I primi mesi di UDOG: la genesi di un brand autentico

30.04.2022
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Il forte desiderio di creare un proprio brand, unitamente alla voglia di essere sul mercato con una linea di prodotti unica e con personalità… Sono queste, in estrema sintesi, le principali motivazioni che hanno letteralmente “spinto” Alberto Fonte a lavorare nella creazione e nello sviluppo di UDOG. Un nuovo marchio tutto italiano specializzato nel settore della produzione di calzature per ciclismo che proprio nei primi mesi di quest’anno ha definito il lancio dei primi due modelli dedicati al “corsa”, rispettivamente Tensione e Cima.

Alberto, quando nasce nella tua testa il progetto UDOG?

Dopo aver portato a conclusione le mie esperienze manageriali in Selle Royal, dove sono stato per molti anni il brand manager di Fizik, in Pinarello e in Kask, ho maturato il desiderio e messo a punto la progettualità di questa mia iniziativa. Troppo importante la voglia di creare una mia azienda che riflettesse il mio modo di intendere il ciclismo e che soprattutto potesse dare sfogo al grande bagaglio di esperienze accumulate in molti anni di lavoro.

UDOG nasce così, ma anche dall’amore per il ciclismo in Veneto, la regione dalla quale provengo e custode sia di una lunga cultura ciclistica sia di una vera e propria un’ossessione per la moda e lo stile. Amalgamati tutti questi ingredienti arriviamo nel 2021 a fondare UDOG.

E perchè la scelta del nome UDOG?

UDOG” non è altro che l’abbreviativo della parola inglese “underdog”, un’espressione sportiva a dir poco emblematica. Identifica un atleta in competizione che ci si aspetta possa perdere perché considerato sulla carta sfavorito, ma in grado di catturare l’attenzione e la passione dei tifosi. L’underdog in corsa cerca di dimostrare che, attraverso l’impegno ed il duro lavoro, chiunque è sempre in grado di sorprendere e di vincere. Chiunque può raggiungere i propri obiettivi. Questa regola è valida sia nel ciclismo così come nella vita. E il ciclismo è la nostra grande passione.

Questo è il modello UDOG Cima
Questo è il modello UDOG Cima
Come definiresti i prodotti che udog ha già lanciato sul mercato, nell’attesa che poi ne arrivino degli altri…

In effetti esiste una parola alla quale mi piace molto ricondurmi per rivedere la filosofia di UDOG: autenticità. Noi vogliamo essere diversi e rilevanti: siamo un’azienda composta da ciclisti. Come una vera e propria start-up noi siamo partiti da zero. Mi sono personalmente occupato di tutte le fasi che identificano e contraddistinguono un processo produttivo: dal business plan, al disegno delle calzature, dalla pianificazione commerciale al marketing, dal magazzino alla produzione… Ma a differenza di una start-up, udog ha potuto contare su un boost e su un concentrato di energie molto particolare, ovvero quello dell’esperienza mia e dei miei collaboratori e della passione che tutti noi nutriamo per il ciclismo. Il nostro obiettivo per il futuro è quello di riunire un gruppo di lavoro di veri professionisti del mondo della bici che abbia a cuore la realizzazione di calzature di altissimo livello ad un prezzo giusto. Vogliamo rappresentare una novità, vogliamo dare un tocco di freschezza e di nuovo nel settore.

E i modelli Tensione e Cima immagino siano tra questi…

Esattamente. Queste due calzature, entrambe dedicate al mondo corsa ed entrambe con la chiusura a lacci, le abbiamo presentate tra gennaio e marzo di quest’anno. E i risultati in termini di vendita sono stati davvero molto soddisfacenti. Ma ancor più dei risultati economici, non vi nascondo che la più grande soddisfazione per me è stata leggere i pareri, gli articoli e le recensioni che molti giornalisti internazionali, con i quali ho il privilegio di interfacciarmi da oltre 15 anni, hanno scritto e pubblicato in questi ultimi due mesi. Questo mi fa capire che la strada che stiamo percorrendo è ancora molto lunga, è vero, ma la direzione che abbiamo intrapreso è quella giusta.

E allora, parlando proprio di futuro, cosa dobbiamo attenderci per i prossimi mesi?

Stiamo lavorando a nuovi modelli, ovviamente. Nuovi modelli che possano abbracciare e riguardare anche le altre discipline, oltre al corsa… Il nostro obiettivo è anche quello entrare nel mondo del ciclismo professionistico fornendo alcuni corridori, così come sviluppare dei modelli che prevedano la chiusura con il rotore… Il piano che abbiamo definito è molto ambizioso e prevede il lancio annuale di almeno tre nuovi modelli di calzature.

Alberto Fonte, fondatore di UDOG
Alberto Fonte, fondatore di UDOG
Commercialmente siete un brand “direct-to-consumer“, corretto?

Sì, il nostro negozio è la piattaforma web udog.cc: un punto vendita virtuale aperto 24 ore al giorno e 7 giorni su 7. Web, è vero, anche se in alcuni paesi (in Italia, in Spagna, in Inghilterra ed in alcune nazioni asiatiche) stiamo selezionando alcuni punti vendita partner. E proprio qui da noi sono felice di poter annoverare ben sette negozi top del calibro di Cicli Scavezzon, Racing Bike, Cicli Basso, Cicli Maggi, NOB, Sportissimo e All4cycling. Ma il nostro mercato vuole essere quanto più internazionale possibile…

C’è un altro aspetto che ti piacerebbe mettere in luce relativamente quanto state portando avanti col progetto udog?

In realtà ce n’è più di uno… Ma quello che mi viene in mente subito è quello della sostenibilità. Il nostro impegno deve essere quello di lasciare un pianeta in condizioni migliori rispetto a quello in cui ci troviamo oggi. Non si discute. E i prodotti UDOG sono costruiti proprio per mantenere le persone in movimento all’aperto. Inoltre, la tecnologia della tomaia a maglia delle nostre scarpe permette di eliminare i ritagli di tessuto. La soletta interna è in poliestere riciclato al 100%, mentre tutti i lacci sono realizzati al 100% in poliestere riciclato e sono anche privi di PFC. Utilizziamo imballaggi riciclati e riciclabili al 100%, incluse scatole, carta da imballaggio e cartellini. Abbiamo ridotto al minimo l’uso della stampa e dell’inchiostro.

udog

Gravel in the land of Venice: ascoltiamo Panighel

15.04.2022
5 min
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Una coast to coast in Veneto? Eppure è possibile! Non c’è solo quella da un mare all’altro, ma anche quella che va da un mare, l’Adriatico, ad un lago, quello di Garda. E da chi poteva nascere questa “folle” ed entusiasmante idea se non dal genio di Massimo Panighel?

Siamo in Veneto, terra di sapori, di vini, di Dolomiti, ma anche di cultura. Ed è l’insieme di tutto ciò il fil rouge di Gravel in the land of Venice.

Campagne, colline, borghi, Ville Palladiane… la rete di Gravel in the land of Venice è infinita
Campagne, colline, borghi, Ville Palladiane… la rete di Gravel in the land of Venice è infinita

A tutto gravel

La bici è un grandioso mezzo turistico. Noi scriviamo sempre di professionisti e di gare, anche di altre categorie, ma la sezione turismo si è resa necessaria proprio perché non potevamo trascurare questo gigantesco settore delle due ruote a pedali, tanto più in Italia.

The Land of Venice è ormai la piattaforma del Veneto in generale per la sua promozione turistica. Gravel in the Land of the Venice è la rete cicloturistica ideata da Massimo Panighel.

Si tratta di un progetto in collaborazione con la Rete d’imprese Cycling in the Venice Garden. La rete prevede, per ora, un qualcosa come 1.350 chilometri, suddivisi in 20 diversi percorsi i cui chilometraggi oscillano tra i 50 e gli 83 chilometri.

«Ma – dice Panighel – per fine anno contiamo di arrivare a quasi 80 percorsi. I tracciati li sto mappando io stesso per due motivi. Il primo è che è un divertimento anche per me. Il secondo, è sono responsabile di questi percorsi e devo essere certo che siano ben fruibili e sicuri. E che non manchi la qualità dei paesaggi».

Pronta già una maglia di questo “circuito” di percorsi…
Pronta già una maglia di questo “circuito” di percorsi…

Sensi e eccellenze 

«Inoltre – continua Panighel – io ho ben in mente l’idea, e le caratteristiche, che i cicloturisti devono condividere lungo ogni percorso. Ognuno punta ad un qualcosa: cultura, vini, sapori, paesaggi… Ebbene, abbiamo voluto collegare i sensi e le eccellenze. E’ un bel “gioco”».

Un percorso, per esempio, passa per i vigneti: ebbene vista e gusto (prevedendo una sosta indicata) devono essere soddisfatti.

«Penso, per esempio, alla Villa Palladiana di Vicenza o al Lago di Fimon che è un’oasi naturale in mezzo ai Colli Berici, o alle trattorie e ai ristoranti che ci sono lungo i percorsi».

Intanto, Gravel in the land of Venice, sta già riscuotendo un buon successo. Complice anche la voglia di ripartire, come notiamo anche dalle prenotazione per questa prima Pasqua (quasi) libera dal Covid.

«Abbiamo preparato un brevetto – continua Panighel – Un brevetto che si raggiunge concludendo 12 percorsi in un anno. A quel punto si riceve una maglia, una medaglia e un attestato. Non è un qualcosa di agonistico, ma ci si pone però un obiettivo da portare avanti nel corso anno. Un obiettivo perseguibile in assoluta libertà, senza stress. Bisogna completare un percorso in ognuna delle sette province venete e poi aggiungerne altri cinque a scelta».

«Noi vorremmo che il brevetto, ma in generale Gravel in the land of Venice, richiamasse flussi anche da fuori. Che strizzasse l’occhio anche ai ciclisti delle Regioni vicine. Anche per questo la tracciatura è gratuitamente disponibile e aperta a tutti».

Uno scorcio del Lago di Fimon, incastonato nei Colli Berici
Uno scorcio del Lago di Fimon, incastonato nei Colli Berici

Terre Nobili

E a questa rete si affianca la ciliegina sulla torta di un evento, il Terre Nobili, in programma dal 23 al 30 settembre. Si tratta di un’avventura “unsupported” che porta a scoprire le bellezze della parte centrale del Veneto.

«Lo abbiamo chiamato Terre Nobili – spiega Massimo Panighel-  perché il percorso si snoda tra le eccellenze del Veneto. Una terra dalla bellezza disarmante, composta da vigneti e vini pregiati, laghi, natura, siti Unesco e preziosissimi borghi, scrigni di storia e cultura da vivere e scoprire. Ogni anno però il tema cambierà. Intanto partiamo con i siti Unesco, appunto».

«Il percorso della Terre Nobili – spiega ancora Panighel – inanella 7 dei 9 siti Unesco presenti in Veneto, la regione che ne ha di più. Mancano all’appello quelli di Prosecco e Dolomiti, ma posso dire che c’è già pronto un evento in chiave futura che li coinvolgerà. Si chiamerà Olimpica e dalle Dolomiti si arriverà al Parco del Delta del Po’. Questo parco è ufficialmente classificato in Emilia-Romagna anche se per gran parte si estende in territorio veneto».

Il percorso della Terre Nobili di settembre
Il percorso della Terre Nobili di settembre

Che avventura

Terre Nobili dicevamo: un’avventura in programma a settembre. Si parte da Caorle, si arriva a Peschiera del Garda e si ritorna, passando per i Colli Euganei per un totale di 700 chilometri.

Tanti? No! Perché si può scegliere in base alla disponibilità di tempo e di volontà. E sta proprio in questo l’originalità di Terre Nobili: può essere vissuto come una staffetta. Si può decidere di arrivare a Peschiera del Garda dove per il ritorno si darà il cambio ad un compagno di avventura.

Oppure si può anche fare in team composti da quattro persone disposte in altrettante stazioni di cambio (Caorle, Padova, Peschiera del Garda e Montegrotto Terme). E poi c’è chiaramente anche la tradizionale formula da soli, in autonomia, quella che più amano i gravelisti puri.

Gravel in the Land of Venice

Filippo Pozzato

Un caffè con Pozzato prima di andare in bici

18.11.2020
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Come un fiume che spinge per trovare la strada, Pozzato si divide fra Monaco e la Toscana, il Veneto e le sue idee, cercando di portare avanti tutto nel modo migliore. Carne al fuoco ne ha tanta: qualcosa si può dire e qualcosa no, in attesa che giunga a cottura. Il primo progetto cui sta lavorando è l’organizzazione di una corsa WorldTour sul percorso del campionato italiano.

«Ma l’Uci non dà la qualifica al primo anno – spiega – e il tricolore non è un precedente perché era una gara nazionale. So che Di Rocco ci sta lavorando. So che Lappartient ha in mano il fascicolo. Ma si deve aspettare. E non costa neanche poco, parliamo di 300 mila euro per la licenza…».

Dalla sua scrivania, ma anche sulla sella della bici da cui intesse le sue relazioni (nel momento in cui leggerete questa intervista, realizzata di buon mattino, immaginatelo pedalare con il suo amico Johnny Moletta e Nicola Baggio, direttore generale di Selle Italia), il vicentino ha osservato la stagione conclusa. E si è fatto un’idea di quello che si è mosso sotto il cielo del ciclismo.

Vincenzo Nibali, Filippo Pozzato, mondiali Firenze 2013
Con Nibali ai mondiali Firenze 2013: da allora il mondo è cambiato
Vincenzo Nibali, Filippo Pozzato, mondiali Firenze 2013
Con Nibali ai mondiali di Firenze 2013
Qual è stato secondo Pozzato il bello del 2020?

Nonostante le polemiche, il ciclismo ne è uscito vincitore, concretizzando tutto in pochi mesi. Mettere in piedi la stagione non era facile. Ho visto le difficoltà del campionato italiano, tanto che a un certo punto avevamo pensato di rinunciare. Non oso immaginare che cosa abbia significato organizzare 21 giorni di Giro d’Italia fra trasferimenti, corsa e logistica.

E il brutto?

Il fatto che sia stata una stagione falsata, per chi non ha saputo prepararsi in così poco tempo. Però ha vinto chi doveva vincere, i più forti sono venuti fuori. Ed è evidente che il mondo sia cambiato.

In quale direzione?

Questi ragazzi hanno un sistema di lavoro impostato da quando sono piccoli. Ma non durano, secondo me. Li finiscono mentalmente. Cominciano da subito e sono sempre competitivi. Arrivano alla prima corsa tirati a lucido. Io ho vinto un Laigueglia con 4 chili di troppo. Mi sono staccato in salita, sono rientrato in discesa e ho vinto lo sprint. Oggi non sarebbe possibile.

Perché?

Il ciclismo è cambiato. Un giovane che ha qualità vere può emergere subito e mi fanno impazzire i miei ex colleghi che lamentano l’assenza di talenti. Oggi ci sono 50 corridori che vanno tutti forte. I numeri parlano chiaro. Non spiegheranno il mondo, ma non mentono.

FIlippo Ganna, Imola 2020, crono
Ganna a Imola, crono trionfale senza strumenti sul manubrio
FIlippo Ganna, Imola 2020, crono
Ganna iridato senza strumenti sul manubrio
Quindi Nibali ha ragione?

Con Vincenzo parlavo di questo anche l’anno scorso. Mi diceva: «Sono magro come quando ho vinto il Tour e ho gli stessi valori. Scatto in salita, mi giro e ce ne sono ancora 15». E’ un fatto. Come è un fatto che prima di Sky gli inglesi erano la 42ª Nazione del ranking e oggi sono quarti. Li prendevano tutti in giro. Gli dicevano che non si vince il Tour con le parabole. A distanza di 10 anni, si sono tutti adeguati. Chi più chi meno, con più o meno intelligenza.

Ad esempio?

Ad esempio la Quick Step è l’espressione del tradizionalismo. Però Lefevere ha fiutato l’aria e ha cambiato mentalità. Oggi vincono tanto spendendo meno di Ineos, ma avendo adottato schemi di lavoro simili. Se avessero lo stesso budget sai quanto vincerebbero? Hanno saputo imporsi in tutte le epoche. E intanto il gruppo dei vincenti si è allargato.

E’ la mondializzazione?

Esatto. Ineos ha vinto il Giro, il Tour e la Vuelta con quattro inglesi diversi e un colombiano. Wiggins, Froome, Thomas, Bernal e Geoghegan Hart. Gli americani una volta avevano solo Armstrong. Gli australiani solo Phil Anderson. Aspetto che vengano fuori gli atleti di colore, giusto il tempo che qualcuno inizi a farli lavorare sulla tecnica. E poi i cinesi. Al momento nessuno ci pensa, ma avete visto quante corse si fanno da quelle parti? Le generazioni stanno cambiando

Fisicamente o cosa?

Vanno forte in salita i corridori di 1,80. Ci sono cambiamenti fisici, è l’evoluzione della specie. Nell’inseguimento individuale, il tempo con cui quattro anni fa si vinceva un mondiale, adesso non va bene nemmeno per la semifinale. Per andare a 65 all’ora a quel modo si deve avere forza. Non vanno agili, fanno girare il lungo rapporto. E tanto dipende dal modo in cui si allenano.

Sono cambiate anche le preparazioni, infatti.

Giusto. Io partivo da casa e facevo 20 minuti al medio per scaldarmi. Due ripetute. Un po’ di lavori fuori soglia. Arrivavo in cima. Mangiavo un panino e tornavo. Poi andavo alle corse e ne bastavano un paio per andare forte. Oggi in corsa non ti alleni più. Oggi anche Bettini avrebbe problemi se si allenasse come faceva lui.

In Italia il cambiamento è stato recepito?

A Di Rocco dico spesso che i direttori sportivi non hanno capito bene. E’ possibile che ancora oggi Villa abbia problemi a farsi dare i corridori per la pista? Si sono accorti che i vincitori del Tour vengono dalla pista? Vogliamo fare finalmente il bene dei ragazzi? Le continental servono per far crescere il corridore e fare un’attività qualificata. Invece puntano alle corsette del martedì.

Taeo Geoghegan Hart, Jay Hindley, Sestriere, Giro d'Italia 2020
Hindley e Geogeghan Hart, già competitivi dai primi anni fra i pro’
Taeo Geoghegan Hart, Jay Hindley, Sestriere, Giro d'Italia 2020
Hindley-Geoghegan competitivi sin da subito
Ma anche Pozzato è in una continental: la Beltrami, giusto?

E spesso discutiamo, anche forte. Il mio riferimento è la Seg Academy olandese, ma non c’è verso. Continuo a vedere in giro sponsor che fanno le squadre solo vantarsi delle vittorie. Cinquant’anni fa poteva funzionare, oggi non più. Il direttore sportivo deve curare l’aspetto umano, ci mancherebbe, ma anche considerare che oggi si ragiona soprattutto in termini di watt e consumo di ossigeno.

Secondo Andrea Morelli del Centro Mapei non è tutto qui.

Infatti sono d’accordo, ma neanche puoi fare finta di non vedere. Pogacar ha vinto il Tour senza Srm nell’ultima crono. Ganna ha vinto il mondiale di Imola allo stesso modo, partendo forte e finendo a tutta. Ma in allenamento sono dati che servono. Il romanticismo va bene, ma da solo non basta più.

Più difficile oggi o quando correvi tu?

Oggi, tutta la vita. Non si stacca più nessuno. Quasi l’80 per cento delle corse arriva in volata: se non sei veloce, non vinci più. C’è un livello altissimo e su tutti i terreni.

Lo chiamano per andare in bici. Una cosa l’abbiamo capita. Il ciclismo pulito non è necessariamente un pedalare più lento. Il ciclismo credibile richiede un aumento esponenziale del lavoro. Ci sono controlli migliori. Strade migliori. Bici migliori. Atleti migliori. La storia va avanti. Ci si ferma appena per qualche istantanea e per elaborare il pensiero. Poi si torna a pedalare per perdere le ruote. E’ bene ragionare in prospettiva e concedersi il giusto tempo. Ma noi forse abbiamo già un buco da chiudere.