro delle Regioni, che tornerà il 3 novembre (foto BIlliani)
In 600 in gara a Osoppo nella terza tappa del Giro delle Regioni, che tornerà il 3 novembre (foto Billiani)
Da lì le cose come sono andate?

Non ho avuto molto tempo per ritrovare il giusto colpo di pedale in gara, ma alla fine ho trovato un paio di buoni piazzamenti al Lunigiana che mi hanno dato fiducia, permettendomi anche di chiudere 7° in classifica. Io comunque a settembre ero già mentalmente proiettato verso la stagione del ciclocross, ma posso dire che quella è stata la gara dove mi sono trovato meglio. Ci tengo a far bene nel mio approccio con la nuova categoria, prima nel ciclocross e poi su strada.

Cominci a sentirti anche stradista oltre che crossista?

Sono due cose molto diverse. Nell’attività invernale la preparazione è diversa ma anche gli spazi tra una gara e l’altra. Almeno da junior su strada avevamo praticamente gare nel weekend e il resto allenamento, nel ciclocross ci sono eventi a getto più continuo. Ma io credo che se vuoi fare questo mestiere ti abitui a qualsiasi siano le necessità.

Avresti problemi a trasferirti in un team estero?

Penso che nel ciclismo d’oggi, problemi non li abbia nessuno, anzi se hai ambizione lo metti in preventivo. L’importante è l’organizzazione che trovi e, per me, la possibilità di seguire entrambe le discipline.

Come ti sei trovato al tuo approccio con una gara diversa da quelle già affrontate sui prati come a Tarvisio, lunghezza a parte?

Era tutto abbastanza nuovo, soprattutto gli avversari, gente che calca quei palcoscenici anche da una decina d’anni. Per me imparare a conoscerli è importante in questa fase. So che nell’ambiente tutti mi stanno con gli occhi addosso come se la maglia iridata ce l’avessi sempre indosso, anche se non posso indossarla. Ma io sono tranquillo, quel che dovevo dimostrare l’ho fatto vedere nella passata stagione, ora affronto le gare sicuro di me, anche se ognuna sarà una scoperta. Ma non nego che ho grandi ambizioni, l’importante è sbrogliare la situazione quanto prima.

Garofoli e la Soudal-Quick Step: primi passi del rilancio

14.10.2024
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GRASSOBBIO – La singolare coincidenza dello stesso hotel alla vigilia del Lombardia ha fatto sì che l’ufficio stampa della Soudal-Quick Step abbia incontrato Gianmarco Garofoli per realizzare il contenuto pubblicato stamattina alle 11. Dopo la Vuelta le trattative hanno avuto una rapida accelerazione. Nei giorni del mondiale avevamo saputo dell’interessamento della squadra belga, l’accordo è arrivato subito dopo. Dal prossimo anno, Garofoli correrà alla corte di Lefevere, guidato da Davide Bramati. Se c’è qualcosa da tirare fuori, questa potrebbe essere la squadra giusta.

«Sono veramente molto emozionato per questa possibilità – dice Garofoli – perché vado in una squadra che ha anche una grande storia. Le emozioni contano veramente tanto. Mi sembra di vivere il mio sogno di quando ero bambino. Far parte di queste grandi squadre, avere l’opportunità di correre e anche a buon livello».

A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
Che cosa è cambiato quest’anno?

E’ stato molto importante. Venivo da annate difficili, soprattutto dopo il periodo del Covid e il mio problema di salute, la miocardite. Questo invece è stato un anno chiave. Ero partito dall’inverno per fare una bella preparazione e mettere tutte le cose in fila. Ho ritrovato me stesso e durante la Vuelta ho avuto delle belle sensazioni. Essere lì e lottare con i grandi nomi mi ha fatto venire i brividi. Dopo tanto tempo ho realizzato che riesco ad andare davvero forte. Ho ricominciato a vivere emozioni che avevo perso da parecchio tempo.

Temevi di averle perse?

No, dentro di me ho sempre creduto in me stesso, anche se sono stati anni difficili. Non nascondo che qualche volta non mi sono sentito all’altezza. Però sono stato forte, ho perseverato e sono riuscito ritrovare queste belle emozioni. Ritrovarmi accanto a Pogacar all’Emilia quando ha attaccato, in qualche modo è stato importante.

La Vuelta è stato il tuo primo grande Giro, fosse stato per te lo avresti fatto prima?

A inizio anno non era previsto che facessi un Grande Giro. Magari non ero ancora pronto, non avevo fatto gli step che servivano. Poi, per diverse situazioni, già durante la seconda parte di stagione si vociferava di questa mia partecipazione alla Vuelta. E verso fine luglio ho avuto la notizia che sarei partito e sono stato molto contento.

Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Come è andata?

Mi ha cambiato. Il Grande Giro di tre settimane ti cambia il motore, ma soprattutto per ora mi ha dato tanta sicurezza in me stesso e consapevolezza dei miei mezzi. Il fatto che non ci abbia provato prima probabilmente è dipeso dai problemi di salute delle ultime due stagioni. Sono rimasto un po’ indietro rispetto alla mia generazione, rispetto a Piganzoli e Milesi, per esempio. Sto facendo i passi che loro magari hanno fatto prima, però sono contento di essere ormai sulla strada giusta.

Le emozioni di stare davanti con i grossi nomi alla Vuelta somigliano alle emozioni di quella prima sfida con Scarponi a Sirolo, tu ragazzino e lui vincitore del Giro?

Emozioni differenti (si commuove, ndr). Quella volta a Sirolo, vedevo Michele come un campione, un sogno, la realizzazione di un mio sogno. Michele era una guida. Invece le emozioni che ho provato alla Vuelta erano legate alla sicurezza in me stesso, alla fiducia che avevo un po’ perso. Emozioni simili, ma diverse.

Che cosa ti avrebbe detto Michele dopo la Vuelta?

Che sono andato forte!

All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
Dal prossimo anno sarai con Bramati: che cosa pensi della figura del direttore sportivo?

Secondo me è una figura molto importante, qualcuno di cui potersi fidare. Che ti aiuta e magari fa da mediatore fra te e la squadra. Secondo me il direttore sportivo è anche colui che riesce a indirizzarti e a guidarti verso la strada giusta. Sono uomini che hanno già fatto queste esperienze molto prima. Per il momento ho parlato con Bramati. Prima avevo fatto una videochiamata con Jurgen Foré, il direttore operativo, ed è stato un bel dialogo. Mi è piaciuto come mi ha descritto la squadra, sono contento che siamo riusciti a concludere il tutto.

Ti hanno chiesto qualcosa in particolare?

Per il momento non ancora, è presto. Vado nella squadra di un grande leader: quando c’è Remco, si lavora per lui, come è giusto che sia. E’ quello che cercavo. Secondo me una figura che mi è mancata in queste due stagioni da professionista è stato un leader, una figura a cui potevo ispirarmi e da cui potevo prendere qualcosa. Sono veramente emozionato di poter correre con lui e farò tanta esperienza con la possibilità di vedere una gara differente.

Rimani in una grande squadra: hai mai avuto la sensazione che saresti dovuto andare in una squadra più piccola?

Sono sincero, prima della Vuelta avevo un po’ d’ansia e mi sentivo un po’ sconfortato. Non ero tranquillo. Dopo la Vuelta, parlando anche con i ragazzi, i miei genitori che sanno tutto, ho ritrovato la serenità.

Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Che cosa è cambiato?

Quello che cercavo erano risposte da me stesso, non dagli altri. E’ importantissimo trovare la squadra e l’ambiente giusto, però dovevo soprattutto ritrovare me stesso e tornare a fare delle belle prestazioni. Perché al di là dei risultati, che magari per un motivo o per un altro non arrivano, in Spagna ho fatto delle belle prestazioni. Perciò dopo la Vuelta, anche se non avevo ancora una squadra, ero sereno per quello che sarebbe stato il mio futuro.

Secondo te tuo padre ha seguito tutta la Vuelta perché ti aveva visto così poco sereno?

Mio padre ha sempre creduto in me, forse più di quanto ci creda io. Ha sempre cercato di starmi vicino e di non farmi dimenticare chi sono. Per me è stato importante averlo vicino. Tante persone mi dicono che per me è una pressione averlo sempre accanto, invece no. Per me è un valore aggiunto.

EDITORIALE / Cuori a rischio, chi risparmia sull’idoneità?

14.10.2024
5 min
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Il primo segnale davvero drammatico fu il malore che colse Colbrelli il 21 marzo del 2022. Chi lo vide cadere sul traguardo della prima tappa del Catalunya pensò che non ci fosse più niente da fare, invece il massaggio cardiaco salvò la vita al bresciano che interruppe subito l’attività. Un mese dopo, si fermò Gianmarco Garofoli per una miocardite. Dovette ricorrere a un intervento che dopo qualche mese gli permise di riavere l’idoneità. Quello che però fu raccontato come un semplice malore, pochi giorni fa è stato descritto da suo padre come un principio di infarto a 20 anni. Qualcosa di simile al malore che di recente si è portato via Simone Roganti, che ne aveva 21.

A dicembre 2020 venne fermato per miocardite Diego Ulissi. Nel 2021 l’ablazione cardiaca toccò a Viviani e l’anno precedente a Cipollini. Lorenzo Masciarelli ha scoperto di avere una pericardite grazie a un incidente stradale. Lo hanno ricoverato per un braccio dolorante senza sapere sul momento che gli stavano salvando la vita.

Si è andati avanti di caso in caso, segnandoci la fronte quando qualcuno se ne andava senza motivazioni apparenti. Come Dario Acquaroli, ex campione del mondo di MTB, morto per un malore ad aprile 2023, mente stava passeggiando sulla sua bici. La morte di Silvano Janes agli europei gravel di ieri ad Asiago potrebbe confluire nello stesso contesto. E’ come se dopo il Covid sul mondo si sia abbattuta un’ondata di virus cardiaci che, se non diagnosticati, portano alla morte. E se questo è vero, in che modo è aumentata l’attenzione di medici, società e atleti per tutelare davvero la salute?

Lorenzo Masciarelli, in ospedale per un incidente stradale, ha scoperto una pericardite potenzialmente letale
Lorenzo Masciarelli, in ospedale per un incidente stradale, ha scoperto una pericardite potenzialmente letale

La difesa che manca

E’ un tema delicato da maneggiare. Da molte parti infatti, più che il Covid si incolpano i vaccini, ma non esiste ancora, a quanto ci risulta, un nesso dimostrato di causa/effetto. In attesa che degli studi vengano portati a termine ed evitando di perderci in chiacchiere, in che modo si tutela la salute di chi fa sport?

Abbiamo la pelle d’oca nel renderci conto della difformità di regolamento a livello internazionale. I medici sportivi parlano fra loro. E l’osservazione anche ironica che vede gli italiani vittime nei congressi internazionali arriva spesso dalla Gran Bretagna. Oltre la Manica infatti, la visita di idoneità non è obbligatoria e ugualmente il tasso di mortalità dei loro atleti è di pochissimo superiore al nostro: perché fare tante visite, dicono, se poi gli esiti sono identici?

Il punto è proprio questo. Il sistema italiano va difeso con ogni mezzo possibile, ma va reso affidabile (in apertura l’Istituto Riba di Torino, eccellenza nazionale). Avremmo il modo per ridurre a zero la percentuale, non trattandosi per fortuna di numeri elevatissimi, ma rinunciamo a farlo. Spendiamo migliaia di euro dal dentista per avere un bel sorriso e ci accontentiamo o pretendiamo che una visita di idoneità agonistica costi meno di una pulizia dei denti. E’ normale?

La visita di idoneità che duri meno di 40 minuti non può essere ben approfondita (foto Gruppo Cidimu IRR)
La visita di idoneità che duri meno di 40 minuti non può essere ben approfondita (foto Gruppo Cidimu IRR)

Le idoneità regalate

Il medico italiano di una squadra WorldTour ci ha raccontato che le visite che esegue privatamente nel suo studio durano fra 40 e 50 minuti. Un altro ci ha detto che per rendersi conto di come sia possibile fare tutto bene e anche in modo rapido, abbia cronometrato una visita, fermando il cronometro a 38 minuti. Nei loro studi non si spende meno di 120 euro. Sono visite importanti, fanno la differenza fra vivere e morire, quindi è giusto che abbiano un costo.

Qual è la qualità o la profondità di una visita di 20 minuti, pagata fra 50 e 90 euro, di cui il medico percepisce a dir tanto il 50 per cento? Con quale tranquillità d’animo egli può rendere abile un atleta di qualunque età, sapendo di non aver fatto il meglio e che, qualora quello morisse, ne dovrebbe rispondere penalmente? E come è possibile che la Federazione dei medici sportivi ritenga accettabile l’idoneità agonistica rilasciata in appena 20 minuti?

Per i giovanissimi occorrono le stesse attenzioni dei più grandi: sbagliato risparmiare sulla salute (photors.it)
Per i giovanissimi occorrono le stesse attenzioni dei più grandi: sbagliato risparmiare sulla salute (photors.it)

La salute dei figli

Probabilmente ai livelli più alti dello sport il problema è relativo, seppure non sia difficile andare con la memoria alle morti di Lambrecht, Nolf, Myngheer, Goolaerts e quelli che hanno perso la vita per malori improvvisi. Nonostante la normativa UCI preveda di eseguire ad anni alterni l’ECG con prova da sforzo e l’ecografia cardiaca, sono sempre di più le squadre che li impongono annualmente e gli atleti che chiedono di farli. Quel che lascia con l’amaro in bocca è invece l’atteggiamento di tanti genitori nelle categorie giovanili.

Si vuole spendere poco, anche se si parla della salute dei propri figli, preferendo semmai vuotarsi le tasche per la bici più leggera. Ci si accontenta di visite di idoneità poco più approfondite di una pacca sulle spalle. Si chiede al dottore di fare presto. Le società fissano appuntamenti presso studi convenzionati in cui si eseguono batterie di test senza il minimo approfondimento. E’ facile rendersi conto che l’approssimazione di certe visite sia legata alla poca attenzione da parte degli utenti, soprattutto delle famiglie dei più piccoli. Perché certe abitudini cessino, sarebbe sufficiente non frequentare più gli studi in cui si lavora con superficialità. Invece si va avanti con la mentalità italiana per cui un ristorante è buono se per 20 euro ti riempie la pancia, senza guardare la qualità di quel che si butta giù. Forse però, parlando di cuore e sopravvivenza, sarebbe meglio puntare su un… ristorante con qualche stella in più.

Sara Fiorin va alla Ceratizit. E punta a sprint d’autore

14.10.2024
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Il ciclomercato, attivissimo in questa fase della stagione per rimodellare le squadre in vista della prossima, ha riservato nelle ultime giornate una piccola sorpresa: il passaggio di Sara Fiorin alla Ceratizit-Wnt. Una sorpresa perché la 21enne olimpica azzurra a Parigi viene da due anni nel devo team della Uae e tutti pensavano che sarebbe passata nel WorldTour accedendo alla “squadra madre”.

L’annuncio fatto dalla Ceratizit Wnt dell’ingaggio di Sara Fiorin, subito dopo Parigi
L’annuncio fatto dalla Ceratizit Wnt dell’ingaggio di Sara Fiorin, subito dopo Parigi

Proprio a Parigi la trattativa con il team si è concretizzata e tutti i discorsi passano necessariamente per la trasferta a cinque cerchi, che rappresenta quasi uno spartiacque nella sua ancor giovanissima carriera.

«Dopo Parigi la ripresa è stata un po’ complicata, lo devo ammettere. Il lavoro per la performance olimpica era stato molto specifico, anche se avevo corso su strada fino a due settimane prima dell’appuntamento a cinque cerchi e ritrovare il giusto passo non è stato semplice. Avevo lavorato tanto su rapidità e scatto, molto meno sulla resistenza, ero un po’ titubante a riprendere. Dopo una settimana siamo andate in Belgio per delle classiche in linea, la prima è stata dura, lo ammetto. Nella seconda, la Konvert Koerse andavo già molto meglio e il 5° posto finale tirando la volata della Consonni è un buon risultato».

L’arrivo della Konvert Koerse vinta dall’olandese Van Roojien con la lombarda quinta
L’arrivo della Konvert Koerse vinta dall’olandese Van Roojien con la lombarda quinta
Successivamente c’è stato l’europeo…

Sapevo che, visto il percorso, sarei stata convocata e volevo farmi trovare pronta. Col passare dei giorni ritrovavo la condizione con in più uno spunto non indifferente in volata. Volevo arrivare alla gara belga al top della forma perché il tracciato mi si addiceva e alla fine ho fatto la mia parte con il bronzo della Gasparrini che è stato il giusto premio per il nostro lavoro.

Come giudichi, ora a mente fredda, la tua esperienza olimpica?

Esattamente questa, un’esperienza, che sarà fondamentale nel mio cammino. Ho gareggiato in specialità non mie, sapevo che non potevo competere con le migliori atlete della disciplina. Ho potuto però percepire l’atmosfera che si vive in un evento simile, unico al mondo. Ho condiviso un’avventura con ragazze fantastiche, sentendo la tensione, l’adrenalina che scorre a fiumi in quei frangenti. Il momento dell’oro di Consonni e Guazzini resterà per sempre nella mia memoria, le emozioni vissute in quel magico pomeriggio.

Per la Fiorin importante presenza agli europei, dove ha lavorato per la Gasparrini
Per la Fiorin importante presenza agli europei, dove ha lavorato per la Gasparrini
La pista resterà nel tuo futuro?

Sicuramente, era anzi una “conditio sine qua non” nei contatti con le varie squadre. Con la Ceratizit sapevo di trovare un team che vede di buon occhio la doppia attività e questo mi ha fortemente spinto ad accettare la loro proposta.

Il contatto quand’è nato?

E’ stato tutto piuttosto veloce, mi hanno fatto sapere il loro forte interesse quand’ero con la nazionale a Parigi, io mi sono presa qualche giorno per pensarci, volevo aspettare che le Olimpiadi finissero, poi a fine agosto abbiamo messo tutto nero su bianco.

A Parigi una partecipazione importante per le emozioni vissute. Qui con Ivan Quaranta
A Parigi una partecipazione importante per le emozioni vissute. Qui con Ivan Quaranta
Che cosa ti ha convinto della loro proposta?

Era un’occasione da non perdere, la proposta di una squadra di riferimento del mondo delle grandi. E’ un treno che non passa spesso e non avendo ancora certezze nella Uae ho deciso di prenderlo. Loro mi hanno chiarito che mi faranno crescere con calma, facendomi lavorare per la squadra ma concedendomi anche i miei spazi.

Hanno intenzione quindi di affidarti la finalizzazione di alcune corse?

In base alla mia condizione. Io ho dato la mia disponibilità a lavorare per le compagne, a fare anche l’ultimo uomo se ci sarà una compagna in forma e che ha bisogno che le si tiri lo sprint, ma lo stesso varrà per me. Io sono pronta per qualsiasi ruolo e vorrei migliorare sia come aiutante che come sprinter conclamata.

Due vittorie per la brianzola in questa stagione, con anche 8 Top 10 all’attivo
Due vittorie per la brianzola in questa stagione, con anche 8 Top 10 all’attivo
Quanto cambia sapere che il prossimo anno correrai nella massima serie?

Tantissimo, per me è come ripartire da zero e mi sento esattamente com’ero lo scorso anno al mio approccio con la Uae. Entro nel mondo dei grandi con umiltà ma conscia di potermi ritagliare un mio spazio. Intanto voglio fare esperienza e vedere come crescerò settimana dopo settimana. Sin dal primo ritiro di dicembre a Calpe.

Evenepoel, la grande fatica di imparare a perdere

14.10.2024
4 min
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Forse non è mai stato facile, anche se poteva sembrarlo. Di certo da quando Pogacar ha alzato il numero dei giri, essere Remco Evenepoel è diventato un lavoro molto più difficile. La sua estate è stata spettacolare e pesante. Dopo il terzo posto del Tour, che va considerato un grandissimo risultato, il belga ha tirato dritto verso le Olimpiadi e le ha vinte entrambe: a crono e su strada. Solo a quel punto ha staccato la spina, ma nei 30 giorni passati fra la gara in linea di Parigi e l’inizio del Tour of Britain, Remco ha recuperato davvero poco. Al punto che andare nel Regno Unito è diventato il modo per sfuggire al tritacarne mediatico cui è stato sottoposto in patria.

Ugualmente ha vinto il mondiale crono, mentre su strada si è dovuto inchinare all’impresa di Pogacar. Il quale, conquistata la maglia gialla a Nizza, si è allenato sin da subito, ma di fatto ha avuto 43 giorni per recuperare e ricaricare le batterie. Se metti un Pogacar moderatamente fresco contro un Evenepoel moderatamente finito, il lavoro di essere Remco diventa un’impresa a perdere. Il suo gesticolare all’indirizzo degli altri nell’inseguimento allo sloveno al Lombardia era il segno di un comprensibile nervosismo con cui dovrà imparare a convivere. Non è facile perdere ogni volta, quando si è abituati a vincere.

Alla partenza da Bergamo, Evenepoel sapeva di essere stanco, ma ha provato a dare tutto
Alla partenza da Bergamo, Evenepoel sapeva di essere stanco, ma ha provato a dare tutto

La batterie scariche

Dopo il Lombardia, Evenepoel ha pianto. Sul traguardo si è chinato sul manubrio, ha tolto gli occhiali e si è asciugato gli occhi. Non deve essere stato facile per lui ripassare sul ponticello del suo orribile salto nel vuoto e insieme tenere testa alla furia di Pogacar.

«Tutti sanno come era andata qui a Como quattro anni fa – ha detto – e quest’anno la corsa è ripassata per la prima volta nello stesso punto, sia pure in direzione opposta. Da allora, non è più stato facile venire da queste parti. La mia prestazione è stata in linea con il Tour de France. In quel caso, Tadej mi ha preceduto di 9 minuti, ma ne avevo 10 su quelli dietro di me. Qui è successa la stessa cosa. Lui ha vinto con 3 minuti di vantaggio, ma fra me e quelli dietro c’era ugualmente un bel margine. Il secondo posto lo considero una vittoria personale. Nell’ultima settimana ho sentito che le batterie si stavano scaricando, ma sono rimasto calmo. Ho corso il Giro dell’Emilia e la Coppa Bernocchi come allenamento. E oggi questo ha dato i suoi frutti, con il secondo posto nell’unica Monumento che ho corso quest’anno. Ho quasi realizzato tutti i miei sogni, con il podio al Tour e due medaglie d’oro ai Giochi Olimpici. Quindi posso essere orgoglioso, penso di meritarmi un 9 in pagella».

Evenepoel non ha seguito lo scatto di Pogacar, ma ha gestito l’inseguimento come al Tour
Evenepoel non ha seguito lo scatto di Pogacar, ma ha gestito l’inseguimento come al Tour

Il dominio nei numeri

Singolarmente rispetto alle abitudini, ieri sia Pogacar sia Evenepoel hanno pubblicato su Strava i file dei reciproci Lombardia. Risulta che Pogacar ha trascorso 5 ore 58’ in sella, coprendo i 247,7 chilometri (dislivello di 4.470 metri) a 41,4 di media. Ha consumato 5.013 calorie e ha pedalato a 93 rpm medie.

Il suo attacco sulla Colma di Sormano (13,05 chilometri al 6,6 per cento di media) gli ha permesso di conquistare il KOM in 30’18” alla media di 25,9 di media. Evenepoel ha impiegato 31’23” a 25 di media.

Pogacar ha fatto la differenza nei tratti ripidi. Nel segmento “Tratto duro” della salita (2,38 chilometri all’8,2 pe cento), Tadej ha impiegato 5’53” (media di 24,3 km/h), contro 6’27” (a 22,1 di media) di Evenepoel.

L’unico segmento in cui il belga non ha perso è stato la discesa: 9,6 chilometri percorsi quasi nello stesso tempo: 9’37” per Pogacar, 9’38” per Evenepoel. Ha invece continuato ad accumulare passivo nel tratto conclusivo di pianura. Pogacar ha pedalato nel tratto “Albavilla da Buccinigo” a 38,8 chilometri orari. Evenepoel, che magari a quel punto era già rassegnato, pedalava a 35,8 di media.

Nel confronto a distanza fra Pogacar ed Evenepoel, lo sloveno ha sempre guadagnato, tranne in discesa
Nel confronto a distanza fra Pogacar ed Evenepoel, lo sloveno ha sempre guadagnato, tranne in discesa

Incidente e calendario

La domanda che tutti si pongono è se ci sia in giro qualcuno in grado di contrastare Pogacar. E casomai se sia più prossimo a riuscirci Vingegaard che si sta ricostruendo oppure il più giovane Evenepoel, che ha solo 24 anni: due meno dello sloveno.

«Devo restare paziente – ha detto Evenepoel – perché posso ancora ridurre il gap su Tadej e avvicinarmi a lui. La mia prestazione del Lombardia è resa promettente dal vantaggio che alla fine ho avuto su Ciccone (1’15”, ndr). Questo è ciò che mi dà fiducia per il futuro, sapendo che devo continuare a lavorare in montagna, perdere peso per raggiungere questi obiettivi. Ho ancora margini di miglioramento, qualche percentuali da guadagnare. Quest’anno è stato particolare, perché l’infortunio ai Pasi Baschi mi ha impedito di fare una pausa prima del Tour. Ma nonostante ciò sono sempre riuscito a fare il massimo di quello che volevo».

Europei gravel ad Asiago: vincono Frei e Stosek in un giorno triste

13.10.2024
6 min
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ASIAGO – Quando Sina Frei, Silvia Persico e Alice Maria Arzuffi salgono sul podio delle premiazioni al termine del campionato europeo gravel di Asiago, ad attenderle non c’è l’inno nazionale, non c’è l’alzabandiera, nemmeno la vestizione della maglia. 

La svizzera Frei, campionessa continentale da pochi minuti, l’ha indossata dietro le quinte e si presenta davanti al pubblico solo per un breve saluto. Lo stesso accade pochi minuti dopo per la categoria uomini elite. Sul palco sfilano il ceco Martin Stosek, il britannico Toby Perry e il belga Jenno Berckmoes, rispettivamente primo, secondo e terzo.

Questo perché quella che doveva essere una giornata di competizioni per gli atleti e di divertimento per le centinaia di amatori arrivati sull’Altopiano di Asiago da tutta Europa, è diventata di colpo molto più tetra. Dopo la notizia del malore fatale occorso a Silvano Janes.

Un malore fatale

Janes, “il vecio”, era partito pochi minuti dopo i professionisti, con il numero 564 nella categoria Master 65-69 anni.  Dopo circa 3 chilometri dal via, in un tratto pianeggiante, si è accasciato a terra. Appena dietro di lui seguiva la gara un quad dell’organizzazione che ha immediatamente allertato i soccorsi, ma non c’è stato niente da fare.

Silvano Janes era un nome molto conosciuto negli ambienti delle granfondo e della mtb, disciplina di cui era stato pioniere. Tra i cicloamatori aveva vinto dieci mondiali, cinque titoli europei e decine di tricolori, ed era stato compagno di allenamento di Moser e Simoni, come pure di Martino Fruet, trentini come lui.

«Del mezzo milione di chilometri della mia carriera – ha detto Martino Fruet – non ho dubbi che almeno 250 mila li ho pedalati con lui. Era compagno di allenamenti di Francesco Moser e anche di Simoni e Marco Bui. Eravamo un bel gruppo e dicevamo sempre, magari scherzando, che sarebbe morto in bicicletta. Poteva aspettare ancora qualche anno, ma ha fatto sino in fondo quello che più gli piaceva».

Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB
Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB

Spauracchio belga

Appena saputa la notizia, l’organizzazione ha deciso di interrompere tutte le competizioni salvo quelle degli elite. E anche nel loro caso di è scelto di far arrivare solo i gruppi di testa.

Tra gli uomini erano partiti in 142, con alcuni grandi nomi tra i quali spiccavano Greg Van Avermaet e il connazionale Gianni Vermeersch, quinto al recente campionato del mondo e vincitore del primo titolo iridato gravel nel 2022. Ma già dal primo dei tre giri da 51 km ciascuno (totale 153 km con 2.400 metri di dislivello) a prendere in mano la situazione era stato un gruppetto di sette corridori. Il tedesco Voss, il russo (ma con maglia neutrale) Grigorev, il ceco Stosek, la coppia belga Berckmoes e Godfroid, lo svizzero Simon Pellaud e il britannico Perry.

Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)
Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)

Dalla marathon al gravel

Durante il secondo giro la situazione è rimasta invariata, con il solo cedimento di Pellaud, e tutto si è deciso nell’ultima tornata.

Stosek, specialista della marathon e campione nazionale gravel, ha accelerato nella parte più dura della prima salita e ha lasciato la compagnia degli avversari. Un’azione talmente decisa che all’ultimo dei due intermedi aveva oltre 3’ di vantaggio su un terzetto formato da Berckmoes, Godfroid e Perry. Il britannico è riuscito poi a sorprendere i due belgi e ad arrivare sul traguardo di Piazza II Risorgimento a 3’43’’ di ritardo dal vincitore, seguito dopo 35’’ da Berckmoes. Appena dopo l’arrivo Stosek ci ha raccontato di questa vittoria.

«La mia disciplina è la marathon – ha detto – quindi è bello vedere che sono competitivo anche nel gravel, soprattutto perché si tratta solo della mia terza gara in questa specialità. Comunque anche qui servono molta potenza e una buona dose di tecnica. Ho attaccato al terzo giro nella parte di salita più dura e fangosa. Ho cercato solo di spingere forte e fare il mio passo, sapendo che finita quella avrei potuto fare la discesa senza prendermi troppi rischi. Che dire, ha funzionato!».

Frei fra le azzurre

Nella categoria donne c’era molta attesa vista la numerosa squadra azzurra che comprendeva, tra le altre, Elena Cecchini, Soraya Paladin, Silvia Persico e Letizia Borghesi. Da affrontare c’erano due giri del percorso, 102 km con 1.600 di dislivello, e il primo passaggio sotto l’arrivo ha visto tutte le migliori ancora assieme.

Ma non è passato molto prima che la biker elvetica Sina Frei prendesse in mano la situazione e se ne andasse via da sola. A seguirla sono rimaste Persico e una bravissima Alice Maria Arzuffi, che si sono giocate il secondo posto in volata. Alla fine il rettilineo ha detto seconda Persico e terza Arzuffi, rispettivamente a 1’24 e 1’26’’ dalla vincitrice.

Queste le parole della campionessa europea gravel dopo l’arrivo. «Sono molto felice – ha detto – è il modo migliore di finire la mia stagione, con una gara così qui ad Asiago. Le italiane erano tante e forti e hanno corso tutte assieme, quindi sapevo che per me era dura. Per questo ho deciso di partire presto, quando mancavano circa 35 km alla fine, sulla prima salita. Ho provato e mi è andata bene, molto bene».

La scelta di Pozzato

Finiamo con le parole di Pippo Pozzato, in una giornata certamente non facile per chi organizza un evento così importante e si trova ad affrontare un momento tutt’altro che semplice, emotivamente e logisticamente.

«Sono notizie che non vorremmo mai sentire – ha detto il vicentino – ma davanti a questo ci si ferma su tutto. Per questo abbiamo subito deciso di stoppare tutti sotto l’arrivo, tranne i primi 15 concorrenti elite. Si sarebbe anche potuto continuare, ma ci sembrava doveroso nei confronti di Silvano Janes, dei suoi amici che erano qui e della sua famiglia».

Conosciamo il Terengganu, miglior continental al mondo

13.10.2024
5 min
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BATU PAHAT (Malesia) – Nel corso della nostra trasferta in Malesia al Tour de Langkawi abbiamo avuto l’occasione di conoscere da vicino il Terengganu Cycling Team, la miglior squadra continental al mondo. Punti alla mano, la squadra malese è al trentesimo posto della classifica a squadre UCI, davanti a diverse professional europee anche piuttosto note.

In Asia è una specie di Real Madrid della situazione. I suoi atleti sono rispettati ed ovunque vanno le loro maglie blu sono acclamate. In una mattina abbiamo parlato con Datò Seri Tengku Farok Hussin Bin Tengku Abdul Jalil, il team manager della squadra.

Datò Seri Tengku Farok Hussin Bin Tengku Abdul Jalil, team manager della squadra, al centro della foto con i suoi ragazzi
Datò Seri Tengku Farok Hussin Bin Tengku Abdul Jalil, team manager della squadra, al centro della foto con i suoi ragazzi

Un sogno nato nel 2011

«In generale abbiamo una buona organizzazione – spiega Datò (abbreviamo il suo nome) – un buon lavoro di squadra. Siamo una grande famiglia composta dal top management, dallo staff, dai ciclisti… Abbiamo anche un motto: “Level up TCG”. Sali di livello. Una spinta a fare sempre meglio».

Il Terengganu Cycling Team è nato nel 2011. Quell’anno arrivano subito le prime vittorie: sei. La prima in assoluto porta una firma importantissima per il ciclismo della Malesia e forse dell’Asia intera, ed è quella di Anuar Manan, nome che dirà poco ai più, ma che riveste invece un enorme significato per la Malesia.

Manan infatti è stato il primo ed unico malese a vincere una tappa al Tour de Langkawi, la più importante corsa nazionale e tra le più storiche gare asiatiche. Corsa che noi stessi vi abbiamo raccontato nei giorni scorsi. Ancora oggi, e lo abbiamo visto con i nostri occhi, Manan è una star da quelle parti e lavora con l’organizzazione del Langkawi.

«Da allora – riprende Datò – siamo progrediti lentamente verso la vetta della classifica come miglior squadra asiatica. Ormai è da qualche anno che siamo lì e questo ci motiva molto».

Oggi, come accennavamo, Terengganu è posizionata benone nel ranking UCI, relativamente alle sue possibilità, chiaramente. Anche al Langkawi si è fatta vedere, stando spesso nel vivo della corsa e onorando le fughe. Inoltre non sono mancati dei piazzamenti nei primi dieci.

E’ chiaro che fare punti da quelle parti, per certi aspetti è più facile: il livello delle gare non è sempre elevato, ma questo vale anche per gli altri team. Alla fine i punti bisogna farli e loro ci riescono.

Il campione cipriota, Andrea Miltidias
Il campione cipriota, Andrea Miltidias

Da Manan a Miltidias

Come fanno? Qual è il loro metodo di lavoro? Come scelgono gli atleti?

«Abbiamo corridori di più Nazioni – spiega il manager – anche se il nostro obiettivo principale è quello di promuovere i ciclisti locali. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di avere anche qualche corridore straniero e abbiamo numerose richieste da tutto il mondo. Siamo molto selettivi in tal senso, così possiamo permetterci di scegliere quelli che riteniamo adatti a stare con noi».

Oltre agli atleti storici, come Mohd Saleh, che con dieci successi è il plurivittorioso storico del team, ci sono anche due atleti che sono stati nel WorldTour: l’eritreo Merhawi Kudus (Dimension Data, Astana ed EF) e l’algerino Youcef Reguigui (Team Quhbeka e Dimension Data). E recentemente si è aggiunto un cipriota. Un cipriota che ben conosce l’Italia. Parliamo di Andreas Miltiadis.

Miltiadis era un biker. Lo portò in Italia Andrea Marconi, team manager di un grande team di mtb. «Conobbi Marconi durante la Cyprus Sunshine Cup, un’importante gara a tappe offroad. C’erano grandi campioni e io arrivai quinto. Prima giocavo a buon livello nella pallamano, ma tra gli studi e il militare, smisi. Così decisi di acquistare una mtb per conto mio.

«Oggi mi segue un coach italiano, Pino Toni. Con lui stiamo portando avanti un programma di lavoro che mi consenta di passare gradualmente dalla mtb alla strada in modo definitivo».

Le cose non vanno male visto che Miltiadis ha vinto sia il titolo nazionale a crono che su strada e ha ottenuto diversi piazzamenti nei primi dieci.

Sogno professional

Sedici atleti di 6 Nazioni differenti dunque. Alla base, come abbiamo visto ieri per il JCL Ukyo di Volpi, c’è una gestione solida e snella al tempo stesso, in cui la coordinazione e il rispetto dei programmi sono alla base.

«La nostra sede – prosegue Datò – è nel Terengganu appunto, a Kuala Terengganu. Terengganu è uno stato della Malesia che sorge sulla costa orientale. Ma la maggior parte dei nostri training camp li svolgiamo in tutto il mondo: in Turchia, in Thailandia e anche in Indonesia e Australia. E’ cosi che ci incontriamo con i nostri corridori stranieri che non vivono qui. In quelle occasioni facciamo intensi allenamenti».

Come ieri abbiamo chiesto a Volpi, anche a Datò Seri Tengku Farok Hussin Bin Tengku Abdul Jalil, non abbiamo non potuto domandare di un possibile passaggio alla categoria professional. Tra l’altro da quel che ci hanno detto, il loro budget non è affatto male.

«Naturalmente – replica Datò – andando avanti vorremmo esserlo. Vorremmo andare oltre, ma tutto dipende da quanto riusciremo a sostenere la nostra squadra in termini finanziari e tutto il resto. Di certo se saremo in grado di finanziarci lo faremo».

Uno scatto dei Sukma Games, dove il Terengganu scopre molti giovani ciclisti
Uno scatto dei Sukma Games, dove il Terengganu scopre molti giovani ciclisti

Per la Malesia

«Ma come ho detto il nostro obiettivo primario è quello di portare i ragazzi della Malesia in questa squadra. Abbiamo un buon team tecnico per selezionare e trovare i corridori, un buon servizio di scouting. In Malesia le corse giovanili non mancano e poi abbiamo i Sukma Games».

Sukma Games è un evento multisportivo a cadenza biennale che coinvolge i giovani atleti di tutta la Nazione. Ci sono 14 federazioni principali, tra cui il ciclismo, e altre che entrano ed escono in base all’edizione. «Molti dei nostri ragazzi vengono da lì. Li portiamo nella nostra accademia e da lì alla prima squadra».

Baroncini e il cambio di passo grazie alla dieta di Gorka

13.10.2024
5 min
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«Il grosso passo quest’anno è stato l’essere seguito in maniera super professionale da un team valido di preparatori e nutrizionisti. Il cambio sostanziale penso sia arrivato grazie a Gorka, il nutrizionista della squadra. Ci manda delle tabelle settimanali tarate in base agli allenamenti e al consumo calorico. Alla fine questa è una parte fondamentale, in quanto ci fornisce l’energia per essere sempre in forze e mantenere il peso costante».

Queste parole di Filippo Baroncini, reduce della prima vittoria da professionista, nella nostra intervista di sette giorni fa ci hanno incuriosito. Il corridore da quest’anno in forza al UAE Team Emirates ha cambiato parecchio dal punto di vista dell’alimentazione e della nutrizione. L’artefice di tutto ciò, come ammesso dallo stesso Baroncini, è stato Gorka Prieto il nutrizionista del team emiratino. Siamo andati a chiedere direttamente a lui in che modo ha lavorato e portato il campione del mondo U23 di Leuven a un nuovo livello. 

«E’ la prima volta – dice Gorka – per stessa ammissione di Baroncini, che qualcuno lo segue in maniera così completa dal punto di vista dell’alimentazione. A inizio stagione ci siamo dati un target di peso da rispettare in base agli obiettivi che aveva nel corso dell’anno. Il primo test fatto è stata una semplice plicometria che mi ha permesso di capire i valori di grasso corporeo».

Alla base della crescita di Baroncini c’è la cura dell’alimentazione grazie alle conoscenze di Gorka il nutrizionista del team
Alla base della crescita di Baroncini c’è la cura dell’alimentazione grazie alle conoscenze di Gorka il nutrizionista del team
Qual è il target di peso deciso per Baroncini?

Tra i 76 e 76,5 chilogrammi nel momento di massima forma. Chiaramente non si può mantenere il peso costante per tutto l’anno, quindi sono state fatte delle scelte in base al calendario. Baroncini aveva come obiettivo quello di fare bene alla Vuelta e nel finale di stagione. Siamo partiti un po’ più alti per poi adattare il peso verso questi impegni. 

Come segui i corridori?

Tutti hanno un piano alimentare da seguire e tramite un’applicazione io fornisco loro un menu. In questo modo sanno cosa mangiare anche quando sono a casa. Tutto viene calibrato in base agli allenamenti e al tipo di obiettivi. Il nostro team comunica in maniera totale. 

Michele Romano, cuoco del UAE Team Emirates, ha un piano alimentare e sa cosa cucinare agli atleti durante le gare
Michele Romano, cuoco del UAE Team Emirates, ha un piano alimentare e sa cosa cucinare agli atleti durante le gare
Spiegaci meglio.

Il preparatore carica il piano di allenamenti settimanali su Training Peaks, io lo vedo e calibro cosa bisogna fare a livello nutrizionale per avere sempre la giusta dose di energie e il miglior reintegro. 

Qual è stato il primo passo fatto con Baroncini?

Fare un’intervista con lui e spiegargli il nostro metodo di lavoro. Poi abbiamo preso le misure: grasso corporeo e peso. Infine ci siamo confrontati sui suoi gusti e il metodo di alimentazione in gara. Il nostro non è un metodo che impone qualcosa all’atleta, ma lo aiutiamo seguendolo al meglio. Se un giorno preferisce il riso alla pasta, lo comunica e io cambio la tabella nutrizionale. 

La pasta viene pesata cotta e condita per garantire il giusto apporto nutritivo (foto Giallo Zafferano)
La pasta viene pesata cotta e condita per garantire il giusto apporto nutritivo (foto Giallo Zafferano)
Quanto è stato difficile integrare nel vostro sistema un corridore nuovo che non era abituato a lavorare in questa maniera?

Baroncini è un ragazzo estremamente bravo e diligente. Ha capito subito come questo metodo potesse aiutarlo a migliorare e crescere nelle prestazioni. D’altronde avere qualcuno che ti dà delle indicazioni precise su come mangiare e cosa ti permette di concentrarti al 100 per cento sull’obiettivo

Che è diverso dall’essere seguiti solamente in gara.

Decisamente. Perché poi in quei giorni sai cosa fare e ti viene detto. Poi però quando torni a casa non hai continuità nel lavoro. Il rischio più grande è che il corridore mangi meno del dovuto, arrivando vuoto e senza energie a fine gara o allenamento. 

Il gusto degli atleti gioca una parte importante nel costruire la tabella nutrizionale
Il gusto degli atleti gioca una parte importante nel costruire la tabella nutrizionale
Baroncini è un corridore “massiccio” che ha bisogno di un costante apporto di energia…

E’ un ragazzo alto e parecchio muscoloso quindi il suo fabbisogno energetico di base è più alto di quello di uno scalatore. Poi tanto dipende dal tipo di gara e di allenamento. La cosa importante è sapere quanto ha consumato all’interno di uno sforzo per regolare l’alimentazione. A inizio stagione abbiamo tenuto il peso più alto, anche se di poco. Con l’avvicinarsi degli obiettivi ho calcolato la strada giusta per arrivare al peso forma. 

La grande differenza vista?

L’alimentazione in corsa. Filippo non era abituato a mangiare tanto durante le gare, rispetto allo scorso anno integra di più.

Uno dei passi in avanti fatti da Baroncini è l’aver imparato ad alimentarsi nel modo corretto in corsa
Uno dei passi in avanti fatti da Baroncini è l’aver imparato ad alimentarsi nel modo corretto in corsa
Ha qualche richiesta o esigenza particolare?

No. In gare o allenamenti impegnativi l’apporto di carboidrati è intorno ai 120 grammi ogni ora. Lui è uno che preferisce usare le borracce, quindi integrazione attraverso i liquidi. Io sono in costante comunicazione con il nostro fornitore di integratori: Enervit, per riportare le richieste dei corridori e adattare i prodotti alle loro esigenze. 

Ad esempio?

Le famose rice cake si fanno ancora, ma con una ricetta diversa. Si usa il riso soffiato e marshmallow per avere un apporto maggiore di zuccheri. Questa soluzione risulta anche più facile da digerire in gara.

Lonardi e il peso di un velocista. Tanti tasselli per la riconferma

13.10.2024
5 min
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All’ultima edizione della Cro Race, Giovanni Lonardi ha portato a casa due secondi e un terzo posto. Tanto? Poco? Difficile dare una valutazione oggettiva considerando che per sua natura il ciclismo, più di altri sport esalta solo e soltanto il vincitore, ma nell’era del ranking e dei punti chi porta a casa piazzamenti può dirsi soddisfatto del lavoro compiuto.

L’analisi della prestazione del corridore della Polti Kometa parte proprio da questa dicotomia e dalla difficoltà nel dare un giudizio compiuto: «Effettivamente se guardo indietro alla corsa croata vedo le due facce della medaglia. Da una parte sono contento perché tre podi in una corsa di pochi giorni significano che sono sempre stato lì ai vertici. Dall’altra la mancanza di una vittoria, soprattutto per un velocista, brucia. Ma a far pendere la bilancia verso il più è la considerazione di ciò da cui venivo».

Una delle volate della Cro Race, dove il vecchio Kristoff ha fatto valere la sua esperienza
Una delle volate della Cro Race, dove il vecchio Kristoff ha fatto valere la sua esperienza
Ossia?

Avevo partecipato al Giro del Lussemburgo e sinceramente non ero andato bene, non ero rimasto contentissimo di come erano andate le cose soprattutto in relazione alla mia condizione. In Croazia mi sono espresso meglio, certamente in relazione al parco atleti al via, ma ero io a sentire le gambe girare appieno. Era l’ultima gara a tappe della stagione, volevo onorarla al meglio.

Il tema è ricorrente: tanti piazzamenti ma nessuna vittoria sono un bene o un male?

E’ difficile dare una risposta esauriente perché se guardo il totale dei punti accumulati con quei tre podi sono pari a un ottavo posto in una corsa in linea. Questa è una stortura. Dall’altra parte però è anche vero che riuscire a piazzarsi in qualsiasi corsa, con il livello ormai generale che c’è oggi, è sempre difficile, quindi io devo guardare all’andamento generale e allora posso dire che hanno un valore.

Il veronese veniva dal Giro del Lussemburgo, dal quale si attendeva molto di più
Il veronese veniva dal Giro del Lussemburgo, dal quale si attendeva molto di più
Ivan Basso ha confessato apertamente che la tua conferma, come quella di Piganzoli, sono le principali operazioni di mercato effettuate dal team per il 2025…

Lo ringrazio per questa dimostrazione di fiducia, posso dire che vengo da quella che ritengo la mia miglior stagione, con un paio di vittorie e una trentina di Top 10. Di punti ne ho portati parecchi alla causa, ma la mia intenzione è ottenerne di più il prossimo anno.

La tua è la dimostrazione che nel ciclismo attuale una squadra non può prescindere dal velocista, diventato ancora più essenziale che in passato.

E’ vero, nell’economia di un team pesa molto. I regolamenti sono sempre più legati ai punti, alla loro attribuzione, al salire o scendere di categoria. Il calendario, per com’è strutturato, garantisce a uno sprinter più occasioni che a uno scalatore, almeno quattro volte tante, fra tappe e corse in linea. Noi lavoriamo molto proprio nelle gare a tappe perché danno più occasioni. Se guardiamo nel complesso delle gare, quelle che finiscono allo sprint sono sempre una maggioranza.

La volata di Francavilla al Giro d’Italia, dove ha colto un podio di qualità dietro Milan e Groves
La volata di Francavilla al Giro d’Italia, dove ha colto un podio di qualità dietro Milan e Groves
Dicevi che questa è stata la tua miglior stagione. Qual è stato il suo momento focale?

Sicuramente il Giro d’Italia. Già alla Tirreno-Adriatico stavo andando forte e se devo essere sincero, quella condizione l’ho portata avanti quasi per tutta la stagione. E’ stato fondamentale non avere intoppi fisici e in un’annata non capita spesso. Tornando al Giro, ci sono arrivato entusiasta per i buoni risultati precedenti compresa la vittoria in Turchia. Alla fine un podio e tre Top 10 sono stati il mio bottino, ma tutto ciò si unisce anche alla soddisfazione di aver portato a termine una corsa di tre settimane che non è mai una cosa scontata e rappresenta nel suo piccolo sempre un’impresa.

Che tipo di contratto hai firmato?

Un biennale, che sicuramente rappresenta per me un traguardo, ma anche un punto di partenza. Negli anni mi ero abituato a firmare contratti annuali perché non puoi mai sapere come può andare la stagione, un infortunio può essere sempre dietro l’angolo e cambiare l’andamento. Alla Polti Kometa mi sono trovato bene sin dal mio arrivo e la proposta di un biennale è una dimostrazione di grande fiducia.

L’unica vittoria è arrivata al Giro di Turchia, Paese dove Lonraid, vincitore anche nel 2020, è una celebrità
L’unica vittoria è arrivata al Giro di Turchia, Paese dove Lonraid, vincitore anche nel 2020, è una celebrità
Uno potrebbe pensare che a questo punto puoi tirare i remi in barca…

Non sono il tipo e l’ho detto prima. E’ proprio sulla base di questa fiducia che non vedo l’ora di riprendere la preparazione, ma prima qualche giorno di vacanza è necessario per resettare tutto. Io ho intenzione di ripartire sulla base di quanto fatto in questa stagione per fare ancora di più. D’altronde al 2025 ci penseremo quasi da subito: a fine ottobre abbiamo il nostro primo incontro a Malta, per abbinare a un po’ di relax anche i test su materiali e le prime discussioni su che cosa fare per la nuova stagione. Non posso però negare che con un contratto in tasca si lavora meglio…