Groenewegen “punta” il Tour e benedice Cavendish

04.12.2023
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TORINO – Guardare avanti per tornare ad alzare le braccia come nel passato. Il Tour de France 2024 è già nei pensieri di Dylan Groenewegen, lo sprinter su cui il Team Jayco-AlUla punterà almeno per altre due stagioni, sperando di rivederlo sfrecciare come ha fatto lo scorso anno, ma non così bene nella stagione che si sta per concludere.

L’ultimo squillo alla Grande Boucle 2022 arrivò nella terza tappa in terra danese e, dando un’occhiata al prossimo percorso giallo, anche stavolta il 3 potrebbe essere il numero perfetto per graffiare l’asfalto, con l’arrivo veloce nel cuore di Torino. Proprio nel capoluogo piemontese, abbiamo incontrato il trentenne olandese, dopo che ha svolto le visite di rito all’Istituto delle Riabilitazioni Riba – Gruppo Cidimu.

Terzo al GP Van Looy, dietro Philipsen e Koioij. Nel 2023 sono venute 4 vittorie
Terzo al GP Van Looy, dietro Philipsen e Koioij. Nel 2023 sono venute 4 vittorie
Qual è il tuo bilancio del 2023?

La stagione nel complesso è andata bene, anche se forse mi sarei aspettato qualche vittoria in più. In particolare, puntavo a una tappa al Tour, che ho sfiorato in più occasioni, ma arrivarci vicino non basta, per cui ci riproverò l’anno prossimo. 

Dunque, la Grande Boucle è un’ossessione per te?

Il Tour de France è l’obiettivo primario, ma prima comincerò con l’AlUla Tour (fino a quest’anno Saudi Tour, ndr), che per ovvie ragioni è una corsa molto importante per la nostra squadra. Voglio essere in forma già dall’inizio, ma poi cercherò di essere al meglio per il 1° luglio.

Chi saranno i tuoi uomini di fiducia?

Di solito, al mio fianco, ho sempre Luka Mezgec. Poi c’è Elmar Reinders che sta facendo un ottimo lavoro, mentre quest’anno non ho potuto contare su Amund Jansen, ma sono sicuro che si è messo sotto per tornare ad andare forte e non vedo l’ora di correre di nuovo con lui, perché sono sicuro che saprà aiutarmi molto in corsa. Prezioso sarà anche l’apporto di Luke Durbridge

Groenewegen durante l’intervista con Alberto Dolfin, autore dell’articolo
Groenewegen durante l’intervista con Alberto Dolfin, autore dell’articolo
Com’è cambiata la vita degli sprinter nei grandi giri rispetto ai tempi di Cipollini in cui i treni dei velocisti la facevano da padroni?

Il ciclismo è in continua evoluzione e ora, invece di avere 6 o 7 persone a disposizione, il velocista ne ha al massimo 3 o 4 che lo possono supportare. Anche nella stagione appena conclusa, la nostra squadra si è divisa 50 e 50 tra chi supportava Simon Yates per la classifica generale e chi me per le tappe. Ma non mi lamento, perché adesso tutti corrono così.

Credi che siano diminuite le opportunità per i velocisti nei grandi giri?

No, non credo, al massimo ci sono tappe più dure o il gruppo accelera sulle salite, per cui rende la corsa più dura. Ogni anno il ciclismo si evolve e, per quanto riguarda gli sprint, all’ultimo Tour, in tanti ci hanno provato, ma l’unico che ha trovato l’equilibrio perfetto è stato Philipsen.

Tornando, invece, un po’ indietro: ci racconti qual è la relazione tra te e Fabio Jakobsen dopo quanto accaduto al Giro di Polonia 2020?

Io e Fabio non siamo mai stati amici e non lo siamo nemmeno adesso. Lui è un grande sprinter e lo considero tale, nulla più. 

La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen al Giro di Polonia
La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen al Giro di Polonia
Ci racconti la tua risalita in sella dopo quanto successo e tutte le critiche ricevute?

E’ stato un periodo molto lungo e duro senza corse, perché prima è arrivato il Covid e poi la squalifica per quanto successo in Polonia. Mi sono allenato e poi tenuto impegnato con la mia famiglia. In tanti mi chiedevano se mi mancassero le corse, ma la realtà è che ero molto preso dalla gravidanza di mia moglie e poi dalla nascita del primogenito Mayson, che peraltro ha avuto anche un po’ fretta di uscire allo scoperto. In quel periodo, lui è stata la mia priorità e il ciclismo è venuto dopo.

Adesso ti senti di nuovo come prima?

Sì, nell’immediato sbagliai ad andare subito al Giro d’Italia, perché non ero ancora pronto dopo tanto tempo fermo. Per fortuna, grazie anche all’addio alla Jumbo e all’approdo in questa squadra, ho ritrovato il divertimento in quello che faccio e mi sono sentito accolto in famiglia

Quando non pedali, ti piace fare qualche altro sport?

Passo molto tempo in palestra. Poi, d’inverno, mi piace andare a correre.

Come sarà sfidare per l’ultima volta Cavendish al Tour 2024?

Potete dire una corsa qualsiasi e quasi sicuramente lui l’ha vinta. Forse è il miglior sprinter di tutti i tempi e sono certo al 100 per cento del fatto che Mark ha le carte in regola per battere il record di Merckx. Avrà bisogno di un pizzico di fortuna, perché ha perso un po’ di spunto veloce rispetto agli anni d’oro, ma non conosco nessuno così scaltro nei finali di tappa. 

Ti vedremo mai in qualche classica?

Abbiamo tanti corridori in squadra che possono vincerle, come Ewan o Bling (Michael Matthews, ndr), mentre io mi sento più sprinter da grandi Giri. 

Quanti tatuaggi hai?

Ne ho tre, ciascuno con un significato ben preciso. Due sul braccio destro, a cui sono molto affezionato: uno è un leone che protegge il suo leoncino, ovvero io con Mayson, che ora ha 3 anni. Mentre l’altro è una donna con un orologio, che rappresenta il tempo e la pazienza che ci ho messo durante la lunga pausa forzata per tornare al mio livello di prima.

Zana brinda al 2023 e intanto culla il sogno del Tour

23.11.2023
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SAN GIOVANNI IN MARIGNANO – Per Filippo Zana la “Serata di Grande Ciclismo” è diventata un appuntamento fisso. L’anno scorso il premio della maglia tricolore della Challenge bici.PRO era andato a lui. Quest’anno ha passato il testimone a Simone Velasco.  

La vittoria di tappa al Giro e quella dello Slovenia sono stati due assoli che hanno posizionato Zana ai vertici di un’ipotetica classifica degli italiani più forti in questo 2023. Poi però sono arrivati la rottura della clavicola e il ritiro dalla Vuelta a causa di un virus. Una stagione positiva e di crescita che ben fa sperare per il 2024. Dopo quattro anni di Giro d’Italia, la voglia di misurarsi al Tour de France è chiara, così come quella di provare a fare classifica.

Che stagione è stata?

La prima parte è andata veramente bene. Dal fare il Giro in maglia tricolore con il successo di tappa, poi la vittoria al Giro di Slovenia. Dopodiché, non ho potuto fare il campionato italiano ed è stata una vera sfortuna perché stavo bene. Ho cercato di rifarmi alla Vuelta, ma sono stato male. Poi abbiamo fatto questo finale di stagione in Italia dove abbiamo cambiato un po’ i piani e non è andata malissimo. Diciamo che nel complesso è stata un’ottima stagione di crescita e sono contento. Sicuramente c’è stato un po’ di sfortuna e avrei potuto fare di meglio. Speriamo di continuare a crescere così anche per il prossimo anno.

Negli occhi di tutti c’è anche la caduta allo Slovenia…

Quella tappa ero da solo ed ero riuscito a staccare tutti, però in discesa ho sbagliato la curva, ed è andata veramente molto bene. Infatti, penso di aver finito tutta la fortuna che avevo, perché tre giorni dopo mi sono rotto la clavicola in allenamento a 500 metri da casa.

A livello personale il fatto che a metà stagione hai avuto quelle sfortune e non hai più indossato la maglia tricolore, ti ha un po’ destabilizzato?

Indossare la maglia è un privilegio. Mi è dispiaciuto non essere nemmeno partito per difenderla perché sapevo di stare bene. Però ho cercato comunque di lavorare duro per ritornare com’ero prima, facendo tutto il possibile. Quando pensavo di aver ritrovato la forma, ho preso il virus e la stagione è andata un po’ calando.

Il Giro chiuso in crescendo (qui la cronoscalata del Lussari) lo ha lanciato verso lo Slovenia
Il Giro chiuso in crescendo (qui la cronoscalata del Lussari) lo ha lanciato verso lo Slovenia
A livello fisico, le prestazioni che hai avuto fino alla Slovenia erano le migliori che hai mai espresso?

Sì. Spero di riuscire a ritrovare una condizione così anche il prossimo anno, magari cercare di arrivare al Giro o quello che si farà con la condizione che avevo quest’anno. 

Questo inverno cambierai qualcosa nella preparazione, anche in base alle ambizioni che hai per il 2024?

Farò più o meno come l’anno scorso. Cambieremo un po’, magari come arrivare ad un grande Giro. Cercherò di fare un lavoro molto più duro e cercherò insomma di far molta più fatica.

Perchè?

Nello specifico ho visto che comunque il Giro sono tre settimane di grande fatica. Un grande stress, ma il mio fisico ha dimostrato di reagire bene. Sopratutto dopo la metà della seconda settimana. Perciò vorrei fare in modo di arrivare alla partenza già “caldo”

Alla “Serata di Grande Ciclismo” erano presenti anche Rachele Barbieri, Filippo Baroncini, Simone Velasco
Alla “Serata di Grande Ciclismo” erano presenti anche Rachele Barbieri, Baroncini e Velasco
Sembra il discorso di uno che vuole fare classifica. E’ così? 

Diciamo che in squadra abbiamo gli uomini di classifica e io sarò di supporto ai capitani. Poi sicuramente in seconda battuta, non si sa mai cosa può succedere. Avrò l’approccio del primo gregario che tende a non uscire di classifica. Cercherò di stare lì, poi si vedrà durante la corsa. 

Hai detto che ti piacerebbe fare il Tour dopo quattro anni di Giro…

Adesso stiamo parlando con la squadra. Dobbiamo ancora decidere il calendario. Sicuramente il Giro mi piace tanto. In più si passa sulle strade di casa, perché il tappone del Grappa è praticamente dove mi alleno e sarebbe bellissimo esserci. Vorrei essere al Giro, ma allo stesso tempo dico che sarebbe bello anche correre al Tour, che per di più parte dall’Italia. Mi piacerebbe un po’ cambiare. 

Appuntamenti per questo inverno?

Ho iniziato gli allenamenti: tra poco faremo due ritiri, uno a dicembre, uno a gennaio. Poi se tutto va bene dovrei iniziare a febbraio in Spagna.

Buitrago fiuta il Tour: senza Pogacar, la “bianca” fa gola

22.11.2023
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A Bogotà oggi piove, ma ci sono 25 gradi. Buitrago è in città per passare qualche giorno in famiglia, di ritorno dal Giro de Rigo, la cicloturistica organizzata da Uran che ha visto al via anche Wout Van Aert. A breve però farà ritorno a La Ceja, regione di Antioquia, dove vive e si allena. Dice che quando esce non ha bisogno della scorta, ma un suo amico lo segue sempre con la moto, per tenergli gli indumenti e i rifornimenti. Il vincitore delle Tre Cime di Lavaredo trascorrerà l’inverno in Colombia e farà ritorno in Europa per il ritiro di gennaio. La voce arriva chiara, l’umore appare ottimo.

«Non avevo mai visto tanta gente tutta insieme – racconta – è stato un evento grandissimo. C’erano quasi seimila persone in bicicletta, una cosa bellissima. Tutti fan di ciclismo, di Rigo e dei campioni che c’erano. Ogni volta che torno in Colombia, mi rendo conto di quanto sia popolare questo sport. La gente si ricorda il nome, ti riconosce dalla maglia della squadra. Se ti fermi a prendere un caffè, vengono a farsi la foto. E’ bello perché quando ero piccolo lo facevo anche io. Andavo da Rigo oppure se capitava di incontrare Nairo. E adesso trovo bellissimo che lo chiedano a me. Non vorrà mica dire che sto diventando vecchio? ».

Domenica scorsa, Buitrago ha partecipato con altri 6.000 ciclisti al Giro de Rigo. Alla sua ruota, Van Aert e Uran
Domenica scorsa, Buitrago ha partecipato con altri 6.000 ciclisti al Giro de Rigo. Alla sua ruota, Van Aert e Uran

Il 2023 da incorniciare

Scoppia a ridere. Due chiacchiere sul Tour Colombia 2.1 che torna il prossimo anno e se la Bahrain Victorious non ci sarà, gli piacerebbe farlo con la nazionale. E poi il discorso va sulla stagione di questo ragazzo di 24 anni, che nel 2023 è arrivato terzo al Saudi Tour e poi alla Ruta del Sol. Terzo anche alla Liegi e poi primo alle Tre Cime al Giro d’Italia, dopo la vittoria del 2022 a Lavarone. La squadra se lo tiene stretto, con un contratto fino al 2026. E lui intanto cresce, sorride e sogna in grande.

«Questa stagione – dice – è stata più di quanto mi aspettassi. Volevo fare tante corse. Puntavo a fare classifica al Giro, non è andato come mi aspettavo, però ho vinto una tappa e fatto una buona classifica. Ho fatto la Vuelta di Spagna e anche qualche podio di tappa e questo per me è stato fantastico. Forse però il podio che non mi aspettavo è stato quello della Liegi. Praticamente sono arrivato in Belgio il sabato al mattino dal Tour of the Alps. Ero ancora stanco, non è stato semplice, per questo non mi aspettavo di andare così. Eppure alla fine la Liegi mi è piaciuta tantissimo. E’ una delle classiche che vedevo in tivù quando ero bambino e penso che un domani potrei anche lottare per vincerla, dato che sul podio ci sono già arrivato».

Lavarone meglio di Lavaredo

Numeri da scalatore: un metro e 74 per 59 chili, Buitrago è uno di quelli da cui ti aspetti il volo sulle grandi montagne. E il volo il colombiano l’ha spiccato il 25 maggio fra Longarone e le Tre Cime di Lavaredo, rimanendo allo scoperto per 126 dei 183 chilometri della tappa. Allo stesso modo, l’anno prima era stato in fuga per 158 chilometri verso Lavarone e aveva alzato le braccia al cielo per la sua prima vittoria al Giro d’Italia.

«Sono due storie diverse – racconta riflettendo – perché la vittoria dello scorso anno è arrivata nel momento giusto. Due giorni prima a Cogne avevo fatto secondo dietro Ciccone e per me era stato un duro colpo. Per cui vincere il martedì, andando in fuga con Van der Poel e anche Ciccone, è una vittoria che ricorderò per sempre. Le Tre Cime di Lavaredo sono molto famose per gli europei, ma io sono colombiano, per me non hanno un significato particolare. Ugualmente è stata una vittoria importante, perché il mio Giro non stava andando troppo bene, per cui vincere quella tappa è stato importante. Ma nel mio cuore viene prima quella dello scorso anno».

Ottavo sull’Angliru alla Vuelta, Buitrago nel finale ha staccato Mas e anche Ayuso
Ottavo sull’Angliru alla Vuelta, Buitrago nel finale ha staccato Mas e anche Ayuso

Il ciclismo colombiano

Nel ciclismo colombiano che ha perso lungo la strada i grossi nomi, per limiti di età e vicende di varia natura, Buitrago è forse il più promettente e soprattutto concreto. Lui lo sa, forse gli piace sentirselo dire, ma resta con i piedi per terra. Nel 2023 ha anche concluso la Vuelta piazzandosi al decimo posto, dopo che nel 2022 se ne era andato dalla Spagna dopo appena 10 tappe.

«Sono contento di come sta andando la mia carriera – dice – ogni anno vado più forte. Ogni anno rimango più a lungo e per più tappe con i migliori e questo mi piace tantissimo. All’inizio provavo a seguire il gruppo e mi staccavo, adesso sono capace di rimanere con i primi 10 di classifica e posso lottare per vincere la tappa. C’è una bella differenza. Intanto il ciclismo colombiano sta attraversando un momento opaco. Non siamo tanti nel WorldTour, rispetto a due anni fa. Per i nostri tifosi è brutto, perché negli anni scorsi abbiamo vinto il Tour de France, il Giro d’Italia e la Vuelta. Vincevamo praticamente tutto, mentre adesso sono arrivato gli sloveni, i danesi, i tedeschi, gente che dieci anni fa quasi non c’era. Insomma, è un periodo in cui vanno più forte gli altri e noi dobbiamo lavorare per riprenderci». 

Alla Vuelta per Buitrago la visita della compagna Tatiana, anche lei colombiana
Alla Vuelta per Buitrago la visita della compagna Tatiana, anche lei colombiana

Il progetto Tour

E così adesso è arrivato il momento di alzare l’asticella e in casa Bahrain Victorious probabilmente potrebbero anche scegliere di accontentarlo. I programmi sono in fase di scrittura proprio in questi giorni e saranno finalizzati durante il ritiro di dicembre ad Altea. Ma dato che Buitrago non sarà della partita, con lui i contatti sono già in fase più avanzata.

«Qualche giorno fa – spiega –  mi hanno chiamato dalla squadra per chiedermi che tipo di gare volessi fare nel 2024. E allora non ci ho girato troppo attorno e gli ho detto che mi piacerebbe andare al Tour. Avrò 25 anni, ho fatto il Giro e la Vuelta e in Francia finalmente si potrà lottare nuovamente per la maglia bianca, dato che Pogacar finalmente è diventato di un anno più grande. Credo che sia arrivato il momento. Al Giro dello scorso anno sono stato secondo nella classifica dei giovani, dietro “Juanpe” Lopez. Quest’anno sono arrivato sesto e poi alla Vuelta sono stato quarto. Voglio vedere come si corre al Tour».

Questa la foto sull’Alto de Letras che ha spinto Fondriest a lanciare la scommessa a Buitrago
Questa la foto sull’Alto de Letras che ha spinto Fondriest a lanciare la scommessa a Buitrago

La scommessa con Fondriest

L’ultima parola è per parlare di una battuta fatta lo scorso inverno da Maurizio Fondriest, il suo procuratore. Cominciò tutto da una sua foto pubblicata su Instagram, in cui era ritratto sulla cima dell’Alto de Letras, una salita vicino Manizales, che sale di quasi 3.700 metri per la distanza… mostruosa di 81 chilometri. Una di quelle scalate sudamericane che richiedono un giorno intero e che si fanno raramente e spesso quasi solo per sommessa.

«Infatti è stata proprio una scommessa – ridacchia -perché un giorno dissi a Maurizio che qui in Colombia c’è questa salita così lunga. Non è tutta costante, ci sono dei tratti in cui spiana, c’è anche una piccola discesa, però di base la strada sale sempre. E lui rispose che gli sarebbe piaciuto farla e sarebbe venuto al primo risultato positivo che avessi fatto. Magari un’altra tappa al Giro, avremmo deciso poi. E così quando ho fatto il podio della Liegi, mi ha chiamato e mi ha detto: “Mi sa che dovrò andare in Colombia per fare quella salita”. E dopo la tappa delle Tre Cime, ha preso la decisione e verrà giù a dicembre, si sta organizzando. Non è una salita che faccio spesso, è lontana da Bogotà e da Antioquia. Ho tantissime strade per allenarmi. Tornerò in Europa a gennaio, però magari una foto di Maurizio sull’Alto de Letras provo a mandarvela…».

Grandi eventi e turismo: ecco i numeri dell’Emilia-Romagna

21.11.2023
6 min
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I grandi eventi sportivi come “motore” di una crescita dei flussi turistici. Un collegamento importante che, se ben sfruttato, è in grado di generare risultati davvero molto, molto interessanti. Come succede in Emilia Romagna.

Sono stati presentati ufficialmente al Grand Hotel di Rimini i risultati di una ricerca sugli effetti economici e reputazionali generati dai grandi eventi sportivi. L’analisi è stata condotta dal Centro studi SG Plus, in collaborazione con l’Università degli Studi di Parma e su iniziativa della stessa Regione Emilia-Romagna. Il coordinamento è stato del capo segreteria politica della Presidenza Giammaria Manghi. I risultati sono stati illustrati alla presenza del Ministro per lo Sport Andrea Abodi, del Governatore Stefano Bonaccini e dell’Assessore regionale al Turismo Andrea Corsini.

Fra i protagonisti non poteva mancare Davide Cassani, motore del turismo regionale
Fra i protagonisti non poteva mancare Davide Cassani, motore del turismo regionale

Sport Valley: sport e territorio

La ricerca ha preso in esame ben 81 eventi in grado di generare un indotto pari a 150 milioni di euro, a fronte di un investimento della Regione di 8,3 milioni. Ciascun euro investito è stato dunque in grado di produrne ben 18. Le presenze complessive sono state oltre un milione. Si sono considerate le giornate di permanenza sul territorio di atleti, spettatori, staff, giudici di gara e giornalisti moltiplicandole per la durata del soggiorno. Gli effetti da un punto di vista prettamente “reputazionale” della promozione sono stati invece valutati in oltre 31 milioni di euro.

Lo sport fa bene dunque anche al territorio: e questa ricerca è stata in grado di confermarlo in maniera molto puntuale. Forte di questi numeri, l’Emilia-Romagna qualifica il proprio territorio – da Piacenza a Rimini – come Sport Valley italiana.

Lo sport traina il turismo

«I grandi avvenimenti sportivi – ha dichiarato il Ministro Abodi – sono un’opportunità, di carattere sociale ed economica, per le città e le regioni che li ospitano e per l’intera Nazione. Se ben gestiti, come testimoniano la Ryder Cup di golf a Roma e le Finali Atp di tennis a Torino, rappresentano uno straordinario volano per lo sviluppo dei territori. Essi contribuiscono inoltre alla crescita del PIL locale ma non solo. Aiutano difatti anche a destagionalizzare e a diversificare il turismo. Favoriscono il miglioramento dei luoghi di sport nei quali avviene la competizione, promuovendone anche le bellezze e le piacevolezze. Lo vediamo dai numeri delle necessarie valutazioni d’impatto, che valgono molto di più di tante parole. E testimoniano per giunta il valore aggiunto generato dagli eventi sportivi, grandi o piccoli che siano.

«Fondamentali sono anche la programmazione e la collaborazione, tanto più si sale di livello negli eventi, tra organizzatori, enti locali e territoriali e Governo nazionale. Solo così si può garantire una regia, nel rispetto delle autonomie. E si può centrare l’obiettivo di ottimizzare i risultati e dare un senso alle risorse finanziarie pubbliche che contribuiscono alla loro realizzazione».

Arriva il Tour

Come precedentemente anticipato, all’incontro ha partecipato anche il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

«Abbiamo la conferma – ha commentato il Governatore – che lo sport può essere anche uno straordinario strumento per promuovere il territorio. Il ritorno sarà altrettanto importante sul piano economico, turistico e della reputazione. La scelta fatta da questa Regione di investire sui grandi eventi è stata lungimirante e ne siamo davvero molto orgogliosi. Una scelta che intendiamo confermare, rafforzando la collaborazione già oggi molto positiva con gli Enti locali, le Federazioni e l’associazionismo sportivo, il CONI, il Ministero. Lo sport come opportunità per dare visibilità a un territorio, dunque. Oggi più che mai, pensando anche alla Romagna così duramente colpita dall’alluvione che il prossimo anno ospiterà alcuni appuntamenti di assoluto rilievo. La Grande partenza del Tour de France e l’Open d’Italia di golf a Cervia. Oltre naturalmente ad appuntamenti consolidati come la Formula 1 a Imola, la MotoGp a Misano, la Coppa Davis a Casalecchio di Reno. Il prossimo 2024 sarà davvero un anno che ricorderemo per la nostra Sport Valley».

«Lo sporta – ha aggiunto l’assessore Corsini – è sempre più un fondamentale strumento di attrattività turistica. La nostra regione si conferma una meta privilegiata, dalla Riviera all’Appennino, con numeri in costante crescita. E questo anche grazie ad un’offerta diversificata. Pensiamo ad esempio ai bike hotel e ad una macchina dell’accoglienza in grado di intercettare e rispondere a davvero tutte le esigenze. Sport e turismo sono legati in un binomio oramai indissolubile su cui vogliamo continuare a investire».

Il Presidente Bonaccini ha rivendicato la bontà dell’intuizione del Tour in Italia
Il Presidente Bonaccini ha rivendicato la bontà dell’intuizione del Tour in Italia

I numeri dell’indagine

Su oltre 100 eventi sportivi promossi e organizzati dall’Emilia-Romagna nel 2022, l’indagine ne ha presi in esame 81. Manifestazioni nazionali, internazionali e a larga partecipazione, che si sono svolte su tutto il territorio e lungo l’intero arco dell’anno. Atleti e squadre, spettatori e accompagnatori, staff, giudici di gara, media. Per ciascuna di queste voci è stato valutato l’impatto economico diretto sul territorio, considerando le spese sostenute per il pernottamento e per il soggiorno. La voce più significativa è stata quella relativa agli spettatori, con oltre 620.000 mila presenze ed una ricaduta di quasi 66,5 milioni di euro. Al secondo posto gli atleti (100.000 quelli arrivati da tutto il mondo) in grado di “lasciare” sul territorio ben 33,7 milioni di euro.

Oltre 4.100 sono stati i membri degli staff per 4,2 notti di soggiorno medio ed una spesa di oltre 1,2 milioni di euro. A questi vanno affiancati i quasi 2.000 giudici di gara che si sono fermati per 3,9 notti garantendo al territorio oltre 900 mila euro. E poi i media, con oltre 1.400 le presenze di giornalisti e operatori accreditati. La spesa è stata di quasi 700.000 euro (2,8 notti il loro soggiorno medio).

Riolo Terme è stata ferita dall’alluvione, ma si sta risollevando anche grazie allo sport
Riolo Terme è stata ferita dall’alluvione, ma si sta risollevando anche grazie allo sport

L’effetto dei media

L’indagine ha calcolato anche la ricaduta sul territorio, in termini promozionali e reputazionali, dell’attività di comunicazione che ha accompagnato gli eventi sportivi. Essa è stata valutata in oltre 32,7 milioni di euro, considerando articoli su stampa, web, servizi e trasmissioni televisive, attività sui social network.

Infine, le spese per l’organizzazione delle manifestazioni: a partire da quelle per l’adeguamento di impianti e attrezzature. I benefici per il territorio, quelli per la gestione degli impianti, il personale e i servizi assommano a un totale di 14,3 milioni di euro.

Comanda il ciclismo

Gli eventi considerati hanno interessato tutto il territorio regionale lungo quasi l’intero arco dell’anno (oltre il 90%), ovviamente con una maggiore concentrazione nel periodo estivo.

Caratteristica comune è stata la “multidisciplinarietà”, considerando le oltre 24 discipline sportive diverse analizzate. La più presente è stata il ciclismo, protagonista di ben 17 eventi, mentre sono 66 quelli che hanno interessato le discipline olimpiche. Da un punto di vista organizzativo, 21 sono stati gli appuntamenti organizzati da Federazioni e Leghe, 12 da Enti di promozione sportiva, 22 da associazioni sportive e 26 da organizzazioni private.

Diversificata è stata anche la provenienza di atleti e spettatori. Nel primo caso il 31,8 per cento dei partecipanti è arrivato dall’estero, il 58,8 è stato nazionale e il 9,4 per cento è stato regionale. Nel secondo caso invece le percentuali sono state rispettivamente del 9,9 per cento, del 37,7 e del 52,4.

Renshaw di nuovo al fianco di Cav. Non solo per il record

16.11.2023
5 min
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E’ singolare il fatto che una delle più grandi scommesse della prossima stagione ciclistica sia legata a un corridore che compirà a maggio 39 anni. All’Astana Qazakstan Team i lavori per permettere a Mark Cavendish di stabilire l’agognato record di vittorie al Tour (il britannico ha già eguagliato il primato di Merckx) sono già cominciati, anche se il primo ritiro pre-stagionale deve ancora arrivare.

Intorno al corridore dell’Isola di Man si sta costruendo un’intelaiatura di prim’ordine: è arrivato Morkov, il re dei pesce-pilota e chi lo aveva preceduto in questo ruolo negli anni d’oro del britannico, ossia l’australiano Mark Renshaw è tornato al fianco del compagno di mille battaglie, questa volta come consulente per gli sprint.

Renshaw è stato un ottimo velocista, con 11 vittorie all’attivo. Vanta anche molti successi su pista
Renshaw è stato un ottimo velocista, con 11 vittorie all’attivo. Vanta anche molti successi su pista

Renshaw è ancora nella sua terra natia agli antipodi, ma sta già ragionando su quel che si potrà e si dovrà fare per regalare all’amico Mark l’ultima grande gioia: «Io ho smesso di pedalare professionalmente nel 2019. Sono tornato in Australia e ho aperto due negozi di biciclette dove vivo. Nel periodo del Covid l’impegno è stato molto intenso, ma ora c’è un po’ di calma e mi sono potuto rimettere in gioco. Per me è davvero un piacere tornare a lavorare nel ciclismo professionistico, è nel mio sangue».

Tu che lo conosci bene, è ancora il Cavendish in grado di lottare con i più forti sprinter?

Credo di sì. Credo che sia ancora in grado di lottare per la vittoria. Penso anche che quest’anno, al di là dello strapotere di Philipsen, con un po’ più di fortuna e alcune cose messe al punto giusto, una vittoria sarebbe stata possibile. L’anno prossimo sarà pronto, perché quando avremo superato questa offseason, mancheranno solo sei mesi al Tour, ma lui sa come preparare la sua formazione, e penso che la sua esperienza significherà molto.

Renshaw e Cavendish hanno corso insieme nel 2009-10 alla Columbia-Htc e nel 2016-19 alla Dimension Data
Renshaw e Cavendish hanno corso insieme nel 2009-10 alla Columbia-Htc e nel 2016-19 alla Dimension Data
Secondo te dovrà puntare tutto sul Tour o lo potremo vedere protagonista anche in primavera?

Penso che l’obiettivo della squadra sia partire forte e conquistare vittorie già da inizio stagione. Abbiamo una squadra che ha davvero esperienza, con Morkov e Ballerini insieme a Cav abbiamo un treno di grandi talenti, quindi non vedo alcun motivo per cui non dovremmo essere in grado di vincere le gare prima del Giro di Francia.

Come intendi lavorare con lui nella preparazione e nell’approccio alle volate, cambia qualcosa rispetto al passato?

Ci sono stati alcuni enormi sviluppi nel ciclismo, principalmente riguardo alla tecnologia che possiamo usare per analizzare i finali di gara. Poi ci sono tutti quei fattori fuori dalle corse, dall’allenamento alla nutrizione al recupero. Il mio lavoro sarà dare a Mark come a tutti i corridori la maggior quantità di informazioni possibili, la massima esperienza che posso trasmettere. Alla sua età c’è poco da cambiare, sa bene come si fa, come sfruttare ogni fattore. Io credo che avremo successo. Io potrò fare la mia parte, ma saranno i corridori a correre…

L’australiano è molto legato a Cav, anche fuori dalle corse. E’ stato scelto anche per questo
L’australiano è molto legato a Cav, anche fuori dalle corse. E’ stato scelto anche per questo
Quest’anno arriva Morkov come ultimo uomo: quali sono le differenze fra te e lui?

Non c’è una grande differenza tra noi quando eravamo entrambi nel fiore degli anni. Morkov è ancora lì, un vero professionista in grado di fare la differenza. Rispetto a quando correvo io, penso che il ciclismo sia cambiato, ci sono sicuramente più squadre di livello superiore e ci sono più velocisti di alto livello. Prima Cav forse aveva due o tre velocisti davvero forti, sempre difficili da battere, ma pochi del suo livello. Ora ce ne sono almeno cinque o sei che possono presentarsi ad una gara ed essere competitivi. Penso che davvero la profondità dei velocisti di vertice sia aumentata negli ultimi anni e questo rende tutto più difficile.

Tornando al passato, quali sono le più grandi soddisfazioni che hai vissuto con Mark, c’è una volata che ti è rimasta impressa?

Guarda, il più iconico è sempre lo sprint finale del Tour, è lì che si stappa lo champagne… E’ sempre la foto che resta nella storia del Tour de France. Ma dico sempre che alcuni dei migliori sprint sono stati in gare meno conosciute. Ad esempio, Giro della Turchia, Giro della California. Lì abbiamo fatto alcuni dei migliori sprint di sempre, la mia potenza era la massima della carriera, ma poiché non sono il Tour de France, non sono stati visti da così tante persone.

Il trionfo di Cavendish nella tappa finale del Tour 2009, dietro Renshaw, 2°, festeggia allo stesso modo… (foto Getty Images)
Il trionfo di Cavendish nella tappa finale del Tour 2009, dietro Renshaw, 2°, festeggia allo stesso modo…(foto Getty Images)
E’ difficile lavorare con Mark in corsa, che tipo è?

Non penso che sia difficile lavorare con lui: quando arrivavamo a una gara avevamo obiettivi chiari, avevamo un quadro chiaro di come dovevamo raggiungere l’obiettivo e abbiamo seguito tutti i passi necessari. Avevamo ottimi compagni di squadra su cui potevamo contare e la fiducia all’interno del team ha reso tutto facile. Mark sapeva bene che ero sempre in grado di metterlo nella posizione giusta, di pilotarlo verso il momento giusto nelle condizioni ideali. Non direi che sia stato difficile. Avevamo semplicemente grandi aspettative l’uno verso l’altro e penso che questo sia ciò che ha fatto la differenza più grande.

E come carattere?

Sì, siamo personaggi molto diversi, per alcuni lati opposti. Ma in gara eravamo la stessa cosa, concentrati e anche grintosi quando serviva. Nel finale ci trasformavamo. Al di fuori della gara siamo molto diversi. Io sono molto più calmo e ho un approccio molto più pianificato, lui a volte lascia che le cose lo influenzino in un modo o nell’altro, mentre io stesso cerco di concentrarmi su quel che posso fare.

A Morkov è affidato il compito di pilotare Cavendish verso il sogno delle 35 vittorie al Tour
A Morkov è affidato il compito di pilotare Cavendish verso il sogno delle 35 vittorie al Tour
Vedi nell’ambiente un altro Cavendish che sta crescendo?

Non credo che ci sia alcun velocista che abbia qualche possibilità di imitare Cav. Ewan sembrava aver intrapreso un percorso simile, ma in realtà gli ultimi due anni non sono stati eccezionali. Ma per quanto mi riguarda, non vedo nessun giovane sprinter che possa davvero raggiungere i limiti che Cav aveva quando era giovane. Mark è inimitabile…

Mezz’ora con Monica Santini: tra passato, presente e futuro

14.11.2023
7 min
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BERGAMO – Lo showroom all’interno della nuova sede di Santini si nasconde dietro una porta abbastanza anonima. Una volta aperta, però, il colpo d’occhio è incredibile. All’interno di quell’immenso spazio c’è tutta la storia di Santini, dal ciclismo eroico fino alle collezioni per l’estate del 2024. Ogni metro della nuova struttura del maglificio bergamasco unisce storia e modernità, come l’edificio stesso, disegnato dall’architetto Giuseppe Gambirasio e rielaborato, come lo si vede ora, dall’architetto Marco Acerbis

Nuova vita in città

All’interno dello showroom non ci sono solamente i capi d’abbigliamento firmati Santini, ma anche delle sale riunioni, per la precisione tre, che prendono il nome delle maglie più famose disegnate dal brand. Noi prendiamo posto, insieme a Monica Santini, nella “Rainbow Room” quella centrale. 

«Fare questo passo in città, quindi a Bergamo – spiega Monica Santini, CEO dell’azienda – è stato molto importante. Noi avevamo l’obiettivo di non allontanarci troppo dalla sede precedente, quella di Lallio. Il motivo è semplice: non volevamo perdere dipendenti, sapevamo di dover rimanere nel raggio di 8 chilometri. Avevamo due opzioni: prendere un’area nuova e costruire da zero, oppure puntare su una ristrutturazione. Le politiche di oggi sono volte a ristrutturare, ma è anche vero che non c’è alcun tipo di aiuto economico per chi lo fa. Voler prendere posto in città è stata una scelta legata ad un fatto d’immagine, la nostra azienda usa l’immagine come punto di vendita».

Ampliamento e investimento

L’area della nuova sede di Santini è nascosta dalle case che la circondano a stretto giro. L’autostrada non è lontana, ma girandosi verso nord si vede il profilo di Città Alta, adagiata dolcemente sui colli bergamaschi. Appena si svolta per entrare in sede si viene colpiti dall’immensità degli spazi e delle strutture. 

«Quando abbiamo guardato quest’area – ci confida Monica – pensavamo fosse fin troppo grande, siamo nell’ordine dei 15.000 metri quadri (la vecchia sede di Lallio era di 5.800, ndr). Non abbiamo ancora occupato tutte le aree, per esempio nella parte della produzione ci sono ancora 1.000 metri quadri liberi, su un totale di 10.000. Anche nella parte degli uffici ci sono aree da ristrutturare. La nostra azienda – dice con un sorriso – rinnova le proprie aree ogni 21 anni. Il primo edificio mio padre l’ha comprato nel 1979 e il secondo, per il raddoppio, è arrivato nel 2000, il terzo cambiamento, invece, nel 2021».

«Quest’ultimo investimento – continua la CEO – è arrivato con la firma della collaborazione con il Tour de France, già cinque anni fa avevamo iniziato a cercare dei posti, con l’obiettivo di tenere tutto insieme (produzione e uffici, ndr)».

Dal giallo all’arcobaleno

Santini ha una storia legata indissolubilmente al ciclismo, complice anche quella firma sulla maglia iridata. Una grande responsabilità che ha contribuito a far crescere l’azienda e la sua fama. Notorietà che è andata di pari passo con la visione prima del Cavalier Pietro Rosino Santini e poi delle figlie Monica e Paola. 

«Tutte le sponsorship hanno contribuito allo sviluppo del brand – conferma Monica Santini – e questo ci ha permesso di far percepire quello che è Santini: un’azienda familiare che ama il bello. La sede, a nostro modo di vedere bella, è un segno di questa nostra tendenza. Collaborare con il Tour de France è stata una grandissima soddisfazione e una innegabile occasione di visibilità. Ancor di più ci ha sorpreso, in positivo, la collaborazione con ASO. Si tratta di un’azienda che ha degli obiettivi e lavora per raggiungerli. E’ uno sponsor interessante, che prospetta dei KPI (indicatori di performance, ndr) e lavora con te per raggiungerli». 

«Dopo due anni di lavoro insieme al Tour de France – prosegue Monica – possiamo ritenerci soddisfatti. Dopo tanti anni la Grande Boucle è tornata ad essere una corsa combattuta ed i vincitori delle altre maglie non sono mai stati banali. Per il 2024 c’è ancora più suspence dopo l’arrivo di Roglic alla Bora. Il prossimo anno, però non ci sarà solo questa novità, ma anche la partenza del Tour da Firenze. Una prima volta storica per la quale anche noi ci siamo battuti accanto a Davide Cassani. Vorremo aprire, a Firenze, nel mese di luglio, un temporary store, come fatto a Parigi negli ultimi due anni. Un format che ci ha sorpresi e non poco. L’obiettivo è di realizzarlo anche a Nizza, sede di arrivo del prossimo Tour».

Azienda al femminile

Il rosa non è solamente il colore della maglia che Santini per anni ha disegnato e realizzato per il Giro d’Italia, ma anche il “colore” dell’azienda. Santini è un universo che guarda molto al femminile.

«Il 70 per cento, anche il 75, del personale Santini – spiega con orgoglio Monica – è composto da donne. E non è una cosa che riguarda solamente la produzione, ma anche le più alte cariche dirigenziali. Il ciclismo femminile rappresenta anche una buona fetta del nostro mercato e le collaborazioni con il Tour de France Femmes e la Vuelta Femenina sono un bel motore anche in questo. Ogni nuova collezione che pensiamo e realizziamo deve avere la sua gamma femminile. Il nostro responsabile creativo, Fergus Niland, ci confessa che con le collezioni per le donne ha molta più libertà nel disegnare. Le donne sono più creative e cambiano anche per la volontà di farlo, non esclusivamente per necessità».

«Non dobbiamo dimenticare – conclude Monica Santini – l’importanza del mondo gravel che ci ha fornito un diverso punto di vista, così come l’urban. Si tratta di consumatori che in parte arrivano dal mondo della strada, ma non solo. Spesso sono dei modi completamente diversi del vedere il ciclismo e questo ci permette di aprire nuovi orizzonti».

Finito il nostro tempo con Monica Santini ci rimane addosso quella curiosità di scoprire cosa vedremo in futuro per questo marchio. Le idee ci sono e l’investimento nella nuova sede ha portato maggior ordine e capacità produttiva. Monica scherzando ci dice che questo è il suo ultimo ampliamento, poi toccherà alle nuove generazioni. Siamo convinti, tuttavia, che in questa struttura dove il vecchio incontra il nuovo, Santini, abbia trovato la sua casa.

Sobrero e la Bora, il sogno del Tour e il ciclone Roglic

13.11.2023
5 min
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MILANO – La nuova vita di Matteo Sobrero riparte dalla Bora-Hansgrohe. Il piemontese ha scelto di cambiare all’inizio dell’estate, in una di quelle fasi stonate della vita che ad ogni atleta è capitato di passare almeno una volta. Dopo le classiche lo attendeva il Giro, ma assieme alla squadra decise di non farlo. Non sarebbe potuto andare in altura e tirava da troppo tempo la corda: meglio recuperare e puntare sul Tour. Invece Sobrero al Tour non c’è andato e questa volta la scelta non è stata condivisa. Anzi, la cosa lo infastidì al punto che negli stessi giorni della Boucle, vinse una tappa al Giro d’Austria digrignando i denti. A quel punto si era già sparsa la voce che avrebbe cambiato squadra. Per chiudere il 2023, non gli restava che sfiorare una tappa della Vuelta e centrare il secondo posto anche nel Mixed Team Relay degli europei di Drenthe. E poi, chiusa la pagina e consumate le corroboranti ferie colombiane, è arrivato il momento di guardare al prossimo anno.

«Siamo già al 2024 – racconta mentre intorno sta per andare in scena il Giro d’Onore della FCI – e si riparte con una nuova maglia. La decisione di cambiare è una storia lunga. Da una parte mi dispiace, perché nei due anni alla Jayco-AlUla mi sono trovato benissimo e credo che per loro sia stato lo stesso. Sono cresciuto molto e cambiare non è stato facile, anche se sono contento della decisione. Ho già fatto un ritiro con la Bora, anzi prima uno in Germania, poi in Austria. E prima di andare in vacanza, sono andato anche a Morgan Hill, da Specialized, per fare i test in galleria del vento…».

L’incontro con Sobrero si è svolto al Giro d’Onore, al Teatro Manzoni di Milano (foto Borserini/FCI)
L’incontro con Sobrero si è svolto al Giro d’Onore, al Teatro Manzoni di Milano (foto Borserini/FCI)
Nel 2022 eri un uomo da corse a tappe, nel 2023 sei passato alle classiche non avendo ancora la solidità necessaria per i grandi Giri. Alla Bora avrai una direzione più precisa?

Diciamo che uno degli scopi principali sarà quello di offrire supporto nei grandi Giri. Invece avrò un po’ di libertà nelle corse a tappe di una settimana o le corse di un giorno in primavera. Non mi mancheranno le occasioni di correre per me. E poi dovremo vedere se farò Giro o Tour, perché non lo so ancora.

Quando hai firmato, l’arrivo di Roglic non era nei piani. Cosa significa l’arrivo in squadra di uno così?

Onestamente sono contento, perché è un valore aggiunto alla squadra. E’ meglio averlo con noi, che come rivale. Anche per me, poter lavorare in un grande Giro per un capitano così, è una grande soddisfazione e uno stimolo in più.

Il 5 luglio, a Steyr, Sobrero vince una tappa al Giro d’Austria: è la sua rivincita sull’esclusione dal Tour
Il 5 luglio, a Steyr, Sobrero vince una tappa al Giro d’Austria: è la sua rivincita sull’esclusione dal Tour
I test in galleria del vento a Morgan Hill significano che si torna al primo amore della crono?

Questo mondo mi ha sempre appassionato e sono stato sempre curioso di vedere dove si possa migliorare. Siamo andati già in California per vedere a che punto fossi, come migliorare i materiali, l’abbigliamento, il casco e tutto il resto. Non punterò sulle cronometro come uno specialista puro, bisogna sempre difendersi. E in una specialità come la crono, se ti fermi, sei perduto.

Avrai in ammiraglia Enrico Gasparotto, che è stato anche tuo compagno di squadra ai tempi della NTT Pro Cycling, che effetto fa?

Particolare, anche perché mi bacchettava già prima da compagno di squadra, perché lui era il vecchio e io ero il giovane. Non ho dubbi che adesso continuerà a bacchettarmi, quindi diciamo che non cambia niente, anche se di base c’è una bella amicizia.

Gasparotto e Sobrero sono stati compagni nella NTT Pro Cycling. Ora si ritrovano alla Bora: tecnico e atleta (foto Instagram)
Gasparotto e Sobrero sono stati compagni nella NTT Pro Cycling. Ora si ritrovano alla Bora: tecnico e atleta (foto Instagram)
Che cosa ti sembra del nuovo ambiente?

Mi sembrano molto organizzati, molto precisi su tutto. Però fino a quando non comincerà la vera stagione sarà difficile dirlo, però per il momento ho un’ottima impressione.

Hai già un’idea del programma? Da dove comincerai?

Non so ancora nulla, perché diciamo che l’arrivo di Roglic in squadra ha un po’ scombussolato tutti i programmi. Hanno deciso di riaprirli praticamente tutti, sicuramente non è semplice. A dicembre nel primo ritiro, saprò quello che farò. Sicuramente non comincio in Australia, questo mi sento di dirlo.

La vittoria della crono finale del Giro 2022 a Verona è una delle perle di Sobrero, ottenuta collaborando con Pinotti
La vittoria della crono finale del Giro 2022 a Verona è una delle perle di Sobrero, ottenuta collaborando con Pinotti
Alla Jaico-AlUla lasci Pinotti con cui hai fatto dei grandi progressi, chi si prenderà cura di te alla Bora?

Ho trovato Paolo Artuso, con cui ho già parlato e con cui mi sono trovato parecchio. Mi dispiace lasciare Pinotti, però d’altra parte sono contento di aver trovato uno come Paolo che mi sembra molto preparato.

Quest’anno il Tour è stato un boccone andato di traverso. E’ fra i desideri del prossimo anno?

Mi piacerebbe farlo. Entrambi, sia il Giro che il Tour passano dal Piemonte. Il Tour che passa dal Piemonte e per giunta vicino casa mia penso sia una cosa che non capita mai (sorride come un bimbo davanti al paese dei balocchi, ndr). Quindi partecipare è un bell’obiettivo, ma capisco anche che con l’arrivo di Roglic potrebbe essere più difficile. Bisogna fare una squadra compatta e poi vediamo come andranno le cose.

Santini, la Grand Départ italiana in un kit da collezione

08.11.2023
3 min
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Per celebrare l’attesissima partenza del Tour de France 2024 in Italia, Santini ha creato un completo che unisce i colori francesi a quelli della bandiera italiana. In occasione delle prime tre tappe (Firenze-Rimini, 28 giugno; Cesenatico-Bologna, 30 giugno; Piacenza–Torino, 1 luglio), l’azienda bergamasca ha disegnato il kit Grand Départ che racconta la vicinanza tra Francia e Italia: due Paesi uniti per l’avvio della Grand Boucle. In apertura, Paola e Monica Santini in occasione della presentazione avvenuta in concomitanza della conferenza stampa organizzata dalla Regione Emilia Romagna durante l’Italian Bike Festival a Misano Adriatico.

Disegno iconico

Il disegno che accompagna ogni capo della collezione è una figura circolare composta da cerchi multicolore, posizionata al centro della maglia, sia sul fronte che sul retro. Viene anche ripresa sui calzoncini, sul baselayer e sui tre accessori guantini, cappellino e calzini. La maglia e il baselayer presentano, su uno sfondo giallo, altri elementi grafici che fanno riferimento al Tour come il numero 111, che corrisponde all’edizione del 2024. Ma anche ai nomi delle sei città italiane di partenza e arrivo delle prime tre tappe e il profilo altimetrico di questi tre percorsi.

«Il punto di partenza – ha spiegato Fergus Niland, Creative Director di Santini – per la creazione del design della maglia Grand Départ è l’iconico logo del Tour e, in particolare, il tondo giallo che ne fa parte e che richiama una ruota. A questo elemento grafico distintivo abbiamo affiancato, creando a sua volta una figura circolare, altri elementi rotondi con i colori della bandiera francese e della bandiera italiana».

Tecnicità e comfort

Dal punto di vista tecnico, la maglia presenta una vestibilità classica ed è realizzata con una combinazione di tessuti leggeri e traspiranti e maniche a taglio vivo. Il baselayer abbinato è senza maniche e con un taglio allungato, mentre i calzoncini sono realizzati in tessuto a media compressione e dotati di grip a fondo gamba, per mantenerli sempre in posizione, e di bretelle in rete traspirante. Il fondello GITevo ha un cuore in gel per assorbire gli urti in modo graduale e garantire il massimo comfort nelle lunghe pedalate.

Il prezzo consigliato per la maglia è di 100 euro, per i calzoncini 140 euro, per il baselayer 30 euro. Per quanto riguarda gli accessori: i calzini hanno un prezzo di 15 euro, i guantoni 30 euro e il cappellino 19 euro. Il kit Grand Départ sarà disponibile sul sito da fine novembre 2023.

Santini

La leggenda di Bahamontes, una vita da scalatore

07.11.2023
6 min
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Toledo, 1938. La guerra civile spagnola divampa e la fame è tanta. Alejandro ha 10 anni, da qualche giorno fa la posta a un rivenditore di frutta. O meglio, alla sua bici: darebbe qualsiasi cosa per salirci su e volare via. Un giorno non resiste più, la prende al volo e inizia a pedalare. Il proprietario urla, richiama l’attenzione. La gente ferma quel ragazzino, lo porta da lui, tutti si aspettano quantomeno un sonoro ceffone. Invece avviene quel che non ci si attende: «Vuoi questa bici? Ok, potrai usarla per portare le casse di frutta. E ti pagherò, anche». Alejandro carica casse di frutta sulla bici, anche 100 chili alla volta per guadagnare di più per la sua famiglia e intanto si diverte. Per il negoziante è stato un buon affare: niente più faticosi giri per la città e soprattutto niente più rischio di furti…

Quell’uomo non sapeva, non poteva sapere che stava cambiando le sorti del ciclismo spagnolo, perché quel ragazzino era Alejandro Martin Bahamontes, chiamato ben presto Federico. Un uomo con un destino nel nome, perché Bahamontes significa “scavalcamontagne”. Ed effettivamente nessuna carriera prima della sua era stata così legata alle sue capacità di scalatore. Bahamontes iniziò così la sua carriera.

Un inizio di rapporto con la bici molto originale e lontano dagli stereotipi di oggi (foto BDC Mag)
Un inizio di rapporto con la bici molto originale e lontano dagli stereotipi di oggi (foto BDC Mag)

Tu tiri, io vinco…

Già, perché ben presto scoprì che con la bicicletta si poteva guadagnare anche senza caricarsi addosso le pesanti casse di frutta. C’erano le gare, si guadagnava cibo e anche denaro. C’era un amico, Manuel Lopez, che aveva anche lui la passione per il ciclismo. Tanto Alejandro era lungo e mingherlino, tanto l’altro era grosso e possente. Un muro in pianura, così raggiunsero un accordo: in salita avrebbe tirato Alejandro, in pianura Manuel e alla fine si sarebbero spartiti i soldi. Su 20 gare ne vinsero 16. Bahamontes non si sarebbe dimenticato di lui, richiamandolo anche come suo aiutante da professionista.

Bahamontes ha sempre avuto un soprannome, “l’aquila di Toledo”, ma probabilmente un altro si attaglia meglio alla sua storia: “Sisifo al contrario”. Se il mitologico personaggio greco odiava le salite dove doveva spingere il simbolico masso che poi rotolava giù, Bahamontes agognava le stesse, dove andava a velocità doppia degli altri e odiava con tutte le sue forze le successive discese.

In salita lo spagnolo aveva un passo irresistibile. I problemi arrivavano dopo… (foto Facebook/SportMediaset)
In salita lo spagnolo aveva un passo irresistibile. I problemi arrivavano dopo… (foto Facebook/SportMediaset)

Lo sgarbo a Gaul

Una paura che non lo ha mai lasciato e che anzi era aumentata a dismisura dopo una caduta alla Vuelta Asturias, dove atterrò su un cactus. Risultato: 140 dolorose spine conficcate nel suo corpo. Bahamontes spesso in discesa frenava puntando i piedi. Singolare a tal proposito quanto successe nella tappa del Passo Cento Croci al Giro d’Italia 1958.

Serve un preambolo, legato alla precedente frazione da St.Vincent a Superga. Bahamontes è gregario di Charly Gaul. Il francese Geminiani detta il ritmo in salita e rimangono solo in una decina, a quel punto il lussemburghese dice a Bahamontes di tirare per fare selezione. Lo spagnolo ha un ritmo altissimo, solo Gaul regge, ma fa fatica. Il capitano gli chiede di rallentare, non c’è più bisogno di spingere così. Federico non lo sente. Non lo vuole sentire. Tira dritto e va a vincere con 27” di vantaggio. Gaul dopo il traguardo è furioso e si avventa contro il compagno di squadra, il diesse lo trattiene a stento e in conferenza stampa accamperà la scusa di un problema meccanico che ha frenato il lussemburghese.

Il giorno dopo c’è il Cento Croci. Appena si sale, Bahamontes si libra in volo. Arriva in cima con 1’30” di vantaggio su tutti. Ma la tappa non finisce lì: c’è la discesa e si palesano tutti i suoi fantasmi. Lo passano tutti. Scollina con oltre un quarto d’ora di distacco. Quel Giro lo vincerà Baldini con Gaul e Bahamontes dispersi in classifica e alla fine separati, giustamente.

Bahamontes in trionfo al Tour ’59, con Coppi al suo fianco. Anche per lui fu un riscatto… (foto Facebook/SportMediaset)
Bahamontes in trionfo al Tour ’59, con Coppi al suo fianco. Anche per lui fu un riscatto… (foto Facebook/SportMediaset)

Un’aquila e un airone…

C’è qualcuno però che crede in quello spagnolo trentenne, nelle sue possibilità e non pensa tanto alla discesa. Si chiama Fausto Coppi. Il Campionissimo è a capo del team Tricofilina ed è convinto che con le sue possibilità si possa anche andare al Tour de France del 1959 e far saltare il banco. Soprattutto se i francesi si faranno la guerra in casa loro.

E’ quel che accade. Anquetil non tiene a bada le ambizioni dell’emergente Riviere, Bobet cerca l’ultimo acuto prima del ritiro, il semisconosciuto Anglade (in forza alla squadra del Centro-Sud e non alla nazionale) è un elemento disturbatore. Bahamontes ha perso tanto nella prima parte della Grande Boucle, ma poi arrivano le frazioni a lui favorevoli. Vince la cronoscalata del Puy de Dome, poi sfrutta alla meglio il tappone di St.Vincent andando a vincere la maglia gialla e diventando un eroe per il suo Paese: «E’ vero, ho sfruttato la guerra fra i francesi – afferma davanti ai giornalisti – ma devi essere davvero forte per approfittarne».

Il campione iberico nella sua bottega sotto l’Alcazar, chiusa purtroppo nel 2004 (foto Blogciclismo)
Il campione iberico nella sua bottega sotto l’Alcazar, chiusa purtroppo nel 2004 (foto Blogciclismo)

Le salite in processione

Bahamontes ha sempre avuto una lingua tagliente, non le mandava certo a dire. Quando nel 2013 L’Equipe lo premiò come miglior scalatore nella storia del Tour, l’iberico più che festeggiare ebbe molto da dire sul fatto che secondo risultò Richard Virenque, l’uomo che con le 7 maglie a pois conquistate gli aveva sottratto il suo record di 6.

«Se lui è uno scalatore – disse – io sono Napoleone Bonaparte. Non mi arriva neppure alle caviglie. Dove sono oggi le sfide faccia a faccia, i confronti veri? Ogni salita sembra la processione della Settimana Santa…».

Lo spagnolo se n’è andato lo scorso agosto, a 95 anni. Nel 2004 aveva chiuso il suo negozio di bici che a Toledo era considerato una delle vere attrazioni della città, nascosto tra le viuzze sotto la fortezza dell’Alcazar, tanto da essere segnalato anche nelle varie guide turistiche della città e molti ancora oggi vanno a cercarlo. Federico intanto continua a guardare tutti dall’alto, come faceva al termine delle salite.

Il monumento dedicato a Bahamontes nella sua Toledo (foto Ansa)
Il monumento dedicato a Bahamontes nella sua Toledo (foto Ansa)

In attesa su un paracarro…

Un giorno, Tour de France 1954, sul Galibier staccò tutti infliggendo distacchi abissali. Ma c’era la discesa… Federico si fermò, prese un gelato da un venditore locale e si sedette su un paracarro, a gustarselo in attesa degli inseguitori, per mettersi alle calcagna e farsi guidare in discesa. Così magari non avrebbe dovuto puntare i piedi per terra…