Famiglia e corridori, l’opinione di Martinelli 

18.07.2025
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Ha fatto scalpore l’intervista rilasciata da Trine Hansen, moglie di Jonas Vingegaard, al quotidiano danese Politiken ed uscita in pieno Tour de France. Hansen ha criticato abbastanza duramente la Visma-Lease a Bike per quanto riguarda la gestione del marito, a suo dire troppo spesso lontano da casa, ma anche non abbastanza tutelato in corsa.

Un intervento che a molti è parso non azzeccatissimo, per lo meno nelle tempistiche. Abbiamo contattato Giuseppe Martinelli, uno dei DS più esperti nella storia del ciclismo italiano, per parlare con lui della non sempre facile gestione delle famiglie dei corridori.

Giuseppe Martinelli ha smesso con ciclismo professionistico quest’anno, ma rimane uno dei punti riferimento nel settore
Giuseppe Martinelli ha smesso con ciclismo professionistico quest’anno, ma rimane uno dei punti riferimento nel settore
Giuseppe, cosa ne pensi di questa faccenda?

Come prima cosa vorrei dire che i sacrifici che fanno ora i corridori, non so se siano di più, ma più stressanti forse sì. Se inizi ad andare in ritiro a dicembre, poi a gennaio, poi fai un’altura prima del Giro, una prima del Tour, per una famiglia che non sia avvezza al ciclismo è difficile. Quello che è balzato all’occhio secondo me è che Vingegaard è arrivato al ciclismo di alto livello un po’ per caso, e con lui anche la sua famiglia: cosa che gioca un ruolo importante. La moglie dovrebbe pensare che Vingegaard è una campione che ora deve sfruttare al meglio questi anni e capire i sacrifici suoi e di tutta la famiglia.

Quello che ha colpito molti sono state le critiche a Van Aert, uno che non se le merita proprio…

A Van Aert non si può dire niente, anzi si sta quasi snaturando: secondo me corre troppo per gli altri. Anche mentalmente dopo un po’ diventi uno che corre per gli altri e non per se stesso. Quindi sì, certamente quella è stata un’uscita sbagliata.

Van Aert si è sempre messo a completa disposizione del capitano al Tour, anche a scapito dei suoi obiettivi personali
Van Aert si è sempre messo a completa disposizione del capitano al Tour, anche a scapito dei suoi obiettivi personali
Ti sono mai capitati episodi simili?

Ho trovato gente che faceva fatica a staccare dalla famiglia, ma scontri così no, mai. Magari qualcuno preferiva allenarsi a casa e non andare sul Teide, ma non che la famiglia intervenisse e fosse apertamente contraria.

Nel senso che i corridori potevano decidere se andare in ritiro o no?

No no, alla fine decidevamo sempre noi. Anche perché i ritiri servono anche per fare coesione tra il gruppo, oltre che per allenarsi. Servono per conoscersi meglio, anche perché sennò porteresti solo il leader. Bisogna portare le persone che fanno star bene il capitano, compreso magari il meccanico più simpatico o il massaggiatore preferito, per creare un clima per arrivare all’appuntamento nel modo migliore possibile.

Vingegaard all’arrivo della tappa di ieri, dove ha pagato oltre 2′ su Pogacar. Queste polemiche sono arrivate, forse, nel momento meno indicato
Vingegaard all’arrivo della tappa di ieri, dove ha pagato oltre 2′ su Pogacar. Queste polemiche sono arrivate, forse, nel momento meno indicato
Un’intervista del genere in un momento così delicato potrebbe avere delle conseguenze all’interno della squadra? 

Non ha scelto certamente il momento migliore. Ma siamo ad un livello altissimo, sia il management della Visma che i corridori sono grandi professionisti e avranno trovato le parole giuste per far rientrare quest’uscita sbagliata. La Visma mi sembra una squadra molto coesa, da loro non esce mai niente, sono bravi a gestire le questioni all’interno.

Quindi la tua sensazione è che ora ci sia più stress che in passato…

Una volta questo stress c’era solo nelle grandi squadre ora invece c’è già tra i giovani, quasi da juniores, quindi sarà sempre più pesante. 15 anni fa andavano in altura solo le grandi squadre perché avevano le possibilità economiche. Ora invece quasi non trovi posto, perché ci sono già juniores e se le fai per anni poi diventa pesante a livello psicologico.

I ritiri sono un luogo molto importante per la coesione della squadra. Nella foto un momento per l’Astana del 2017, con Scarponi e Tiralongo
I ritiri sono un luogo molto importante per la coesione della squadra. Nella foto un momento per l’Astana del 2017, con Scarponi e Tiralongo
Quindi c’è del vero in quello che dice Trine Hansen ?

In quel senso sì, purtroppo è il momento attuale che estremizza tutto. Alle fine le squadre di alto livello sono delle aziende. E le aziende vogliono produrre e guadagnare sempre di più, ma alla fine i corridori sono uomini, e quando li hai spremuti troppo poi saltano. Anche i migliori.

Il capitalismo del ciclismo…

L’unica nota positiva è che oggi corrono un po’ meno di una volta. Però per arrivare agli appuntamenti al top devono fare quei sacrifici di cui abbiamo parlato, mentre una volta ti prepararvi nelle corse minori. Ora invece non è più possibile, arrivano già in formissima.

Per i corridori ci sono dinamiche più importanti di quelle economiche?

La famiglia per un atleta è incredibilmente importante. Però la carriera di un corridore dura 8-10 anni, e poi ha davanti altri 50 anni dove può godere di quello che ha raccolto in quel periodo. Quindi penso che la moglie di Vingegaard dovrebbe anche pensare alla fatica che fa il resto del mondo per accontentarsi di molto meno.

Martinelli, in pensione dalla fine del 2024, finalmente può godersi la sua passione senza troppo stress
Martinelli, in pensione dalla fine del 2024, finalmente può godersi la sua passione senza troppo stress
Come si potrebbe fare per alleviare questo stress secondo te?

Credo ci sia poco da correggere. L’unica sarebbe avere un calendario un po’ più soft, ma si sta andando nella direzione opposta, con sempre più gare così l’UCI incassa. Si potrebbe forse fare in modo che le WorldTour facciano solo gare tra loro, ma poi c’è il rischio di avere un ciclismo di serie A e di serie B. Ma ci sono tanti fattori di stress in questo momento. Una volta con il preparatore avevi un rapporto quasi di amicizia, ora invece è tutto più tecnico, basato sulle tabelle. Come anche il nutrizionista, che è fondamentale, ma ogni giorno manda al corridore la scheda con cosa deve mangiare. Il risultato è che i ragazzi sono lasciati tranquilli solo quando vanno a dormire. E se salta la testa poi però non funziona più niente.

Infatti adesso hanno gli psicologi…

Lo psicologo e il mental coach. Il loro “io” non esiste più, non trova più spazio. Io adesso per fortuna sono fuori da tutte queste dinamiche, la passione c’è sempre naturalmente, ma il fatto di poter agire liberamente è impagabile.

Ad Hautacam per Samuele: Pogacar fa la cosa giusta

17.07.2025
6 min
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Il senso di questa giornata al Tour sta probabilmente nelle ultime parole di Tadej Pogacar, mentre sui rulli cercava di mandar via la fatica dalla testa e dalle gambe. La fronte imperlata di sudore e un bottino sin troppo ricco in cima al primo arrivo pirenaico. Hautacam non passa mai inosservato e così è stato anche stavolta.

«Penso che questa tappa sia per Samuele e per tutta la sua famiglia – ha detto il campione del mondo – perché è stato davvero triste. E’ stata la prima notizia che ho letto stamattina e mi sono ritrovato a pensare a lui nell’ultimo chilometro. A quanto può essere duro questo sport e a quanto dolore può causare».

Al via un minuto di raccoglimento e applausi per salutare Samuele Privitera, scomparso nella notte ad Aosta
Al via un minuto di raccoglimento e applausi per salutare Samuele Privitera, scomparso nella notte ad Aosta

Un minuto di applausi

Sarà l’emotività del momento o il ricordo di tutti gli amici che abbiamo salutato in questi anni, le parole di Pogacar hanno dato alla scena un sapore umano, a margine di uno show di potenza e forza che ancora una volta ha annichilito i rivali. Anche il Tour è stato scosso dalla notizia della morte di Samuele Privitera al Giro della Valle d’Aosta. In partenza il gruppo, con il Team Jayco-AlUla in testa, ha osservato un minuto di raccoglimento che si è concluso con l’applauso delle migliaia di persone accorse ad Auch per salutare la partenza del Tour.

«E’ stata una notizia devastante per tutta la famiglia Jayco-GreenEdge – ha dichiarato il direttore sportivo Mathew Hayman – ed è stato emozionante vedere il Tour de France fermarsi per un minuto per onorare la sua memoria. I nostri pensieri sono rivolti alla sua famiglia».

Giornataccia Visma

Ora che si fa la conta dei distacchi sul primo arrivo in salita, ci si rende conto che la classifica scoraggia già ogni volo di fantasia. Prima è naufragato Evenepoel. Poi abbiamo assistito al forcing interrotto della Visma-Lease a Bike, che ha dovuto fermarsi per non perdere Jorgenson. E quando si è arrivati alla salita finale, quelli del UAE Team Emirates si sono messi davanti e hanno stritolato Vingegaard e compagni. Se gli olandesi davvero avevano un piano, forse non avevano fatto i conti con l’oste iridato, che ha dato sul traguardo 2’10” al danese e 2’23” a Lipowitz.

«Penso che oggi Jonas si sentisse bene – ha commentato il direttore sportivo Grischa Niermann – ma sull’ultima salita, Pogacar è stato chiaramente il migliore. Jonas ha sofferto molto, è stata una giornata dura. Matteo (Jorgenson, ndr) non è stato bene, ma non possiamo biasimare i corridori. Avevamo una strategia, ma lui non ce l’ha fatta. Non è successo quello che speravamo, ma comunque Jonas si è dimostrato il migliore di tutti gli altri. Congratulazioni a Tadej e alla UAE Emirates, hanno dimostrato chi è il più forte».

I fantasmi di Hautacam

Non si vive nel passato e forse la Visma lo ha capito tutto in una volta. Se qualcuno credeva di poter ripetere la scena del 2022, quando Hautacam spense definitivamente le velleità di Pogacar, oggi avrà avuto un brusco risveglio. Un senso di positivo stupore che ha coinvolto anche il campione del mondo, che si è ripreso la maglia gialla con 3’31” su Vingegaard e 4’45” su Evenepoel.

«L’ultima volta che eravamo venuti a Hautacam – ha detto Pogacar – fu una storia molto diversa. Già la prima volta che feci la ricognizione di questa salita, pensai che fosse fantastica e non vedevo l’ora di affrontarla in corsa. L’unica cosa è che nel 2022 andai praticamente contro un muro. Stavo cercando di recuperare la maglia gialla, ma in quel periodo la Jumbo era troppo forte. Così ho cercato di dimenticare e non vedevo l’ora che arrivasse oggi. Tanti sono venuti da me a dirmi che sarebbe stata la mia rivincita e quando ci siamo avvicinati all’inizio della salita, la storia è parsa subito diversa rispetto ad allora. C’era di nuovo un corridore belga in testa, ma era Wellens e non Van Aert, e a tirare c’era la nostra squadra. Sono super contento di aver guadagnato tempo e di aver vinto su questa salita».

Healy ha onorato la maglia gialla, ha combattuto per tutto il giorno. Ha chiuso a 13’38”
Healy ha onorato la maglia gialla, ha combattuto per tutto il giorno. Ha chiuso a 13’38”

L’imbattibile Riis

Pogacar e tutta la sua squadra hanno corso utilizzando la Colnago Y1Rs, quella aerodinamica e leggermente più pesante della V5Rs. Il feeling con la bici è andato crescendo di corsa in corsa e probabilmente l’esigenza è sempre più quella di fare velocità, su pendenze mai severe come al Giro d’Italia.

Eppure, nonostante il suo strapotere, Pogacar non ha stabilito il record di Hautacam, che appartiene ancora a Bjarne Riis, per sua stessa ammissione dopato al momento di stabilirlo. Tadej ha percorso i 13,5 chilometri della salita (7,8 per cento di pendenza media) in 35’21” a 41″ dal record del danese che nel 1996 la scalò in 34’40”. Partito a circa 12 chilometri dall’arrivo, lo sloveno è stato nettamente in vantaggio sui tempi intermedi del danese, ma con il passare dei chilometri ha iniziato a calare il ritmo. Non è dato sapere se perché stanco o perché abbia ritenuto che non fosse necessario insistere avendo ancora un Tour intero da correre.

Il suo tempo è stato comunque di prim’ordine. Nel 2022 impiegò 37’39” dietro allo scatenato Vingegaard: due minuti peggio di oggi.

La vittoria più bella

In questa tappa del Tour che si è chiusa nel segno di qualcosa che abbiamo già visto, forse la cosa migliore da fare è accucciarsi nuovamente in un bozzolo silenzioso e dedicare gli ultimi pensieri a Samuele Privitera e al suo sogno spezzato di essere un giorno su queste strade. Non condividiamo la retorica del ciclismo diventato uno sport pericolosissimo, perché scava fosse comuni in cui non si fanno distinzioni.

Di certo, in questa inesorabile metafora della vita che è la strada, può capitare di doversi fermare a piangere un fratello che non c’è più. Per questo a nostro avviso, la vittoria più bella del Pogacar odierno è stata aver pronunciato le parole con cui abbiamo iniziato questo articolo.

Tra l’urlo del vichingo e lo scivolone di Tadej, le parole di Damiani

16.07.2025
6 min
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Niente, un po’ di tranquillità in questo Tour de France non c’è… per fortuna! Per averla ci è servito il giorno di riposo. Solo che ha caricato talmente tanto i corridori che anche oggi ci hanno dato sotto e nel finale abbiamo vissuto emozioni a raffica. Lo sprint, l’inseguimento di Van der Poel, il manifestante pro-Palestina e soprattutto la caduta di Tadej Pogacar.

A Tolosa, perla del Sud della Francia, tra il Tarn e la Garonne, terra di ampie colture e paesini collinari, vince Jonas Abrahamsen, il vichingo della Uno-X Mobility. Rispetto a quando era giovane ha scelto la via della potenza: più peso, più muscoli, più forza. E’ partito al chilometro zero e alla fine ha battuto allo sprint uno degli ex compagni di fuga, Mauro Schmid. Il campione elvetico stasera rivedrà tante volte quello sprint nella sua testa. Non è partito lungo, ma lunghissimo. E per come ha tenuto, è facile aspettarsi che possa avere dei rimpianti.

Nella fuga di giornata anche Davide Ballerini, giusto nel mezzo fra fra Schmid e Abrahamsen poi secondo e primo
Nella fuga di giornata anche Davide Ballerini, giusto nel mezzo fra fra Schmid e Abrahamsen poi secondo e primo

Allarme rosso

Il mondo del ciclismo resta col fiato sospeso quando il gruppo transita ai 5,5 chilometri dall’arrivo. All’uscita di una veloce curva a sinistra, su uno stradone largo e pianeggiante, il drappello dei big si apre. Un piccolo rallentamento, ma tanto basta perché Pogacar incroci da dietro la ruota di un altro corridore, Tobias Halland Johannessen, e finisca a terra (qui il video). Forse anche Tadej, in virtù del rallentamento e prima di una nuova accelerazione, si stava guardando intorno.

Fatto sta che per qualche secondo il fiato si è fermato. Il Tour ha smesso di respirare. Scivolone sul fianco sinistro, marciapiede in vista, clavicola a terra e casco vicino al ciglio. Poi è lo stesso Pogacar che come un gatto si rialza e cerca di rimettere la catena che nel frattempo era caduta.

Tadej Pogacar un po’ preoccupato all’arrivo di Tolosa
Tadej Pogacar un po’ preoccupato all’arrivo di Tolosa

Il fair play

Tutti abbiamo pensato che i big accelerassero. In fondo, la caduta era stata innescata da un allungo nel drappello. Un attacco che andava immediatamente richiuso. E invece tutti fermi. Il re è scivolato. Ci tornano in mente le parole di Giovanni Ellena: «Lasciando la maglia gialla a Healy, Pogacar si è fatta amica la EF». Per la serie: ipse dixit.

«Sto abbastanza bene – ha detto Tadej subito dopo l’arrivo – Sono un po’ stupito da questa caduta ma è stato anche un giorno di vera guerra. Ho fatto questa caduta e cosa dire? Ringrazio il gruppo che ci ha aspettato, avrei potuto perdere un po’ di tempo, ma certo avrei dovuto spingere a fondo per cercare di rientrare. Grazie ragazzi per avermi atteso».

Pogacar sembra super tranquillo come sempre. Anche il manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti, ha tranquillizzato i tifosi. Ha parlato di escoriazioni alle classiche zone da ciclista, quindi: gomito, braccio e il “rosone” sull’anca.

Ancora Pogacar: «Vingegaard e Jorgenson volevano attaccare e hanno portato tutti al limite. C’è chi attacca e chi segue. Purtroppo un corridore per seguire ha deciso di andare da sinistra a destra. Mi ha tagliato completamente la strada, ho toccato la sua ruota e sono scivolato. Fortunatamente ho ancora un po’ di pelle! Mi sono spaventato quando ho visto che stavo andando a sbattere con la testa».

«Domani sarà un grande giorno – ha concluso – Vediamo come recupererò. Normalmente dopo la botta di una caduta non sei al top, ma domani voglio dare il mio meglio. Come squadra siamo pronti per la prossima tappa».

Roberto Damiani (classe 1959) è sull’ammiraglia della Cofidis dal 2018
Roberto Damiani (classe 1959) è sull’ammiraglia della Cofidis dal 2018

L’analisi di Damiani

Ma se questi sono i fatti, Roberto Damiani, direttore sportivo di lungo corso li commenta con noi. Entrare in certe dinamiche con chi certe cose le vive ogni giorno è davvero un valore aggiunto.

Roberto, un’altra tappa super movimentata. Milan ha detto che sembra ogni giorno una classica. Tu che ne dici?

Che Jonathan ha ragione! E ha detto anche un’altra cosa interessante: vivere il Tour da dentro è tutt’altra cosa rispetto a vederlo da fuori.

Veniamo al fatto del giorno: la caduta di Pogacar. Distrazione sua o taglio netto da parte del corridore della Uno-X?

No, no, che distrazione. E’ l’altro che gli ha tagliato la strada. C’è stato un attacco sulla destra e il gruppo si è spostato in quella direzione. Tadej non ha colpe, è un grave errore, non volontario, del corridore della Uno-X.

Pogacar ha detto di aver rischiato di sbattere la testa. Ma tutto sommato sta bene?

E ne aveva ben ragione. Gli effetti veri delle cadute li vedi 24-48 ore dopo. Però in effetti, a parte il rischio del bordo del marciapiede, si è trattato più di una scivolata che di una vera caduta. L’impatto, almeno da fuori, è sembrato meno “cattivo”.

Ora che protocolli si avviano?

Le sue più che botte vere e proprie saranno bruciature, vista la dinamica della caduta. Però avrà fastidio nel letto, quando si rigirerà nella notte e il lenzuolo si appiccicherà. Ma in UAE Emirates sono attrezzati, come gli altri team del resto. Ecco, una cosa importante sarà la visita dell’osteopata.

La EF e Onley hanno corso da veri leader. Sarà interessante vedere come si comporteranno domani verso Hautacam
La EF e Onley hanno corso da veri leader. Sarà interessante vedere come si comporteranno domani verso Hautacam
Perché?

Perché prima di tutto controlla la postura di Tadej e poi verifica che le sue catene cinetiche non si siano modificate. Gli dà quella che in gergo chiamiamo “raddrizzata”.

Da diesse, raccontaci quei momenti nell’ammiraglia UAE…

Ti giochi il paradiso! Soprattutto quando hai l’uomo di classifica al Tour. Ogni piccola cosa può essere decisiva: una foratura, un cambio del meteo… Ma con altri corridori non è un problema, con il leader di classifica sì. Devi valutare ogni centimetro. Lo dico per esperienza, quando per due volte provai a vincere il Tour con Cadel Evans. Oggi poi non solo senti radio corsa, ma dall’ammiraglia vedi anche quello che succede. E consentitemi di ridire l’importanza delle radioline e dei due direttori in macchina.

Perché?

Con le radioline puoi avvertire subito la squadra, e in UAE sono stati velocissimi a prendere immediatamente la situazione in mano. E poi perché un diesse pensa ad avvicinarsi il più possibile a chi è caduto e l’altro intanto avverte che il leader è a terra e ferma tutti immediatamente o fa rallentare quelli dietro.

Discorso fair play: qual è la tua posizione? Giusto aspettare?

Sì, e mi fa piacere. Mi fa piacere per Pogacar e per il ciclismo. Mi è sembrato un atto più che dovuto.

Un affranto Mauro Schmid seduto sui gradini del bus della sua Jayco-AlUla (foto X – GreenEDGE Cycling)
Un affranto Mauro Schmid seduto sui gradini del bus della sua Jayco-AlUla (foto X – GreenEDGE Cycling)
Ma se fosse caduto Oscar Onley per esempio, lo avrebbero atteso?

Bella domanda. Qui entra in ballo il peso specifico dell’atleta nel gruppo. Io spero e penso di sì. Ma magari non subito. In fin dei conti conta anche l’aspetto visivo. E’ caduto il campione del mondo, o la maglia gialla: lo vedi prima. Nel caso di Onley, almeno all’inizio, per il gruppo era caduto uno della Picnic-PostNL. Se cadeva Hinault, Indurain o Nibali il gruppo reagiva diversamente.

Chiudiamo con la corsa. Schmid stasera ci ripenserà secondo te?

Sì, ha corso per perdere. Era più intento a non far rientrare Van der Poel che a battere Abrahamsen.

E questa preoccupazione era legittima?

Un podio al Tour va sempre bene, okay, però ci devi provare. Piuttosto avrei tirato meno. Anche perché con quella volata lunga ha mostrato che ne aveva. Mi è piaciuta invece la notizia che Van der Poel non sapesse ci fossero due atleti davanti. Se è vero che non aveva la radiolina, quando ha fatto quell’azione sull’ultima salita magari era concentrato e ci sta che non abbia visto i due in fuga. E in ammiraglia Alpecin-Deceuninck non potevano avvertirlo. Lui si è reso conto che ne aveva due davanti solo quando li ha visti a meno.

Milan e Merlier: il confronto tecnico con Silvio Martinello

16.07.2025
6 min
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Il Tour de France riparte oggi da Tolosa con un probabile arrivo allo sprint ed è lecito pensare che ci sarà di nuovo una sfida fra Tim Merlier e il nostro Jonathan Milan. Una sfida che è anche tecnica. E quando si parla di tecnica e volate, quale miglior interlocutore di Silvio Martinello?

L’ex sprinter (e pistard) veneto fa un’analisi dettagliata dei due: rapporti, caratteristiche fisiche, tecnica. Ma alla base c’è una differenza chiave. Milan ha più margine di crescita rispetto a Merlier e questo, in ottica futura, fa ben sperare.

Classe 1963, Silvio Martinello, è stato un pistard e professionista su strada per 15 stagioni
Classe 1963, Silvio Martinello, è stato un pistard e professionista su strada per 15 stagioni
Silvio, iniziamo questo parallelismo fra Milan e Merlier, che sembra un po’ la bestia nera di Jonathan…

La bestia nera… direi piuttosto che è un velocista con caratteristiche diverse. Tim è il classico velocista che non vorresti mai avere a ruota, perché ha quella capacità di saltarti negli ultimi metri, quel cambio di ritmo micidiale che spesso è letale. Milan è migliorato molto, soprattutto nella capacità di farsi trovare nel posto giusto al momento giusto. Ve lo ricordate al Giro d’Italia 2023 quando vinse una tappa, ma poi ne buttò via tante perché era fuori posizione?

Sì, vero…

Rimontava sempre, ma se sei fuori posizione quando è il momento di lanciare lo sprint, perdi. Per quanto tu possa essere forte, qualcuno ti arriva davanti. Ecco, su questo Milan è cresciuto molto. Anche la tappa che ha vinto, l’ha vinta praticamente senza squadra. E’ stato lui a muoversi bene negli ultimi metri, capendo e leggendo perfettamente la situazione.

Come dici te, ha stupito per le posizioni, ma anche per le tempistiche…

Sì, posizione e tempismo. E’ migliorato tanto ed era il suo tallone d’Achille. Le sue qualità non si discutono: il motore c’è, è potentissimo. E’ il classico velocista che avrebbe bisogno di un treno votato solo a portarlo agli ultimi 200 metri, cosa che oggi si fa meno. Jonathan si sta adattando bene, ma poi ci sono anche gli avversari.

Cioè?

Gli sprint non sono corsie fisse: vince chi è più veloce, ma anche chi ha la miglior posizione e chi sceglie il momento giusto. Da questo punto di vista Merlier, come dicevo, è uno che nessuno vuole a ruota. Con Philipsen tagliato fuori dai giochi, i tre sprinter di riferimento erano loro, e infatti sono gli unici ad aver vinto finora in questo Tour. E credo che saranno ancora loro due a giocarsi le prossime tappe, salvo sorprese che nelle volate ci stanno sempre.

Milan e Merlier: si nota la differenza delle spalle e della testa soprattutto. Jonny rivolge lo sguardo del tutto in avanti (foto Instagram)
Milan e Merlier: si nota la differenza delle spalle e della testa soprattutto. Jonny rivolge lo sguardo del tutto in avanti (foto Instagram)
Da un punto di vista stilistico, cosa ci dici?

Questa continua ad essere una pecca per Milan: ondeggia troppo, muove le spalle, e questo non lo aiuta. Se un giorno riuscisse a correggersi – cosa complicata alla sua età, l’ho già detto in passato difficile che un pro’ cambi troppo – può migliorare. Ma nel ciclismo nessuno è imbattibile. Se dovesse riuscire a correggersi, a quel punto batterlo in volata diventerebbe durissima.

Perché guadagnerebbe aerodinamica abbassandosi con le spalle?

Certo. A quelle velocità, sopra i 70 all’ora, la posizione fa la differenza. Lui è molto alto e non mette mai la testa sotto le spalle: guarda avanti, punta l’arrivo. Ha però un motore eccezionale che non si discute.

E Merlier?

Anche lui, ma di certo è più composto. E’ alto, ma sta più schiacciato. Il sedere è più basso o in linea con le spalle, e questo migliora l’aerodinamica. Forse quella è la piccola differenza decisiva.

A Chateauroux si è notata una differenza anche nei rapporti: Milan aveva il 54×10, Merlier un 56×11…

Di certo Jonathan non ha tirato il 10, altrimenti sarebbe stato più duro, mentre era più agile di Tim. Si vedeva. Merlier è stato abilissimo anche a scegliere il momento giusto: sono partiti quasi insieme, ma lui lo ha leggermente anticipato, spingendo il rapporto più pesante. Attenzione però, siamo sicuri che Milan sia più agile?

Spiegaci meglio…

Milan magari aveva un 54×11 che è più agile del 56×11 di Merlier, ma la differenza è minima: roba di pochi centimetri. Secondo me è quel modo di pedalare che lo fa apparire più agile di quel che è realmente, il che è paradossale visto il fisico. Uno come Jonathan non dovrebbe avere problemi a spingere rapportoni. Credo sia una questione di stile personale, ma anche di esperienza.

Un’esperienza?

Milan è al suo primo Tour. Io ho fatto la mia ultima Grande Boucle nel 1999, sono passati 26 anni e magari le cose sono cambiate, ma ho sempre trovato che le mischie al Tour siano più complesse di quelle del Giro. C’è più tensione, più concorrenza. Milan sta facendo molto bene, ha anche focalizzato la maglia verde che è un obiettivo importante. Tra l’altro secondo me, questo obiettivo gli sta togliendo un po’ di brillantezza.

Perché?

La differenza di punti ai traguardi intermedi è minima, ma solo Milan sprinta con quella determinazione per la maglia verde. Gli altri pensano più all’arrivo finale. Questa è una differenza anche nervosa, non solo di energia. Per questo dico che Jonathan ha bisogno di imparare. E’ giovane, ha margini e queste esperienze lo aiuteranno di sicuro. Poi è anche vero che se punti a quella classifica i traguardi volanti sono determinanti.

Silvio, si è notato che hanno modificato l’ordine del treno. Simone Consonni non è più l’ultimo uomo..

Vero, lo avevo notato subito. Simone forse non è brillantissimo in questo momento e credo che abbiano scelto di cambiare proprio per questo motivo. Al Tour devi raccogliere risultati. Meglio invertire i ruoli con Stuyven, ma ripeto: Milan si muove bene anche da solo. Merlier, invece, sta facendo molto da solo, più del solito.

L’arrivo al photofinish di Dunkerque fra Merlier e Milan al colpo di reni. I due sono davvero vicini e non solo in questa occasione (immagine fornita da Tissot)
L’arrivo al photofinish di Dunkerque fra Merlier e Milan al colpo di reni. I due sono davvero vicini e non solo in questa occasione (immagine fornita da Tissot)
Altre piccole differenze che hai notato?

Sono due velocisti diversi, ma fortissimi. A me Merlier piace molto, da sempre. Ha un atteggiamento umile, e per un velocista non è scontato, spesso hanno personalità più informali, fuori dalle righe. Non lo conosco di persona, ma da come parla e si muove mi sembra uno concreto, educato. Mentre tecnicamente non dimentichiamoci che Merlier viene dal ciclocross: certe abilità di guida se le è portate dietro.

Sono entrambi da volata lunga?

Sì, ma più Milan. Merlier se lo hai a ruota ti salta nove volte su dieci. Al tempo stesso, se serve, prende anche l’iniziativa. Anche per questo, nella mia personale classifica di gradimento degli sprinter oggi, Merlier è davanti a tutti.

Anche a Philipsen?

Sì, anche a Jasper Philipsen. Philipsen ha caratteristiche simili a Milan e Pedersen, un altro grande sprinter.

Ecco, per un treno super Pedersen potrebbe fare da apripista a Milan? E anche viceversa?

Il contrario (Milan che tira per Pedersen) lo vedo difficile. Pedersen potrebbe fare da ultimo uomo, ma mi chiedo se accadrà. Van der Poel fa l’apripista a Philipsen e Groves, ma lui non fa volate di gruppo. Pedersen invece sì e le vince Non è un caso che abbiano programmi separati.

Silvio, con la tua esperienza: a chi paragoneresti Milan e Merlier tra i velocisti del passato?

E’ facile. Per caratteristiche fisiche e tecniche, Milan lo avvicino a Cipollini o Petacchi, magari con un treno tutto per lui. Merlier invece mi ricorda Danny Nelissen: il classico velocista belga o comunque del Nord cresciuto nelle mischie, con abilità innate nel muoversi da solo. E, nel suo caso, sfruttando anche ciò che ha imparato dal cross.

Amici mai, anzi Pogacar inizia a innervosirsi. Cosa fa la Visma?

15.07.2025
5 min
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La tattica della Visma-Lease a Bike ha dell’inspiegabile o forse no? Gli attacchi di Jorgenson visti ieri sono il massimo che sono capaci di fare o c’è dell’altro? Forse per replicare quanto di buono furono capaci di fare nel Tour del 2023 e ancor meglio in quello del 2022, gli uomini della squadra olandese si sono messi in testa di tenere Pogacar sotto pressione. Anche nel 2022 sembrava che lo sloveno, vincitore dei due Tour precedenti, fosse inattaccabile. Invece nel giorno del Granon, complice la tenaglia messa in atto fra Roglic e Vingegaard, la maglia gialla perse colore e lo sloveno andò a fondo.

Il Pogacar 2025 è un altro corridore. Ha preso tutte le contromisure del caso per fronteggiare la disidratazione. Ha un’altra solidità atletica. E quando accelera, il solo che gli resta dietro è proprio Vingegaard e non proprio agevolmente. Fra i due non c’è grande simpatia, forse è il contrario, ma appaiono il prodotto di preparazioni sopraffine e irraggiungibili per il resto del gruppo.

La Visma-Lease a Bike ha fatto il forcing sulla salita finale di ieri con Kuss, isolando Pogacar
La Visma-Lease a Bike ha fatto il forcing sulla salita finale di ieri con Kuss, isolando Pogacar

Dubbio Visma

Ieri la squadra olandese ha preso seriamente in mano la corsa e ha isolato il campione del mondo. Ha fatto di tutto, in apparenza, perché non perdesse la maglia gialla, ma Tadej in questo è stato bravissimo e l’ha lasciata andare. E quando ha accelerato, usando la Colnago Y1Rs, vale a dire la bici aerodinamica, la sensazione è che ne avesse ancora più di tutti. Ma non abbastanza per staccare Vingegaard.

«E’ vero che non abbiamo guadagnato tempo su Pogacar – ha detto Campenaerts, tra i più attivi nel fare il forcing con Kuss e Jorgenson – ma ci abbiamo riprovato. Come facciamo ogni giorno. Questa è la cosa più importante. Se arriveremo a Parigi senza aver vinto il Tour, almeno potremo dire di averci provato in tutti i modi possibili. Non dovremo avere rimpianti. E poi non credo che non serva a niente. Tadej sta diventando incredibilmente nervoso per il nostro approccio fuori dagli schemi nel mettere pressione alla sua squadra. Dobbiamo essere onesti e dire che ad ora è il più forte, ma noi continueremo a spingerlo al limite».

Si spiegano così la tattica e quella domanda che tutti ci siamo posti: a cosa serve tanto accelerare se Vingegaard nemmeno prova ad attaccare? Se hanno ragione loro, serve a tenere Pogacar sulla corda per ogni santo giorno del Tour. Ieri lo hanno isolato. Senza Almeida, con Sivakov malconcio e Adam Yates ancora da capire, i Pirenei potrebbero essere un interessante banco di prova.

Le risposte di Pogacar a Jorgenson fanno capire che lo sloveno vede due rivali nella Visma
Le risposte di Pogacar a Jorgenson fanno capire che lo sloveno vede due rivali nella Visma

La sfrontatezza del re

Lui, il re del Tour che ha ceduto il mantello giallo al furetto Healy, fa di tutto per sviare le tensioni. Si mostra divertito e leggero come uno che ancora nemmeno ha dovuto spremersi più di tanto e la sensazione è che sia vero.

«Stamattina abbiamo fatto una bella pedalata – ha detto commentando il giorno di riposo – e bevuto un buon caffè. Poi abbiamo pranzato con un hamburger e ora è il momento di fare un pisolino e un massaggio, poi andremo cena e sarà quasi ora di ripartire. E’ stato un giorno di riposo abbastanza veloce dopo nove tappe davvero frenetiche. In qualche modo ero contento che ieri ci fosse salita, così i ritmi si sono rallentati. Sono felice che siamo sopravvissuti e che stiano arrivando finalmente le montagne.

«Ci sarà meno stress. E’ stata una settimana davvero buona – ha proseguito – tranne per il fatto che abbiamo perso Almeida e quella è l’unica grande sconfitta. Negli ultimi due giorni in cui ha corso, Joao ha dimostrato un vero spirito da guerriero, non riesco a immaginare di correre con una costola rotta. Però mi dispiace che abbia dovuto andarsene, perché avevamo un gruppo davvero bello e anche lui non vedeva l’ora che arrivassero le prossime due settimane per difendere la maglia gialla. Ci aspettano tre giornate di salita davvero belle, in una settimana che, con il riposo di martedì, sarà più breve di un giorno. Penso che questa settimana possa essere già piuttosto decisiva, vedremo alcuni grandi distacchi, anche nella crono di Peyragudes. Il livello è altissimo, ma credo che le salite metteranno ordine».

Quando Pogacar si è stancato di rispondere a tuti, al suo scatto ha reagito solo Vingegaard
Quando Pogacar si è stancato di rispondere a tuti, al suo scatto ha reagito solo Vingegaard

Un Tour allo sfinimento

Il livello è davvero alto, ma sbalordisce quello del UAE Team Emirates e della Visma-Lease a Bike, che con Jorgenson tiene in apprensione Pogacar, per il suo distacco ancora minimo. Le altre squadre dietro vengono ridicolizzate da una superiorità che non ammette replica. Lo stesso Evenepoel, che probabilmente concluderà ancora una volta al terzo posto, appare lontano dai livelli di quei due che corrono in una lega a parte.

Non si può ancora parlare di Tour concluso, perché nella tattica asfissiante della Visma si riconosce uno schema preciso e non è detto che Pogacar sarà sempre in grado di avere l’ultima parola.  «Il nostro obiettivo – ha ribadito il general manager olandese Richard Plugge – è combattere ogni singolo giorno. Continuare a usare la mazza, rendendo le tappe difficili e continuando ad andare avanti».

Di sicuro si respira la volontà di non subire la corsa, ma di farla. E in questo contesto risulterà ancora una volta decisiva la seconda settimana. Se per decidere il Giro d’Italia c’è stato bisogno dell’ultima tappa di montagna, il Tour si decide da tempo nella settimana centrale. Chi fa prima il vuoto, riesce a difenderlo fino a Parigi. Vingegaard calerà la maschera e andrà all’attacco oppure si rassegnerà a reggere nuovamente lo strascico del re?

Inizio Tour “old style”? Podenzana racconta e spiega

15.07.2025
7 min
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Tutto al Nord, con tappe tendenzialmente veloci. E se in certe occasioni non ci fossero stati fenomeni come Van der Poel e Pogacar, avremmo visto anche più di sprint di gruppo. Parliamo dell’inizio del Tour de France, un inizio “old style”, come quelli che si vedevano negli anni ’90, quando uno dei protagonisti in gruppo era Massimo Podenzana.

Quante volte lo abbiamo visto, assieme al resto della Mercatone Uno, tirare in quei piattoni immensi per riportare dentro Marco Pantani. Il Panta magari era rimasto attardato per una caduta, una foratura o perché non aveva preso un ventaglio. Erano percorsi diversi, ma certe situazioni restano molto simili. In questa edizione del Tour ancora di più. Ormai è vietato stare oltre la quindicesima posizione. Lo abbiamo visto due giorni fa quando sono caduti Almeida e Buitrago e in gruppo erano rimasti in trenta o poco più.

Massimo Podenzana (classe 1961) è direttore sportivo della Novo Nordisk dal 2013
Podenzana (classe 1961) è direttore sportivo della Novo Nordisk dal 2013
Massimo, prime dieci tappe al Nord, qualche strappo ma tutte veloci…

Sì, anche se sono frazioni un po’ diverse rispetto a prima quando erano molto più piatte. Quando si faceva noi il Tour, nei primi dieci giorni si arrivava sempre in volata o al massimo arrivava una fuga. La cosa che invece era ed è simile è che era difficile rimanere in piedi in quelle tappe. O comunque senza incidenti. Se ci riuscivi, avevi già vinto. Almeno per noi era così, visto che con il Panta si cercava di fare classifica. Aggiungo però che a livello televisivo ora è più bello.

Perché?

Perché ci sono frazioni movimentate, intense… anche se molto nervose.

C’è più caos adesso negli sprint di gruppo? Una volta c’erano squadre di sprinter e squadre di uomini di classifica. Oggi si vedono quasi più i treni degli uomini di classifica che quelli dei velocisti, che al massimo hanno un paio di uomini…

Una volta magari c’era un po’ più spazio per le fughe. Adesso, quando ci sono tappe per velocisti, controllano le squadre dei velocisti; nelle tappe miste controllano quelli di classifica, quindi è più difficile fare differenze. La corsa è chiusa (un po’ come diceva De Marchi, ndr). Non solo, ma quando si arriva in volata tutti cercano lo sprint, sono in tanti, e viene fuori un vero caos. Si verificano un sacco di cadute, come abbiamo già visto.

Come se la cavava la Mercatone Uno in questi sprint?

A noi non ci riguardava. Eravamo compatti e concentrati sul nostro obiettivo: arrivare all’ultimo chilometro e poi sfilarci. Adesso il limite è ai tre chilometri. Si cercava di tenere il leader nelle posizioni di testa. Però secondo me le velocità sono alte anche ora. Con la mia squadra abbiamo fatto recentemente il Baloise Belgium Tour e, quando si arrivava in volata, sul tachimetro della macchina vedevi velocità da far paura.

Voi, Massimo, facevate una gran fatica perché ogni volta, come hai detto prima, c’era una caduta, un buco, un ventaglio… e stai tranquillo che c’era dentro Marco. E voi giù dentro a menare..

Vero – sorride Podenzana – il nostro obiettivo era arrivare a metà Tour, quindi a ridosso delle salite, senza cadute. Poi ci pensava lui.

Oggi è tutto diverso e capita spesso che uno sprinter forte come Merlier si metta a disposizione del leader per la generale
Oggi è tutto diverso e capita spesso che uno sprinter forte come Merlier si metta a disposizione del leader per la generale
Quando dovevate tirare e mettervi “pancia a terra” in mezzo a quelle tappe caotiche, c’era un regista? Un road capitain?

Sì, ma dipendeva dalla tappa. Ogni giorno era diverso: chi stava meglio tirava di più, l’altro di meno.

Soudal‑Quick Step: c’è una piccola analogia tra loro e la vostra Mercatone Uno? Hanno l’uomo di classifica e lo sprinter. Merlier e Remco come Manzoni e Pantani.

Loro per Merlier sfruttano molto il lavoro degli altri. Noi eravamo tutti per Marco. Manzoni se la cavava da solo. Merlier oggi è più forte che in passato: al Baloise è arrivato in volata e non c’era storia. Milan è forte, però non mi sembra al top come prima. Inoltre tende a posizionarsi un po’ alto nello sprint: si alza con spalle e testa e prende aria. Però le sue qualità non si mettono in dubbio.

Rispetto al tuo ciclismo cosa è cambiato pensando sempre alle prime tappe di questo Tour, ma dei grandi Giri in generale?

Molte cose sono uguali, ma qui c’è un corridore di un altro pianeta che va a prendersi tappe che un tempo gli uomini di classifica avrebbero lasciato. Pogacar l’ha già dimostrato anche in questo Tour. E a cronometro ha perso pochissimo da uno specialista. Vingegaard, invece, dopo l’incidente, non è tornato quello di prima. Ha lavorato molto, però secondo me non è più il vincitore sicuro di Tour.

Se paragoni Pogacar a un capitano dei tuoi tempi chi ti viene in mente?

Secondo me il Panta in salita aveva qualcosa in più, però Pogacar a cronometro è più forte e in generale è più completo. Marco al massimo nelle cronometro si difendeva, come per esempio, le seconde crono di un grande Giro, che erano più per chi aveva ancora energie piuttosto che di prestazione assoluta.

Sempre secondo Podenzana, un tempo la corsa era più lineare e c’era una squadra (o poche altre) che controllavano
Sempre secondo Podenzana, un tempo la corsa era più lineare e c’era una squadra (o poche altre) che controllavano
Massimo tu sei stato un corridore e sei un direttore sportivo. Come si lavora in queste situazioni quando devi tenere l’uomo davanti?

Secondo me il lavoro è uguale, con l’aggravante che ora c’è più stress. Prima non c’erano tutte queste squadre attrezzate come oggi. Prendiamo la tappa di Rouen: per prendere l’ultima salita, tutti erano davanti. Anche squadre come la Groupama-FDJ. Sì, Gregoire è forte, ma una volta squadre così non avrebbero tirato così costantemente e probabilmente uno come lui non sarebbe stato lì. Adesso, con le rotonde, gli spartitraffico… altro che stress.

Ti piaceva avere indicazioni o preferivi non averne?

No, era diverso senza radio. Si viveva più la giornata. Adesso quando partecipi a una corsa sai già tutto: finale, rotonde, curve… Ma oggi le radioline servono. Al campionato italiano ci dicevano di avvertire i corridori per un problema: ma senza radio come facevi?

Come studiavate la tappa?

Si studiava il libro gara, cercando di capire gli ultimi due–tre chilometri. Non veniva segnalato tutto come adesso.

C’era un road captain?

Sì, ma variava a seconda della tappa, di chi stava meglio. C’ero io, c’erano Conti, Fontanelli, Zaina, Velo… dipendeva dai momenti della gara.

Quali squadre vedi lavorare bene oggi?

La UAE Emirates, anche se al Giro d’Italia non mi è piaciuta tanto, ma qui stanno facendo tutto al meglio. Anche la Visma-Lease a Bike mi piace: porta sempre Vingegaard davanti nei momenti top e lo protegge costantemente. Sono le due squadre migliori e lo sono anche perché hanno i corridori più forti, quelli con più gamba e che di conseguenza sanno ben muoversi in gruppo.

Podenzana apprezza molto il laoro di Visma e UAE
Podenzana apprezza molto il laoro di Visma e UAE
Tappe più ondulate, ma anche più nervose, come quelle di questo inizio Tour sarebbero piaciute di più alla Mercatone Uno rispetto ai piattoni di allora?

Sarebbe stato comunque difficile per noi. Eravamo più a nostro agio con le grosse salite. Magari su questi ondulati Pantani si sarebbe difeso meglio perché aveva classe e non aveva paura di lottare.

Lo avreste portato nelle montagne con meno svantaggio dopo dieci tappe?

Forse sì, perché quei percorsi sarebbero stati più adatti a lui rispetto ai totali piattoni e poi c’erano cronometro più lunghe. Ma la posizione in gruppo è troppo determinante oggi. Lui stava spesso dietro e risalire costa troppe energie. Ai miei tempi anche se era sbagliato qualche volta si poteva, ma oggi, se vuoi fare classifica, devi stare tra i primi venti. Sempre.

Massimo, chiudiamo con un aneddoto. Pensando alle tante sgroppate d’inizio Tour che vi faceva Pantani ce n’è una che ricordi più delle altre?

Ce ne sono tante. Mi viene in mente la tappa di Pau: dovevamo stare davanti, avevo una gran condizione. Ho lavorato tutto il giorno e sono riuscito a tenerlo là. Marco mi ringraziò. Ma ogni giorno dovevi dare il meglio per non fargli perdere terreno o energie. Anche se il ricordo più vivo non è legato al Tour ma al Giro.

Raccontaci!

Tappa dell’Alpe di Pampeago, quando Tonkov staccò Marco nel finale. Lì dovevo essere il penultimo uomo. Tiriamo, prepariamo l’attacco. Io sto per dare il cambio pensando ci sia un altro compagno dietro di me. Invece mi volto e c’è lui, Marco. E mi fa: «Pode, lungo». Insomma, tira ancora. Ho dato l’anima finché non è scattato. Quando lo ha fatto per me è stata una liberazione. Quel “Pode Lungo” me lo ricorderò per sempre.

Tappa a Yates, Healy in giallo. E i big? Ce lo spiega Ellena

14.07.2025
7 min
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Sul Massiccio Centrale tanto tuonò che non piovve? Sembra proprio di sì… La decima tappa del Tour de France nel giorno più importante per i “cugini”, quello della presa della Bastiglia, ha visto i big stuzzicarsi appena e la fuga andare via. Una di quelle 4-5 fughe che aveva pronosticato Aurelien Paret-Peintre, che infatti era nel gruppo giusto. Tappa a Simon Yates e maglia gialla a Ben Healy.

Come ha detto Stefano Rizzato in diretta Rai, una tappa che ha visto mischiare il rosa e il giallo: a vincere sul Massiccio Centrale è stato il re dell’ultima maglia rosa (appunto Yates) e un altro corridore in rosa si è preso la maglia gialla.

Ma al netto dei colori, che cosa ci ha detto questa frazione? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Ellena, uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa, in questi giorni in ritiro a Bormio con la sua squadra per preparare i tanti appuntamenti di agosto, tra Spagna e Nord Europa.

Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Forse, Giovanni, ci si poteva attendere qualcosa di più da questa tappa?

Il dislivello era tanto, perché comunque 4.500 metri non sono pochi, però alla fine erano tutte salite abbastanza pedalabili. Se mandi due uomini in fuga nella tappa del Sestriere, dove poi c’è da fare tutta la valle e li tieni a 4-5 minuti è un conto. Ma in una tappa del genere lasciarli a quella distanza… a cosa serviva? E soprattutto, dove attacchi? Serve anche il terreno adatto e questa non era la tappa giusta.

Chiaro…

Va bene il 14 luglio, se vogliamo parlare della festa nazionale, ma non era una tappa in cui potevi fare grandi differenze attaccando da lontano. Se attacchi su una salita con pendenze elevate, può funzionare, ma qui era davvero difficile. E poi non è che stai attaccando “Giovanni”, stai attaccando un certo Pogacar.

La sensazione è che l’azione della Visma-Lease a Bike a un certo punto sia passata da “prepariamo l’attacco per Vingegaard” a “vinciamo la tappa”. In fin dei conti alla UAE Emirates che interesse aveva a tenere la maglia?

E infatti si è visto nel finale. Pogacar non ha nemmeno fatto la volata.

Aver perso la maglia gialla a questo punto del Tour lo aiuta ancora?

Un po’ sì. Intanto domani si riposa con qualche riflettore in meno. Non dico che sia stata una scelta voluta, è difficile fare certe valutazioni con i meccanismi attuali, ma sicuramente gli fa bene. Stressa meno la squadra. Anche mercoledì la responsabilità di tenere il gruppo, anche solo nei tratti in pianura, passerà sicuramente a un altro team, la EF Education-EasyPost, per quella legge non scritta che vuole davanti la squadra del leader. Magari si alterneranno con quella di qualche velocista. Tutto questo ti aiuta a salvare qualcosa in termini di energie. In più non scordiamo che ha già perso Almeida.

Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
E Sivakov oggi non era affatto messo bene sin dall’inizio…

Quindi comincia a risparmiare e fa bene. Anche se potrebbe vincere il Tour “da solo”, sa bene che la squadra è importante e che lavorare un filo in meno è utile. E poi ci sono i dettagli: le interviste, il tornare prima in hotel, tutti gli altri protocolli… Sono aspetti che oggi fanno la differenza.

E invece, Giovanni, come ti spieghi quegli attacchi ai 20-25 chilometri della Visma-Lease a Bike?

Probabilmente per cercare di far lavorare la squadra di Pogacar, risparmiando al massimo Vingegaard. Magari hanno deciso di puntare tutto sulle salite vere con Vingegaard, che non si è mai mosso davvero, a parte qualche scattino. Azioni volte a innervosire Pogacar, anche se mi sembra l’ultimo che si innervosisce! E’ difficile combattere con un personaggio del genere. C’è una cosa che mi ha colpito qualche giorno fa.

Quale?

Per radio voleva sapere come fosse andata la gara della sua compagna, Urska Zigart, al Giro Women. Non solo: ha chiesto anche della classifica. Vuol dire che sei disconnesso nel senso buono, che scarichi la tensione. E’ importantissimo nelle corse a tappe. Ti stacchi mentalmente. Sì, stai pedalando, ma non hai lo stress addosso. Ti alleggerisce psicologicamente. Oltre alla condizione fisica – che è incredibile – ha anche questa capacità. Penso alla borraccia al bambino l’anno scorso sul Grappa. Riesce a non essere sempre focalizzato al cento per cento.

Si diceva che con quegli attacchi volessero isolarlo, per evitare che con i suoi uomini potesse imboccare forte la salita. Pertanto gli attacchi dei Visma erano quasi più per difendersi: come la vedi?

Non lo so. Per me ha più senso il discorso del provare a innervosirlo, isolarlo, far stancare la sua squadra che non è al top. La Visma ha vinto la tappa, gli è andata bene, però poi quando in ammiraglia vedi che ti muovi, fai, prendi iniziativa e il tuo rivale a due chilometri ti piazza uno scatto del genere, come a dire “Il più forte sono io”, non è facile. Stasera Vingegaard in camera penserà: «Questo mi scatta in faccia e poi mi aspetta anche».

Forse anche perché voleva perdere la maglia gialla…

Sì, si per quello. Si è messo a ruota di Lenny Martinez che era reduce della fuga. E anche qui non è stata un’azione banale. Perché è vero che si chiama Pogacar ed è il più forte in assoluto in questo momento, ma è anche vero che più amici hai nel gruppo, meglio è. E da oggi avrà qualche amico in più nella EF e anche nella Alpecin-Deceuninck. Ieri a un certo punto era lui a rompere i cambi per favorire Van der Poel. Pogacar si sa gestire su tutto. E torno alla sua capacità di disconnettersi: lo rende più lucido.

Ma secondo te, Giovanni, è davvero il più forte o Vingegaard sta covando il colpaccio come due anni fa, quando alla prima vera salita cambiò tutto?

Potrebbe anche essere. Sin qui, anche per caratteristiche fisiche diverse, non è stato brillante come Tadej, ma non lo vedo affatto male. Se la sua condizione è davvero buona, sulle salite lunghe potrebbe anche fare la differenza. E non sarebbe la prima volta…

Remco, lo vedremo correre solo di rimessa, al netto del piccolo allungo di oggi?

Sì, deve correre di rimessa e sperare di non essere troppo sotto agli altri due. Poi magari mi sbaglierò, ma in questo momento la vedo così.

Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar
Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar

Parola ai protagonisti

Quanto detto da Ellena trova riscontro nelle parole di Simon Yates: «E’ stata una vittoria di esperienza. E’ stato difficile entrare in fuga. C’erano molti corridori forti. Ho volutamente preso il comando nelle ultime curve, alla fine della discesa, prima dell’inizio della salita, perché volevo partire bene e prendere slancio. Lì ho dato il massimo.
«Siamo tutti concentrati su Jonas – ha aggiunto Yates – e sulla classifica generale. E anche oggi era così. Il piano era di essere in fuga nel caso fosse successo qualcosa dietro, ma a un certo punto il distacco era troppo grande, quindi mi sono potuto giocare la tappa».

Un plauso va poi a Ben Healy. Tante volte ha corso peggio di un allievo al debutto, ma in questo Tour de France sta mostrando davvero la sua classe e anche il suo coraggio. A un certo punto ha corso esclusivamente per la maglia e ha centrato di nuovo l’obiettivo, non curandosi di Yates.

«Sono ancora un po’ apatico perché sono così stanco – ha detto Healy – Non ci posso credere. Se qualcuno mi avesse detto che dopo dieci giorni avrei indossato la maglia gialla, non ci avrei creduto. A un certo punto, quando il vantaggio è aumentato, ho semplicemente abbassato la testa e sono partito pensando solo alla maglia gialla. Ho iniziato a spingere e basta. Non ho potuto rispondere a Yates nel finale. Devo ringraziare i miei compagni (in fuga ne aveva tre: Neilson Powless, Alex Baudin e Harry Sweeny, ndr). Se non ci fossero stati loro, ora non avrei la maglia gialla. Harry è andato come un camion e Alex ha concluso alla perfezione».

EDITORIALE / Il Tour, l’UCI e le aziende calpestate

14.07.2025
5 min
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Quanti corridori attualmente in gara al Tour de France sarebbero in regola con le nuove norme approvate dall’UCI per il 2026? E perché tante, ma davvero tante aziende hanno appena immesso sul mercato componenti palesemente fuori legge, sapendo che resteranno invenduti? Lo sanno anche i muri: se un oggetto non possono usarlo i professionisti, nei negozi non lo guarderanno neppure.

L’annuncio delle nuove disposizioni tecniche in materia di altezza dei cerchi, di larghezza per i manubri e sviluppo metrico dei rapporti, di cui abbiamo dato notizia nell’articolo pubblicato il primo luglio, ha avuto diverse reazioni piuttosto energiche. L’approvazione di quelle norme è stato un brusco risveglio ed evidentemente non ha seguito le tempistiche necessarie. Altrimenti come si spiega che Deda Elementi, DT Swiss e Swiss Side, ad esempio, abbiano lanciato nelle ultime 3-4 settimane delle ruote ad alto profilo, quando li limite massimo è fissato a 65 e manubri più stretti dei 380 millimetri c/c consentiti?

Preavviso di 6 mesi

Come spiegò con grande chiarezza Claudio Marra già un anno fa, di simili adeguamenti, in concerto con l’UCI, si occupava inizialmente il GOCEM (Global Organisation of Cycling Equipment Manufacturers), l’associazione dei costruttori di biciclette e parti. Quando tuttavia si capì che sarebbe stato più saggio confluire in una struttura di più ampio respiro, anche il ciclismo è entrato nella WFSGI (World Federation of the Sporting Goods Industry), l’associazione mondiale delle aziende che, messe insieme, dialogavano con le varie federazioni. Ad essa si rivolge Gianluca Cattaneo, general manager e direttore commerciale di Deda, con un post su Linkedin.

«La World Federation of the Sporting Goods Industry (WFSGI) – scrive – che pretende di essere l’organismo mondiale autorevole per l’industria sportiva, riconosciuto dal Comitato Olimpico e referente dell’UCI, dimostra di aver fallito due volte. La prima, non riuscendo a intercettare le regole allucinanti annunciate dall’UCI. La seconda, non avvertendo per tempo i suoi membri (molti marchi di biciclette e componenti). Deda non è un membro».

Adam Hansen, attuale presidente del CPA, correva con manubrio Deda 36 c/c: lo riteneva pericoloso?
Adam Hansen, attuale presidente del CPA, correva con manubrio Deda 36 c/c: lo riteneva pericoloso?

La voce dei corridori

La riforma voluta dall’UCI si muove nel senso della sicurezza, in seguito alle indicazioni messe insieme da SafeR, la struttura dedicata alla sicurezza nel ciclismo su strada, maschile e femminile. Essa riunisce i rappresentanti e le associazioni di tutte le parti interessate al ciclismo su strada: organizzatori, squadre, corridori e l’UCI. Ci sono gli organizzatori dei tre Grandi Giri e per i corridori il CPA guidato da Adam Hansen. Fin qui tutto bene, ma come hanno agito?

«Il ruolo della CPA, di cui Adam Hansen è presidente – scrive ancora Cattaneo – è quello di servire gli interessi dei ciclisti professionisti. La posizione di Adam Hansen, che come mio ciclista e prima dell’attuale tendenza utilizzava manubri Deda da 38 esterno/esterno (36 c/c), è davvero curiosa. In che modo le nuove regole possono garantire una maggiore sicurezza? Non ci sono prove di una correlazione diretta tra l’uso di manubri stretti e gli incidenti di gara. Se si vuole intervenire sulla sicurezza, penso che si possa e si debba agire su altri aspetti».

L’UCI è intervenuta anche sullo sviluppo dei rapporti: dal 2026, massimo consentito 10,46 metri
L’UCI è intervenuta anche sullo sviluppo dei rapporti: dal 2026, massimo consentito 10,46 metri

Prodotti da buttare

Perché l’UCI si è resa promotrice di questo strappo, avvertendo le aziende appena sei mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma? Tanti sponsor ben più potenti, come ad esempio quelli della Formula Uno, hanno dovuto negli anni piegarsi all’introduzione di norme restrittive in tema di elettronica, geometrie delle auto e larghezza delle gomme, ma hanno ricevuto l’avviso con il tempo necessario per adeguare la produzione.

Una simile decisione sarebbe stata da ratificare nell’ambito del Congresso UCI agli ultimi mondiali di Zurigo, in modo che certi investimenti venissero fermati quando c’era ancora il tempo per farlo in modo indolore. Un preavviso così breve significa buttare progetti, stampi e prodotti in una fase economica in cui molti sponsor tecnici faticano a ritrovare l’equilibrio dopo gli scossoni del post Covid.

Il presidente dell’UCI Lappartient e quello del Rwanda Kagame: continui scossoni al ciclismo che sbanda (foto KT Press Rwanda)
Il presidente dell’UCI Lappartient e quello del Rwanda Kagame: continui scossoni al ciclismo che sbanda (foto KT Press Rwanda)

L’UCI di Lappartient

La sicurezza resta centrale. Ma allo stesso modo in cui per le bici da crono sono stati individuati dei range antropometrici in cui contenere tutte le atlete e gli atleti del gruppo, forse anche nel caso dei manubri sarebbe stato opportuno prevedere una gradualità. Tutto il resto fa pensare a mancanza di realismo, scarso collegamento con il mondo delle aziende e anche ad un filo di arroganza.

Sommando a questo il disagio di aver imposto il mondiale in Africa a federazioni economicamente provate, la devastazione delle categorie giovanili nel nome del risultato a tutti i costi, la sensazione è che il presidente Lappartient abbia perso la misura e il senso stesso del suo mandato. Forse distratto dalla corsa alla poltrona del CIO, da cui è uscito con le ossa rotte, e in preda alla voglia di rivincita? O perché incapace di governare l’ennesima infrastruttura di cui ha dotato l’UCI senza che ce ne fosse davvero bisogno?

Factor e Israel Premier Tech: un rinnovo che guarda dritto al futuro

14.07.2025
4 min
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Nel competitivo mondo del ciclismo professionistico, dove tecnologia e performance si fondono per forgiare i campioni del futuro, la partnership tra Factor Bikes e il team Israel Premier Tech rappresenta un esempio luminoso di successo e innovazione. Questa collaborazione, iniziata nel 2020, si consolida oggi ulteriormente con un rinnovo pluriennale, celebrato in grande stile proprio in concomitanza con il Tour de France. Un evento che sottolinea non solo la forza di questo legame, ma anche la comune visione di superare i limiti e ridefinire gli standard nel settore.

Per celebrare il prolungamento di questa fruttuosa alleanza, i corridori dell’Israel Premier Tech stanno gareggiando sulle strade del Tour de France con una divisa speciale e, soprattutto, “a bordo” di biciclette Factor OSTRO VAM in una esclusiva edizione Watercolour, dipinta a mano. Questa scelta non è casuale: il design della bicicletta, con la sua vibrante palette di rosa e blu, è stato la fonte d’ispirazione per la maglia speciale, creata da Élie Desgreniers di Premier Tech. Il concept dietro a questa estetica audace si radica nel mantra di Factor, “Never Status Quo”, che riflette una costante ricerca di innovazione e uno spirito indomito dirompente.

La maglia, che vede l’unione del rosa elettrico di Factor con il blu distintivo della squadra israeliana, crea un impatto visivo straordinario. La trama a griglia interrotta e il motivo distorto non sono semplici dettagli estetici, ma simboleggiano la volontà di sfidare lo status quo, di rompere gli schemi e di non accontentarsi mai. Un messaggio chiaro che rispecchia la filosofia di Factor nel progettare biciclette all’avanguardia, capaci di garantire prestazioni di altissimo livello nel gruppo professionistico.

Factor ha rinnovato la partnership con il Israel Premier Tech
Factor ha rinnovato la partnership con il Israel Premier Tech

La fondamentale ricerca e sviluppo

«La nostra squadra – ha dichiarato Sylvan Adams, il proprietario di Israel Premier Tech – non è solo un veicolo di marketing cruciale per Factor, ma anche un elemento fondamentale nel processo di produzione. Il feedback diretto dei corridori si trasforma in un pilastro per la ricerca e lo sviluppo di Factor, permettendo all’azienda di perfezionare costantemente le proprie creazioni. Factor produce le biciclette più veloci del mondo, frutto di un’enfasi sulla performance e di una continua ricerca dell’innovazione. Questa relazione, unica nel panorama del ciclismo professionistico, riflette una visione a lungo termine condivisa, promettendo numerose vittorie future».

Anche Kjell Carlstrom, General Manager di Israel Premier Tech, ha manifestato grande piacere nell’annunciare il rinnovo alla vigilia del Tour de France enfatizzando come l’impegno di Factor nel design di biciclette di livello mondiale e nella volontà di superare i confini sia stato determinante per il successo della squadra negli ultimi quattro anni, citando la recente vittoria di Jake Stewart al Critérium du Dauphiné come prova tangibile. E la prospettiva è quella di vedere la stessa partnership rafforzarsi sempre di più

Questa è la versione speciale della OSTRO VAM realizzata da Factor per il Tour de France 2025
Questa è la versione speciale della OSTRO VAM realizzata da Factor per il Tour de France 2025

Dove l’innovazione incontra la realtà

Rob Gitelis, fondatore di Factor Bikes e Black Inc, ha espresso grande soddisfazione per la prosecuzione di questa partnership, riconoscendo nelle gare più importanti del mondo il miglior banco di prova e negli atleti d’elite la migliore ispirazione. Per Gitelis, questa collaborazione è il punto in cui l’innovazione incontra la realtà, ed è proprio qui che Factor eccelle, trasformando le sfide del ciclismo professionistico in opportunità di crescita e miglioramento continuo.

Factor Bikes, nata appena nel 2007, ha una personale storia di eccellenza. La sua prima bicicletta in carbonio, la Factor001 del 2009, fu rivoluzionaria per prestazioni e innovazione, stabilendo il DNA di tutte le future creazioni: sfidare lo status quo e spingere i limiti del possibile. Oggi, Factor Bikes è l’unica marca di biciclette “premium” al mondo a controllare ogni fase della produzione del carbonio, dal concept all’assemblaggio finale, garantendo un livello di qualità e precisione ineguagliabile.

Questa estensione della partnership tra Factor Bikes e Israel Premier Tech non è solo un accordo commerciale, ma una dichiarazione d’intenti. È la prova che la combinazione di tecnologia all’avanguardia, spirito innovativo e un solido lavoro di squadra è la chiave per raggiungere risultati importantissimi nel mondo del ciclismo.

La gamma di biciclette Factor è distribuita in Italia dalla commerciale reggiana Beltrami TSA.

Factor