Giant TCR Advanced 1 KOM: leggerezza, agilità e tradizione

05.11.2025
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Il test della Giant TCR Advanced 1 KOM. Telaio in carbonio. Serie sterzo conica (OverDrive). Movimento centrale PowerCore. la tecnologia Variant Seatpost, con reggisella a sezione aerodinamica. Gruppo Shimano 105 Di2

La storia della Giant TCR affonda le radici nel 1997, quando questo modello rivoluzionò il mercato introducendo il concetto di telaio compatto, destinato a diventare un riferimento per il ciclismo moderno. Da allora la TCR ha saputo evolversi di generazione in generazione, mantenendo come tratti distintivi leggerezza, rigidità e aerodinamica. L’ultima versione, la Giant TCR Advanced 1 KOM, si inserisce in questa tradizione puntando a un equilibrio perfetto tra prestazioni e accessibilità.

L’abbiamo provata in prima persona. Ci hanno colpito immediatamente la facilità di guida, la maneggevolezza nelle fasi più tecniche e una leggerezza che ti accompagna con naturalezza in salita. Un pacchetto che riesce a coniugare un prezzo interessante con un allestimento pronto a soddisfare chi cerca una bici da corsa completa, performante e pensata per ogni terreno.

La Giant TCR Advanced: da questa stagione è disponibile anche nelle colorazioni Dreamy Blue (grigio) e Purple Haze (un blu elettrico)
La Giant TCR Advanced: da questa stagione è disponibile anche nelle colorazioni Dreamy Blue (grigio) e Purple Haze (un blu elettrico)
La Giant TCR Advanced: da questa stagione è disponibile anche nelle colorazioni Dreamy Blue (grigio) e Purple Haze (un blu elettrico)
La Giant TCR Advanced: da questa stagione è disponibile anche nelle colorazioni Dreamy Blue (grigio) e Purple Haze (un blu elettrico)

Geometrie e tecnologie

E’ sempre stato questo il punto forte della TCR: geometrie studiate al millimetro e soluzioni tecniche che anticipano i tempi. La versione Advanced 1 KOM è proposta con un telaio in carbonio realizzato con la fibra Advanced Composite di Giant. Si tratta di una tecnologia proprietaria che permette di mantenere rigidità torsionale elevata riducendo il peso. Il risultato è un telaio scattante, preciso in curva e stabile anche nei tratti più veloci. La forma dei tubi segue la filosofia “aero versatile”: profili tronchi che uniscono aerodinamica e leggerezza senza sacrificare la reattività.

La forcella interamente in carbonio lavora in sinergia con il telaio per garantire precisione di guida, mentre la serie sterzo conica (OverDrive) è un brevetto Giant pensato per aumentare la rigidità laterale. A completare il pacchetto c’è il movimento centrale PowerCore, compatto e solido, che assicura una trasmissione di potenza diretta ed efficace. Infine, la tecnologia Variant Seatpost, con reggisella a sezione aerodinamica, contribuisce al comfort senza perdere nulla in termini di performance. Tutti questi dettagli rendono la TCR Advanced 1 KOM una bici moderna e versatile. Una bici pensata per chi ama scalare, ma anche per chi vuole affrontare lunghe uscite con una sensazione di agilità continua.

Allestimenti intelligenti

Uno dei punti forti della TCR Advanced 1 KOM è l’allestimento, capace di offrire componenti di livello elevato a un prezzo competitivo. Il gruppo scelto è lo Shimano 105 Di2 a 12 velocità, soluzione che porta l’elettronico su una fascia di bici accessibile. La cambiata è fluida, rapida e precisa, mentre la frenata a disco con rotori da 160 mm garantisce potenza e modulabilità anche nelle discese più impegnative.

Le ruote sono le Giant P-R2 Disc, leggere e affidabili (e forse sin troppo economiche), con predisposizione tubeless: una scelta equilibrata per chi vuole un set versatile, adatto sia all’allenamento sia alle gare (granfondo). Le gomme di serie, le Giant Gavia Course 1 da 25 millimetri, offrono scorrevolezza e tenuta. Ma c’è la possibilità di montare coperture fino a 32 millimetri per chi cerca maggior comfort. A completare il pacchetto troviamo componentistica interamente Giant, dal manubrio Contact al reggisella Variant, segno della volontà dell’azienda di proporre un prodotto armonico e coerente.

Questa scelta di allestimento rende la TCR Advanced 1 KOM una bici capace di soddisfare l’amatore evoluto, ma anche il ciclista che vuole affrontare lunghe salite o avvicinarsi al mondo delle competizioni senza dover mettere mano al portafogli per futuri upgrade immediati. Il prezzo infatti è appena superiore ai 3.300 euro. Una cifra decisamente buona vista la qualità complessiva del mezzo il cui peso è di 8,1 chili compresi i pedali nella taglia M.

Su strada…

E’ qui che la TCR Advanced 1 KOM mostra davvero la sua natura. La leggerezza del telaio e l’equilibrio delle geometrie rendono la bici immediata, pronta e intuitiva. In salita si lascia condurre con naturalezza: la rigidità del movimento centrale e la precisione della trasmissione permettono di spingere senza dispersioni, trasformando ogni watt in velocità. Nelle accelerazioni si percepisce la reattività, mentre in discesa colpisce la sicurezza con cui la bici affronta le curve, complice la rigidità dell’avantreno. Un avantreno che ci è parso molto leggero, quasi troppo. Il che è perfetto in salita e nelle discese tortuose, un filo meno in quelle più veloci. Ma come abbiamo già detto, magari basta intervenire sulle ruote. In ogni caso la Giant TCR Advanced 1 KOM si mostra affidabile e stabile, non fraintendiamo…

Ma non è solo una bici da scalatore. Su percorsi vallonati e pianeggianti mantiene un’ottima scorrevolezza, con una posizione in sella che bilancia bene aerodinamica e comfort. Anche dopo diverse ore non si avverte mai rigidità eccessiva: il reggisella Variant lavora discretamente filtrando le vibrazioni, senza compromettere l’efficienza. Durante il nostro test, la TCR Advanced 1 KOM ci ha stupito anche per il comfort, nonostante montasse pneumatici da 25 millimetri. Questo grazie al reggisella appunto, ma anche alla forma tondeggiante dei tubi. Una forma che a nostro avviso “scaricano” molto, le vibrazioni passive (quelle delle asperità del terreno) e non disperdono quelle attive (la forza impressa dal ciclista)

Il rapporto tra prezzo, peso e prestazioni la rende una delle proposte più interessanti nel segmento medio-alto. Non è una bici che nasce per compromessi, ma per offrire al ciclista la sensazione di avere tra le mani un mezzo completo, pronto a spingere in salita, fluido in pianura e sicuro in discesa. In definitiva, la Giant TCR Advanced 1 KOM conferma la tradizione del modello: una bici per chi ama pedalare ovunque, senza rinunciare alla leggerezza e alla precisione che hanno reso la TCR un’icona del ciclismo moderno.

Giant Bicycles-Italia

Bioracer Epic, una delle linee usate dai pro’. L’abbiamo provata

07.10.2025
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Bioracer Epic è la linea al vertice del catalogo (tecnicamente ci piace citare anche Speedwear), capace di dare un fit ottimale, ma al tempo stesso non estremo. Eccellente l’ergonomia della salopette, con un sistema di bretelle tanto traspirante quanto sostenuto e capace di stabilizzare l’insieme.

Finalmente proviamo due capi (anzi tre, includendo anche le calze) Bioracer, azienda belga che da sempre è un riferimento (anche nel customizzato) per ricerca e tecnologia. Il soggetto del nostro approfondimento è la linea Epic.

Il claim dell’azienda, sfruttando le tante collaborazioni con club, nazionali e la sezione custom
Il claim dell’azienda, sfruttando le tante collaborazioni con club, nazionali e la sezione custom

Una linea personalizzabile a disposizione dei team

Bioracer Epic è la linea tecnica in dotazione al team francese Total Energies ed è la stessa presente in collezione. Aggiornamenti a parte, dedicati e mirati allo sviluppo di tessuti, non cambia nulla.

Questa stessa categoria di capi molto tecnici è disponibile per la customizzazione di utenti non professionisti. Inoltre, Epic può essere configurata con tre tipologie di fondelli diversi tra loro. Quello in dotazione alla salopette del test è disegnato per le lunghe distanze.

Salopette Epic, le nostre considerazioni

Ancor prima di essere indossata, la Epic si presenta con finiture ben curate e cuciture essenziali, ma sostanziose dove serve. E’ dotata di un blend di tessuti tanto elastici: un vantaggio per versatilità e capacità di adeguarsi alle forme del corpo.

Abbiamo provato una taglia small (S) che è risultata adeguata, per nulla stretta, anche se giustamente aderente. Porta in dote un buon livello di compressione che prende forma soprattutto grazie al tessuto laterale alle cosce HoneyWave. Sul fondo gamba c’è una presenza minima di inserti siliconici, ma l’accumulo di calore e umidità è minimo. Le bretelle sono abbondanti, non sono in rete (o meglio, non la rete mesh a quadretti standard), ma confezionate grazie ad un tessuto che non blocca il vapore. Le bretelle non si inzuppano di sudore. Ottima la rifinitura con una sorta di “sbieco di raso”, confortevole sulla pelle, protettivo verso il bordo delle bretelle.

Fondello sviluppato e prodotto internamente

Il fondello è prodotto internamente, non è un accessorio preso esternamente ed applicato alla salopette. Oltre alla tecnicità, Bioracer posiziona l’imbottitura utilizzando un concetto race, perché Epic si rivolge agli agonisti. Questo aspetto si percepisce una volta indossato il pantaloncino. Rispetto agli standard generici il fondello risulta spostato leggermente in avanti, supportando una posizione avanzata e abbassata sul manubrio.

E’ abbondante nelle dimensioni, con densità e spessori diversi, quasi completamente scaricato al centro. Significa che si adatta facilmente ad esigenze di vario genere, così come a posizioni che cambiano spesso nel corso della singola uscita. Davanti è una sorta di contenitore, non comprime, non schiaccia e lascia circolare l’aria. L’azione del fondello è pienamente supportata anche dal sostegno/supporto delle bretelle.

La maglia Bioracer Epic

La maglia segue il medesimo sviluppo della salopette. E’ sviluppata e disegnata per i corridori, al tempo stesso non è estrema nella vestibilità, pur essendo dotata di un’ergonomia ottimale. E’ bella e gratificante da indossare. L’abbinamento delle diverse pannellature di tessuto e la densità dei tessuti stessi segue un posizionamento preciso. L’obiettivo è quello di non contrastare l’impatto con l’aria, riducendo l’effetto drag, senza influire negativamente sul comfort. Traducendo, per i comuni mortali: la maglia Epic è molto comoda pur avendo una vestibilità race, non sbuffa e non sfarfalla in nessun punto. E’ molto elastica, con un collo che non tira e resta morbido.

Ampie (molto bene) le tre tasche posteriori. Le due laterali tendono a scendere leggermente verso il basso sacrificando un po’ di capacità di carico, soprattutto in ottica long-distance, endurance e pedalate epiche dall’alba al tramonto.

In conclusione

Epic rappresenta un pool di capi tecnici in cui convergono tante soluzioni di altissima caratura tecnica ad un comfort funzionale legato anche al fitting. E’ la dimostrazione che un kit sviluppato per l’agonismo può essere efficiente “pur non essendo troppo tirato”, senza essere aderente ad ogni costo.

La maglia ad esempio lascia spazio, senza alcun problema alla possibilità di indossare un base layer, mentre la salopette è compressiva nella zona delle cosce, ma non fa effetto sottovuoto. I prezzi non sono troppo elevati, poco più di 100 euro per la maglia, circa 160 euro di listino per la salopette, al di sotto della media della categoria.

Bioracer

795 Blade RS, la Look buona per fare tutto (e bene)

07.11.2023
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Look 795 Blade RS, è stata sviluppata a braccetto con corridori del Team Cofidis, è una bicicletta da agonista, eppure è adatta a molti e a diverse tipologia di guida. E' molto curata, adotta delle soluzioni di design moderne che analizzate nel dettaglio diventano anche dei segni di distinzione

Look torna a livelli di performances elevati e la 795 Blade RS ne è la dimostrazione. L’impatto estetico ci mostra una bicicletta che segue le concezioni moderne, eppure se osservata nel dettaglio, mostra dei segni di distinzione propri.

Abbiamo provato la versione Pro Team, quella con il pacchetto Ultegra Di2 e le ruote Corima 47 WS Evo (7,7 chilogrammi rilevati nella taglia media, senza pedali), predisposte alle gomme tubeless. Il prezzo di listino di questa versione è di 8.490 euro.

Una bici prestazionale su tutti i terreni e con allestimenti diversi
Una bici prestazionale su tutti i terreni e con allestimenti diversi

Blade 795 RS, come si presenta

L’inserzione ribassata degli obliqui è in linea con le soluzioni attuali adottate da molti (ma la forma degli obliqui non è comune). Eppure, una volta che si inizia ad osservare da vicino questa bicicletta, sono ben altri gli aspetti che tengono banco nell’argomentazione del prodotto.

La forcella ad esempio, con la parte superiore che prima spancia verso l’esterno, per poi stringersi vicino al punto di unione del tubo sterzo. Dove si abbina all’obliquo c’è una “piccola pinnetta”, funzionale all’aerodinamica e nulla di troppo invasivo, apprezzabile anche da chi ama le bici non eccessivamente ingombranti. I terminali della forcella sono asimmetrici.

C’è il manubrio Look Combo Aero Carbon, integrato certo e tutto in carbonio, ma anche un vero e proprio componente modulabile. In origine lo stem e la piega sono due cose separate (comunque studiate per completare il nuovo pacchetto Look), ma collimano perfettamente tra loro una volta montati. Nessuna guaina e filo all’esterno, con un’ergonomia vantaggiosa, per il posizionamento degli shifter, per il raggio della curva e anche per il prolungamento notevole della parte bassa del manubrio.

Non è sloping

Il telaio non è sloping e considerando gli standard attuali del mercato, non è un fattore banale. «La soluzione è voluta per sfruttare a pieno le potenzialità aerodinamiche della bici completa, incluso il corridore – ci aveva spiegato Jean Marc Hillairet al momento della presentazione ufficiale – oltre a sfruttare meglio anche il nuovo manubrio Aero nella varie posizioni. Inoltre, non aver usato il disegno sloping ci ha permesso di lasciare il carro posteriore a 41 centimetri, molto corto, senza sacrificare la stabilità e contenendo a valori ridotti l’interasse, taglia per taglia».

Per fare un esempio relativo alla bici in prova, una taglia M, questa ha un passo totale inferiore al metro di lunghezza, un angolo anteriore di 73° e quello del piantone a 74,5°. Insomma, una bici corta, agile e reattiva.

La 795 Blade RS non è una bici ingombrante. E’ più massiccia sull’avantreno e nella porzione centrale, per sfinarsi e smagrire i volumi dei tubi man mano che si passa verso il retrotreno, senza mai perdere di equilibrio ed ergonomia.

Come va

Una bici da corridore. La 795 Blade RS lo è a prescindere dalle ruote e dalla configurazione generale, anche se non è mai eccessiva nelle risposte e non da mai l’idea di essere “troppo” rigida.

In salita invita ad uscire di sella e portare in avanti il corpo. Sostiene e trasmette quella sensazione di “ritorno” della performances, ovvero quando la bici non mostra flessioni e cedimenti.

In discesa è parecchio agile, va guidata e va tenuta, ma è capace di perdonare qualcosa. La fa quando l’asfalto non è perfetto ed è necessario corregegre la traiettoria all’ultimo istante, oppure quando si montano “i ruotoni altissimi”. Ed ecco un altro punto a favore, ovvero la capacità ottimale di interfacciarsi con allestimenti molto diversi tra loro.

In conclusione

Look 795 Blade RS non è accostabile a nessuna delle bici Look prodotte nell’era dei freni a disco. Di certo è superiore per tutti gli aspetti con i quali ci confronta quando c’è da spingere (a prescindere dal contesto ambientale), maggiormente votata ad una performance a tuttotondo.

Non scontenta nessuno, lo scalatore che magari preferisce la bici con le ruote basse, risparmiando del peso, fino ad arrivare al corridore più veloce che esige una configurazione più aggressiva in fatto di velocità.

Look

Trek Madone SL, provata la nuova versione

24.08.2023
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La settima generazione della Trek Madone si completa grazie alla versione SL. C’è una carbonio differente, ovvero l’OCLV500 invece dell’800 (impiegato per la SLR), ma le forme ed il design rimangono invariati.

Mutuando le soluzioni aerodinamiche della SLR, la nuova SL eredita anche la velocità e l’efficienza in termini di penetrazione dello spazio. Entriamo nel dettaglio.

Il particolare sviluppo del piantone e dell’IsoFlow
Il particolare sviluppo del piantone e dell’IsoFlow

Nuova Madone significa IsoFlow

IsoFlow, ha sostituito completamente il dissipatore e sdoppiatore di vibrazioni IsoSpeed, adottato fino alla generazione precedente. Seppur molto efficace (considerando anche il periodo in cui è stato progettato), l’IsoSpeed creava anche un significativo aumento di peso.

Questo non accade con “la feritoia” IsoFlow, che oltre ad ottimizzare alcuni fattori dell’aerodinamica, permette di non influire negativamente sul valore della bilancia, oltre ad essere un segno di distinzione della Trek Madone. Inoltre, così come per la SLR, anche la SL adotta l’ultima generazione di sviluppo Kamm per le tubazioni, in fatto di volumi e disegno.

Non c’è l’integrato, ergonomia top

Il manubrio RSL riprende il concetto (e la geometria) espresso dal nuovo cockpit integrato in dotazione alla SLR. C’è una svasatura laterale (flare) pronunciata che aiuta a massimizzare gli effetti della posizione ribassata e influisce in modo esponenziale anche sul controllo dell’avantreno quando le velocità si alzano (anche nei tornanti in discesa). Traducendo in numeri: sul punto di ancoraggio dei manettini il manubrio è largo 39 centimetri, mentre al limite della piega inferiore è 42.

E’ parecchio sfruttabile in diverse posizioni e pur non essendo integrato è molto rigido. E’ abbinato ad uno stem in alluminio massiccio con linee squadrate e decise.

La Madone SL7 in test

Una taglia 54, con la trasmissione Shimano Ultegra 12v (52-36 e 11-30) e le ruote Bontrager Aeolus Pro51. Queste ruote a nostro parere sono il compromesso ottimale tra peso, scorrevolezza e versatilità. Sono gommate con i copertoncini Bontrager da 28, ma i cerchi sono perfettamente compatibili con i tubeless. C’è la sella corta Bontrager Aeolus Comp. Il peso rilevato è di 8 chilogrammi (senza pedali).

Il prezzo di listino è di 7.999 euro. C’è anche un allestimento SL6, con trasmissione Shimano 105 Di2 e ruote Bontrager versione Elite, disponibile ad un prezzo di listino di 5.999 euro.

In fase di rilancio è un punto di riferimento per la categoria
In fase di rilancio è un punto di riferimento per la categoria

Come va

C’è poca differenza rispetto alla sorella SLR7, considerando il valore alla bilancia e anche in fatto di performances, tenendo ben presente la parità di taglia e l’allestimento. Quando è messa alla frusta la SL è meno “cattiva”, meno perentoria ed è più “gommosa” quando si affrontano tratti di strada malmessi, ma per tutto il resto emerge il DNA corsaiolo senza mezze misure.

La differenza più grande e percepibile fin dalle prime pedalate è legata all’avantreno, dove il manubrio integrato in dotazione alla SLR fa la differenza. Ma è giusto sottolineare la bontà progettuale, la sfruttabilità e la rigidità dell’RSL presente sulla versione SL, sicuramente bello da vedere e gratificante da utilizzare, decisamente superiore (in fatto di resa tecnica) rispetto a un qualsiasi altro comparto che prevede stem e piega separati.

La Trek Madone SL rimane una bici racing aero prima di tutto, pensata, sviluppata e costruita per gareggiare. Invita a caricare l’avantreno sempre e comunque e spinge ad usare il manubrio in tutte le sue parti, un dettaglio tutt’altro che secondario. E’ un compasso in ogni situazione di guida, con una precisione di tenuta delle traiettorie non comune a questo livello di bici. Non la consideriamo una bicicletta da scalatore, anche se la sua efficienza non rimane nascosta neppure quando la strada sale in modo importante.

In conclusione

La scelta di proporre una versione meno costosa (rispetto alla SLR) della Trek Madone è a nostro parere corretta e permette ad una schiera di utenza diversa di poter usare una delle bici aero più azzeccate dell’ultima generazione. Se confrontata con la versione SLR, mostra delle differenza, anche se non sono così lampanti e bisogna avere una buona sensibilità per riuscire a fare delle sovrapposizioni.

Proprio questo fattore rende la Madone SL una bici vera, un pacchetto da valutare con interesse e che mostra un range di prezzi adeguati ad una sorta di gamma media del mercato che torna ad essere un buon riferimento anche per chi ha un animo (e la gamba) da agonista.

Trek

Ursus e Vittoria: test congiunti con l’obiettivo qualità

01.08.2023
2 min
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Ursus e Vittoria: un’attenta collaborazione tecnica tutta italiana con l’obiettivo di migliorare i reciproci prodotti a beneficio di tanti, tantissimi appassionati ciclisti. Non a caso, appena qualche giorno fa un team tecnico di Ursus spa ha viaggiato in direzione Brembate (Bergamo), presso il quartier generale di Vittoria Group, per condurre alcuni importanti test di resistenza al rotolamento (“rolling resistance”) in collaborazione appunto con Vittoria.

«Il nostro impegno costante per l’innovazione e per il raggiungimento dell’eccellenza – hanno dichiarato i tecnici Ursus – ci porta costantemente a ricercare nuovi metodi e rinnovati contesti per migliorare le prestazioni delle nostre ruote. Durante questi specifici test, i nostri tecnici hanno lavorato a stretto contatto con il team di Vittoria, mettendo alla prova diverse combinazioni di pneumatici e di ruote. Queste differenti procedure ci hanno permesso di raccogliere dati incredibilmente preziosi per analizzare le performance dei nostri prodotti con l’obiettivo di ottimizzarne il futuro livello di efficienza e di prestazione. Ed i risultati di questi test sono stati più che positivi, confermando quello che ci aspettavamo: ovvero che la sinergia tra le due realtà ha innescato una combinazione vincente destinata ad un miglioramento e ad uno sviluppo continuo».

Ursus e Vittoria hanno collaborato insieme facendo numerosi test su prodotti e materiali
Ursus e Vittoria hanno collaborato insieme facendo numerosi test su prodotti e materiali

Il cliente al centro

Ursus Spa è una azienda tutta italiana, con sede a Rosà (Vicenza), specializzata da oltre cinquant’anni nel settore delle lavorazioni meccaniche. Alle porte degli anni 2000, il business dell’azienda si è allargato anche al mondo delle biciclette, sia da corsa che Mtb, e questo grazie ad uno specifico “focus” nella produzione di ruote di alta gamma. Un esperimento fruttuoso, quest’ultimo, estremamente efficace che nell’ultimo decennio ha permesso all’azienda di addentrarsi nel mondo del ciclismo professionistico facendo leva su un prodotto in continua evoluzione con un punto di qualità sempre elevatissimo.

Mirko Ferronato, CEO Ursus Spa
Mirko Ferronato, CEO Ursus Spa

Un vero e proprio partner da sempre orientato al cliente. Un produttore che punta costantemente sull’elevata qualità, aperto all’innovazione ed alla continua ricerca dell’eccellenza… Questa è Ursus, una realtà che fa della “customer satisfaction” un elemento imprescindibile della propria quotidiana attività.

Ursus

SQlab, parola d’ordine ergonomia (e qualità super)

14.04.2023
5 min
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Quando si parla di Sqlab si parla di forme anatomiche, di ergonomia. L’obiettivo è la comodità, che molto spesso fa rima con prestazione. Abbiamo “conosciuto”, per quel che riguarda la strada, Sqlab con l’incontro organizzato da Bike Agency Connection in Toscana.

La gamma del brand tedesco è vastissima. Spazia dalla mtb all’utilizzo cicloturistico della bici, dal gravel alla strada. E proprio sulla strada la linea R, race, propone una serie di prodotti davvero interessanti e di elevatissima qualità.

Il fondello ultrasottile dei pantaloncini SQ-Short One 12 R. Prezzo di listino superiore ai 260 euro
Il fondello ultrasottile dei pantaloncini SQ-Short One 12 R. Prezzo di listino superiore ai 260 euro

Fondello ultrasottile

Noi abbiamo provato per esempio il pantaloncino Sq-Short One12 R, con fondello ultrasottile, assieme alla sella 612 Ergowave R Carbon. Un connubio che ci ha colpito non poco. 

Un fondello così poco spesso, si tratta davvero di 3-4 millimetri ci era del tutto nuovo. E ammettiamo di aver avuto almeno all’inizio qualche perplessità. Perplessità che però sono si sono affievolite già dopo le prime pedalate e sono svanite a fine uscita, quando in teoria scomodità e dolori dovrebbero emergere. Invece è stato il contrario.

Oltre alla calzata della salopette, molto buona e avvolgente, ma senza mai comprimere, un fondello così basso cambia un po’ la seduta. La sella si sente davvero bene. Si riesce a prenderla nel punto di spinta e in qualche modo ci si sente più liberi. Forse c’è anche il bisogno di alzarla di un millimetro. Ma soprattutto si ha la sensazione di pedalare con le gambe più strette, come se in qualche modo si riducesse il fattore Q. Ma questa è sensazione…

Sella anatomica

Ad abbinarsi con questo pantaloncino è la sella 612 Ergowave R Carbon, che racchiude grandi studi sull’anatomia. Si nota una parte posteriore rialzata e una centrale che non prevede il foro, ma è “scavata”.

I ragazzi di SQlab prima di assegnarci il modello, ci hanno preso le misure tramite una semplice, ma efficace, seduta che metteva in evidenza la distanza delle ossa ischiatiche. Tuttavia non c’è una misura fissa della zona pelvica. Alla base degli studi di SQlab c’è il concetto che la distanza delle ossa ischiatiche “varia”, o meglio si adatta, in base anche alla posizione che si assume in sella e a quanto si spinge. Pertanto è importante far sì, soprattutto per una sella dalla vocazione race, che nelle fasi di massimo sforzo essa scarichi pressione e assicuri la massima irrorazione sanguigna alle gambe. E più si va forte e più questa misura della zona pelvica, cioè il reale punto di seduta, si riduce. Per questo la sella scarica anche quando ci si siede più verso la punta. E lo fa assicurando sempre il massimo contatto possibile tra sella e sedere, così da ridurre il più possibile i punti di pressione.

Come per il pantaloncino. anche in questo caso, molto meglio la seconda parte dell’uscita. La 612 Ergowave R Carbon inoltre ha anche ottime caratteristiche tecniche. Scafo e telaio sono in carbonio e pesa appena 125 grammi con la seduta posteriore da 12 centimetri (c’è anche da 13, 14 e 15 e al massimo arriva a pesare 135 grammi).

Il manubrio road di SQlab. Da notare come il tubo (nella parte esterna della curva) non sia tondo. Molto comoda anche la presa alta
Il manubrio road di SQlab. Da notare come il tubo (nella parte esterna della curva) non sia tondo. Molto comoda anche la presa alta

Mani comode

Sempre in tema di ergonomia ecco un particolare manubrio e delle particolari solette. SQlab ha dedicato grandi attenzioni ai tre punti di appoggio del ciclista sulla bici: mani, sedere e piedi. 

Per quanto riguarda il manubrio, il brand tedesco ha sviluppato la piega 312 R Carbon. Si tratta di un manubrio pensato per essere preso nella massima comodità in ogni punto, specialmente quando si è in presa bassa. Obiettivo: zero intorpidimenti di mani e braccia.

Il 312 R Carbon infatti ha una impercettibile “campanatura” verso l’esterno e soprattutto la sezione del tubo (sempre in presa bassa) è svasata verso l’esterno, così che il polso non debba compiere innaturali rotazioni. Piccoli dettagli, che con il passare di ore e chilometri tanto piccoli non sono più. Anche la parte alta è pensata per una presa comoda ed aerodinamica al tempo stesso.

Il manubrio è realizzato in carbonio unidirezionale ad alto modulo. E’ disponibile in quattro misure (38, 40, 42 e 44 centimetri) e i pesi vanno rispettivamente dai 235 ai 250 grammi.

Spinte ottimali

Infine ecco le solette, Insole One11. Anche queste cercano di adattarsi all’anatomia del ciclista. Sono super sottili e composte di carbonio e materiale termoplastico.

Per la loro scelta ci si basa sull’altezza dell’arco plantare (ognuno di noi ha un arco più o meno pronunciato) e l’obiettivo è quello di massimizzare la spinta e ridurre le pressione aumentando la superficie di contatto tra piede e suola. In questo modo viene agevolato anche il movimento del ginocchio (con il pedale bloccato la posizione della caviglia indirettamente va ad influenzare anche il ginocchio) e si ottimizza la spinta.

Sqlab

Mavic Cosmic Ultimate Disc, le ruote che cambiano tutto

01.02.2023
6 min
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Ritornano e si rinnovano in modo importante le ruote Mavic Ultimate, tutte in carbonio, dal cerchio ai mozzi, passando dai raggi. Sono le Ultimate Disc, un prodotto destinato a pochi, per il prezzo e per le performance estremizzate. Uno strumento da competizione che nasce dopo oltre un triennio di sviluppo, oltre 66 prototipi, 409 test d’impatto e 470 prove di trazione. In termini di sicurezza le nuove ruote Mavic superano del 150% le norme imposte dall’UCI per questa categoria.

Sono completamente fatte a mano e il processo costruttivo di una ruota può durare anche 8 ore, necessario per far collimare le 71 pelli di carbonio, oltre alle diverse tecnologie in gioco. Le abbiamo provate.

La sacca è specifica e dedicata a questa tipologia di ruote
La sacca è specifica e dedicata a questa tipologia di ruote

Il peso non è tutto

Scriviamo di una coppia di ruote che ha un valore alla bilancia di 1.295 grammi (rilevati), un peso che è soggetto a variazioni, per via della costruzione completamente hand-made. Il peso è ovviamente importante, perché le nuove ruote Mavic Ultimate sono un prodotto hors-categorie, ma è il blend della resa tecnica a fare la differenza.

Rigide e reattive, scorrevoli e stabili, ma comunque grintose anche quando le andature sono basse. Sono uno strumento da gara capace di cambiare il carattere della bicicletta. Tuttavia per sfruttarle al pieno delle potenzialità è fondamentale capire come reagiscono nei diversi frangenti della competizione e bisogna usarle per più tempo in modo da capirle.

Lo zampino di Martin

«Una ruota del genere ti fa venire la voglia di andare in bicicletta e personalmente mi fa tornare la voglia di gareggiare, reattiva e un bell’abito per tutta la bicicletta».

Daniel Martin, vincitore di un Lombardia, è stato uno dei pochi atleti ad aver testato su strada uno dei primissimi prototipi. Il corridore irlandese è da sempre legato all’azienda transalpina e in passato è stato coinvolto nel processo di ricerca e sviluppo della scarpe Comete Ultimate, quelle con la scocca esterna completamente in carbonio.

Tubolare? No, grazie

Le nuove Mavic Cosmic Ultimate Disc sono disponibili nella sola versione tubeless ready (quindi configurabili anche con il copertoncino/camera d’aria).

Il cerchio è da 45 millimetri di altezza e ha un canale interno da 19 (28 è la larghezza complessiva del cerchio con profilo Naca). Lo stesso canale non necessita del tubeless tape. Il carbonio è un blend di 5 tipologia fibre che si basano sulla matrice UD, che in base alle zone hanno degli orientamenti differenziati. La scritta Ultimate sul cerchio non è un adesivo, ma è ottenuta grazie ad un procedimento laser long-life.

I raggi sono 10 per ruota, anche questi fatti a mano come una sorta di monoblocco e adottano la tecnologia R2R (rim-to-rim tecnology). Significa che da un’estremità a quella successiva il raggio è unico, non ha interruzioni neppure nella zona del mozzo. Ogni raggio contiene un filo di nylon che ha l’obiettivo di trattenere la fibra composita in caso di rottura.

Si innestano nel cerchio grazie alla soluzione Fore Carbon. Quest’ultima si basa su un nipplo (e la sua base di appoggio) in CNC che trattiene il raggio, tecnologia che non altera le proprietà della fibra, che non viene interrotta. Per dare un’idea, un raggio con i rispettivi due nipples è in grado di rare un’automobile.

Le firme di chi ha fatto ogni ruota e possono essere diverse da ruota a ruota
Le firme di chi ha fatto ogni ruota e possono essere diverse da ruota a ruota

Mozzi in lega

Proprio così, i due mozzi hanno lo scheletro in alluminio 2014 T6 e sono rivestiti (a mano) con la fibra di carbonio. Questo procedimento è voluto per garantire una resistenza senza pari alle torsioni e per garantire il perfetto posizionamento dei cuscinetti interni. Il cuore del sistema interno si basa sull’Infinity Hub.

Ruote da salita, ma veloci ovunque
Ruote da salita, ma veloci ovunque

Mavic è tornata

Sono un prodotto in grado di cambiare completamente il carattere della bicicletta e in qualche modo influiscono anche sul modo di guidare il mezzo. Se contestualizzate all’interno di un ambiente agonistico spinto, dove la ricerca del limite è una costante, fanno la differenza nella stragrande maggioranza delle situazioni.

In salita e in discesa, sul passo e durante le accelerazioni, che siano esse progressioni ad andature già sostenute, oppure con le classiche ripartenze. Sono incredibilmente reattive quando c’è da cambiare ritmo e farlo in modo repentino, ad esempio allo scollinamento di una salita, oppure rilanciandole in uscita di curva.

Richiedono un po’ di manico e pelo sullo stomaco per sfruttarne le infinite potenzialità. Meglio se usate con uno pneumatico pastoso, con il battistrada che offre un po’ di elasticità.

Il corpetto della ruota libera è in alluminio e fresato
Il corpetto della ruota libera è in alluminio e fresato

In conclusione…

Esclusive in tutto, a partire dal prezzo e passando dalla costruzione, fino ad arrivare ad una resa tecnica che difficilmente trova dei paragoni. Le nuove ruote Mavic Ultimate Disc sono uno strumento da gara, senza se e senza ma. Il paradosso è che, è più semplice guidarle quando si va a tutta e si sfiora il limite.

Tecnicamente è difficile trovare un neo, oppure un punto di debolezza, un qualcosa che faccia storcere il naso anche al ciclista agonista più pignolo. Dopo i tanti chilometri fatti con queste ruote e con questa tecnologia, ci si rende conto di quanto è fondamentale il “sistema ruota” e di quanto può cambiare la prestazione complessiva del mezzo meccanico.

Il prezzo è di quelli importanti, 3.900 euro di listino, ma in linea con una categoria di “prodotti di lusso” fatti a mano che non lesinano sulla qualità dei materiali.

Il test della nuova Lapierre Xelius SL3 (versione 9.0)

19.01.2023
7 min
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Lapierre Xelius SL3 vs Xelius SL2 due generazioni a confronto

Il progetto ed il design della nuova Lapierre Xelius SL3 tengono fede al DNA di questa piattaforma, eppure in termini prestazionali l’ultima versione è completamente differente. E’ progressiva, soprattutto nelle sezioni centrale e posteriore.

Abbiamo provato l’allestimento 9.0, una versione pronta alla competizione in tutto e per tutto, con un valore alla bilancia interessante e un rapporto tra la qualità ed il prezzo molto buono.

Mai scomoda e tanto gratificante in salita (foto Matteo Malaspina)
Mai scomoda e tanto gratificante in salita (foto Matteo Malaspina)

Xelius SL, la terza generazione

Il marchio di fabbrica è legato ai profilati obliqui che sono separati dal piantone, ma il design complessivo e la sagomatura di tutte le tubazioni sono molto differenti rispetto al passato. Cambiano anche le prestazioni, per una bicicletta che è migliorata ulteriormente nella versatilità e capacità di configurarsi al meglio con differenti tipologie di ruote. E’ sufficientemente comoda, ma è una bici da gara in tutto e per tutto. In discesa all’interno delle sezioni tecniche fa godere delle traiettorie tirate alla corda.

La bicicletta in test

La Lapierre Xelius 9.0 rappresenta la top di gamma delle biciclette complete presenti nel listino. Oltre questa versione non è più possibile andare, o meglio, è possibile farlo, ma acquistando il solo framekit dotato del modulo di carbonio ancora più evoluto (mutuando l’affermazione di un amico lo abbiamo definito “il modulo militare”), ovvero quello in dotazione ai pro’.

La 9.0 è meno rigida e meno estremizzata nel peso, seppur di poco. Si tratta di un telaio completamente in carbonio che adotta un blend di fibre UD. Il triangolo anteriore è monoscocca, mentre il posteriore è unito in un secondo momento. Anche la forcella è tutta in fibra. C’è lo stem Lapierre in alluminio, uguale a quello dell’Aircode, c’è la piega manubrio classica in carbonio, anche questa firmata Lapierre, così come il reggisella rotondo da 27,2 millimetri, in carbonio e con off-set 0.

La trasmissione è la Shimano Dura Ace 12v (52-36 e 11-30), la sella è la Fizik Argo Vento R5. Il comparto ruote è rappresentato dalle Lapierre LP42, molto diverse dalle precedenti, con un’altezza di 42 millimetri, cerchio spanciato full carbonio e tubeless ready, senza dimenticare il canale interno da 21. Gli pneumatici sono i Continental GP5000S da 25, già nella versione TR (tubeless). 7,3 chilogrammi rilevati (senza pedali e nella taglia media), per un prezzo di listino pari 7.799 euro.

Due modelli a confronto

Nonostante un facile accostamento, possibile per quello che concerne l’impatto estetico e la categoria del mezzo, la forma di tutte le tubazione è totalmente differente. Solamente il piantone è simile, perché è rotondo e utilizza la svasatura bassa nei pressi del passaggio della ruota. E’ stato mantenuto, anzi migliorato il concetto GLP, ovvero il posizionamento della batteria Di2 tra obliquo e scatola del movimento centrale, con l’obiettivo di portare le masse verso il basso, aumentando la stabilità.

La zona dello sterzo, incluse le sedi dei cuscinetti è stata cambiata, per aumentare la rigidità del comparto, per creare una penetrazione aerodinamica migliore e per sfruttare un’integrazione totale delle guaine.

I due foderi obliqui, nel punto in cui si uniscono all’orizzontale, sfruttano una superficie maggiore e più squadrata. Sono diversi anche i terminali del carro posteriore, più abbondanti rispetto al passato e con delle ghiere filettate per l’alloggio del perno passante che arrivano dalla Aircode. Inoltre il braccetto di supporto del cambio è Direct Mount. La forma dei due foderi bassi adotta una spanciatura evidente verso la ruota, che amplifica l’asimmetria delle due tubazioni. Rimangono le asole Speed-Release per forcella e retrotreno.

Una bici precisa e veloce (foto Matteo Malaspina)
Una bici precisa e veloce (foto Matteo Malaspina)

Geometria 100% race

Le geometrie sono un’altra cosa, per una bicicletta compatta e ampiamente sfruttabile al tempo stesso. A parità di taglia, la nuova Lapierre Xelius ha un orizzontale più corto, fattore che influisce in modo esponenziale sulla rapidità, guidabilità e stabilità della bicicletta, soprattutto nei tratti tecnici con tanti cambi di direzione. Al tempo stesso abbiamo un mezzo con un reach più lungo. In questo modo si sfrutta maggiormente tutto il telaio, senza per forza dover usare un attacco manubrio più lungo. Non solo, perché il carico del corpo è spalmato tra piantone, orizzontale e avantreno, con benefici tangibili che arrivano quando si esce in fuorisella e proprio in discesa alle velocità più elevate.

In conclusione

La Lapierre Xelius SL3 9.0 è una bici corsaiola ed estremamente versatile, lo è per natura, lo è per la capacità di configurarsi con allestimenti diversi ed è in grado di supportare stili di guida agli antipodi. Non è scomoda, anche se un certo brio emerge quando si affrontano tratti di strada sconnessa: situazioni in cui emerge la sua rigidità. Come per la versione precedente può non creare un feeling immediato a chi non è abituato ad una bicicletta che spinge costantemente e lo fa principalmente con il retrotreno.

Bisogna prendersi qualche ora di attività per capire il mezzo ed assecondarlo e dopo è difficile trovare un punto debole. Forse manca un power meter incluso nel pacchetto, considerazione che prende forma confrontando alcune bici di marchi concorrenti, ma che esula dalla tecnica della bici. La SL3 è una bicicletta davvero completa e trasversale, con un range di utilizzo e di utenza molto ampi.

Il test su strada. Dati più reali, ma più complesso da eseguire

25.12.2022
5 min
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Il test del lattato su strada. Il ritiro in Toscana della Green Project Bardiani Csf Faizanè ci ha concesso l’occasione per assistervi dal vivo. Ed è stata un’esperienza interessante. Un lavoro sul campo che ci ha portato nei fatti. Nel concreto.

L’ormai nota triade dello staff medico appena arrivata in Bardiani, Maurizio Vicini, Borja Martinez Gonzalez e Andrea Giorgi, ci ha mostrato come si effettua questo test.

Tra l’altro è stata un’occasione interessante quella di questo test sul campo, che viene dopo aver assistito ad un test in laboratorio 

La salita ideale

«Il test – spiega il dottor Vicini – si svolge su una salita, la cui lunghezza è di 1.930 metri. Deve essere una salita abbastanza costante e senza curve troppo strette che interrompano la pedalata. Una volta arrivati in cima preleviamo dall’orecchio dei ragazzi una quantità minima di sangue, una goccia. Si prendono i dati sia del lattato che dei suoi watt».

«A quel punto l’atleta torna giù e ripete la salita con uno sforzo maggiore. Qui partiamo da un impegno medio (2 millimoli di lattato, ndr), per fare poi degli step crescenti di 20-30 watt per salita fino a che arriva alla soglia. Soglia che individuiamo nei canonici 4 millimoli di lattato nel sangue.

«Una volta raggiunta questa soglia, gli facciamo fare un ulteriore test, un’altra salita, questa volta a tutta. In questo modo vediamo la quantità massima di acido lattico che l’atleta riesce a produrre».

Sul campo

Nel giorno in cui abbiamo assistito al test, i ragazzi erano quattro: l’americano Jared Scott, l’eritreo Henok Mulubrhan, Luca Paletti che veniva dal ritiro in azzurro con la nazionale di ciclocross, e Matteo Scalco.

Apparentemente il test è molto semplice, è un classico test incrementale, ma poi ci sono tante sfaccettare che stando sul campo possono inficiare sullo svolgimento e quindi sull’esito dello stesso test.

Due esempi molto pratici. Il ragazzo eritreo era la seconda volta che lo faceva in quanto nella precedente non aveva capito che doveva incrementare il wattaggio già alla seconda salita (problema di lingua). Il giorno del test a cui abbiamo assistito, ad un certo punto si alzato il vento e questo è stato annotato dai medici. Hanno chiesto ai ragazzi se si sentiva effettivamente (problema ambientale). Ma tutto questo fa parte della realtà.

Come per esempio è stato curioso vedere come alla seconda salita a fronte di frequenze cardiache più elevate, il lattato registrato è stato inferiore. 

«E’ un adattamento fisiologico – ci dice il dottor Giorgi – nonostante per venire qui abbiano fatto 40′ e passa minuti di riscaldamento con due piccole “puntate” al medio, succede che pedalando in salita trovino un adattamento muscolare. Ma dalla terza salita tutto si ristabilirà. Vedrete…».

Tutti e quattro sono partiti da 240 watt, per poi proseguire, come accennato, con incrementi di 20 o 30 watt nella scalata successiva. Venti o trenta a seconda dei dati raccolti dai dottori. Infatti se l’incremento di acido era molto basso la forbice passava da 20 a 30 watt. E al contrario veniva abbassata nelle ripetute finali.

Da questo test poi si estrapolano le intensità, con le quali l’atleta poi si allena ed esegue le sue tabelle. Una volta erano chiamate fondo lungo, medio, soglia, fuori soglia… Oggi Z1, Z2, Z3…

Laboratorio o strada

Ma se il vento, o come è successo un cinghiale che si è affacciato dalla strada, possono influire sull’andamento dell’atleta durante la salita e quindi sulla prestazione, perché si dovrebbe fare un test su strada? Perché non si fa in laboratorio?

«Il test in laboratorio – prosegue Vicini – è un test di partenza che serve per valutare i ragazzi e per prendere i primi dati, comunque molto importanti, per farli lavorare e anche per questo test. Ma lì si pedala su cicloergometro, da fermi. Non c’è da affrontare la componente dell’equilibrio, dell’attrito con l’asfalto e con l’aria soprattutto, manca dunque tutta quella parte di lavoro lavoro meccanico-muscolare che si ha su strada. Il test in laboratorio ci dà le condizioni fisiologiche, di potenza dell’atleta, diciamo così, il test più corretto è quello su strada.

«In laboratorio di solito si ha un vantaggio. Con variazioni che oscillano dal 5% al 20% di watt in più». 

Una differenza pero, ci ha detto il dottor Giorgi che varia anche in base alla tipologia di test che si fa e di cicloergometro che si usa in laboratorio.

Da segnalare che una volta raccolti i dati, prima di darli agli atleti e renderli definitivi, questi vengono rivisti, “aggiustati”. Il vento, gli incrementi troppo rapidi o troppo bassi… I medici rendono precisi i dati finali. Ma si tratta davvero di aggiustamenti minimi, magari di un battito o due alla soglia o di poche unità di watt.