Manubri e crono: la riforma Rogers riletta con Pinotti

11.03.2023
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Durante l’inverno parecchi atleti di taglia alta, fra cui Kung (foto di apertura) e Ganna, hanno dovuto rimettere mano alla posizione da crono. La riscrittura del regolamento tecnico da parte dell’UCI ha infatti permesso a diversi corridori di ottenere una miglior posizione aerodinamica. Redditizia almeno quanto quella degli atleti più bassi. Il grosso problema infatti lo avevano quelli alti fra 1,80 e 1,90 e la rilettura delle regole da parte di Michael Rogers ha in parte sanato il difetto. Lo sa bene Marco Pinotti, con cui abbiamo provato a sviscerare l’argomento.

Marco Pinotti è uno dei tecnici del Team Jayco AlUla, con un occhio in più per le crono
Marco Pinotti è uno dei tecnici del Team Jayco AlUla, con un occhio in più per le crono

Il punto con Pinotti

Il bergamasco ha seguito la storia con interesse, avendo sotto mano i cronoman del Team Jayco-AlUla. E dato che alle squadre le novità sono arrivate prima che fossero ufficializzate, il lavoro di revisione è iniziato da dicembre.

«La sensazione che ho avuto io – spiega Pinotti – è che il cambiamento ci sia stato da quando Michael Rogers ha preso in carico questo settore. Mi pare che stia mettendo un po’ di ordine, portando l’esperienza da corridore e quelle che sono le esigenze degli atleti. La regola di prima penalizzava proprio la categoria da 180-190, soprattutto i corridori alti da 185 a 190. Hanno creato una categoria intermedia e come interpretazione mi pare corretta».

Durbridge è alto 1,87 e grazie alle nuove regole riesce a essere più aerodinamico
Durbridge è alto 1,87 e grazie alle nuove regole riesce a essere più aerodinamico

Tre categorie

L’UCI ha diviso il gruppo in categorie determinate dall’altezza: Categoria 1 fino a 179,9; Categoria 2 fino a 189,9; Categoria 3 oltre 190. Per ciascuna di esse ha poi riscritto le misure della bicicletta da cronometro.

Per quelli più alti di 190 centimetri ha disposto che la distanza fra la punta della sella e quella delle protesi possa arrivare fino a 850 millimetri e che la punta delle stesse protesi possa innalzarsi fino a 140 millimetri rispetto al piano orizzontale.

I ciclisti alti fino a 1,79 possono arrivare a 800 millimetri di lunghezza e altezza di 100.

Quelli fino a 189,9 avranno invece il limite di lunghezza a 830 millimetri e altezza di 120 millimetri.

In questo modo Ganna, che grazie alla nuova posizione ha appena vinto la crono della Tirreno-Adriatico, ha potuto inclinare le protesi di 30° rispetto all’orizzontale (nel 2022 il massimo consentito era invece di 15°). Di conseguenza, Pippo ha potuto allungarsi e contemporaneamente chiudere lo spazio fra mani e testa

«Sapevamo già di questa modifica a giugno – spiega Pinotti – ma è stata annunciata tardi. Abbiamo saputo da dicembre del cambio di inclinazione da 15 a 30 gradi e a dicembre abbiamo potuto metterci mano. Intendiamoci, quei 15° non incidono tantissimo, però ad esempio consenti a quelli più alti di arrivare con le punte del manubrio a 140 di altezza senza bisogno di allungarsi per forza fino a 85. L’obiettivo è chiudere al meglio la superficie fra le mani, la testa e il tronco. Che è un po’ la posizione che portò Landis per la prima volta nel giro di California 2006 e poi Leipheimer. Diciamo che i veri precursori di quel tipo di filosofia sono loro due, secondo me. Ma adesso quelli che sono vicini al limite, tipo quelli alti 1,88, hanno la possibilità di stare bene in bici. Prima invece erano tanto penalizzati».

Dai poggioli al manubrio

Fra i cambiamenti dettati dall’UCI, è stata regolamentata anche la distanza fra i poggioli per gli avambracci e la punta delle protesi: minimo 180 millimetri. Non è un caso che nessuno vi poggi ormai i gomiti, ma siano diventati punto di contatto per gli avambracci.

Fu Landis al California del 2006 a inclinare le protesi marcatamente verso l’alto
Fu Landis al California del 2006 a inclinare le protesi marcatamente verso l’alto

«La vera differenza per i più alti – conferma Pinotti – è la variazione nella distanza fra l’appoggio dei gomiti e la fine del manubrio. Diciamo che forse per Ganna, che ha inclinato di più le protesi, non è cambiato molto, perché lui aveva già intelligentemente messo gli appoggi molto alti. Adesso c’è un limite anche lì, visto che oggi devono stare almeno a 18 centimetri. Nella nostra squadra, Sobrero non ha dovuto rivedere nulla. Invece è toccato a Durbridge, Scotson, Hamilton…

«A dicembre, i medici hanno raccolto le misure dei corridori e sono state messe in un modulo. L’ho firmato io e l’ha firmato il medico. Poi è stato mandato all’UCI, affinché alla verifica delle misure della bici, si sappia a quale categoria di altezza si appartiene. Non ho mai visto i giudici misurare gli atleti alla partenza di una crono, diciamo che basta l’autocertificazione».

EDITORIALE / Il ciclismo non ha ricette complicate

06.02.2023
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Una volta sulla cima di Guzet Neige, nel lontano Tour del 1995 (foto di apertura), chiedemmo a Marco Pantani se non trovasse strano correre e vincere così all’antica, con quegli attacchi da lontano che sembravano giungere da un ciclismo precedente. E Marco, cui certo non mancava una visione di ciò che avrebbe potuto rendere spettacolare questo sport, rispose in modo chiaro.

«Non credo di correre all’antica – disse – forse sono semplicemente troppo moderno».

Negli anni in cui si limavano i secondi in salita e si distribuivano minuti a crono, il ciclismo era più un esercizio di equilibri. Pertanto l’avvento di quello scalatore così… sovversivo ebbe lo stesso effetto che si osserva oggi quando nel gruppo ci sono Van der Poel e Van Aert, Pogacar ed Evenepoel. Nessuno si sognerebbe di fargli la stessa domanda, tutt’altro. Si elogia il ciclismo moderno che in certi giorni manda in malora i calcoli e fa esplodere il gruppo. Pantani faceva lo stesso.

Van Aert e Van der Poel concordi sull’importanza della loro rivalità: per lo sport e per se stessi
Van Aert e Van der Poel concordi sull’importanza della loro rivalità: per lo sport e per se stessi

La meraviglia di Hoogerheide

Non tutti sono capaci e non sempre le imprese sono possibili se non si ha un rivale che le renda necessarie. Il campionato del mondo di ciclocross corso ieri a Hoogerheide ne è stato la prova lampante. E le parole finali del vincitore Van der Poel davanti allo sconfitto Van Aert hanno ottimamente sintetizzato il concetto.

«Sono felicissimo per questa vittoria – ha detto l’olandese – che considero una delle tre più importanti. Incredibile, perché ottenuta a due passi da casa e scaturita al termine di una lotta leale ed appassionante con Wout. Vi assicuro che la nostra è una sana rivalità che fa bene a questo movimento e che ci migliora in modo reciproco. Certo quando si perde brucia, ma se manca uno di noi alla partenza, la gara non ha lo stesso sapore».

Il fatto che Van Aert, seduto accanto, gli abbia dato prontamente ragione fa capire che gli stessi campioni siano consapevoli di quale sia l’ambiente ideale per rendere lo sport davvero appassionante e una vittoria memorabile.

Il Tour del 2020 fu super avvincente per il duello fra Pogacar e Roglic
Il Tour del 2020 fu super avvincente per il duello fra Pogacar e Roglic

Il gioco delle coppie

Gli ingredienti sono sempre gli stessi e una sana rivalità è forse il principale. I monologhi di uno o dell’altro alla lunga stancano, i duelli all’ultimo colpo di pedale infiammano il pubblico. Coppi e Bartali. Gimondi e Merckx. Moser e Saronni. Hinault e Lemond. Bugno e Chiappucci. Cunego e Simoni. Pantani e Indurain, Tonkov oppure Ullrich.

La più grande sfortuna per un campione è non avere qualcuno contro cui lottare per la gloria. E’ stato ben più spettacolare il primo Tour di Pogacar vinto in extremis su Roglic, rispetto al secondo, corso senza veri avversari. Per lo stesso motivo è stato elettrizzante il Tour di Vingegaard, capace di disarcionare lo stesso Pogacar.

La differenza fra questi campioni e tutti gli altri, oltre alla dotazione naturale da cui non si può prescindere, sta nell’aver capito che per vincere bisogna rischiare di perdere. Per questo sono felici quando vincono e non fanno drammi eccessivi quando non ci riescono: se te la giochi a viso aperto, perdere fa parte del gioco. Le formule perfette e tutti i calcoli di questo mondo vanno bene quando ci si allena, poi però bisogna essere capaci di accettare il dolore che viaggia con la fatica, spingendosi sempre più a fondo. E questo a ben vedere è mancato troppo a lungo nel ciclismo degli ultimi anni.

Quintana ha corso i campionati colombiani da isolato: può correre, ma nessuno lo prende
Quintana ha corso i campionati colombiani da isolato: può correre, ma nessuno lo prende

Una grande primavera

Pensare che rivedremo presto Van der Poel e Van Aert contrapposti alla Strade Bianche, poi alla Sanremo e sulle stradine del Nord è già un buon motivo per augurarsi che la primavera arrivi in fretta. Aspettare Pogacar ed Evenepoel al UAE Tour sarà il primo momento per vedere contrapposti due che non si accontentano mai semplicemente di esserci. Il danno degli squadroni che fanno incetta di campioni sta proprio nell’impoverimento del gruppo. Sarebbe stato interessante vedere Evenepoel alla Liegi contro Alaphilippe, invece il francese è stato dirottato sul Fiandre.

Per lo stesso motivo Pantani rifiutò a suo tempo di infilarsi nella Mapei, pagando alla lunga di tasca propria. A ben vedere il mondo non è poi così diverso. Ci sono i campioni. Ci sono le grandi squadre. E c’è chi governa il ciclismo, esercitando il potere come meglio ritiene, spesso senza metterci la faccia. E così, dopo aver azzerato la Gazprom senza offrire una via d’uscita, adesso ha deciso di fermare Quintana e Lopez, facendo però in modo che la scelta ricada sugli altri. I due possono correre, hanno licenza e passaporto biologico. Che colpa ne hanno quelli che governano (e dispensano consigli: richiesti e non) se nessuno vuole più tesserarli? Squalificateli, se ci sono gli elementi, oppure lasciateli in pace. Che colpa avevano se il Tour smise di invitare Pantani, aprendo la strada al nuovo dominatore? Visto come finì la storia, peccato che dalle lezioni del passato non si riesca quasi mai ad imparare.

Punti UCI 2023-2025, più peso ai grandi Giri

16.01.2023
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Lo scorso anno più volte abbiamo trattato della questione dei punti UCI. Un aspetto che ha creato anche diverse polemiche nell’anno in cui si chiudeva il primo triennio per la classifica delle squadre e quindi delle retrocessioni-promozioni (in apertura, foto MyVaud).

Ma dal primo gennaio la corsa è ripartita. Il nuovo triennio si chiuderà nel 2025. E per questo nuovo “giro di ruota”, alcune cose sono cambiate. Merito anche delle rimostranze delle squadre.

Arnaud De Lie tra maggio e giugno scorso ha portato a casa 3 vittorie in corse più piccole accumulando molti punti
Arnaud De Lie tra maggio e giugno scorso ha portato a casa 3 vittorie in corse più piccole accumulando molti punti

Più peso ai GT

Cosa è cambiato? Il nocciolo più importante riguarda l’assegnazione dei punti nelle corse a tappe. Queste assumono più importanza, soprattutto i grandi Giri, ma crescono di peso anche le classiche monumento e i maggiori eventi (mondiali e Olimpiadi).

L’obiettivo è quello d’incentivare i migliori corridori a partecipare alle gare più importanti. Ma bisognerà vedere se poi sarà così. La Lotto-Dstny, per esempio, ha detto che non verrà al Giro d’Italia. Anche se proprio in virtù di queste nuove norme sembra ci stia ripensando.

E proprio un corridore della Lotto che lo scorso anno non era al Giro ha contribuito più di tutti al alzare la questione. Parliamo di De Lie che a maggio 2022, vincendo delle piccole (se non piccolissime) corse tra Belgio e Olanda, conquistò più punti di molti colleghi che fecero bene o addirittura vinsero tappe nella corsa rosa. Un bell’inghippo.

E così per ovviare a questo problema o quantomeno per ridurlo, l’UCI ha deciso di aumentare il fattore di moltiplicazione dei punteggi nei grandi giri: 1,6 nelle corse a tappe WT, nei monumenti, nel mondiale e nella gara olimpica. E di un fattore 1,3 per le crono iridata e olimpica.

Più peso ai grandi Giri, ma con il fattore di moltiplicazione uguale per tutti il Tour (che già assegnava qualche punto in più) ci guadagna ulteriormente
Più peso ai grandi Giri, ma il Tour (che già assegnava qualche punto in più) ci guadagna ulteriormente

Sempre più WT 

Sempre in merito ai grandi Giri, fino a quest’anno prendevano i punti solo i primi cinque classificati di ogni frazione. Da adesso in poi li prenderanno i primi 15 nelle tappe delle gare WT e i primi 10 nelle tappe delle altre corse a fronte dei primi tre come era stato fino all’anno scorso.

Non solo aumentano i corridori che andranno a punti, ma anche i punti stessi. E di parecchio. In pratica vengono quasi raddoppiati. Una tappa del Giro ne assegnava 100, ora ne assegna 180. Una del Tour ne assegnava 120, ora ne assegna 210 (la corsa francese guadagna un po’ in scala assoluta). E gli stessi punti aumentano anche per i conquistatori delle maglie a fine grande Giro.

In questo modo però il WT diventa ancora più importante. E guadagna ancora margine rispetto ai circuiti ProSeries e continentali. I punteggi in ballo sono cresciuti quasi del 30% mentre quelli degli altri circuiti sono rimasti pressoché invariati se non si sono ridotti. Il baratro tra WT e resto del mondo potrebbe allargarsi ulteriormente.

Valverde e Mas da soli (o quasi) hanno tenuto in piedi la Movistar che prima della Vuelta rischiava di retrocedere
Valverde e Mas da soli (o quasi) hanno tenuto in piedi la Movistar che prima della Vuelta rischiava di retrocedere

La rosa, più del singolo

Altro intervento non da poco è l’estensione dei punteggi ai primi 20 atleti di ogni squadra anziché ai primi 10. In pratica portano “acqua al mulino” più persone e nel suo insieme conta molto di più la rosa che il singolo corridore. Casi emblematici, in tal senso, sono stati quelli della Alpecin-Deceuninck e della Movistar rispettivamente con Van der Poel e Philipsen, e Valverde e Mas, che contribuivano al grosso della torta. Tolti loro, gli altri uomini e in particolare gli ultimi 4-5 corridori fornivano davvero pochi punti.

E infatti facendo una proiezione dei vecchi risultati col nuovo regolamento, le due squadre sono quelle che avrebbero un incremento minore. Mentre al contrario, la Soudal-Quick Step con tutti i buoni corridori che ha in rosa esploderebbe.

Piuttosto sorge un dubbio ancora più forte. Ma se come diceva Cimolai sin qui i punti hanno inciso non poco, cosa succederà ora che in ballo nel WorldTour ce ne sono ancora di più? Questa nuova metodologia di assegnazione dei punti inciderà anche sulle tattiche di gara?

Canola (a cuore aperto) si racconta tra delusioni e futuro

23.12.2022
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Certi capitoli quando si chiudono fanno male, non si è pronti ad affrontare la fine, soprattutto se non lo si era preventivato. Per Canola questo inverno ha il sapore di qualcosa che è terminato e non si sa bene il perché. Anzi, il motivo è presto detto, la Gazprom non c’è più ed il veneto non ha trovato una sistemazione consona al suo livello. 

Le motivazioni che hanno portato a questo momento della carriera di Canola sono l’insegnamento che nella vita, purtroppo, non è possibile controllare tutto quello che ci circonda

L’ultima uscita del veneto con la maglia Gazprom RusVelo, al Tour of Oman
L’ultima uscita del veneto con la maglia Gazprom RusVelo, al Tour of Oman

La fine

«Si tratta di un periodo particolare – racconta Canola dalla sua macchina – non è una mia abitudine non avere squadra. Ma alla fine, ero stanco di aspettare una situazione che a fatica mi avrebbe soddisfatto. Non avevo voglia di svalutare la mia carriera, ero fiducioso di trovare un progetto valido al quale portare la mia esperienza. Mi ero dato una scadenza e questa è poi arrivata. Ora mi guardo intorno e cerco di capire quale strada potrò percorrere in futuro. Ho parlato con delle aziende per eventuali idee da sviluppare nel mio post carriera».

Canola (a destra) ha speso tutto se stesso per questa battaglia, non avendo mai paura di esporsi
Canola (a destra) ha speso tutto se stesso per questa battaglia, non avendo mai paura di esporsi
Nel tuo futuro vedi ancora la bici?

Mi piacerebbe, nonostante tutto, rimanere in questo mondo. Non so se dal punto di vista amatoriale o cicloturistico. Siamo in un momento nel quale la bici è di tendenza ed il movimento degli amatori è in continua crescita. Quest’ultimi hanno voglia di fare esperienze sempre più simili a quelle dei professionisti e io potrei fornire loro la mia esperienza, i miei insegnamenti.

Questa esperienza avresti potuto metterla anche al servizio di un team…

Certamente, ma non c’è stata occasione. Nella mia carriera ho sempre cercato di imparare dai più grandi, apprendendo tante piccole sfumature che fanno parte di questo mondo. Nel tempo la situazione si è capovolta, sono diventato io quello che dava consigli, l’esperto. 

Con una voce forte, come quella usata contro l’ingiustizia che vi ha colpito.

La situazione Gazprom è stata anomala. Ci siamo trovati in mezzo ad un discorso politico. Mi sono battuto tanto, l’ho fatto per un interesse comune. Il mio può essere l’esempio che se si sta in silenzio si possono ottenere compromessi, ma io di stare zitto non ne avevo voglia

David Lappartient, presidente dell’UCI non ha mai risposto agli appelli lanciati
David Lappartient, presidente dell’UCI non ha mai risposto agli appelli lanciati
Il silenzio è arrivato da parte di chi avrebbe dovuto sostenervi: l’UCI in primis.

L’UCI ha preso una linea sbagliata e senza pensare alle conseguenze, la loro preoccupazione principale è stata chiudere la squadra. Sarebbe bastato incontrarsi e parlare, un’idea sarebbe venuta fuori. Io ne ho avute alcune, ma non ho mai avuto modo di discuterle con chi di dovere. Il presidente Lappartient non l’ho mai incontrato, abbiamo avuto qualche scambio di mail, ma appena domandavo di vederci spariva. 

Del tipo?

Per salvare la squadra sarebbe bastato cercare un nuovo sponsor o portarne di privati. Anche correre in maglia neutra sarebbe bastato, insomma, farci correre era doveroso. Hanno lasciato a casa e senza tutela delle persone e delle famiglie. Ho scoperto anche una cosa che mi ha fatto poco piacere.

Quale?

Sono venuto a sapere che l’UCI negli anni passati ha messo mano al fondo per gli ex professionisti, usando quei soldi per una causa contro un diverso esponente. Hanno usato i soldi per gli atleti per motivi differenti, avrebbero potuto usarli per noi, per non farci sparire. 

Nel dicembre 2021 Canola era in ritiro con la Gazprom pronto a rilanciarsi, un anno dopo è finito tutto
Nel dicembre 2021 Canola era in ritiro con la Gazprom pronto a rilanciarsi, un anno dopo è finito tutto
La bici la stai usando ancora?

Faccio qualche giretto, mi serve per sbloccare la mente, per pensare.

Cosa pensi?

E’ difficile – la voce di Canola si fa sempre più pesante – molte volte ho pensato “perché doveva capitarmi”. Mi sono trovato a prendere decisioni difficili che mi hanno complicato la vita, ma dai momenti duri impari sempre qualcosa. Un giorno, voltandomi, spero di poter dire che tutto questo è servito a qualcosa.

Abbiamo saputo che stai facendo il corso da diesse, magari questa esperienza potrà esserti utile in questo campo…

Il diesse è una figura che deve dare serenità e carica, deve portare coesione all’interno del team. Nel ciclismo moderno al corridore si chiede sempre di più, ma bisogna ricordare che dietro i numeri ci sono le persone. L’aspetto umano è un aspetto di cui ci si sta dimenticando sempre di più. Mi piacerebbe riportarlo al centro di questo mondo.

Il veneto ha provato altre discipline: eccolo in una gara di mtb a Recoaro Terme (foto organizzatori)
Il veneto ha provato altre discipline: eccolo in una gara di mtb a Recoaro Terme (foto organizzatori)
Ne sei stata una prova, visto quanto hai speso per questa battaglia.

Ho parlato con estrema sincerità, lo si deve fare sempre, non bisogna aver paura di dire la verità. Il ciclismo ha avuto la possibilità di dimostrarsi famiglia e così non è stato, anzi, alcuni ci hanno voltato le spalle. Sono stati pochi a combattere questa battaglia con noi e quando sei solo in un mare grande trovi sempre un pesce più grosso di te. 

Dieci anni nel professionismo non si cancellano così facilmente.

Pensate, dieci anni e sono stato trattato così. Nel mio piccolo mi sono battuto per rendere questo sport migliore. Ho contribuito a mandare avanti il circo del ciclismo per anni e poi appena ha potuto mi ha voltato le spalle.

EDITORIALE / I ritiri di dicembre e le foto segrete

19.12.2022
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Una foto segreta, camuffata, sfocata di proposito. L’altro giorno nell’hotel che ospita la Jumbo Visma fra le campagne di Denia, un tipo di origine imprecisata, forse in meccanico, ci ha redarguito in modo molto energico perché stavamo per scattare delle foto a Roglic che si accingeva a uscire per l’allenamento. Era chiaro che il motivo fossero le nuove dotazioni tecniche di scarpe e gruppi, che non possono essere mostrate fino al primo gennaio e a nulla è valso spiegargli che avremmo utilizzato le immagini solo nel 2023. Nel parcheggio dello stesso hotel, ragazzi della Cofidis che si stavano preparando per uscire, hanno lasciato scattare le foto e fare interviste, chiedendo con garbo di pubblicarle nel nuovo anno.

Stessa cosa alla Trek-Segafredo e al UAE Team Emirates di Tadej Pogacar. Qui un manager si è accorto che un corridore nuovo si stava facendo intervistare con un video, usando i nuovi materiali e ha chiesto subito all’addetto stampa di farglielo presente, ma il corridore ha proseguito, avendo forse una liberatoria. Il problema non sono le squadre, ma le regole.

Ci si allena vestiti con i capi 2023 perché è la prima occasione per avere riscontri: non sempre sono ammesse le foto
Ci si allena vestiti con i capi 2023 perché è la prima occasione per avere riscontri

Calendari sovrapposti

Poco prima, parlando con un atleta azzurro, il discorso era finito sul calendario 2023 di coloro che fanno strada e pista. La sua osservazione non era peregrina.

«Si spinge tanto – diceva – verso la multidisciplina e poi scopri che le Coppe del mondo di pista le fanno durante le classiche del Nord, mentre fare i mondiali tutti insieme a Glasgow finirà col penalizzare proprio gli atleti polivalenti. Quelli che dovranno scegliere oppure proveranno ugualmente il doppio impegno fra strada, pista o mountain bike e rischieranno di non riuscire a recuperare bene».

Campioni e pista

Terzo spunto di osservazione: la Track Champions League, carosello organizzato dall’UCI in prima persona, cercando di sintetizzare lo spettacolo delle Sei Giorni con i valori tecnici dei mondiali su pista. Il risultato della seconda edizione è stato quasi un flop, con Eurosport che l’ha trasmessa essendo coinvolta direttamente nell’organizzazione, ma poco pubblico, pochissima attenzione da parte dei media e un campo partenti mutilato dal fatto che i più forti fossero in vacanza dopo la stagione su strada e i mondiali su pista.

In proporzione e in barba al nome, c’erano più campioni nelle Sei Giorni di Gand e di Rotterdam di quelli impegnati nel circo messo in piedi dall’UCI.

La Champions League si è da poco conclusa, con tiepido ritorno d’immagine per il ciclismo
La Champions League si è da poco conclusa, con tiepido ritorno d’immagine per il ciclismo

Il paradosso dei contratti

C’è qualche conto che non torna e a farne le spese è come al solito il movimento nel suo complesso. La scadenza dei contratti al 31 dicembre è un controsenso dal momento in cui a dicembre nei primi ritiri, gli atleti hanno il diritto/dovere di provare i nuovi materiali. Possono utilizzare, ma non pubblicare, grazie a una deroga agli stessi contratti, tenendo dunque lontani i media (laddove necessario) affinché non realizzino le immagini di corridori che stanno usando materiale… illegale.

Il paradosso è che con quel materiale i corridori si allenano per tutto il giorno, per cui basta che qualcuno li riprenda lungo la strada e condivida foto o video su un social, perché le immagini diventino pubbliche e il segreto di Pulcinella venga svelato, come puntualmente accade. Non sarebbe più logico e funzionale che i contratti iniziassero e scadessero il 31 ottobre, dando modo agli atleti di terminare la stagione, iniziando da novembre con la nuova squadra?

Alla Trek-Segafredo nuovi corridori fra uomini e donne e nuovi materiali da non mostrare nelle foto
Alla Trek-Segafredo nuovi corridori fra uomini e donne e nuovi materiali da non mostrare nelle foto

Confusione UCI

Altro punto: i calendari troppo fitti. Infarcirli a questo modo ha una sola finalità, che è quella di incrementare le entrate di chi dagli eventi trae ricchezza: l’UCI. Per cui avendo una struttura imponente da mantenere, gli amici svizzeri cospargono di tasse gli eventi e di eventi il calendario.

Per come era strutturata un tempo, l’attività aveva un senso anche sul piano tecnico. Ora invece si pensa poco alle esigenze dei corridori e delle squadre. Per cui le nazionali sono costrette a schierare alcuni atleti per inseguire la qualificazione, sapendo già che non li porteranno ai mondiali o alle Olimpiadi, dove torneranno sulla scena i protagonisti. Il risultato è che agli ultimi mondiali Viviani non ha potuto correre la corsa a punti perché, non avendo partecipato alle varie qualificazioni, non aveva i punti necessari. Si può essere d’accordo o anche no, è un lavoro sporco e qualcuno deve pur farlo, ma è impossibile pretendere che corridori come Milan, Ganna e Consonni corrano la Roubaix e poi salgano su un aereo per andare a correre in Canada dopo sei giorni la Coppa di Milton.

Il quartetto iridato di St Quentin en Yvelines parteciperà alle qualificazioni olimpiche? Molto difficile che accada
Il quartetto iridato di St Quentin en Yvelines parteciperà alle qualificazioni? Molto difficile che accada

Eccezioni alla regola

L’UCI ha deciso di decidere non per il bene del ciclismo, ma sempre in favore del tornaconto. Non hanno mosso un dito per aiutare i ragazzi della Gazprom-RusVelo, ma hanno agevolato il passaggio di Dylan Teuns alla Israel-Premier Tech nel cuore dell’estate, trovando una via d’uscita per la conta dei punti che, stando alla versione ufficiale, impediva di far accasare i corridori del team russo.

L’Unione che dovrebbe essere la casa madre del ciclismo appare invero piuttosto fuori fase. Al suo interno si susseguono avvicendamenti e si annunciano dimissioni, in una dimensione confusa ottimamente rappresentata dal sito istituzionale. Assai difficile da consultare e fatto apposta perché sia (quasi) impossibile districarsi nei suoi meandri.

Donegà, la Champions League dopo la delusione mondiale

16.11.2022
5 min
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La UCI Track Champions League, giunta al suo secondo anno, si è aperta il 12 novembre con la tappa inaugurale di Mallorca. Si concluderà, dopo 5 tappe, il 3 dicembre a Londra. Un format nuovo dedicato alla pista, per far crescere un movimento che negli ultimi anni ha regalato tanto spettacolo ed emozioni. Matteo Donegà, del Cycling Team Friuli, è stato selezionato tra i 18 corridori che partecipano alla sezione Endurance di questa manifestazione. Ed è il pistard classe 1998 che ci porta all’interno di questo nuovo mondo.

Come nasce la selezione per la Champions League?

L’UCI seleziona 18 corridori al mondo in base ai risultati dell’ultimo anno, ci sono quattro parametri: ranking, posizionamenti nelle varie tappe di Coppa del Mondo, mondiali, europei (nella foto di apertura la corsa a punti conclusa in quinta posizione). Io ho guadagnato la selezione grazie ad una buona posizione nel ranking, essendo quinto nella corsa a punti, e con la vittoria nella tappa di Coppa del Mondo di Cali

La prima tappa della UCI Champions League è stata Maiorca, una festa per tutti (foto UCI)
La prima tappa della UCI Champions League è stata Maiorca, una festa per tutti (foto UCI)
Vi contatta direttamente l’UCI o passate tramite la nazionale?

In questo evento non c’entra, noi rappresentiamo l’Italia, ma non siamo iscritti né come nazionale né come team. Corriamo con una maglia che ci fornisce l’UCI, sulla quale decidiamo noi 3 sponsor da inserire, in questo caso specifico li ho scelti con la squadra, il Cycling Team Friuli.

Nei criteri di selezione c’è anche il mondiale, al quale eri stato convocato poi escluso… 

Sì, rientravo tra i convocati di Villa, poi alla fine il cittì a due giorni dalla fine ha deciso di non portarmi. E’ stato un fulmine a ciel sereno, anche perché io avevo già tutto pronto, compreso trolley e bici. Questi due sono arrivati in Francia, io no. 

La motivazione?

Scelta tecnica, Villa mi ha detto che nella mia specialità – la corsa a punti – avrebbe fatto correre un altro. Mi aveva detto che avrebbe fatto correre Viviani, poi invece ha partecipato Scartezzini, anche perché Elia non aveva il minimo dei 250 punti per correre. Nonostante la mia posizione nel ranking fosse migliore, per un certo periodo sono stato anche primo. E’ stata una delusione, anche perché dopo l’ufficialità della convocazione mi avevano contattato alcuni giornalisti con i quali mi ero speso a parole dicendo che sarei andato ai mondiali. E non è tutto…

I corridori in corsa in questa Champions League sono 72 divisi in 4 categorie (foto UCI)
I corridori in corsa in questa Champions League sono 72 divisi in 4 categorie (foto UCI)
Ovvero?

Nei giorni che precedenti al mondiale avevo contattato l’UCI Champions League per confermare che sarei andato al mondiale. Ho rischiato di non essere convocato anche a quest’ultimo evento, perché correre i mondiali, come detto, è uno dei requisiti per partecipare alla Champions League. 

Invece ci sei andato comunque alla fine…

Questo grazie alla mia alta posizione nel ranking e alla vittoria di Cali. Però dall’organizzazione mi hanno chiamato chiedendomi come mai non fossi a Parigi a correre. Ho tenuto un colloquio telefonico spiegando che ero stato convocato e poi escluso, alla fine gli organizzatori mi hanno tranquillizzato dicendomi che un posto si sarebbe trovato, ed eccomi qui. 

Ora che sei entrato in questa Champions League come ti sembra?

Assomiglia molto ad una Sei Giorni ed io sono innamorato di quelle corse, sono anni che cerco di andare per il mondo a farle. Mi piace molto l’idea di dare spettacolo, di far divertire la gente. 

Quanti atleti partecipano?

Ci sono 4 categorie: uomini e donne velocità e uomini e donne endurance. Ogni categoria ha 18 corridori. Io corro nelle discipline endurance: disputiamo uno scratch di 5 chilometri ed una corsa a punti. Sono format più brevi e che punta sullo spettacolo. Personalmente questa prima tappa serviva per prendere le misure, a me piacciono le gare più lunghe

Come sono organizzato gli spostamenti e le corse?

Non avendo l’appoggio della nazionale, siamo in contatto diretto con l’UCI Champions League. Io ho prenotato tutto tramite l’agenzia che ci ha messo a disposizione l’organizzazione. Anche questa è un’esperienza in più, ti insegna qualcosa di nuovo, devi pensare a tutto tu.

L’esordio non è stato dei migliori per Donegà (sullo sfondo) che ha chiuso al 13° posto la prima tappa (foto UCI)
L’esordio non è stato dei migliori per Donegà (sullo sfondo) che ha chiuso al 13° posto la prima tappa (foto UCI)
Si corre in un periodo particolare, a fine stagione…

E’ un punto di vista, sicuramente i corridori che hanno fatto una stagione intensa su strada e pista hanno declinato l’invito. Elia (Viviani, ndr) era uno dei selezionati, ma ha detto di no perché doveva riposarsi per l’inizio della nuova stagione. Di atleti di spessore ce ne sono molti, il livello è alto, diciamo che forse ci sono più “specialisti” della pista. Ce ne sono molti, c’è gente forte da tutto il mondo, c’è un bel livello. O vogliono preparare la stagione. 

C’è un maggior ricambio, no?

Secondo me è meglio così, c’è spazio anche per altri ragazzi, c’è la possibilità di fare esperienza. Essere selezionato qui è stato un modo anche per superare la delusione del mondiale. Nella mia carriera non mi ha regalato mai nulla nessuno e penso che questa selezione alla Champions League me la sono meritata da solo. 

Rimane una bella vetrina anche per eventuali opportunità future?

Sì, io sono sempre in contatto con l’Esercito per entrare in un corpo militare, è da un po’ che cerco di entrare. Spero che la partecipazione alla Champions League mi aiuti anche da questo punto di vista. Un evento del genere è una bella occasione anche per un corpo militare. Una corsa del genere dà una certa immagine del corridore, diventa più facile anche essere invitati alle sei giorni. La pista è il mio ambiente, mi sento a casa e spero di poter continuare ancora a praticarla.

EDITORIALE / In equilibrio fra la quota e il doping

24.10.2022
4 min
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La camera ipobarica è doping oppure no? E soprattutto che cos’è intendiamo con la parola doping? Mentre Evenepoel progetta di aggiungerne una alla nuova casa spagnola e tanti altri nel frattempo soggiornano negli hotel così attrezzati, agli italiani non resta che andare in altura. Per loro gli effetti sono limitati alla quota raggiunta e alla capacità di stare lontani dalle famiglie. Da noi infatti la camera ipobarica è doping.

Agli italiani resta l’altura. Questo è Battistella sul Teide prima dell’Amstel
Agli italiani resta l’altura. Questo è Battistella sul Teide prima dell’Amstel

La legge Melandri

La Legge 376 del 2000 e il DM del 30/12/2002, la ben nota Legge Melandri (eredità di anni che qualcuno ancora rimpiange), stabilisce infatti che in Italia i processi che aumentano artificialmente la massa eritrocitaria sono considerati doping ematico e quindi proibiti. Ma siccome la Wada ha lasciato a ogni Paese la sovranità per questo tipo di scelte, è evidente che gli atleti italiani vivano una discriminazione.

Quando Victor Campenaerts raccontò di aver dormito per due settimane simulando quota 4.700, aggiunse di aver conseguito lo stesso innalzamento di valori che avrebbe raggiunto con la vecchia epo

C’è qualcosa che non va. Se l’epo è vietata in tutto il mondo e un metodo parallelo che ne riproduce gli effetti è consentito per alcuni e non per altri, succede come quando alcuni potevano usarne tanta e altri non potevano neppure guardarla. Certo non è come quando determinate pratiche si proseguivano durante i Giri e le prestazioni non decadevano: qua si tratta di fasi di preparazione, ma l’anomalia resta.

Nello spagnolo hotel Syncrosfera si può ricorrere alle funzioni ipossiche con un aumento di prezzo di circa 50 euro
Nello spagnolo hotel Syncrosfera si può ricorrere alle funzioni ipossiche con un aumento di prezzo di circa 50 euro

Quota 4.000

Il punto adesso è capire se siamo noi quelli sfortunati o se per una volta siamo dalla parte giusta. Voi cosa ne pensate? Di certo una legge come quella non si cambia con una riunione fra esperti: servono il Parlamento e un Governo che si applichino. Ma forse adesso hanno altro da fare…

Quale messaggio passa quindi ai corridori italiani? Basterebbe leggere le parole di Oldani durante l’ultimo Giro d’Italia, costretto a non andare in ritiro con i compagni della Alpecin, perché loro avevano scelto come base l’Hotel Syncrosfera costruito in Spagna da Alexander Kolobnev. In gruppo ci guardano come gli sfigati di turno? Probabilmente sì: quella legge ce l’abbiamo solo noi.

Si parla tanto di giovani fenomeni e non c’è dubbio che lo siano. Si parla tanto di giovani italiani che non riescono ad emergere. Sarebbe bello che si allenassero e corressero tutti nelle stesse condizioni e che qualcuno nel frattempo ci spiegasse che differenza c’è fra un soggiorno artificiale a 4.000 di quota e una terapia medicinale che porta agli stessi risultati (piuttosto, in che modo il passaporto biologico registra certe variazioni?).

Se però la filosofia di base deve essere la stessa, sarebbe necessario che la Wada varasse una normativa uguale per tutti, oppure che la politica italiana facesse un passo indietro. Consentita per tutti o per tutti vietata.

La differenza fra italiani e resto del mondo è stata sottolineata da Oldani dopo la vittoria di Genova al Giro
La differenza fra italiani e resto del mondo è stata sottolineata da Oldani dopo la vittoria di Genova al Giro

Lotta agli spray

Oggi la lotta al doping dell’UCI prevede che si diano 12 mesi di squalifica a Michele Gazzoli, colpevole di aver usato uno spray nasale non consentito. Mentre nulla si dice a chi si alza l’ematocrito in modo artificiale e magari ne approfitta per vincere grandi Giri e classiche.

Sia chiaro, chi è autorizzato a farne uso, coglie l’occasione e cerca il marginal gain anche nella quota artificiale. E’ nel giusto e, stando così le cose e a meno di non volerla buttare sulla vecchia e purtroppo sopravvalutata etica, nessuno può fargliene una colpa. Agli altri restano le cime delle montagne e un latente senso di fastidio.

Il gravel è realtà, ma l’Uci deve lavorare sul regolamento

17.10.2022
5 min
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Bici da strada o gravel? Che tipo di percorsi? Quali partenze? Se il primo campionato del mondo gravel è stato un successo è anche vero che c’è ancora molto da mettere a punto dal punto di vista del regolamento. E il grosso della torta spetta all’Uci.

Dopo il tricolore di Argenta ne parlammo con Massimo Ghirotto. Adesso sempre con lui, presidente della commissione fuoristrada della Federazione ciclistica italiana, ritorniamo sull’argomento.

Da sinistra: Ghirotto, Celestino e Amadio lo scorso anno alla Serenissima Gravel
Da sinistra: Ghirotto, Celestino e Amadio lo scorso anno alla Serenissima Gravel

Giudici in fermento

Oltre al loro solito lavoro di controllo, a Cittadella i giudici UCI hanno anche preso appunti, studiato la situazione e incamerato osservazioni. Più di altre volte hanno fatto delle foto da usare, immaginiamo, nel report. Un report più importante di altre occasioni. La base parte da qui.

«Diciamo che da adesso in poi – spiega Ghirotto – ci penseranno i responsabili UCI. Qualcosa va studiato. Come ad Argenta, più che una prima edizione è stata un’edizione zero per capire come andranno davvero le gare gravel.

«L’organizzazione e Filippo Pozzato hanno fatto dei miracoli, specie per mettere in sicurezza il percorso: 140 chilometri linea, più il circuito finale. Per me quella è stata la cosa più difficile. La domenica sera, a mondiale concluso, ho visto un Pippo più disteso. Sono stati coinvolti 40 Comuni, si è spaziato da strade su ghiaia e asfalto, strade private e nazionali… Anche per questo credo che per il futuro l’UCI, come stiamo già facendo noi della FCI, potrà prendere in considerazione l’idea di correre in circuito. Circuiti anche grandi, di 40-50 chilometri, sicuramente più facili da controllare».

Il format c’è. I corridori sono rimasti positivamente colpiti: ora va messo a punto il tutto. Va portato a regime.

«Una delle problematiche da risolvere – continua Ghirotto – è senza dubbio quella della partenza femminile e delle partenze maschili amatoriali. E’ inevitabile che ad un certo punto alcuni degli uomini vadano a riprendere le donne (magari non le primissime, ndr). Si mescolano e in qualche modo la gara femminile non è più perfettamente lineare».

Al mondiale Zoccarato ha utilizzato una bici gravel… Oss e VdP una da strada adattata. Alla Serenissima (in foto) la gravel era obbligatoria
Al mondiale Zoccarato ha utilizzato una bici gravel… Oss e VdP una da strada adattata. Alla Serenissima (in foto) la gravel era obbligatoria

Quali bici?

Altro tema: bici libere o bici gravel obbligatorie? Qui, a nostro avviso conterà molto anche la presa di posizione dei marchi, un po’ come avvenne per l’avvento del freno a disco. Al netto del percorso più o meno tecnico, è ipotizzabile che i costruttori vogliano imporre la bici gravel. Specie se questa specialità dovesse arrivare alle Olimpiadi, come già si vocifera.

L’esempio di Canyon è stato emblematico. La casa tedesca ha un po’ giocato con l’utilizzo della Grizl (il modello gravel) da parte di Van der Poel, quando poi in extremis l’olandese ha scelto la bici da strada adattata. E VdP lo sapeva… Ma intanto per tre giorni in tutto il mondo si è parlato della Grizl.

«Bici gravel o meno – commenta Ghirotto – si torna sempre lì: partire dalle norme. Noi come Federazione dobbiamo seguire l’UCI, già l’ho detto la volta scorsa. Aspettiamo. Credo che ci siano allo studio già delle precisazioni importanti.

«Personalmente la vedo difficile che il campionato del mondo sarà ristretto alle sole bici gravel. Perché si va a limitare il panorama mondiale, la presenza di certi atleti. Una bici da strada che consente il montaggio di gomme larghe la vedo più facile».

Argenta, Serenissima, mondiale… per ora sempre percorsi filanti nel gravel race
Argenta, Serenissima, mondiale… per ora sempre percorsi filanti nel gravel race

Percorsi filanti

Oss e molti altri pro’ hanno detto che alla fine sono stati sufficienti tre cambi di direzione e due ponticelli per fare la differenza. La tipologia dei tracciati quindi può andare bene per una gara. Poi ci può essere qualche tratto tecnico in più o in meno, o qualche salita in più, ma non si vedranno i tracciati da 300-400 chilometri super wild.

«Direi di no – dice Ghirotto – mi sembra che l’UCI abbia già messo un paletto in tal senso, specie se si vuol coinvolgere gli atleti dei team importanti. Se il gravel diventa una cosa eroica a quel punto non è più race. 

«A Cittadella c’era un piattone okay, ma se ci dovesse essere un po’ di dislivello in più di certo ci sarebbe qualche chilometro in meno. Altrimenti la gara diventerebbe troppo dura. In generale dico che mi aspetto che l’UCI prenda in mano questa specialità».

Il cittì Pontoni con le sue ragazze
Il cittì Pontoni con le sue ragazze

Atmosfera azzurra

Infine a Ghirotto, che ha sempre sentito molto la maglia della nazionale, chiediamo che atmosfera si respirasse nel clan dell’Italia. Un clan misto di crossisti, stradisti e biker.

«Bellissimo – conclude Ghirotto – ho avuto l’onore di assistere alla riunione tecnica sia delle donne che degli uomini e ho visto corridori come Daniel Oss, che hanno vissuto il ciclismo più importante al mondo, ascoltare con interesse i consigli di Pontoni e Celestino. I ragazzi e le ragazze erano attenti, umili, sinceri. E poi li ho visti divertirsi. Un gruppo differente dal solito.

«Mi sono un po’ rivisto io corridore che ascoltavo i consigli di Boifava e sempre io che davo i consigli da team manager ai miei ragazzi e alle mie ragazze della mtb».

Il mondiale gravel, un cantiere aperto e un’opportunità

14.10.2022
4 min
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Il post mondiale gravel è difficile e complicato. Si tirano le somme, si valutano i diversi aspetti, cosa c’è di positivo e dove è necessario migliorare. E’ pur vero che una prima edizione, come la è stata questa rassegna iridata UCI Gravel sancisce l’inizio di un’era.

Si amplia ulteriormente il progetto UCI legato alla multidisciplinarietà? Il dibattito è aperto. Abbiamo avuto l’opportunità di fare due chiacchiere con Nathan Haas, grande interprete del gravel race e con Nicolas Roche.

Vicenza, sede di partenza
Vicenza, sede di partenza

Il primo mondiale della storia

Il primo Mondiale Gravel della storia si è svolto in Italia e anche questa è storia, come ha affermato Pozzato. Ha avuto luogo in una terra che mastica il ciclismo, ovvero il Veneto e grazie ad un’organizzazione che la bicicletta la conosce bene.

La nostra non vuole essere una disamina dell’evento. Non spetta a noi far luce sugli aspetti positivi e dove è fondamentale migliorare, a questo penseranno lo stesso gruppo organizzatore e anche l’UCI, che proprio qui ha messo il primo tassello per una nuova categoria di competizioni.

Noi vogliamo dare voce e riportare alcuni concetti interessanti espressi da Nathan Haas e Nicolas Roche. Il primo prosegue la sua carriera di atleta professionista elite, è uno dei più grandi interpreti del gravel race e anche per questo non è categorizzabile come ex pro’ su strada. “Nico” Roche è uomo esperto ed appassionato, particolarmente legato alle attività UCI in ambito gravel e delle attività ciclistiche nel Principato di Monaco (dove risiede), oltre ad essere direttore del programma di ciclismo su strada della Nazionale Irlandese.

Tra i più grandi interpreti del gravel, Lachlan Morton e Nathan Haas (a destra)
Tra i più grandi interpreti del gravel, Lachlan Morton e Nathan Haas (a destra)

Format non nuovo, ma diverso

Il format utilizzato per il primo mondiale gravel della storia è “paragonabile” a quello utilizzato nel competizioni Mtb marathon, dove professionisti e amatori sono allo stesso livello nelle fasi partenza. Non è un aspetto banale, perché obbliga a gestire in modo oculato tutte le fasi di controllo, partenza e gestione del percorso, ma al tempo stesso mette ogni tipologia di atleta sullo steso piano. L’UCI e le organizzazioni devono essere pronte a questo anche e soprattutto in ottica futura.

Alla partenza del mondiale gravel, Van Avermaet e accanto Nathan Haas
Alla partenza del mondiale gravel, Van Avermaet e accanto Nathan Haas

Parla Nathan Haas

«Da sempre il ciclismo è come un percorso di crescita – dice – e prevede un iter da seguire, così dovrebbe e deve essere anche nell’ambito del gravel race. Il primo mondiale gravel è una cosa molto buona, un aspetto davvero positivo per il movimento ed è anche per questo motivo che non capisco l’assenza di un ranking della categoria gravel. C’è nel settore road, nella mtb e nel ciclocross. E’ fondamentale creare una lista che si basa sui punteggi anche nel gravel, fondamentali per stilare le starting grid delle competizioni. Uno strumento utile anche per creare uno storico e capace di fare ordine.

«Questo non significa che lo stradista, il biker e/o il ciclocrossista devono passare in secondo piano – continua Haassiamo noi del gravel i primi a sapere e capire che questo mondo nasce adesso e ha bisogno di tutti. Ma è pur vero che in una competizione gravel, gli interpreti della disciplina devono avere la precedenza. Se io mi presento ad una gara su strada non mi fanno partire davanti ed è giusto così».

Per la cronaca, Nathan Haas è riuscito a partire a ridosso della prima fila e ha concluso la sua fatica in 16ª posizione a 6’23” da Vermeersch.

“Nico” Roche in gara a Vicenza con gli elite
“Nico” Roche in gara a Vicenza con gli elite

Parla Nicolas Roche

«L’UCI deve ascoltare anche i corridori che stanno correndo nelle competizioni gravel – dice – perché possono dare un grande aiuto e fornire dei feedback necessari alla crescita di questa categoria. Anche io mi sto spendendo a favore di un’evoluzione del movimento, ho voluto scrivere le mie considerazioni all’UCI e anche con la Federazione del Principato di Monaco c’è la volontà di far evolvere il movimento. Negli ultimi anni la federazione monegasca è sensibile allo sviluppo del ciclismo su diversi fronti.

«Restando nell’ambito gravel e gravel race, il primo mondiale segna la storia ed è chiaro che c’è molto da fare e costruire. Sappiamo benissimo che una prima edizione non può essere perfetta – continua Roche – e anche per questo motivo l’intervento degli atleti che contribuiscono a veicolare il messaggio gravel in giro per il mondo è fondamentale. Il gravel è una grossa opportunità per tutti. Le stanze dei bottoni sono necessarie, ma lo sono anche i corridori che vivono il ciclismo da dentro».

Nicolas Roche, classe 1984 ha chiuso il mondiale gravel 2022 alla posizione 47 della classifica assoluta a 19’38” dal vincitore.