Zamperini di forza, nuovo campione italiano degli U23

23.06.2024
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Si gira ancora una volta Edoardo Zamperini. Il chilometro finale verso il traguardo di Trissino sembra infinito per lui. Forse sente l’arrivo degli inseguitori, che tutto sommato gli hanno rosicchiato un bel po’ (in apertura foto Trissino 2024).

Ma il vantaggio è buono e alla fine la maglia tricolore è sua. Il corridore dell’UC Trevigiani prende l’eredità di Francesco Busatto. Classe 2003, Edoardo Zamperini è di Azzago, Verona, non troppo lontano dalla sede della gara. Ed anche per questo il tifo per lui era parecchio.

Al via 184 partenti. I favoriti? I nomi presenti anche al Giro Next Gen (foto Trissino 2024)
Al via 184 partenti. I favoriti? I nomi presenti anche al Giro Next Gen (foto Trissino 2024)

Il film in breve

Brevemente la gara. Trissino, paese nella provincia di Vicenza ospita il campionato italiano under 23. La corsa di fatto procede parallela a quella dei professionisti. Zamperini e Bettiol tagliano il traguardo in contemporanea. O al massimo con una differenza di pochi secondi.

La corsa va come da programma. Diverse fughe nei giri iniziali e poi la grande attesa per il circuito finale di 32 chilometri con la scalata maggiore verso Sella Trissino. La gara prende la sua fisionomia definitiva a circa 50 chilometri dal traguardo. Fuori c’è un drappello. Zamperini e altri rintuzzano da dietro e scappano. Scappano in cinque. Oltre a lui, anche Nicola Rossi, Pietro Mattio, Simone Gualdi e Lorenzo Masciarelli.

Appena inizia la scalata finale Zamperini balza in testa. Sui primi forcing non fa grande differenza ma poi cedono tutti e s’invola. Arriva a guadagnare 35”: quanto basta per percorrere gli ultimi 10 chilometri, tra discesa, pianura e strappo finale, che portano al traguardo in testa. E quindi al titolo nazionale U23.

Percorso davvero bello e tecnico sulle colline vicentine: 166 km e 2.400 metri di dislivello
Percorso davvero bello e tecnico sulle colline vicentine: 166 km e 2.400 metri di dislivello

Turbo Giro Next

«E’ un anno – dice Zamperini appena dopo il traguardo – che inseguo una vittoria importante. Ci sono andato vicino nelle internazionali in primavera, poi c’è stato anche qualche intoppo (leggasi la rottura della clavicola alla Ronde de Isard). Però sapevo di essere tra i favoriti e di stare bene, in quanto sono uscito dal Giro Next Gen con una buona gamba.

«Anzi, una gamba strepitosa. Oggi stavo davvero bene. Quando ho deciso di attaccare l’ho fatto. Ho recuperato sulla fuga, prima, e sono scattato in salita, poi. Ho provato ad anticipare un po’ chi poteva essere più forte di me in salita, come Florian Kajamini, ma al primo passaggio non ci sono riuscito, ma è andata bene la seconda volta».

Il tema di chi usciva dal Giro Next Gen era un po’ sulla bocca di tutti. Si sapeva che i favoriti erano coloro che uscivano dalla corsa rosa e non è un caso infatti che i primi cinque vengano tutti da lì. Come ci aveva detto in mattinata Amadori, alla fine si era vista una buona Italia al Giro Next, salita a parte.

Oggi però senza gli scalatori delle devo team delle WorldTour le cose sarebbero potute andare diversamente. E così è stato.

Zamperini ha parlato anche di una Trevigiani competitiva prima del via (foto Trissino 2024)
Zamperini ha parlato anche di una Trevigiani competitiva prima del via (foto Trissino 2024)
Prima di tutto, Edoardo, complimenti. Insomma, da quel che hai detto dopo l’arrivo la corsa è andata come ti aspettavi…

Sì. L’italiano è una gara strana, non facile da gestire. Sapevamo di stare bene, ma avevamo l’incognita di chi fosse il più forte in salita. Così volevamo fare corsa dura e ci siamo riusciti. Quando io sono entrato in azione i miei compagni avevano già fatto un lavoro assurdo.

Conoscevi il percorso?

Sì, ero venuto a provarlo in settimana e come l’ho visto ho capito che poteva venire fuori una corsa dura, ma anche interessante per me.

Hai corso con sicurezza e le tue parole lo hanno confermato. Invece quando sei partito cosa hai pensato? Cosa ti passava per la testa: paura? Adrenalina?

Ho pensato a menare e basta! Dietro, in quel drappello, c’era Mattio che non è certo l’ultimo arrivato. Anche al Giro Next è andato forte. Sapevo che su quella salita forse sarei stato un po’ più forte di lui, ma sapevo anche che la prima parte di discesa era da spingere e che lui è uno molto esplosivo, quindi dovevo guadagnare il più possibile.

Ultimissimi metri, Zamperini ormai affaticato si volta ancora. Ma è fatta
Ultimissimi metri, Zamperini ormai affaticato si volta ancora. Ma è fatta
Conoscevi i distacchi? Poco dopo lo scollinamento si è parlato di 35”…

Li sentivo dalla moto in corsa. Esatto, 35”, ma poi ho sentito poco dopo anche 19”, 15”… Immaginavo che in pianura e nel primo tratto non tecnico di discesa avrei perso qualcosa, che mi sarebbero tornati sotto, per questo ho spinto tutto il tempo e pensavo a dare il 110 per cento. Pertanto nessuna grinta in più, nessuna paura: solo la voglia di dare fino all’ultima goccia di energia, sperando che quelli dietro di me ne avessero di meno.

E anche per questo ti voltavi spesso nell’ultimo chilometro?

Esatto, perché se erano veri quei 15” su uno strappo tanto duro come quello del finale, uno esplosivo come Mattio ci avrebbe messo un attimo a riprendermi.

A proposito di discesa: un paio di curve le hai fatte davvero al limite…

Diciamo che la caduta alla Ronde de l’Isard non mi ha messo paura! Comunque sì, davvero al limite. Però come ho detto bisognava spingere.

Il podio finale con: Edoardo Zamperini (primo), Nicola Rossi (secondo) e Pietro Mattio (terzo)
Il podio finale con: Edoardo Zamperini (primo), Nicola Rossi (secondo) e Pietro Mattio (terzo)
Una curiosità: avevi il computerino sull’orizzontale e non sul manubrio: come mai?

Ah, ah – ride Zamperini – semplicemente perché in settimana mi si è rotto l’attacco del Garmin e non è arrivato in tempo quello nuovo. Nessun vezzo dunque. Ma presto tornerà al suo posto. Non è super comodo lì. Tra l’altro ho corso senza cardio e senza potenziometro. Andavo a sensazione. Ma la salita finale la conoscevo bene e sapevo come gestire le forze.

Ultima domanda, Edoardo: sai che questa maglia è un grimaldello per il professionismo. Si muove qualcosa in tal senso?

Qualcosa si è mosso questa primavera quando sono andato bene nelle internazionali, ma tra la caduta in Francia e un Giro Next non super, si era un po’ fermato tutto. Adesso spero che questa maglia sia un bel biglietto da visita per il professionismo.

Zurlo ci crede: «Nel 2023 mi giocherò il tutto per tutto»

03.03.2023
4 min
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Matteo Zurlo, a pochi minuti dalla partenza della Coppa San Geo, si aggira tra i pullman con la sicurezza di uno che questo ambiente lo conosce bene. Si ferma a salutare tutti: ex compagni, sponsor venuti a godersi la prima corsa dell’anno e diesse. Lo sguardo è sicuro, il casco sulla testa e gli occhiali calati sul viso, come se non volesse farsi guardare attraverso. 

Nel 2023 Zurlo è passato dalla Zalf alla UC Trevigiani, un cambio di squadra sì, ma non è quello che si aspettava lui che sognava, ed ancora sogna, il professionismo. 

Zurlo alla partenza della Coppa San Geo, la sua prima gara di stagione (foto Sonia Castelli)
Zurlo alla partenza della Coppa San Geo, la sua prima gara di stagione (foto Sonia Castelli)

Nuovi stimoli

A pochi metri dal pullman della sua squadra c’è una piccola attività, ci spostiamo vicino alla vetrata e l’intervista inizia. 

«Sto bene dai – ci dice – tutto a posto. Iniziamo con la Coppa San Geo, prima gara della stagione, si iniziano a scoprire un po’ le carte e vediamo chi ne ha. Il cambio di team è dovuto a diversi motivi: il primo è perché la mia ex squadra (la Zalf, ndr) non teneva più tanti corridori elite. In più sentivo il bisogno di cambiare aria e di trovare nuovi stimoli, fino ad adesso li sto avendo. Con l’inizio delle gare spero di continuare con queste sensazioni che devo proprio ammettere, sono positive».

Il veneto si ferma a parlare con tutti, il suo nome è uno di quelli più importanti in gruppo
Il veneto si ferma a parlare con tutti, il suo nome è uno di quelli più importanti in gruppo

Il salto mancato

In sottofondo lo speaker chiama a rapporto le ultime squadre per la presentazione e le foto di rito. Zurlo continua a parlare, il suo palmares parla chiaro, i risultati sono arrivati: Giro del Veneto nel 2021 più dei bei piazzamenti al Giro del Friuli tra 2021 e 2022 e tanti altri. Tuttavia la chiamata dal mondo dei grandi non è arrivata. 

«In questi ultimi anni – dice con voce convinta – ho fatto molti risultati, anche nelle gare con i professionisti sono andato spesso in fuga e mi sono fatto vedere. Non sono mancate nemmeno le vittorie a dire il vero. D’altro canto ho avuto anche tanta sfortuna in queste ultime stagioni, ho combattuto con problemi al cuore, all’inizio del 2022 ho rotto due vertebre e lo scafoide. Posso dire che avrei gradito un po’ di fortuna in più, questo sicuramente, il mio però in questi anni l’ho sempre dato. Spero in questa stagione di poter cogliere l’obiettivo del professionismo, che sarebbe anche ora, dai. Ho gareggiato poco con loro, sicuramente vanno forte, però correndoci un po’ di più insieme ti adegui ed alzi il livello. Bisogna provarlo per capirlo».

Zurlo, a destra, insieme a Baseggio, i due sono tra i corridori più esperti della UC Trevigiani (foto Sonia Castelli)
Zurlo, a destra, insieme a Baseggio, i due sono tra i corridori più esperti della UC Trevigiani (foto Sonia Castelli)

Inverno senza freni

Il 2023, però, è partito bene, senza intoppi fisici e dalla San Geo in poi Zurlo ha già messo nelle gambe altri giorni di corsa. 

«Non posso lamentarmi – ammette – è filato tutto liscio e non ho mai avuto intoppi. Si comincia nel migliore dei modi, siamo belli motivati e vedremo gara per gara. Avere un anno in più in questa categoria dà un po’ di sicurezza. Ma bisogna guardare anche l’altra faccia della medaglia, ovvero che si è un po’ in là con l’età per i professionisti. Poi la speranza è l’ultima a morire, ci si prova ancora per quest’anno e speriamo di dimostrare quel che valgo. Ci sono degli esempi positivi, alla fine Lucca, che è del ‘97 (ha un anno in più di Zurlo, ndr) è passato alla Green Project quest’anno. Sono sicuro che anche lui fosse un pochino rassegnato, ma insistere gli ha dato ragione e speriamo che anche la mia tenacia venga ripagata».

L’esperienza di Zurlo è stata fondamentale per la vittoria di D’Aniello al Gran Premio La Torre (foto UC Trevigiani)
L’esperienza di Zurlo è stata fondamentale per la vittoria di D’Aniello al Gran Premio La Torre (foto UC Trevigiani)

La voce esperta

Zurlo ha quell’esperienza che serve, l’audacia di chi conosce la categoria e sa come affrontarla. Il veneto può essere un punto di riferimento della UC Trevigiani.

«Sicuramente qualche consiglio – afferma – potrò darlo ai miei compagni. Che sia in gara o in allenamento, è una cosa in più pure per loro avere dei compagni che hanno qualche anno alle spalle. Siamo in tre: Rocchetta, che correva con me alla Zalf, Baseggio ed io».

L’esperienza di Zurlo la si è subito vista anche in corsa alla San Geo, sempre al coperto, nella pancia del gruppo e pronto a mettersi davanti nei momenti giusti. Anche al Gran Premio La Torre, chiuso in quinta posizione, ha giocato un ruolo chiave nella vittoria del suo compagno Immanuel D’Aniello.

U.C. Trevigiani, il ritorno a casa è un nuovo inizio

17.01.2023
6 min
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Un nome che ha segnato pagine di storia di ciclismo, portando decine di ciclisti al palcoscenico del professionismo. Con 110 anni di storia l’U.C. Trevigiani Energiapura Marchiol torna a Treviso con un progetto nato da poco e l’obiettivo di tornare un esempio fra gli U23 e gli elite, vincendo e formando nuovi campioni. 

A dire la verità, la formazione veneta aveva già mosso i primi passi, ma come ci ha segnalato il team manager Franco Lampugnani: «Il 2022 è stato l’anno di semina, perché la società è tornata a fare attività agonistica in proprio. Il nome U.C. Trevigiani era stato dato in gestione a team esterni, senza però avere un’anima vera e propria come quella che vogliamo dargli oggi». 

Ad accompagnare questo viaggio oltre a nomi nuovi e uno staff rinnovato, si riconosce il nome di Mirco Lorenzetto, ex pro’ e attuale diesse della neo-formazione: «Quest’anno vogliamo vincere. Abbiamo bisogno di dare fiducia alla gente di Treviso, agli appassionati e alla società. Abbiamo puntato su un organico di spessore».

Da sinistra: il project manager Luciano Marton, Mirco Lorenzetto, Franco Lampugnani e Francesco Benedet
Il diesse Mirco Lorenzetto e a destra il manager tecnico Franco Lampugnani

Di nuovo a casa

Il nome U.C. Trevigiani non ha mai abbandonato gli ordini d’arrivo in questi ultimi anni. Il legame indissolubile che lega il ciclismo giovanile alla città di Treviso però richiedeva più importanza e presenza. Così è nata l’idea di riportare la squadra tra le mura della città veneta e ripartire da zero. 

«Fino al 2021 – spiega Franco Lampugnani – il marchio depositato U.C.Trevigiani è stato, come detto, gestito da terzi. Da quest’anno inoltre è cambiata la ragione sociale, non è più una ASD, ma è diventata una SRL sportiva a tutti gli effetti. Perché vogliamo fare le cose con un’altra impronta. Tutto è partito con la volontà condivisa da me, il Project Manager Luciano Marton e il Presidente Ettore Renato Barzi. Ci siamo accorti che dando il nome in prestito, era diventata una cosa al di fuori del nostro potere decisionale con tutti gli nessi e connessi. Nel 2023 vogliamo che la Trevigiani torni ai fasti di un tempo riportandola in auge anche con i risultati. Quindi abbiamo improntato uno staff completo e un parco atleti importante. 

«Alcuni partner e sponsor sono rimasti legati a Trevigiani, come Energiapura e Marchiol che hanno sposato il progetto, facendo sì che tutto ripartisse dalla nostra casa di Treviso. Io ho riportato alcuni sponsor all’interno del pacchetto come quelli tecnici».

Cristian Rocchetta e Matteo Zurlo, con la divisa di allenamento, sono le due punte della Trevigiani
Cristian Rocchetta e Matteo Zurlo, con la divisa di allenamento, sono le due punte della Trevigiani

Organico rinforzato

L’obiettivo è sempre quello ed è condiviso da tutti: vincere. Per farlo, dopo un primo anno di crescita, lo staff tecnico ha deciso di investire su un organico più solido e vincente.

«Abbiamo fatto una squadra – dice Lampugnani – con ben sei elite. Chiaramente puntiamo sui due acquisti, Zurlo e Rocchetta che vengono dalla Zalf e vedremo cosa saranno in grado di fare. Dai primi ritiri abbiamo visto fin da subito che sono molto motivati e hanno sposato in pieno quello che è il nostro progetto. Senza dimenticare che è rimasto Baseggio, l’atleta che ci ha fatto un po’ da copertina nel 2022. Poi ci sono De Totto, Di Bernardo e Pozza. De Totto è un ragazzo che proviene dal calcio, sono solo tre stagioni che corre in bici. Abbiamo visto insieme ai preparatori che ha dei margini interessanti. 

«Abbiamo alzato un po’ – prosegue il team manager – quello che era il livello dei nostri under 23. Veniamo da una stagione dove i giovani ci hanno deluso e quindi abbiamo deciso di rinforzarci ulteriormente. Sono stati presi Palomba della General Store, Di Bernardo, il danese Mortensen e confidiamo nella crescita di Cetto. Anche dal punto di vista dello staff ci sentiamo forti. Con Mirco Lorenzetto ci saranno Francesco Benedet e Leonardo Sari come diesse. Mirco è un tecnico di grande esperienza. Mentre come preparatori abbiamo lasciato libertà ai ragazzi di essere seguiti da figure non centralizzate. Zurlo, Rocchetta e Baseggio saranno seguiti da Paolo Slongo, un amico che in questi anni ci ha sempre affiancato e quindi abbiamo deciso di proseguire la collaborazione».

La vittoria di Matteo Baseggio a Osio Sotto (Foto Rodella)
La vittoria di Matteo Baseggio a Osio Sotto (Foto Rodella)

Porto sicuro

Trevigiani vuole dire anche crescita e ha sempre rappresentato un’ambizione per chi volesse approdare ad un porto sicuro con i mezzi per poi abbordare alle corazzate del professionismo.

«Immanuel D’Aniello – racconta Lampugnani – viene da Salerno, ciclisticamente dalla Palazzago. Lo abbiamo inserito nel ranking a fine campagna acquisti, però diciamo che abbiamo visto un ragazzo forte in grado di darci delle buone soddisfazioni in salita.

«Poi c’è Ignazio Cireddu che viene dalla Sardegna, frutto della collaborazione che abbiamo con il Team Crazy Wheels. Una collaborazione amichevole perché il Presidente della società Luca Massa è un amico personale, che abita qui a Treviso per motivi lavorativi. Lui sta lavorando per creare nella sua regione una realtà di juniores e under 23 con l’inserimento di due ragazzi tesserati per farli correre qua a Treviso. In Sardegna non sono previste gare under 23 e quindi sarebbero stati costretti a correre con gli amatori, rendendo il loro percorso di crescita più difficoltoso. Al contrario della Sicilia che vanta un calendario importante, da cui invece proviene La Terrà Pirré che ci ha già dato qualche segnale positivo l’anno scorso. Possiamo vantare atleti dalle isole e non solo, a cui daremo possibilità per farsi vedere»

Giacomo Cazzola, Maurizio Cetto e Immanuel D’Aniello: dopo la presentazione, si lavora per il debutto
Giacomo Cazzola, Maurizio Cetto e Immanuel D’Aniello: dopo la presentazione, si lavora per il debutto

Lorenzetto in ammiraglia

Avere un diesse ex pro’, rappresenta sempre un valore aggiunto sia per i ragazzi che per la dirigenza. Così abbiamo chiesto a Mirco Lorenzetto cosa lo abbia spinto ad abbracciare questo progetto e che visione si è fatto di questo grande ritorno.

«Fondamentalmente Trevigiani non ha mai chiuso – spiega il veneto, che nella Trevigiani corse il primo anno da U23 nel 2000 – però è il primo anno che ritorna con base fissa qui. E’ un motivo di orgoglio e appartenenza.  Era il momento di guidare una squadra. Ho trovato il legame con questa squadra e ho deciso di portare avanti un’idea. Il 2022 è stato un anno in cui sono rimasto un po’ più defilato. Non c’erano ambizioni di risultati.

«Quest’anno la squadra mi rappresenta di più a partire dagli acquisti. Quella del 2022 era acerba e messa su senza troppo tempo di scegliere. Per questa stagione puntiamo a vincere. Tra under ed elite quest’anno possiamo dire di essere pronti a dire la nostra, avendo alle spalle un progetto in cui crediamo molto».

La Trevigiani correrà con le bici di Paolo e Alessandro Guerciotti, qui con il presidente Barzi
La Trevigiani correrà con le bici di Paolo e Alessandro Guerciotti, qui con il presidente Barzi

Le tre punte

Tra i 18 atleti che compongono la formazione UC Trevigiani Energiapura Marchiol 2023 ci sono tre nomi su tutti che svettano per quanto già fatto vedere, risultati alla mano.

«Indubbiamente – dice Lorenzetto – le nostre punte sono Zurlo, Rocchetta e Baseggio, impossibile negarlo. Zurlo dal punto di vista del motore e delle motivazioni non riesco a capire come possa essere ancora dilettante. Visto dalla mia esperienza sportiva, uno come lui potrebbe fare comodo a qualunque squadra professionistica. Ha una mentalità solida ed è convinto di quello che fa.

«Il paradosso sta nel fatto che lui non ci crede quasi più nel passare. E’ brutto perché un ragazzo con queste potenzialità non dovrebbe mai perdere le speranze. Non è colpa sua, ma dell’ambiente. Gli ho detto che quando correvo, era mio compagno di stanza un corridore che è passato da ultimo anno elite quasi per caso. Si chiama Alessandro Ballan ed è l’ultimo italiano ad aver vinto un mondiale tra i pro’».

Sangalli: continuità, porte aperte e più trasferte con le junior

10.11.2021
7 min
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Paolo Sangalli raccoglie l’importante eredità di Dino Salvoldi, con il quale ha collaborato negli ultimi 12 anni. Dice convinto che se non fosse stato necessario spostare il milanese al settore degli juniores, avrebbe continuato senza problemi a collaborare con lui.

Sangalli si è tagliato i capelli dopo aver raggiunto lunghezze inaudite. Aveva scommesso che lo avrebbe fatto quando un’azzurra avesse vinto il mondiale e la vittoria di Elisa Balsamo ha fatto scattare le forbici.

Come tutti gli altri tecnici azzurri, anche il bergamasco è reduce dai meeting che si sono svolti a Milano per impostare i programmi e creare le sinergie in vista della prossima stagione. E come tutti i suoi colleghi appare entusiasta del lavoro svolto.

«Sono stati due giorni belli – dice – abbiamo fatto gruppo. Ognuno ha portato i propri programmi, che poi saranno valutati. Il presidente e Amadio hanno le idee chiare. La pandemia ha fatto saltare il banco, ma vogliamo recuperare. Uno dei punti del mio programma sarà quello di fare attività internazionale con le junior, che già due anni fa volevamo fare, ma il Covid lo ha impedito. Quindi cominceremo quasi sicuramente con la Gand-Wevelgem, che fanno anche gli junior maschi e gli under 23. Un bell’appuntamento di una nazionale unita».

Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Come ti approcci a questo ruolo? Diciamo che in fondo resti in casa tua… 

Il mio ruolo è la continuazione dell’ottimo lavoro di Dino (Salvoldi, ndr) con cui ho lavorato in questi 12 anni. Quindi resto in casa con responsabilità maggiori, in un ambiente in piena salute perché così lo ha lasciato il lavoro di Salvoldi. L’hanno mandato in un settore che aveva bisogno di un cambiamento e lui, se non è il più bravo, è di certo uno dei migliori della Federazione.

In assoluto c’è aria di continuità. Come gestirai le donne?

Per quanto riguarda le élite, ormai sono professioniste come gli uomini. Hanno il loro programma, i loro preparatori, il mental coach. Questa sarà una figura introdotta anche dalla Federazione nella persona di Elisabetta Borgia (in procinto di essere inserita anche in modo permanente alla Trek-Segafredo, ndr), che già seguiva alcune ragazze e ora fa parte del nostro staff. E’ in gambissima. Davvero si sta facendo un ottimo lavoro, che sarà l’ideale anche per il futuro

Se sono professioniste, dovrai seguirle le loro gare?

Andrò a vedere praticamente tutte le gare WorldTour. In alcune occasioni, quando ci sarà la concomitanza delle prove maschili, mi muoverò assieme a Bennati. Questo è un punto fermo, voglio seguire anche le grandi corse a tappe, anche se durante il Giro d’Italia c’è la concomitanza dei Giochi del Mediterraneo

Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Le nazionali di Salvoldi non prescindevano da alcuni punti fermi…

Ci sono delle atlete indiscutibili. Abbiamo la campionessa del mondo, Longo Borghini, Bastianelli. Abbiamo tantissimi nomi. C’è la Cavalli, Bertizzolo se torna ai suoi livelli. Sarà come con Dino, nessuna chiusura. Chi andrà forte, farà parte della nazionale, ovviamente con le caratteristiche giuste per il percorso. Vedremo i percorsi, darò le indicazioni alle interessate e assieme ai loro tecnici stabiliremo il miglior avvicinamento.

Cosa si sa dei percorsi?

Gli europei di Monaco di Baviera hanno qualche strappo nel tratto in linea, poi non sembrano difficili. I mondiali in Australia sembrano per velocisti, almeno da quanto hanno detto. Quindi servirà gente veloce e in Italia atlete con questo profilo non ci mancano. 

E’ uno svantaggio non avere più il controllo del gruppo pista?

E’ uno svantaggio se chi fa strada non ha la percezione dell’importanza della pista, ma io con Marco Velo e con Villa avrò dei contatti non dico giornalieri, ma ogni 2-3 giorni. Vogliamo creare un percorso e quindi non ci sarà nessunissimo problema. Siamo da tanto in Federazione, sappiamo come funziona. Io sono convinto che la pista sia fondamentale. Magari il prossimo anno le ragazze daranno più spazio alle loro società, ma dovranno fare richiami periodici che permettano loro di non perdere il colpo di pedale e tutto il resto. Nessuno si arroccherà in difesa e l’esperienza degli ultimi anni, delle donne e degli uomini, conferma che si va forte in pista e anche su strada.

Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
C’è polemica per gli juniores che passano professionisti, in realtà fra le donne è la regola…

La categoria juniores donne è una fase di studio. Devono capire quel che serve per diventare corridori. Quindi bisogna lavorare nel modo giusto, senza l’ossessione del risultato che semmai è la conseguenza indiretta del buon lavoro. Hanno bisogno di tutto, anche di capire come mangiare. Faccio un esempio: prendiamo una ragazza di 17 anni che va a scuola e in famiglia non ha nessuno sportivo. Magari è una banalità, ma se si allena appena uscita da scuola, che cosa dovrà mangiare e quando? Deve essere davvero una scuola, in modo che quando andranno nelle WorldTour, saranno preparate.

Sei a favore della creazione della categoria U23 per le donne?

Sono fermamente convinto che serva, perché c’è dispersione di talento fra le junior e le elite. Il livello è altissimo e nelle WorldTour corrono in sei, quindi è difficile entrare in squadra. Questo alla lunga diventa un problema. Con le U23, hai la gradualità di un livello vicino al tuo.

Ci saranno dei ritiri collegiali?

Per le junior di sicuro, per le grandi solo se ci sarà lo spazio e se qualcuna avrà necessità. Se ad esempio c’è un ritiro invernale del gruppo pista e due o tre stradiste hanno bisogno di lavorare, potranno andare con loro e ci sarò anche io. Non credo che torneremo in altura all’inizio dell’anno. Aveva un senso l’anno scorso con gli europei della pista a marzo, poi rinviati. Casomai si andrà in alto con le junior, sarà per spiegare loro a cosa serva e quali potrebbero essere le reazioni fisiologiche.

E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
Terrai lo stesso staff tecnico di sempre?

Ci sarà interscambio fra gruppi pista e strada, fra Dino e me e anche con quelli del professionismo. Invece sono contento di avere come collaboratrice la Rossella Callovi, che sarà preziosa anche per la pista.

Quindi, stringendo, sarai selezionatore con le elite, mentre con le junior entrerai anche nella preparazione?

Esatto! Come dicevo prima, faremo formazione nel rispetto delle società. Avrò un rapporto forte con loro, lo stesso già creato con Dino. Sanno come lavoro, non ci saranno problemi. Abbiamo sempre concordato le convocazioni, la linea resta la stessa.

Ma parliamo del commissario tecnico Sangalli. Hai detto di aver fatto 12 anni con Salvoldi e magari, se Di Rocco fosse rimasto presidente, ne avresti fatti altri 12. Hai mai avuto la voglia di uscire in prima persona?

No, perché io ho sempre lavorato bene, tranquillo. Non c’era questa necessità da parte mia. Neanche a livello di ambizione personale, perché ero contento di quella collaborazione. Non si trattava di dire chi fosse primo e chi il secondo. Lavoravamo agli stessi obiettivi, condividendo tutto. Il fatto di diventare tecnico neanche me lo aspettavo. E aggiungo che se non ci fosse stata questa necessità, forse non sarebbe neanche successo.

Quando te lo hanno detto?

Dopo i mondiali di Roubaix e dopo aver parlato con Dino. Prima doveva essere lui ad accettare. De Candido ha fatto tanto, ma la categoria è difficilissima. Per Dino sarà una grande sfida.

Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Il ciclismo come è entrato nella tua vita?

E’ una passione, non ho mai corso. Mio padre, che è mancato tantissimi anni fa, era ai mondiali di Coppi a Lugano nel 1953. Mio zio ha allenato i giovanissimi della Pagnoncelli e io andavo con lui per divertirmi un po’.

Sembri entusiasta…

Lo sono. Vorrei passasse il messaggio che nessuno è venuto a stravolgere il buon lavoro che si era fatto. Vedo Marco Velo molto competente e coinvolto con le crono, spero che si possa tornare presto ad avere il velodromo. Abbiamo bisogno di Montichiari, per le nazionali e per l’attività di base da cui arriva la nuova linfa. Se dici in giro che la nazionale italiana, dopo tutti i risultati che ha fatto, non ha un velodromo per allenarsi, forse non ci credono neanche. Dovremmo essere senza fino a marzo, ma sono certo che Dagnoni e Amadio non molleranno la presa. C’è davvero tanta voglia di fare bene…

Velocista in Italia, la solitudine e il velodromo che non c’è

10.11.2021
6 min
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Fare il velocista (su pista) in Italia è molto suggestivo, ma in fondo è come vendere frigoriferi agli esquimesi. E d’altra parte le ultime scelte della Federazione fanno capire che l’intenzione di mettere mano al settore sia per ora piuttosto tiepida. Partendo da questo presupposto, sentire la voce di Matteo Bianchi è la cosa giusta da fare per raccontare che cosa significhi aver scelto le specialità veloci in Italia.

Matteo vive a Laives, sud di Bolzano. E proprio lì dove i più sognano i tornanti e le altezze delle Dolomiti, un bel giorno di qualche anno fa lui decise di guardare più in basso e di andare contro il comune modo di vivere il ciclismo.

«Velocisti si nasce o si diventa – sorride – io lo sono diventato. A un certo punto decidi se specializzarti nelle discipline di endurance o quelle veloci. Io ho corso su strada da allievo e fino al primo anno da junior, poi ho scelto. Il passaggio non è facile. In Germania ci sono squadre che fanno solo tornei di velocità, perché hanno un calendario completo. Qui non c’è niente di tutto questo. Le società danno la precedenza alla strada, devi avere la fortuna di trovarne una disposta a farsi carico della spesa in cambio di una visibilità davvero minima. Io per questo devo ringraziare tanto la Uc Trevigiani-Campana Imballaggi, perché ci crede e mi dà una grandissima mano. Essere velocista su pista da under 23 è un’altra cosa. Fai quasi un altro sport».

La voce sicura, vent’anni compiuti il 21 ottobre, il senso di ottimismo e fiducia che permea attraverso le parole. Matteo racconta di essersi diplomato, di essersi preso poi un anno sabbatico e ora di essere iscritto a Economia in una facoltà online che gli permette di conciliare lo studio e lo sport. Ma qua il problema è proprio il suo sport che non si concilia con quello che abbiamo a disposizione nella culla del ciclismo.

Che cosa fa un velocista?

Si allena e in teoria corre. Al velocista serve una parte di fondo, per cui esci con la bici da corsa. Ma siccome su strada i lavori specifici non puoi farli tanto bene, allora fai anche tanta pista e tanta palestra. D’estate mi sono allenato a Dalmine e a Montichiari. La mia ragazza vive a Milano, per cui ho una buona base logistica. Ma adesso Montichiari è chiuso e probabilmente dovrò allenarmi in velodromo all’aperto anche d’inverno, tra Dalmine e Busto Garolfo. Ci sarebbe anche quello di Mori, che è vicino casa mia, ma non c’è nessuno che possa aiutarmi dietro moto e allora non va bene. Di sicuro la stagione comincerà per tutti lo stesso giorno e quello che altri fanno al chiuso, dovrò riuscire a farlo comunque.

Si può parlare di solitudine del velocista?

E’ brutto da dire, ma è così. A volte parlo con amici e rivali olandesi e tedeschi e sentire il racconto di come vivono e si allenano loro fa pensare. In Italia siamo fermi, per colpa di tutti e di nessuno. Per fortuna da gennaio scorso assieme a Miriam Vece siamo entrati nel Gruppo Sportivo dell’Esercito, che ci aiuta con le spese. Ma l’Esercito non può costruire un velodromo per due-tre atleti.

Perché Amadio parlando di te ha fatto riferimento al Centro Uci di Aigle?

Sono un sacco di mesi che spingo per andarci. Il guaio è che non ci sono posti. Hanno un ostello che fa da base per i ragazzi della pista e ora sono pieni (il centro di Aigle nasce per dare supporto agli atleti di Paesi poco sviluppati, difficile reclamare un posto per gli italiani, oltre quello già ottenuto da Miriam Vece, ndr).

Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Sarebbe una soluzione?

La numero uno. Hai la pista, la palestra, un allenatore e talenti di alto livello con cui confrontarti e crescere. Nel 2019 mi invitarono per dieci giorni di stage e mi trovai benissimo. Poi concordo che vivere lassù in certi giorni possa essere duro affettivamente, ma sono cose da sopportare se hai un traguardo da raggiungere.

Essere velocista significa gonfiarsi come Harrie Lavreysen che domina il settore?

Negli ultimi dieci anni la velocità è cambiata. Mi sono confrontato più volte con Roberto Chiappa, che è stato l’ultimo velocista di alto livello dell’Italia, e sono cambiati i rapporti e il modo di fare le volate. Erano dei giganti anche loro, ma correvano in modo molto diverso da oggi.

Con che rapporti si corre?

Sono diversi in qualifica e in finale e per arrivare a quelli dei big, c’è da lavorare tanto. Da junior facevo il lancio con il 53×13, ora uso il 63×13-14. Quelli forti davanti mettono il 70. Ci si arriva per step, adesso non avrei la forza per lanciarlo. Negli anni di Chiappa usavano rapporti più corti e facevano sprint più brevi ad altissima frequenza di pedalata. Ora la volata finale del keirin dura praticamente per tre giri.

Come è fatta la settimana del velocista?

Varia in base ai programmi e alle gare. Di solito comunque fai 3 sedute in palestra, 3 in pista, a volte la doppia sessione e un giorno di recupero. Poi hai il giorno in cui esci su strada, inserendolo magari quando fai palestra, e lì dipende se hai o meno la disponibilità del velodromo.

La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
Che cosa vuoi dire?

Che se hai la pista, i lavori specifici li fai lì. Ma se come adesso la pista non c’è, allora devi provare a farli su strada. Solo che la bici da strada non è abbastanza performante, non è fatta per certe sollecitazioni e allora ci sarebbe quasi da usare su strada la bici da pista.

Senza freni e col fisso: ti è mai capitato?

Non ancora, ma so che si fa. Devi trovare una strada poco trafficata per fare partenze da fermo, senza arrivare mai al picco massimo di velocità. Altrimenti su strada fai 3-4 ore ed è anche il modo per distrarti un po’, perché quando lavori in pista devi essere molto concentrato.

Hai già un’idea di calendario per il prossimo anno?

Di solito il primo picco stagionale è a luglio con gli europei. Per prepararli si fanno internazionali di classe 1-2 e magari da elite non vai alle gare under 23. Prima del Covid i Paesi più frequentati erano Repubblica Ceca e Germania.

Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
In Italia cosa c’è?

A proposito di solitudine, in Italia non c’è niente. Dalle Sei Giorni estive il programma veloce è stato cancellato e magari li capisco se si trovano al via solo dieci atleti.

Allora perché un ragazzino dovrebbe appassionarsi a uno sport che non vede neanche in tivù?

Bella domanda (ride, ndr). In tivù riesci a vedere due gare all’anno, perché Eurosport almeno trasmette i mondiali. Ora è nata la Champions League, vediamo come andrà. Io mi appassionai da allievo, dopo aver partecipato ai tricolori. Prima facendo tutte le specialità, poi capendo che continuando nella velocità avrei avuto più risultati e più soddisfazioni.

In questa Italia che non si decide, le Olimpiadi di Parigi sono un obiettivo o un miraggio?

Un obiettivo. Bisogna vedere come evolve la situazione già quest’anno, perché mancano solo tre anni che nella vita di un atleta non sono tanti. Possiamo puntare alla qualifica, se però cambia il metodo di lavoro anche qua. Se potessi, andrei subito fuori. Forse, stando così le cose, è il solo modo per puntarci seriamente.