Tarozzi: una stagione in fuga dalla Spagna alla Malesia

25.10.2024
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1.962 chilometri dei 12.395 corsi nel 2024 visti dalla testa della corsa. Manuele Tarozzi conclude la sua terza stagione in maglia VF Group-Bardiani CSF-Faizanè con questi numeri, ai quali affianca anche due vittorie. Il corridore di Faenza è pronto per le vacanze di fine stagione, che corrispondono anche alla luna di miele, visto il matrimonio celebrato lo scorso giugno. Ma prima di partire gli chiediamo di ripercorrere insieme a noi questi 1.962 chilometri, iniziati in Spagna e terminati in Malesia. 

«Tra poche ore sarò in volo – ci anticipa Tarozzi – direzione Seychelles per andare finalmente in ferie. Torneremo il 5 novembre e dal 10 sarò di nuovo in bici, d’altronde la stagione inizia il 20 gennaio e bisogna farsi trovare pronti. Ora però mi godo due settimane senza regole e pensieri, poi si pensa al 2025».

La stagione inizia con il botto, Tarozzi (a sx) e Tonelli (a dx) in parata alla prima tappa della Valenciana dopo 155 km in testa
La stagione inizia con il botto, Tarozzi (a sx) e Tonelli (a dx) in parata alla prima tappa della Valenciana dopo 155 km in testa

Di necessità virtù

Manuele Tarozzi durante questi tre anni ha intensificato sempre di più la sua presenza nelle fughe della prima ora. Nel 2022 fu una sola alla Coppa Sabatini, l’anno dopo sei, mentre quest’anno i giorni in avanscoperta sono stati ben 16.

«Mi sono accorto al Giro del Veneto di domenica – continua – che non ho il ritmo per seguire i migliori. Mi mancano quei 5 o 10 minuti di sforzo massimale per restare con loro. Così mi sono dovuto ingegnare e ho capito che se voglio vincere devo anticipare la corsa. Qualche volta arrivo anche (dice ridendo, ndr) e devo dire che è un bel modo di fare, sia per me che per la squadra».

Tarozzi con la maglia della classifica a punti della Valenciana, conquistata dopo la prima tappa
Tarozzi con la maglia della classifica a punti della Valenciana, conquistata dopo la prima tappa
La prima fuga quest’anno è stata alla Valenciana, con la doppietta firmata insieme a Tonelli dopo 155 chilometri. E’ stata difficile?

Non direi, anzi quelle a inizio stagione sono le fughe più semplici perché arrivi fresco, riposato e libero di mente. A gennaio e febbraio la testa è sgombra da fatiche e pensieri che invece si accumulano durante l’anno. In più nei primi mesi faccio registrare valori alti, che difficilmente replico nel resto dell’anno. Quella della Valenciana è stata una giornata particolare nella quale piano piano abbiamo staccato tutti i nostri compagni di avventura. Poi ci siamo goduti l’arrivo in parata.

Anche se ad un certo punto avete sbagliato strada.

Lì è stato un errore della traccia GPX. Tonelli ha visto che doveva girare a destra, aveva la testa bassa e si è buttato. Io mi ero accorto dell’errore e l’ho richiamato, in quel momento avevamo ancora tanto vantaggio sul gruppo. Non è stato un finale thrilling, diciamo che è andata bene!

Sulle strade della Coppi e Bartali arriva la maglia verde dedicata ai GPM
Sulle strade della Coppi e Bartali arriva la maglia verde dedicata ai GPM
Poi sono arrivate le tre fughe, su cinque tappe, alla Coppi e Bartali…

Il primo giorno sono andato in avanscoperta e ho preso la maglia dei GPM, così la squadra mi ha detto di tenerla. Questo mi ha portato a cercare la fuga anche il giorno dopo per prendere altri punti. L’ultima tappa, invece, sono andato in avanscoperta per evitare brutte sorprese. Con me c’era anche il secondo della classifica dei GPM quindi me la sono dovuta sudare. Sono uscito da quella gara parecchio cotto visti i 315 chilometri in fuga sui 707 totali di gara. Però era la corsa di casa, quindi l’ho fatto volentieri. 

Dei tanti giorni passati in testa alla corsa quali sono stati i tuoi preferiti?

Quelli del Giro d’Italia. Non per sminuire le altre gare ma la corsa rosa è davvero unica. Il giorno migliore direi quello vissuto sulle strade di casa, da Riccione a Cento. Abbiamo fatto tutta la Via Emilia, e siccome le visite parenti sono ormai vietate mi sono dovuto inventare la fuga, anche se non ne valeva la pena.

Al Giro nella tappa di casa Tarozzi ha vinto la classifica dell’Intergiro
Al Giro nella tappa di casa Tarozzi ha vinto la classifica dell’Intergiro
In che senso?

Decidere di andare in fuga prevede comunque una strategia. Si cerca di uscire allo scoperto quando sai che ci sono buone chance di arrivare al traguardo. Questa cosa si impara con il tempo. Ad esempio al Giro sai che nella tappa dei muri ci sono buone occasioni, infatti quest’anno ha vinto Alaphilippe. Io lì c’ero, ma il francese è stato più forte. Tornando alla tappa di Cento si sapeva che il gruppo avrebbe chiuso, ma sulle strade di casa si doveva fare. Ma lì era una lotta per capire chi potesse andare in fuga. 

Tarozzi, sullo sfondo a destra, che sprinta per il 10° posto nella terza tappa del Tour of Istanbul dopo 70 chilometri in fuga solitaria (foto Brian Black Hodes)
Tarozzi, sullo sfondo a destra, che sprinta per il 10° posto nella terza tappa del Tour of Istanbul dopo 70 chilometri in fuga solitaria (foto Brian Black Hodes)
Spiegaci meglio.

Che in certe tappe la fuga non parte perché provano tutti, come nella tappa di Sappada al Giro di quest’anno. Altri giorni si fanno 50 chilometri senza che nessuno faccia uno scatto o un allungo. 

Tra l’altro tu eri anche in quella di Sappada…

Direi che è stata la più bella della stagione. Per tanti era l’ultimo giorno disponibile per provare a vincere, anche perché il giorno si scalava due volte il Monte Grappa e il verdetto era scritto. Così come a Roma. Quel giorno verso Sappada siamo andati via in 19. E’ la mia fuga preferita perché nonostante tutto ho ottenuto un buon undicesimo posto, che al Giro non fa mai male. 

Poi sono arrivate quelle più “esotiche” in Malesia e in Cina, lì riesci a goderti il panorama?

Quando sei in fuga meno. In gruppo puoi alzare lo sguardo una volta in più e respirare. Invece nel momento in cui sei in testa alla corsa devi pensare a come fare per arrivare per primo. La mente è impegnata a cercare strategie per fregare il gruppo. 

La giornata più dura?

In Turchia! Mi sono sciroppato 70 chilometri da solo e mi hanno ripreso solamente a 100 metri dall’arrivo (in apertura foto Tour of Istanbul). In quei momenti, a fine gara, pensi sempre che avresti potuto fare qualcosa in più: una pedalata, una curva… Ma poi ti rivedi in video e capisci che non era possibile. Di quel giorno mi rimane l’orgoglio di essere arrivato a pochi metri dal successo e la soddisfazione di non aver buttato tutto visto il decimo posto finale. Al contrario di quanto fatto in Malesia. 

In Malesia due giornate dal sapore opposto: la prima sa di beffa, la seconda (in foto) di rivincita
In Malesia due giornate dal sapore opposto: la prima sa di beffa, la seconda (in foto) di rivincita
Perché?

Nella quarta tappa ci hanno ripreso a 200 metri dall’arrivo, ma lì siamo stati ingenui. Ci siamo fermati a un chilometro dall’arrivo per guardarci. Nessuno voleva perdere e alla fine il gruppo ci ha infilato. Non ci ho dormito la notte, e sono uno che di solito chiude gli occhi presto a letto. Avevo talmente tanta rabbia che due giorni dopo sono ripartito e ho vinto, anche se per soli nove secondi. Poi ce n’è un’altra della quale sono orgoglioso.

Quale?

La vittoria in Cina, al Tour of Qinghai Lake. Nella frazione regina, la terza, sapevo di non avere il passo degli scalatori più forti. Così ho deciso di anticipare, sapevo che se fossi arrivato con un minuto o due ai piedi dell’ultima salita sarei potuto rimanere agganciato ai migliori. Così è stato. In discesa ho recuperato un po’ e nel finale me la sono giocata con Mulubrhan allo sprint. Un doppio risultato positivo: la vittoria e la maglia di leader. Il giorno dopo l’ho persa, ma quella tappa mi ha permesso di rimanere sul podio della classifica generale.

I tre anni di Pellizzari con Reverberi: una crescita esponenziale

24.10.2024
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Come è arrivato. E come se ne è andato. Con Roberto Reverberi, team manager e direttore sportivo della VF Group-Bardiani, parliamo di Giulio Pellizzari, splendida rivelazione italiana della stagione. Il marchigiano è approdato nel suo team nel 2022 e se ne è andato in questo autunno 2024. Arrivò che era un ragazzo junior con la faccia ancora da ragazzino con i brufoli ed è partito da corridore…  con la stessa faccia da ragazzino!

Una bella storia, anche dal punto di vista tecnico. Nonché un viaggio per capire come questa professional italiana abbia valorizzato l’atleta. Come ci ha lavorato. Qualche numero? Nel 2022 per Pellizzari 42 giorni di corsa pari a 5.761 chilometri di gara. Nel 2023: 58 giorni e 7.936 chilometri di gara. E nel 2024: 71 giorni di corsa e 10.610 chilometri di gara (in apertura foto di Filippo Mazzullo).

Giro della Valle d’Aosta. Estate 2022, il primo incontro con Giulio Pellizzari
Giro della Valle d’Aosta. Estate 2022, il primo incontro con Giulio Pellizzari
Roberto, qual è il primo ricordo che hai di Pellizzari?

Giro della Valle d’Aosta 2022. Io di solito non seguo il gruppo dei giovani, lo fa Rossato. Ma Mirko non c’era e così per qualche giorno andai io al seguito di quella corsa. Lo vidi dal vivo e quando tornai ne parlai con mio padre e gli altri. Dissi loro: «Sapete che questo ragazzo diventerà un corridore buono?». Anche perché Giulio aveva appena fatto gli esami, non era preparato benissimo per quel livello di corse e di avversari. Invece si comportò benone: andò in fuga, tenne la maglia dei Gpm per più di qualche giorno e in salita, quando restavano in 10-12, lui c’era. E di quel drappello faceva parte gente come Martinez e Gregoire che stanno facendo bene tra i professionisti.

In effetti, lo ricordiamo anche noi: un ragazzo giovanissimo, ma anche spigliato ed educato…

Anche gli altri ragazzi che abbiamo preso adesso sono ragazzini. Li vedi proprio che sono immaturi, che sono acerbi. Ma è normale. Li andiamo a prendere tra gli juniores. Dobbiamo muoverci così, altrimenti i devo team te li portano via.

Se ti volti indietro, Roberto, cosa vedi di quel che gli avete lasciato?

Gli abbiamo trasmesso la nostra esperienza. E’ anche vero che i ragazzi come Pellizzari sono talmente giovani che è tantissimo quello che devono imparare. Per loro è tutto nuovo. E cose che noi diamo per scontate, scontate non sono.

Il marchigiano (classe 2003) è amatissimo dal pubblico… anche quello più giovane
Il marchigiano (classe 2003) è amatissimo dal pubblico… anche quello più giovane
Quanto è cresciuto Giulio in questo triennio?

Tanto. Tanto e in poco tempo. Quest’anno aveva fatto un gran bel salto prima del Giro d’Italia e un altro ne ha fatto dopo. Aver finito la corsa rosa in quel modo, cioè andando forte nella terza settimana, è molto importante. Tanto più che lui era stato male. Era stato ad un passo dal ritiro. Poi invece nel finale è stato in fuga, ha ottenuto due piazzamenti e quelli sono stati giorni duri. Il recupero dopo la malattia e la terza settimana corsa in quel modo sono stati due segnali davvero positivi per il resto della sua carriera.

E dopo il Giro?

Il Giro gli ha dato una marcia in più e si è visto subito allo Slovenia. Un altro corridore, un’altra gamba, un’altra personalità. Poi in estate ha recuperato bene e si è visto un cambiamento esagerato. E ha ancora margine. Certo, a volte corre male. Corre d’istinto, va frenato. Anche al Lombardia in qualche frangente si è fatto vedere troppo. Nelle interviste dopo gara ha detto: «Oggi ho corso per il piazzamento e non per lo spettacolo». Fermo lì: «Per lo spettacolo ci corre Pogacar, tu pensa a stare buono e davanti finché puoi». Ma alla fine è andato bene. Se non avesse avuto i crampi sarebbe entrato nei primi dieci e in una corsa di 260 chilometri a fine stagione. E a 21 anni appena fatti, non è cosa da poco.

C’è qualche volta in cui ti ha fatto arrabbiare?

Eccome… tutte le volte che non ascoltava, quando correva in modo azzardato, senza pensare. Poi mi rendo conto che questi ragazzi sono talmente giovani, che è anche giusto che sbaglino. L’importante è che capiscano perché hanno sbagliato e non lo facciano la volta successiva. L’ultima volta che Pellizzari si è preso delle “belle” parole è stato al Giro dell’Emilia. Gli avevo detto di stare fermo fino alla fine e invece si è mosso al penultimo passaggio sul San Luca. A quel livello, con quei corridori hai una cartuccia sola. E lui se l’era già giocata. E’ arrivato terzo Piganzoli, poteva riuscirci anche Giulio.

E invece quando ti ha colpito in positivo?

Nei primi 10 chilometri del secondo passaggio sul Grappa – dice secco Reverberi – io ne ho avuti di corridori forti in salita, ma a fare quei numeri ne ho visti pochi. Giulio andava forte davvero ed era in fuga da tanto. E la conferma il giorno dopo me l’ha data Baldato (diesse della UAE Emirates di Pogacar, ndr): «Il vantaggio non scendeva, abbiamo dovuto mettere davanti Majka per far calare il distacco». Se fosse arrivato ai tre chilometri dalla vetta con quei 2’30” neanche Pogacar lo avrebbe ripreso. E poi, ripeto, mi è piaciuto il suo Lombardia: guardate che non è stato banale fare quella prestazione.

Giro d’Italia 2024, sul Monte Grappa Giulio Pellizzari fa segnare una prestazione eccelsa
Giro d’Italia 2024, sul Monte Grappa Giulio Pellizzari fa segnare una prestazione eccelsa
Secondo te ha dei margini?

Certo che ha margini. E non pochi. Anche fisicamente deve formarsi del tutto, per questo dico che ne ha. Può correre meglio e immagino che adesso investirà del tempo anche a crono. Noi non avendone la necessità, non lo abbiamo mai fatto lavorare troppo in questa specialità. Aveva la bici a casa, ma è chiaro che ora ci lavorerà diversamente. Invece un’aspetto su cui deve migliorare un po’ è l’approccio alle salite lunghe. Se ci fate caso lui paga un po’ il primo cambio di ritmo. Ci mette un po’ a carburare. Si sfila. Poi risale e magari ti stacca anche. Ma credo che questa cosa sia fisiologica e migliorerà con il tempo. 

Roberto, hai parlato della sua crescita in generale. Ma in cosa secondo te è cresciuto di più?

In tutto, anche in discesa. Dico la discesa perché ripenso al Tour of the Alps dell’anno scorso, quando di fatto fu recuperato in discesa. Fu messo un po’ sotto torchio sotto questo aspetto. Lo criticarono. Adesso invece va forte anche lì. Giulio in discesa ci sa andare e se piove è ancora meglio. Mi ha detto: «Quando piove mi sento più sicuro perché gli altri vanno più piano». Merito, lasciatemelo dire, anche dei nostri buoni materiali. Ma davvero è migliorato sotto ogni aspetto.

In questi tre anni, come avete accompagnato la sua crescita. Cosa ci avete messo del vostro?

Io credo la gestione delle corse che gli abbiamo fatto fare. Al primo anno Giulio ha fatto quasi solo gare under 23. Se poi vediamo qualcuno come lui che è già più pronto lo buttiamo anche tra i pro’. Con Giulio abbiamo fatto un primo vero salto l’anno scorso, quando lo portammo al Tour of the Alps. Nonostante andò bene poi lo abbiamo fatto correre di nuovo tra gli under 23. Certe esperienze fanno bene, ti danno consapevolezza, gamba, ma al tempo stesso servono anche a farti “abbassare le orecchie” per capire quanto ti manca per stare a certi livelli.

Veneto Classic: ultima gara di Pellizzari con la VF Group-Bardiani
Veneto Classic: ultima gara di Pellizzari con la VF Group-Bardiani
Pellizzari passerà alla Red Bull-Bora Hansgrohe: se tu fossi il suo diesse il prossimo anno…

Gli darei campo libero – ci anticipa Reverberi – spero che non gli facciano fare solo il gregario. Lo porterei al Giro e appunto gli lascerei il suo spazio. Non lo metterei solo a tirare. Ma credo che ce lo portino. Ho chiesto a Giulio se sapesse già qualcosa dei suoi programmi 2025, ma mi ha detto che ancora dovevano farli.

Pellizzari ti ricorda qualche corridore che hai avuto?

Un po’ Ciccone, ma Pellizzari almeno in salita è più forte. E poi ha più margini rispetto al Ciccone che andò da noi via all’epoca. Credetemi, Giulio migliora di mese in mese!

Cosa gli hai detto al termine della Veneto Classic, l’ultima corsa con la VF Group-Bardiani?

Gli ho detto in bocca al lupo per il resto della carriera. Lui mi ha abbracciato, si è un po’ commosso… e anche io. Alla fine è stata una bella storia e fa piacere vederli poi raggiungere certi risultati. Vedere Ciccone in maglia gialla o Colbrelli vincere la Roubaix. Così come fa piacere vedere che alle corse i corridori che sono stati da noi vengono a prendersi il caffè al nostro bus. Vuol dire che sono stati bene.

A tutta strada, Paletti mette da parte il ciclocross

16.10.2024
4 min
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MIRI (Malesia) – La stagione del ciclocross è iniziata e subito i grandi, ad ogni livello e di ogni Nazione, se le sono date. Tra di loro però quest’anno non vedremo Luca Paletti. La speranza azzurra del ciclocross si dedicherà in modo più specifico alla strada.

Paletti fa parte del progetto giovani della VF Group-Bardiani e chiaramente il focus del team dei Reverberi è l’attività su strada. Okay il cross, ma fino ad un certo punto.

Abbiamo intercettato Paletti in Malesia, durante il Tour de Langkawi. Era in buona condizione e si è messo a disposizione dei compagni, in particolare del velocista, Mattia Pinazzi.

Luca Paletti (classe 2004) quest’anno ha fatto 61 giorni di corsa, 10 in più dell’anno scorso e con più corse a tappe
Luca Paletti (classe 2004) quest’anno ha fatto 61 giorni di corsa, 10 in più dell’anno scorso e con più corse a tappe

Alti e bassi

Mentre il monsone imperversava e ci si riparava sotto ad uno stand, Paletti ha raccontato la sua annata, la seconda da professionista.

«E’ stata una stagione ricca di corse – ha detto il classe 2004 – ho fatto più gare dell’anno scorso. La prima parte di stagione è andata come volevo. Ho ottenuto qualche buon piazzamento al Giro d’Italia Next Gen e quindi sono contento.
«Dopo è stata una stagione un po’ in calo, ma piena di esperienze. Ho fatto gare e viaggi bellissimi. Ho fatto più competizioni con i professionisti, con i grandi del gruppo».

E qui un po’ Paletti ci sorprende. L’emiliano sostiene che tutte queste differenze tra le gare under 23 e quelle con i pro’ lui non le ha notate.

«Diciamo che anche negli under ormai non si scherza più. E non si scherza anche perché nelle gare che facevamo c’erano tutti i devo team delle WorldTour e sembrava di correre una gara di quel livello. Se proprio dovessi dire una differenza, direi che qui tra i pro’ bisogna limare un po’ di più perché vanno un pelo più forte. Ma alla fine è qualcosa che viene da sé. Sei quasi costretto a farlo. Mentre il caos in gruppo ormai è lo stesso, anche perché tra i professionisti c’è tanta gente giovane e giovanissima».

L’emiliano era una buona speranza per la nazionale di Pontoni
L’emiliano era una buona speranza per la nazionale di Pontoni

Stop cross

Paletti è un corridore potente. Non è ancora tiratissimo, la gamba non è super definita e non manca qualche brufolo giovanile sul volto. Insomma, si vede che ha ampi margini. In tal senso il tempo è dalla sua – ricordiamo che ha compiuto 20 anni a giugno – ma in questo ciclismo che corre, come ci diceva anche il suo direttore sportivo, Alessandro Donati, occorre cambiare marcia. E occorre cambiarla anche con relativa fretta. Per questo niente cross.

«Quest’anno penso di non fare gare di ciclocross. E’ una decisione presa insieme alla squadra: proviamo a fare un’annata con un inverno di riposo vero. Un riposo che servirà per prepararmi bene per la stagione successiva su strada.

«Ho deciso così non tanto perché ho sentito il peso della stagione del cross l’anno scorso, ma perché voglio concentrami di più sulla strada. E soprattutto voglio impostare per la prima volta una vera preparazione specifica per la strada, con il riposo, la ripresa…».

E questo punto di vista ci può stare. Alla fine anche Donati spiegava come il cross, almeno arrivati a questa età, può darti sì qualcosa in più all’inizio della stagione, ma poi il conto arriva. E arriva perché forse mancano determinate basi. E vale anche il contrario. Per assurdo sarebbe meglio fare qualche gara di cross appena terminata la stagione su strada, sfruttando la buona condizione. Ma poi a che fine?

Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)
Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)

Rovescio della medaglia

Se il discorso della preparazione e del recupero tiene, e anche bene, c’è poi il discorso dei fuorigiri che ti dà una disciplina come il cross. Un discorso che nel corso dell’anno tante volte abbiamo chiamato in causa con la nostra ciclocrossista numero uno, Silvia Persico. Mancheranno queste sparate anche a Paletti?

«Io – dice Luca – credo che più che le sgasate, mi mancherà un po’ di abilità in bici. Le sgasate tra gare e allenamenti puoi riprodurle. E per questo credo che se anche non farò gare di ciclocorss qualche allenamento con quella bici lo farò. Magari nel giorno di scarico inforcherò la bici da ciclocross e mi divertirò a guidare e a tenere vive certe sensazioni».

Viggo: la pressoterapia di Wepere al servizio di Pellizzari e compagni

04.10.2024
3 min
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Wepere, acronimo di Wellness, Performance e Recovery, è un'azienda che cura, sviluppa e progetta dispositivi elettromedicali che rispondono alle esigenze degli sportivi. Tra i professionisti che scelgono Wepere ci sono i corridori della Vf Group-Bardiani. Fra i prodotti di punta c'è Viggo, un dispositivo di pressoterapia sportiva che accelera il recupero muscolare, prevenendo crampi e disturbi fisici, essenziale per mantenere le prestazioni al massimo.

MISANO ADRIATICO – Il recupero è una parte fondamentale nel momento in cui si vogliono aumentare le prestazioni. Non conta solamente l’allenamento e spingere sui pedali, ma anche la parte in cui si ricaricano le energie e si riposa. Tra le diverse realtà che sviluppano dispositivi per il recupero c’è Wepere, acronimo di Wellness, Performance e Recovery. Azienda che cura, sviluppa e progetta dispositivi elettromedicali che rispondono alle esigenze degli sportivi. 

Tra gli atleti professionisti che utilizzano regolarmente i prodotti di Wepere ci sono i corridori della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè. Quest’ultimi hanno sfruttato le qualità dei sistemi offerti dalla realtà italiana per lottare ogni giorno in competizioni di alto livello, come il Giro d’Italia

Ecco a voi Viggo

Viggo è un prodotto per pressoterapia sportiva che accelera il recupero muscolare e questo è utile per evitare l’insorgenza di problematiche fisiche come crampi o altri fastidi. Ce lo presenta Valentina Mingardo, product manager di Wepere

«LViggo lvora sulla circolazione sanguigna – spiega – mantenendo efficiente il ritorno venoso e linfatico. Permette di smaltire tutti gli scarti del metabolismo muscolare tra cui l’acido lattico e di andare a vascolarizzare. Portando così una minor pressione sui muscoli, aiutando il ciclista a rilassarsi, donando la sensazione di gambe più leggere. 

«Una bella novità riguardo Viggo – continua Valentina Mingardo – è che funziona a batteria. Noi di Wepere abbiamo pensato di eliminare quindi prese di corrente. Una richiesta che i corridori fanno da tempo e finalmente arrivata sul nostro prodotto di punta. Viggo diventa il sistema da portare comodamente in giro e da utilizzare in ogni momento, visto che la batteria dura fino a quattro ore».

Viggo funziona tramite una batteria, così da essere portato comodamente in giro
Viggo funziona tramite una batteria, così da essere portato comodamente in giro

Il funzionamento

Un prodotto come Viggo, pensato per atleti professionisti o per chi pratica sport ad alto livello, deve essere facile da utilizzare e immediato. Non sempre è possibile adoperare le tecniche di recupero dove si vuole, ci si deve anche arrangiare, ad esempio si può iniziare a lavorare sul bus, appena finita la tappa. 

«I gambali si collegano facilmente al dispositivo – dice Mingardo – tramite dei connettori e in pochi secondi si è pronti per il trattamento. Le modalità di gonfiaggio sono tre a seconda delle esigenze: recupero muscolare, defaticamento e migliorare la circolazione. Durata e pressione della terapia si possono modificare tranquillamente. 

La pressione raggiunta arriva fino a 200 millimetri di mercurio – conclude la product manager di Wepere – un dato anche questo richiesto dagli atleti per avere una maggiore efficacia nel trattamento. La cosa importante è che il massaggio non sia mai né doloroso né fastidioso. Alcuni atleti, però, ricercavano una sensazione più forte che con il prodotto precedente non sempre riuscivamo a soddisfare. E’ possibile, inoltre, lavorare su una sola zona, ad esempio quella del polpaccio o del quadricipite».

Wepere

Finale al cardiopalma. La fuga e Tarozzi battono il gruppo

04.10.2024
6 min
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KULAI (Malesia) – Si può essere al mondiale o ad una corsa all’Equatore, ma la lotta tra la fuga e il gruppo per contendersi la tappa è sempre da mangiarsi le unghie. Sul filo dei secondi. E’ adrenalina pura e a chi ama e conosce nel profondo questo sport esalta tante sottigliezze tecniche e tattiche. Se poi a vincere è un italiano, allora tutto è più potente. E oggi ha vinto Manuele Tarozzi.

Questa frazione del Tour de Langkawi era forse la meno indicata per l’arrivo allo sprint: tappa piatta e corta, che si snodava fra vaste coltivazioni di palme e rettilinei infiniti. Si partiva da Batu Pahat poco dopo l’alba in quanto è venerdì, la nostra domenica, e all’ora di pranzo gran parte della popolazione deve recarsi in Moschea per la preghiera grande della settimana. Pertanto meglio anticipare.

E per dirla tutta, si partiva presto anche perché l’intera carovana doveva spostarsi nel Borneo, isola ancora più a Sud per metà Indonesia. Un aereo attendeva prima gli atleti, poi i giornalisti e tutti gli altri.

Tutto studiato

Ricordate? Qualche giorno fa pubblicammo una foto in cui Alessandro Donati, direttore sportivo della VF Group-Bardiani consolava proprio Tarozzi e gli diceva: «Tranquillo, se corri così prima o poi la vittoria arriva». Oggi quello stesso abbraccio era di gioia. «Te lo avevo detto che sarebbe arrivata!».

«Noi non abbiamo l’uomo di classifica – continua Donati – e dovevamo provarci. Tutti i giorni all’attacco. Oggi abbiamo programmato tutto nel dettaglio. I tratti ondulati nel finale, la difficoltà nel controllare la corsa… E anche l’averne messi due in fuga su quattro non è stato casuale. Gabburo doveva tirare un po’ di più e far risparmiare qualcosa a “Taro” che è più veloce».

E lo stesso Davide Gabburo conferma tutto dopo il traguardo: «Io mi sono staccato ai meno 10, perché su uno strappetto non ne avevo proprio più. Abbiamo tirato fortissimo tutto il giorno, sempre sopra ai 50 all’ora. Ho cercato di far limare un po’ di più Tarozzi, così che arrivasse più fresco nel finale. Direi che abbiamo fatto un bel lavoro. E’ andata bene così!».

Questa è zona di coltivazioni di olio di palma. Siamo nel lembo meridionale della Malesia continentale. Tra poco si va nel Borneo
Questa è zona di coltivazioni di olio di palma nel lembo meridionale della Malesia continentale. Tra poco si va nel Borneo

Tattiche e controtattiche

Parte quindi questa tappa particolare: 123 chilometri da fare in un sol boccone. La media della prima ora è da capogiro: 50,7 orari. Alla fine sarà la quarta frazione più veloce della storia della corsa malese. Il finale è leggermente ondulato, ma sempre velocissimo. La fuga guadagna 2’30” e davanti ci sono passisti che spingono. Gente che sa prendere aria: Stefan De Bod, al terzo giorno di fuga, Gabburo, Tarozzi e il bravo svizzero della Corratec-Vini Fantini, Valentin Darbellay.

Ai meno 30 il gruppo guadagna, ma davanti non crollano. Anzi, come si usa fare ora, accelerano un po’. Stavolta l’Astana-Qazaqstan non tira, che il lavoro lo faccia la Tudor Pro Cycling di De Kleijn, che è lo sprinter più forte. Non sia mai che i turchesi tirino e a vincere sia poi l’olandese. 

E ancora: il livello generale non è super e se davanti ci sono quattro passistoni, basta un team importante che non tira che chiudere diventa complicato. Non basta un uomo di un team, uno di un altro… Questi giochi di potere vanno a vantaggio dei fuggitivi. I quali a loro volta giocano ottimamente le loro carte.

Il cuore che batte

«Stavolta – racconta Manuele Tarozzi dopo il traguardo – non volevo assolutamente che si ripetesse quello che è successo due giorni fa a Bentong, quando proprio io e Stefan De Bod ci siamo guardati nell’ultimo chilometro e il gruppo ci ha ripreso nel finale. Quella notte non ci ho dormito. Non volevo rimpianti. E infatti ci siamo parlati. Piuttosto facciamo secondi, ma si deve arrivare. Lui è fortissimo. In fuga tira come “una bestia”».

E’ un tira e molla di secondi e chilometri: 8 chilometri al traguardo e 30”, 6 chilometri e 25”, 2 chilometri e 18”. 

«Negli ultimi 10 chilometri – dice Tarozzi – abbiamo visto che il vantaggio era ancora buono e così abbiamo preso più fiducia e abbiamo accelerato ancora un po’. Da quattro siamo rimasti in due. Anche per merito di Gabburo avevo qualche cosina in più di De Bod nelle gambe. Lui è partito lunghissimo. Io ho risposto bene e ai 300 metri ho lanciato la mia volata. Una volata a due è sempre un po’ particolare… ma è andata bene».

Una volata che ai 100 metri era già finita. Tarozzi ha avuto tutto il tempo di voltarsi per controllare e per esultare, mentre il gruppo arrivava a tutta velocità. Anche se con ben 9” secondi di distacco. Un dato che la dice lunga su quanto davanti siano andati forte.

Il finale era velocissimo. Tendeva a scendere e guarda caso, molte corone da 54 denti viste nei giorni scorsi si sono trasformate in 55. De Kleijn addirittura oggi aveva una monocorona aerodinamica da 56 denti. Ma non è bastata. Dopo l’arrivo era piuttosto nervoso. 

L’arrivo di Tarozzi che si volta prima della linea d’arrivo. Dietro si vede il gruppo, ormai spacciato
L’arrivo di Tarozzi che si volta prima della linea d’arrivo. Dietro si vede il gruppo, ormai spacciato

Tarozzi solido

La nota positiva, oltre alla vittoria di Manuele Tarozzi e di una squadra italiana, è il fatto che questo ragazzo sta continuando a maturare. Lui, e lo abbiamo scritto più di una volta, appartiene a quella schiera di atleti che non è passata presto, né è nata con le stigmate del campione. Quel che ha ottenuto se l’è dovuto sudare.

«Adesso sono più consapevole – ci ha detto Tarozzi – in fuga mi trovo bene… ma servono le gambe per andarci, non basta dire che ci si è portati. Quest’anno ho fatto il Giro d’Italia ed è vero che ti cambia. Non tanto perché ti fa spingere quel dente in più, ma per il recupero. E recuperando prima, col passare delle tappe vai meglio. Come proseguirà la mia stagione? Probabilmente finirò con questo Tour de Langkawi. Se così non fosse ci potrebbe essere una corsa in Italia, di quelle in Veneto, ma vedremo».

Ora è tempo di godersi la vittoria. Tra l’altro la seconda in Asia e la seconda quest’anno, ottenuta proprio nella “vicina” Cina al Qinghai Lake, anche lì dopo una lunghissima fuga.

Pellizzari: il “bimbo” è pronto a diventare uomo

16.09.2024
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MISANO ADRIATICO – Il sorriso di Giulio Pellizzari nel mezzo della confusione dell’Italian Bike Festival ti fa capire quanto siano vivi i suoi ventuno anni. Parla con tutti, nella musica e nel divertimento trova la sua dimensione. Tanti corridori quando passano da queste fiere, per incontrare sponsor e gente, hanno la faccia di chi non vorrebbe mai essere lì. Pellizzari invece ha l’entusiasmo della novità e della gioia di stare insieme a chi sta imparando a conoscerlo: il pubblico del ciclismo.

Lo stand di Wepere diventa, per una decina di minuti, il teatro di incontro con il giovane della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè. L’anno prossimo lascerà il nido di chi lo ha preso e fatto diventare grande, la famiglia Reverberi. Lui si gode le ultime gare di una stagione che fino ad ora è stata lunga e intensa. 

«Il 2024 – dice ridendo – è partito presto e ancora deve finire, però è stato gestito a blocchi. Ho corso in maniera intensa fino al Giro d’Italia, poi ho fatto Slovenia, campionato italiano e Giro d’Austria. Al Limousin, ad agosto ho ripreso a correre ma alla terza tappa mi sono ritirato perché sono stato male. Il Giro del Friuli, corso a inizio mese serviva per mettere ritmo nelle gambe in vista del finale di stagione. Ora mi aspettano il mondiale under 23, Agostoni, Emilia e Lombardia».

All’IBF Pellizzari ha parlato e scambiato sorrisi con tutti coloro che lo fermavano
All’IBF Pellizzari ha parlato e scambiato sorrisi con tutti coloro che lo fermavano
Hai corso spesso tra gli under 23 e poi tra i professionisti, com’è stato “salire e scendere”?

E’ stato bello. Sono uno che non si fa problemi a “tornare indietro”, non mi demoralizzavo perché andavo a correre con gli under. Anzi, per me era uno stimolo per provare a vincere, poi non ci sono ancora riuscito, ma è stato utile in vista della mia crescita. 

Ti sei piazzato spesso nei primi 10, in corse diverse passando dall’ottavo posto del Recioto al secondo al Giro.

Al Giro d’Italia ho trovato davvero quello più forte di me. Nella altre corse mi è mancata la cattiveria nell’ultimo chilometro. Anche al Friuli ero il favorito, avevo staccato tutti in salita, ma poi negli ultimi mille metri manca l’istinto. Il problema è che quando arrivo a capire che mi gioco la vittoria vado nel “panico”. Al Giro non ci ho mai pensato, era quasi troppo grande come cosa. 

La gare tra gli U23 (qui al Recioto) servivano per imparare a giocarsi la vittoria
La gare tra gli U23 (qui al Recioto) servivano per imparare a giocarsi la vittoria
E’ un fattore mentale che negli anni ti è mancato?

Esattamente. Non sono mai stato abituato a vincere quindi da piccolo fino allo scorso anno avevo un solo obiettivo: dimostrare di essere il più forte, non di vincere. 

Cosa cambia?

Per me la cosa più importante è stata dimostrare di essere il più forte, poi magari non vinco. Da piccolo ero scarso, per me l’obiettivo era far vedere di essere forte. Anche ieri (il riferimento è al Memorial Pantani, ndr) per me la gara finiva in cima alla salita. Andavo a tutta e quando mi sono girato e avevo tolto tutti i forti di ruota io ero a posto. Al Friuli uguale, volevo staccare in salita Torres che due settimane prima aveva vinto l’Avenir con grandi numeri. 

Al Giro la dimostrazione che le qualità ci sono, ora serve lo step mentale
Con il senno di poi non fare l’Avenir ti è dispiaciuto?

Ora sì. Prima no. La stagione sarebbe cambiata un poco, ma il fatto che Torres e Widar siano andati forte mi avrebbe stimolato molto. Correre tra gli under serve per imparare a vincere. Al Friuli mentre ero con Nordhagen la motostaffetta mi diceva: «Hai vinto, dai che è tua». Alla fine non ho vinto, sale la pressione e bisogna convivere con quella. Al Giro non c’era, ero esordiente. 

Dall’anno prossimo crescerà la pressione, non sarai più il giovane da scoprire, gli altri ti guarderanno. 

Sono contento di questo, è una sfida che mi stimola e mi piace. 

Pellizzari vuole diventare l’idolo dei bambini, chissà se un giorno sarà lui a regalare la maglia rosa a un giovane promettente
Pellizzari vuole diventare l’idolo dei bambini, chissà se un giorno sarà lui a regalare la maglia rosa a un giovane promettente
Come ti senti nel lasciare la squadra che ti ha fatto diventare grande?

Alla Bardiani mi sono trovato bene, quindi non sarà facile lasciarla. Però credo sia un passo fondamentale, sarà tutto nuovo e vedremo come. In questi tre anni ho fatto tutto quello che dovevo fare, è il momento di aprire le ali.

Cosa ti mancherà di più?

La spensieratezza che c’è in squadra. 

Con il senno di poi il marchigiano si è detto dispiaciuto di aver rinunciato all’Avenir dopo il 2° posto del 2023
Con il senno di poi il marchigiano si è detto dispiaciuto di aver rinunciato all’Avenir dopo il 2° posto del 2023
Dall’altra parte qual è lo stimolo maggiore?

Provare a diventare il corridore che è l’idolo dei bambini. Dal 2025 mi sento di poter dire che da grande farò il ciclista, prima ci pensavo e non ci pensavo, ora ci credo. 

Avevi l’occasione di fare il mondiale anche con i pro’?

Ero nella lista di Bennati, aspettavamo queste gare in Toscana per decidere cosa fare. Non sono andate come speravo, dalla Vuelta sono usciti tanti nomi forti. Ieri (sabato, ndr) mi ha chiamato Amadori, il cittì della nazionale under 23, e mi ha chiesto cosa volessi fare. Lui mi ha detto che se avessi scelto il mondiale under mi avrebbe messo sicuramente in squadra e avrei corso. E’ il primo mondiale, c’è emozione. 

Un giro tra i pensieri

Alla fine della chiacchierata chiediamo a Pellizzari di fare un giro di pista in sella alla sua De Rosa. I ragazzini lo riconoscono, lo fermano e gli chiedono se sia davvero lui. Giulio sorride e pedala con loro con la naturalezza che speriamo rimanga invariata. Il resto sono parole che scorrono, il mondiale, la stagione che finisce e cosa si aspetta dal confronto con la nuova realtà della RedBull-Bora-Hansgrohe. Pensieri che meritano forse un approfondimento, ma avremo tempo nei prossimi giorni, o mesi.

E Pozzovivo come sta? Entusiasta e pronto per il gran finale

27.08.2024
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Parlare con Domenico Pozzovivo è sempre coinvolgente. Il lucano non è mai banale e, a quasi 42 anni, ha l’entusiasmo di un novellino, ma con la sapienza degna di un’enciclopedia. Lo avevamo lasciato sul rettilineo dei Fori Imperiali, quando il gruppo, Roma e il Giro d’Italia gli resero omaggio. Ma come è andata da allora? 

Il corridore della VF Group-Bardiani sta preparando il finale di stagione, e di carriera. Lo attendono sei gare in due blocchi: Gp di Larciano, Giro di Toscana e Memorial Pantani a settembre. Giro dell’Emilia, Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia ad ottobre.

A Roma il Giro d’Italia rende omaggio a Pozzovivo (classe 1982)
A Roma il Giro d’Italia rende omaggio a Pozzovivo (classe 1982)
Domenico, ci eravamo lasciati al Giro, anche se poi avevi tirato lungo fino allo Slovenia. Come sono andate le cose da allora?

Più che tirare lungo è stato uno “stop&go”. Dopo il Giro infatti ho avuto la polmonite, uno strascico del Covid che avevo preso in gara. Sono stato una settimana fermo e a prendere gli antibiotici. E infatti poi in Slovenia sono andato inaspettatamente bene. In ogni caso dopo l’italiano mi sono fermato. Volevo recuperare bene, anche perché poi prima di tornare alle corse ci sarebbe stato abbastanza tempo.

Chiaro…

Il Giro dell’Appennino a luglio è stata più che altro una parentesi celebrativa. Successivamente sono andato all’Arctic Race, che è stata una bella sorpresa. Al rientro ho recuperato un po’ e quindi sono salito dieci giorni in ritiro sullo Stelvio. Devo dire di aver trovato un bel caldo anche lì e parecchio traffico sotto Ferragosto, ma sapevo come evitare le strade più caotiche.

Come stai? Come sono i valori?

I valori sono buoni, ma non sono quelli che avevo prima del Giro. Ma ho ancora due settimane per metterli su e vederli sul computerino! Io purtroppo ho questi strascichi post Covid molto lunghi, ma i 2-3 mesi canonici ormai sono passati.

In Slovenia ottime prestazioni per il lucano che ha chiuso quarto nella generale
In Slovenia ottime prestazioni per il lucano che ha chiuso quarto nella generale
E come ce li metti nelle gambe? Anzi, nel computerino!

Sostanzialmente facendo brillantezza. Già per il solo fatto di essere stato lassù e aver fatto salite lunghe è normale che non siano altissimi. Scendendo di quota le cose dovrebbero migliorare. In più si riduce il minutaggio dei lavori e si insiste un po’ sull’intensità. Cercherò di arrivare alla performance massima “a pezzi”, magari stando qualche minuto al di sopra dei valori di riferimento sui 20′. Comunque la parola d’ordine è brillantezza.

Prima hai parlato dell’Arctic Race, come sorpresa. E’ stata un’esperienza nuova…

In realtà volevo fare anche Hainan, in Cina (dove stamattina Jakub Mareczko ha vinto la prima tappa, ndr). Anche quello non l’avevo mai fatto. Solo che poi non c’era la tappa in salita che credevamo, il percorso non era per nulla adatto a me e non sono andato. Lo spirito della scoperta non l’ho perso! Dall’Arctic Race non mi aspettavo nulla di preciso dalla gara, anche questa non troppo idonea alle mie caratteristiche, ma è stata una bella sorpresa: scenari diversi, un buon clima, anche troppo caldo per quelle latitudini. Poi è stata vissuta bene proprio la trasferta. Le tappe partivano abbastanza tardi, quindi la mattina ci vedevamo le varie qualificazioni delle Olimpiadi, facevamo la nostra corsa e la sera di nuovo le Olimpiadi in tv con le finali dell’atletica. L’unica cosa negativa è stata che la valigia mi è arrivata il penultimo giorno. Mi sono dovuto arrangiare a lavare i panni ogni volta!

Il “Pozzo” all’Arctic Race tira il gruppo pedalando lungo il fiordo. Si può essere debuttanti anche a 41 anni suonati
Il “Pozzo” all’Arctic Race tira il gruppo pedalando lungo il fiordo. Si può essere debuttanti anche a 41 anni suonati
Quindi viva la vecchia regola degli scarpini nello zaino da portare nella cabina dell’aereo…

Esatto. Lo stretto necessario ce lo avevo. Poi è anche vero che il ciclismo attuale ci vizia. Mi mancava la “copertina di Linus”, tipo quegli integratori personali, quella maglia… ma avevo tutto. E’ che con il caldo che davano le previsioni, avevo deciso di portare i miei sali minerali e non li avevo. Un giorno sono andato a fare un giro e in un supermarket locale ho trovato un “super food”. In pratica era una sorta di pesce azzurro secco. Ho guardato i nutrienti e ho visto che era valido. L’ho preso, ma quando l’ho aperto i miei compagni non sono rimasti contenti!

Possiamo immaginare…

Il gusto non era neanche malaccio, ma l’odore non era il massimo. Sapeva di pesce un po’ malandato. Ma a livello nutrizionale lo consiglio: 60 grammi di proteine ogni 100 di prodotto.

E della Norvegia cosa ti è parso?

Selvaggia. Si aveva l’impressione di essere in montagna pur stando al livello del mare. C’era anche un stazione sciistica… a 300 metri di quota. Magari facevi 100 chilometri e il fiordo ti seguiva, oppure te lo ritrovavi al di là di una collina. E poi lo spettacolo delle maree, come entravano ed uscivano dal fiordo. Davvero comprendi la forza della natura.

Dall’entusiasmo con cui racconti, non sembri uno che sta per smettere. Perché smetti questa volta, giusto?

Sì, sì basta! L’entusiasmo e gli stimoli non mancano. Il motivo per cui smetto è l’età chiaramente e il rischio che comporta il ciclismo. Continuare sarebbe un po’ come cercarsela… A me non capita mai di non avere voglia di andare in bici o di trascinarmi perché devo. Voglia di allenarmi e correre ci sono sempre.

Giro di Lombardia 2011: Zaugg scatta e dietro c’è proprio Pozzovivo
Giro di Lombardia 2011: Zaugg scatta e dietro c’è proprio Pozzovivo
E ora si profilano queste sei gare. Ce ne sono alcune che senti in modo diverso?

Indubbiamente l’Emilia e il Lombardia. All’Emilia nel 2022 feci il podio lottando spalla a spalla con Pogacar. E il Lombardia è la classica che più mi piace e da cui sono affascinato. Ci tengo particolarmente a fare bene lì.

Hai un aneddoto particolare di questa corsa?

Quando vinse Zaugg. Ci andai vicino, quell’anno si arrivava a Lecco. Caddi in una discesa. Ricordo che finii sopra a Diego Rosa. Passai tutto il lungolago a spingere per ricucire il gap, spendendo molto. Rientrai a piedi dello strappo finale. Lo presi per ultimo, ma di slancio tirai dritto. E andai forte. Ma Zaugg partì in contropiede. Dietro mi giocai il podio con il drappello inseguitore (Pozzo fu sesto, ndr). Penso sempre che se non fossi caduto, magari avrei fatto io la differenza. Quel giorno mi sentivo il più forte in gara.

Domenico, stai pensando ad un’uscita colorata? A qualcosa di particolare?

A dire il vero, no. Magari ci penserò quando saremo più vicini all’evento.

Biagini: «Con la Vf Group-Bardiani ho cambiato ritmo»

06.08.2024
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Nel mese di luglio il nome di Federico Biagini è emerso piano piano negli ordini di arrivo. Ha iniziato con un settimo posto nella prima tappa del Tour of Austria, poi è arrivata la prima vittoria di stagione al Giro della Valle d’Aosta. Infine, un quarto posto nella seconda tappa del Tour Alsace (in apertura prima del prologo iniziale, foto Vf Group-Bardiani). Risultati che hanno evidenziato una crescita importante per un corridore entrato da quest’anno nel team. Biagini ha firmato un contratto a lungo termine: un quadriennale con scadenza nel 2027. Un periodo lungo considerando che è al terzo anno da under 23. Questo vuol dire che ha la certezza di fare due stagioni da professionista con il team di Reverberi

Luglio intenso

Una grande iniezione di fiducia, ripagata con una vittoria e con una crescita costante che lo ha portato gradualmente sotto i riflettori. In questi giorni si trova a casa, riposa e cerca di scappare dal caldo della sua Reggio Emilia, poi il 13 agosto farà le valigie per il Tour du Limousin. 

«Gli anni scorsi da under 23 – racconta Biagini – avevo già vinto, ma erano gare diverse: nazionali. Un successo è sempre un bel modo per capire a che punto si è arrivati. L’ho ottenuto in una corsa difficile, dove c’erano tanti corridori forti e di primo piano della categoria, quindi è un risultato che assume un valore ancora maggiore. Era da un po’ di tempo che mi sentivo bene, dal mese di giugno. Poi il 17 di quel mese una macchina mi ha investito in allenamento, nulla di rotto ma tanto spavento. Mi sono beccato dei punti sul gomito, ma sono andato comunque al campionato italiano a crono, nonostante la ferita poggiasse proprio sulle protesi. Pochi giorni dopo ho fatto anche la tanto chiacchierata prova in linea, nella quale anche io sono stato fermato, nonostante fossi a quattro minuti dai primi».

Al Tour Alsace la sua terza corsa a tappe dalla stagione (foto Vf Group-Bardiani)
Al Tour Alsace la sua terza corsa a tappe dalla stagione (foto Vf Group-Bardiani)
Di fatto con la firma per la Vf Group-Bardiani sei entrato nel mondo dei professionisti, come va?

Rispetto ai due anni precedenti in cui ho corso da under 23 con due team diversi (Carnovali e Zalf, ndr) vedo una grande differenza. E’ tutto molto professionale qui, c’è la massima serietà in ogni momento. Ogni membro dello staff sa cosa deve fare e ti aiuta tanto a migliorarti. Quando mi alleno da solo a casa l’impegno che metto è sempre lo stesso, ma una volta insieme al team si vede il cambio.

Quale aspetto ti ha colpito maggiormente?

Tutto, devo dire. Gli allenamenti e le ore fatte in bici prima di tutto. Anche se, devo ammettere, da giugno ho cambiato preparatore e sono passato a David Morelli, che è di Reggio come me. Il motivo è per una maggiore comodità: mi segue ogni giorno e sono sempre in contatto con lui, ci vediamo tantissimo. Un’altra cosa che ho notato è l’alimentazione, dall’inverno ho avuto modo di parlare con il nutrizionista della squadra che mi ha dato tanti consigli e indirizzato bene. 

Anche il calendario è cambiato tanto…

Rispetto agli anni scorsi sì. Ho fatto gare di maggior rilievo e anche la mia prima vera corsa a tappe. Le altre che ho corso, in passato, sono state il Lunigiana e il Giro del Veneto. A luglio di quest’anno, invece, ho corso al Giro dell’Austria, tutta un’altra cosa. 

In Francia tanta fatica e molti chilometri per lui che continua a crescere e maturare (foto Vf Group-Bardiani)
In Francia tanta fatica e molti chilometri per lui che continua a crescere e maturare (foto Vf Group-Bardiani)
Ne hai messe in fila tre nel solo mese di luglio.

Abbiamo visto che correre in appuntamenti di più giorni aiuta a crescere, sia fisicamente che mentalmente. Mi piace come modo, ogni mattina ti svegli e sai che c’è una nuova occasione per vincere. L’aspetto più importante da curare è il recupero, non ero abituato ma ci ho preso la mano. 

Inizi ad inquadrare che tipo di corridore puoi diventare?

Devo ancora capirlo fino in fondo. Per il momento mi sento completo, forte in salita, ma mi manca qualcosa nelle scalate sopra i 20 minuti. Tuttavia al Tour Alsace, nella tappa con arrivo in cima alla Planche des Belles Filles, sono arrivato nei primi venti con un un minuto e 40 secondi dal vincitore Nordhagen. In realtà dal secondo classificato ho pagato solo un minuto. E’ stata una bella prova, dalla quale si può partire a lavorare bene. 

Qui Biagini (a sinistra) è insieme a Pinarello, i due sono molto legati (foto Vf Group-Bardiani)
Qui Biagini (a sinistra) è insieme a Pinarello, i due sono molto legati (foto Vf Group-Bardiani)
Da qua fine anno farai altre gare a tappe?

Il Limousin, poi il Giro del Friuli. A quel punto vedremo cosa deciderà la squadra. Ci sono corse che mi piacerebbe fare, anche di un giorno, come il Giro dell’Emilia, la gara di casa. 

Per l’anno prossimo hai già qualche ambizione?

Non ho mai corso il Giro Next Gen, mi piacerebbe farlo. Ma non nascondo che mi piacerebbe fare anche quello dei grandi. Chiaramente sarà più difficile guadagnarsi il posto, ma l’obiettivo base è di dare sempre il massimo, poi vedremo dove arriverò.

Gare tra gli U23 anche da pro’: Rossato spiegaci tu

22.07.2024
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Giovani, professionisti e professionisti giovani: ormai sempre più spesso vediamo questa commistione tra devo team (o team satellite) e prime squadre. Una commistione che sta variando rispetto a qualche tempo fa. Oggi si mischiano le gare tra le due categorie sempre di più e questa regola vale anche per chi è “più” pronto.

Oggi, chiaramente nel rispetto dei limiti d’età, si passa da una corsa under 23 ad una con i professionisti. Il che non è una novità, ma quello che abbiamo visto quest’anno in VF Group-Bardiani ci ha un po’ sorpreso. 

Prendiamo il classico esempio di Giulio Pellizzari. In inverno già si sapeva che avrebbe disputato il Giro d’Italia dei pro’, dopo qualche gara con i pro’ vedi il Laigueglia e la Coppi e Bartali, comunque ricca di giovani, è stato poi portato al Giro del Belvedere e poi al Palio del Recioto. Una scelta su cui riflettere. E le riflessioni le abbiamo fatte direttamente con Mirko Rossato, direttore sportivo che ha in cura il settore giovanile della VF Group-Bardiani.

Rossato in riunione con i suoi ragazzi al Giro della Valle d’Aosta
Rossato in riunione con i suoi ragazzi al Giro della Valle d’Aosta
Mirko, siete la squadra che per prima in Italia ha insistito forte sui giovani, nella spola tra professionismo e dilettantismo ci ha colpito il fatto di far fare gare U23 anche a corridori più maturi, sempre under 23 ovviamente. Pensiamo a Pellizzari, ma anche a Pinarello.

Innanzi tutto è un discorso di programmazione che si fa ad inizio anno per tutti i corridori. Nel caso di Pellizzari e Pinarello, ma anche degli altri che hanno già due o tre anni di attività tra gli under 23, non è altro che un’attività progressiva.

In che senso?

Nel senso che l’attività con i professionisti va fatta in modo crescente. Pian, piano poi quando vedi che i ragazzi sono pronti e possono affrontare le gare dei professionisti allora gli fai fare un’attività con loro. Il tutto come accennavo legato anche ad un discorso di programmazione generale per l’attività con i pro’.

Spiegaci meglio.

Devi sempre sistemare e programmare le varie formazioni con gli altri ragazzi del team più vecchi di loro. In breve: non puoi lasciare a casa un Marcellusi, un Tonelli o un Covilli per far correre il giovane a discapito di quello più grande. Noi abbiamo la fortuna che i nostri ragazzi possono fare l’attività elite, ma quella under 23 non va dimenticata nella programmazione. Serve, perché  comunque sono ancora giovani e serve anche perché in questo modo mantengono il piglio di correre per vincere e non per partecipare. E questo è importante.

Pinarello al Tour of the Alps, anche lui classe 2003 come Pellizzari, ha fatto gare con i pro’. Presto il salto avverrà anche per lui
Pinarello al Tour of the Alps, anche lui classe 2003 come Pellizzari, ha fatto gare con i pro’. Presto il salto avverrà anche per lui
Sei entrato nel pieno del discorso. A forza di prendere legnate con i pro’ magari si rischia di abbatterli moralmente. E questo vale anche per chi magari ha già due se non tre stagioni di spola tra under 23 e pro’?

Va che comunque ci sono delle situazioni di gara anche negli under 23 molto interessanti. In questa categoria vanno forte, fortissimo e almeno in certe gare non c’è poi una grande differenza tra i grandi e i piccoli. Al tempo stesso però il livello è talmente alto tra gli stessi pro’ che il giovane mediamente fa fatica, pertanto cerchi di lavorare anche a livello psicologico. 

Sembra un passo indietro ma non lo è…

Se tu gli dai degli obiettivi dove può far bene già questa da sola è una buona cosa. Fatto questo, ogni tanto li metti con i grandi. In questo modo cosa succede? Che gli lasci la possibilità di avere sempre una mentalità vincente, ma nello stesso tempo quando vanno con i grandi sanno che devono fare esperienza e crescere senza troppe pressioni… ecco questo è l’obiettivo di squadra. Faccio un esempio.

Vai…

Per l’anno prossimo, avendo preso altri ragazzi juniores, Pinarello, Scalco, Palletti, Conforti, Biagini faranno un’attività maggiore con i professionisti e io lavorerò di più con i nuovi arrivati. Ma questo non significa che gli stessi terzi anni anni non facciano qualche gara importante negli under 23.

La programmazione parte dall’inverno e coinvolge sia i giovani che i più grandi
La programmazione parte dall’inverno e coinvolge sia i giovani che i più grandi
Il criterio di questo “yo-yo” dunque è quello di un passaggio al professionismo incrementale?

Abbiamo sempre fatto così. Quando siamo partiti con questo progetto abbiamo iniziato a fare un’attività under 23 di alto livello, correndo le gare più importanti, confrontandoci sempre con i migliori under 23 al mondo. Ed è questo confronto di qualità che ci permette di capire davvero il livello dei ragazzi. Al primo anno, verso fine stagione gli facciamo fare un po’ di attività con i professionisti. L’anno successivo, gli riduciamo le gare under e magari fanno un’attività che è “50-50”. Al terzo anno, magari sarà un 80 per cento con i professionisti e un 20 con gli under.

Quando capisci che un ragazzo è pronto per correre anche con i pro’?

Quando il ragazzo under 23 è in condizione e va forte in questa categoria. Allora può competere con i grandi, cercando di finire le corse. Perché attenzione: è importante finire le corse dei pro’ altrimenti non migliori. Quindi quando vediamo il rendimento in corsa, quando vediamo che i valori sono buoni allora capiamo che il ragazzo è pronto e che quello è il momento giusto per fargli fare il salto.