Tatiana Guderzo, Marostica, 2020

Guderzo/2. L’ultimo anno poi l’obiettivo azzurro

17.12.2020
6 min
Salva

La donna che abbiamo davanti ha un sottile filo di trucco e nei suoi occhi azzurri lampeggia acora la piccola Tatiana che nel 2002 conquistò l’argento della crono iridata. Nella Zolder che stava per celebrare Cipollini, Zugno e Guderzo si presero i primi due gradini nella crono delle junior. L’irriverente Tatiana fece il primo passo nel grande gruppo proprio in quell’angolo di Belgio e oggi che è sulla porta dell’ultima stagione, essere con lei nella sua Marostica ci è sembrato un modo gentile di ringraziarla per le tante emozioni. Così mentre ieri le abbiamo chiesto di parlarci delle ragazzine che tenteranno di prendere il suo posto, questa volta vogliamo portarvi nel suo mondo.

«Poco da ridere – ammicca – quella fu l’unica crono in cui la Zugno riuscì a battermi. Mi ricordo il riscaldamento con il mio tecnico Rigato, il buco nello stomaco, la tensione, la nausea. Che begli anni, che belle trasferte. Con Anna eravamo le eterne rivali, perché avevamo caratteristiche simili. Era sfida anche negli allenamenti, per paura di rimanere fuori. Il 1984 ha sfornato proprio delle belle atlete…».

Pechino 2008, Emma Johansson, Nichole Cooke, Tatiana Guderzo
Sul podio di Pechino 2008: Emma Johansson, Nichole Cooke, Tatiana Guderzo. E’ bronzo!
Pechino 2008, Emma Johansson, Nichole Cooke, Tatiana Guderzo
Bronzo a Pechino 2008, dietro Cooke e Johansson
Che cosa diresti alla ragazzina di allora?

Le direi di godersi di più la bicicletta. Di vivere le gare con meno tensione, senza la pressione di dover ogni volta dimostrare qualcosa. L’anno dopo Zolder, mi ero fatta uno strappo muscolare a un polpaccio. Mi toccò stare ferma per 15 giorni e piangevo ogni giorno per paura di perdere la maglia azzurra. Era un incubo, perché allora le convocazioni seguivano criteri difficili da capire. Erano i diesse che trattavano con il cittì, per cui capitava che avessi lavorato bene e ugualmente venivi lasciata a casa per fare spazio a un’altra. Per fortuna lo strappo lo feci ad agosto e i mondiali si correvano a ottobre. Da lì ho sempre vissuto il ciclismo come dover dimostrare. E forse quell’esuberanza era il modo per nascondere l’insicurezza o provare a buttarla fuori.

Quando l’hai messa da parte?

Sei sicuro che io l’abbia fatto? Non è andata via, è cambiata con il passare degli anni. Non escludo che sia rimasta e che abbia imparato a gestirla in modo diverso, cercando di trasmettere sicurezza al gruppo.

Tatiana Guderzo, Mendrisio 2009
L’anno dopo, a Mendrisio 2009, Guderzo diventa campionessa del mondo
Tatiana Guderzo, Mendrisio 2009
Campionessa del mondo a Mendrisio 2009
Ricordi l’argento di Verona 2004, fra le elite e alle spalle della Arndt?

La sera prima di quel mondiale, dissi a mia madre che sarei salita sul podio. Era cominciata da lontano. A febbraio avevo provato il percorso. Eravamo in ritiro a Bardolino con la nazionale e dopo i primi giri dissi a mia madre che era un percorso favoloso, ma non sapevo se mi avrebbero portata. Ogni volta che ci passavo sopra, avevo un senso di pace. Il giorno della corsa avevo la solita tensione, ma anche una lucidità pazzesca. Notavo tutto. Come per il bronzo di Innsbruck…

Era la domanda successiva: più sorpresa a Verona coi tuoi 20 anni oppure ai 34 di Innsbruck?

A Innsbruck. Sapevo di poter fare un bel mondiale. Ero totalmente esaurita nell’aver cercato la condizione, ma ero tranquilla perché sapevo che non avrei dovuto fare io la corsa. E mentre pensavo che questo mi avrebbe agevolato, Salvoldi in riunione mi disse che si aspettava molto anche da me, nonostante leader fosse la Longo.

Perché, raccontando la tua carriera, si finisce sempre a parlare dei mondiali?

Perché la mia carriera è legata ai mondiali. La mia maglia è la maglia azzurra. Pensare di saltarne uno è un coltello nel cuore. Posso saltare il Giro d’Italia o una grande classica, ma saltare il mondiale mi avrebbe demolito.

Marta Bastianelli, Tatiana Guderzo, europei Plouay 2020
Bastianelli-Guderzo assieme agli europei di Plouay 2020
Marta Bastianelli, Tatiana Guderzo, europei Plouay 2020
Con Bastianelli, Guderzo agli europei di Plouay 2020
Qual è stata la nazionale più forte in cui hai corso?

Quelle da Salisburgo in avanti, con Cantele e Bronzini. Anche se vedendo le ragazze che ci sono in giro adesso, la nazionale più forte deve venire.

Che cosa fu il mondiale di Mendrisio?

Campionessa del mondo! Mendrisio fu un obiettivo ben chiaro. Dopo il bronzo alle Olimpiadi di Pechino, ai mondiali di Varese di due mesi dopo non riuscii a gestire la tensione di rappresentare l’Italia al meglio. Varese fu una batosta non indifferente. Ho pianto parecchio. Non fu un problema fisico, perché non ero male. Solo che mentalmente non riuscii a ripartire dalla medaglia olimpica. Mendrisio è stata la rivincita, per giunta dopo sei mesi senza correre per problemi fra la squadra e le Fiamme Azzurre. Quel mondiale cominciò a maggio…

Non farti pregare…

Presi la macchina e andai da sola a provare il percorso. Era il 5 maggio. Feci il primo giro e dissi. «Madonna, bello ‘sto percorso!». Nel secondo giro cominciai a immaginarmi come sarebbe stato arrivare da sola. Immaginavo la scena come una bambina. Feci tre giri, salii in macchina e chiamai il mio preparatore. Gli dissi: «Si lavora per questo. Non mi importa della fatica che mi chiederai di fare!». Anticipo la domanda: il mio preparatore era Marino Amadori. Diceva sempre che non sono un talento, ma se mi metto in testa una cosa, divento imbattibile.

Tatiana Guderzo, Marostica 2020
In allenamento sulla Rosina, a due passi da casa Guderzo a Marostica
Allenamento sulla Rosina, alle porte di Marostica
Concordi con l’analisi?

Forse davvero non sono un talento, ma sono certamente un’atleta con delle qualità, che è riuscita a sconfiggere gente con valori che non avrei mai potuto avere. Il motore l’ho sempre avuto, ma la differenza l’ho fatta con la testa e con il cuore.

Testa o cuore?

Se a Innsbruck avessi ascoltato la testa, avrei detto basta. Ma quando Dino mi ha detto che davanti ne avevo due, nel cuore ho sentito una cosa ben chiara: MIA! E’ MIA!. Sono partita nell’unico punto in cui sapevo di avere mal di gambe. Perché ho pensato che se lo avevo io, dovevano averlo anche le altre. Tutti hanno capito quanto io abbia sofferto quel giorno per prendere il bronzo.

Quello fu anche l’anno del bronzo ai mondiali dell’inseguimento?

Esatto, poi dovetti lasciare la pista a malincuore. Era un bell’ambiente, ma ero stufa di non lottare più non contro il cronometro, ma contro i watt.

E’ vero che smetterai il prossimo anno?

Voglio finire il ciclo e correre la quinta Olimpiade. In assoluto avrei fatto meglio a smettere nel 2018, proprio dopo Innsbruck, ma non ho avuto la prontezza. E poi, come ho sempre detto, si smette più volentieri quando si sa cosa fare. Sto temporeggiando, ma ormai ho capito. Io sono delle Fiamme Azzurre, ma mi piacerebbe diventare tecnico della nazionale. Non so se sarei in grado sin da subito, perché devo fare dei passi. Ma è un ruolo che ho dentro. Sono diesse in corsa, l’occhio del mio diesse dalla bici. Mi manca l’ammiraglia azzurra. E se Giorgia Bronzini ha la stessa idea, devo parlarle. Voglio dirle di fare la brava. A lei la pista, a me la strada. Un accordo fra colleghe si trova sempre…

Tatiana Guderzo

Guderzo/1. Un caffè con la giudice del gruppo

16.12.2020
6 min
Salva

Capita poi che un giorno d’inverno, ti ritrovi a fare una lunga chiacchierata con Tatiana Guderzo, campionessa del mondo 2009, pluricampionessa italiana su strada e pista, vincitrice di decine di corse… E con lei il tempo passa velocemente. Sarà perché il suo modo di fare è gentile e gli argomenti sono sostanziosi.

Immersa nella giacca blu delle Fiamme Azzurre, Tatiana ha lo sguardo sereno e le parole di chi la sa lunga. Ed è proprio per questo “saperla lunga” che l’abbiamo voluta incontrare e che siamo finiti in una bar della sua Marostica. 

Tatiana, mentre aspettiamo il caffè, quanto è cambiato il ciclismo da quando hai iniziato?

Vuoi dire 20 anni fa ormai! Io sono passata nel 2002… E’ un ciclismo completamente diverso, come strutture, come squadre, come soldi soprattutto negli ultimi anni. Il cambiamento è reale. Oggi, anche se non sei in un gruppo sportivo puoi vivere di questo sport. Per me che sono più esperta posso dire che le Fiamme Azzurre sono state la mia fortuna, altrimenti non avrei potuto avere una carriera così. Oggi ci sono almeno dieci atlete che prendono oltre 100.000 euro l’anno. Cifre imparagonabili agli uomini, ma che sono un abisso rispetto a dieci anni fa. Mi sarebbe piaciuto passare adesso, vincere quel che ho vinto e vivere in un altro Stato: avrei avuto un’altra visibilità perché il ciclismo femminile in Italia cresce, ma il processo è molto lento e lungo. 

Tatiana Guderzo
Tatiana Guderzo sta per iniziare la 20ª stagione da pro
Tatiana Guderzo
Tatiana Guderzo sta per iniziare la 20ª stagione da pro
Perché secondo te? L’Uci ha lavorato bene con le donne, ma hanno influito anche le concomitanze con le gare maschili?

Sicuramente l’affiancamento con le gare maschili ha influito. Non che non ci siano gli sponsor per il ciclismo femminile, semplicemente chi investe si chiede: che ritorno ho? Dal momento che c’è visibilità e ritorno, arrivano gli sponsor.

Beh, Eurosport, Espn, anche la Rai, fanno delle belle dirette…

Sì, e ne sono contenta, ma non siamo neanche a metà strada. E sviluppare il ciclismo femminile è più facile di quello maschile. Se ci fate caso oggi in qualsiasi gruppo amatoriale incontriate per strada ci sono almeno due donne. Non sono tante, ma ci sono. 

E la vita da atleta in questi quasi 20 anni è cambiata? Tra gli uomini vediamo che la ricerca del dettaglio è maniacale, quasi nevrotica. E’ così anche per voi donne?

Se la vita atleta è cambiata dipende soprattutto dal soggetto. Io sono in una buona squadra, l’Alé BTC Ljubjana, ho dei buoni materiali, ma non siamo come la Trek-Segafredo, per dirne una. Loro hanno anche il team degli uomini. La differenza è enorme. Lì sono meticolosi, ci sono metodologie di lavoro determinate. Nella mia squadra c’è più libertà, non ci monitorano dalle 6 del mattino alle 22 di sera. Io appartengo ad una generazione vecchia. Sono arrivata nel ciclismo che c’era il nonnismo, il rispetto per le capitane e per chi aveva vinto di più: adesso non è più così. Ho vinto un mondiale usando cardio e contapedalate, il potenziometro ho iniziato ad usarlo l’anno dopo. Oggi ci sono strumenti e metodologie definite. Io mi allenavo cercando d’imitare un atleta che mi piaceva. Spesso mi sono rifatta a Bruseghin. Dopo averlo conosciuto al mondiale del 2004. Mi piaceva il suo approccio al ciclismo, il suo carisma e tutti avevano fiducia in lui. E se gli altri gli danno fiducia vuol dire che è il più forte. Almeno per me.

Non sarà una vita estrema, però sappiamo che alcune ragazze programmano gli allenamenti più intensi in base ai picchi ormonali del ciclo…

Vero. Ci sono studi che confermano ciò ma che io ammetto di non conoscere. Negli allenamenti e nella nutrizione so quello che devo fare e dove devo arrivare. So che mancano due mesi ad un obiettivo e che devo raggiungere quel peso? Bene, se sono brava ci arrivo in due mesi, se sono meno brava perderò giorni utili e dovrò farlo in 50, 40… Se è vero che è il dettaglio che fa la differenza, rispondo che nel mio caso è la mentalità.

Passiamo a parlare di alcune colleghe, soprattutto giovani. E partiamo da Elena Pirrone, che in un’intervista ti ha elogiato per i suoi consigli quando eravate in nazionale ad Innsbruck…

Elena, poche ragazze sono forti come lei. E’ una ragazza molto intelligente. Tuttavia tra le elite non ha ancora dimostrato il suo talento come ha fatto tra le juniores. Ma è la ciclista che vorrei sempre in squadra. A me piace insegnare e percepisco a chi piace imparare. Lei è una di quelle che ascolta, ma senza frasi influenzare, vaglia ciò che le dici.

Elisa Balsamo
Elisa Balsamo veste la maglia di campionessa europea 2020
Elisa Balsamo
Elisa Balsamo veste la maglia di campionessa europea 2020
Veniamo alla star, Letizia Paternoster…

Talento indiscusso, qualità atletiche indiscusse. In nazionale sarà l’atleta di punta anche per i prossimi anni. Letizia deve però dimostrare tanto. Lei ha molta pressione addosso, una pressione che non augurerei a nessuno, soprattutto dopo questa annata per lei difficile. E’ un personaggio e deve essere in grado di equilibrare l’atleta e la vip. Spero contribuisca a far conoscere il ciclismo femminile.

Elisa Balsamo…

Bell’atleta. Intelligente, forte, un perno della nazionale. Elisa ti dà sicurezza sotto ogni aspetto. Sa essere protagonista, ma sa anche mettersi a disposizione della squadra. Con lei ho anche il ricordo del primo record italiano del quartetto. Eravamo io, Elisa, la Paternoster e la Valsecchi. Due giovani e due esperte. E in qualche modo Elisa e Silvia erano quelle più serie e io e Letizia quelle più estroverse. Elisa la porterei alle corse anche se fosse al 50% della condizione perché riuscirebbe a darmi qualcosa di più lo stesso. Ha uno spirito di sacrificio enorme e spesso getta il cuore oltre l’ostacolo. 

E può vincere un Giro d’Italia?

Non ancora, ma fra due o tre anni… Elisa è una Van der Breggen. Per me dovrebbe provare un’esperienza all’estero, senza nulla togliere alla Valcar che l’ha fatta crescere e arrivare dov’è. Ma in una squadra WT con un percorso più preciso può fare moltissimo. Io comunque la vedo più da classiche che da Giro.

Delle sorelle Fidanza cosa ci dici?

Martina credo abbia più doti atletiche di Arianna. Con la pista mi sembra abbia trovato il suo habitat. Arianna nell’ultimo anno è mezzo ha dato segnali più che positivi. E’ passata nel WorldTour e sono curiosa di vederla alla Mitchelton. E’ un team ben impostato con ruoli ben precisi e questo potrebbe darle sicurezza.

Passiamo a Marta Cavalli…

Marta va ammirata per la costanza di rendimento avuta in questa stagione, specie nelle gare WorldTour. Ha fatto un bel salto di qualità. Sa correre e risparmia al centesimo le energie. Non è un talento come Elisa o Letizia, ma una bell’atleta. Rischia poco, magari preferisce la certezza di un quinto posto, piuttosto che perdere tutto pur di provare a vincere.

Guderzo Borghini
Tatiana Guderzo con Elisa Longo Borghini in nazionale
Guderzo Borghini
Tatiana Guderzo con Elisa Longo Borghini in nazionale
Saliamo d’età e arriviamo all’altra Elisa, Longo Borghini…

E cosa devo dire di lei? Fortissima. E’ Elisa!

Beh, ci sarà un qualcosa che può migliorare?

La volata! Glielo dico sempre. Una ragazza dedita al sacrificio. Che sa soffrire. Dovrebbe imparare dalla Cavalli a risparmiare un po’ di energie. Non credo abbia grandi margini ormai. Forse può ancora migliorare qualcosa a crono.

Infine ecco una tua (quasi) coetanea: Marta Bastianelli, che è anche compagna di squadra alla Alè…

Un nome una garanzia. Quest’anno ha avuto diversi problemi e non c’entrava nulla con la Marta di due anni fa. Ha sempre fame di vittorie. Se tu non hai energie lei te fa venire. Magari ti fa un urlaccio in corsa che per forza di cose ti svegli! Ha vinto praticamente tutto, ha 33 anni, ha la famiglia e la domanda che le si fa è: ma chi te lo fa fare ancora? In ritiro la vedi che chiama a casa per sapere della figlia, non è facile. Invece lei affronta ogni gara con la fame di una giovane e una grinta pazzesca. Marta sa quello che vuole e come prenderselo. Vuol vincere a modo suo e non si piega. Ha una maturità e una sicurezza che si percepisce. E poi che risate. Se siamo insieme le faccio: ohi oggi devo fare due ore piano. Le mi risponde: tranqui. Torniamo a casa che ne abbiamo fatte due e mezza a tutta. E il bello è che magari ti sei anche divertita.

Anna Trevisi, Tatiana Guderzo, Tour Down Under 2020

Piccolo, il WorldTour e un’azienda da guidare

01.11.2020
3 min
Salva

Alessia Piccolo è la titolare dell’unica squadra italiana di WorldTour. E’ appassionata di ciclismo. Partecipa alle Gran Fondo. Della sua Alè Btc Ljubljana segue la parte logistica e quella dell’immagine. Di ciclismo, insomma, ne sa parecchio. Ma le piace anche giocare con la moda. Il suo altro lavoro, infatti, quello che altrove si definirebbe “più serio”, è dirigere la Alè Cycling, l’azienda che ha portato le sue note di colore nel vestire del ciclismo.

Alessia Piccolo, Ale Cycling
Alessia Piccolo, manager d’azienda e della squadra WorldTour (foto Alè Cycling)
Alessia Piccolo, Ale Cycling
Alessia Piccolo, manager a 360° (foto Alè Cycling)

Fra bici e azienda

In questo momento di pandemia e le comprensibili difficoltà che essa porta con sé, il discorso è un andare e venire tra il ciclismo e la vita quotidiana.

«Fino a metà ottobre – dice – non avevamo particolari limitazioni, se non le attenzioni rimaste dopo il lockdown. In azienda diamo la mascherina ogni giorno, igienizzante da tutte le parti, prendiamo la temperatura, si va in bagno uno per volta. Cerchiamo di stare attenti. Il rientro dopo la chiusura è stato uno choc. Il mondo reclamava le sue forniture, tanto che un giorno ho detto ai ragazzi che se fosse successo ancora, sarei scappata a Tenerife per tornare quando fosse tutto finito. E mentre stai attenta a tutto questo, scopri che la squadra resta bloccata in Belgio per un tampone positivo. Ci credo che Tatiana (Guderzo, ndr) non sia contenta, sono rimaste su per 20 giorni. Ma alla fine, sono cose che possono succedere…».

Gaudu ha vinto alla Vuelta vestito Alè Cycling
Gaudu alla Vuelta, vestito Alè Cycling
Perché il ciclismo femminile?

Non solo perché mi piace pedalare, anche perché vedo una forte crescita. Siamo ancora ai primi passi, ma la soddisfazione di essere arrivate nel WorldTour è enorme. Prima le straniere non si avvicinavano, adesso vogliono venire a correre da noi. Prima eravamo poco credibili.

Anche l’immagine del ciclismo femminile è cambiata.

Vero, non sono più solo maschiacci, ma si vedono in giro delle belle ragazze che tengono al loro aspetto. Prima si puntava solo sul ciclismo come sport di fatica. Oggi la fatica è sempre quella, ma se prima metti un filo di trucco, perché dovrebbe essere un problema?

Facile produrre per le ragazze?

Facilissimo (si fa una risata, ndr). In azienda siamo un gruppo di donne e andiamo tutte in bici. Però ce la caviamo bene anche col maschile. Abbiamo la Movistar e anche la Groupama (nel giorno dei campionati italiani di Breganze, in cui si è svolta l’intervista, Gaudu ha vinto alla Vuelta e Kung ha vinto il campionato svizzero. Vestiti Alè Cycling, ndr). Disegno io i capi, sono molto esigente.

Ma la moda è un’altra cosa?

Ci si diverte di più a disegnarla e seguirla. Fai colori inusuali, puoi spaziare e osare di più.

In che modo le vostre atlete sono testimonial del brand?

A parte vestire Alè Cycling in gara e allenamento, spesso le coinvolgo come tester di prodotti, anche se qualche altro sponsor mugugna. Bastianelli, Trevisi e Guderzo a volte escono con capi nuovi da provare, perché è molto importante avere chi ti dà una mano e pareri obiettivi.

Tatiana correrà anche il prossimo anno.

Uno dei regali del Covid. Avrebbe voluto smettere quest’anno con le Olimpiadi, proverà a farlo nel 2021. Poi potrebbe anche pensare di diventare direttore sportivo, perché vede bene la corsa ed ha un’esperienza infinita. Affiancata agli altri tecnici, può far crescere la squadra e restare un riferimento per le più giovani.

Passerà la tempesta?

Passera quando troveranno un vaccino. E nel frattempo spero che il Governo capisca che la salute è importante, ma l’economia è alla base di tutto il resto.

Tatiana Guderzo, Sarcedo, tricolori 2020

Guderzo, i crampi e venti giorni in Belgio

31.10.2020
2 min
Salva

Tatiana Guderzo arriva con gli occhi sbarrati. Si avvicina a Marta Bastianelli, che era la campionessa uscente, e facendo come al solito la clown inizia a parlare in dialetto. Ha i crampi. Ne ha così tanti che non ci vede. E aggiunge che andava piano, pianissimo, ma sempre con i battiti a 170.

«Io ho una certa età – ride – non posso fare certi sforzi».

Tatiana voleva correre il tricolore di casa a tutti i costi. E si era messa in testa di arrivarci anche bene, come si fa quando è da un po’ che corri e sai in che modo farti trovare pronta. Allo stesso modo centrò il podio di Innsbruck ai mondiali del 2018, nessuno lo ha dimenticato. Ma questa volta sulla sua strada si è piazzato il Covid, che l’ha costretta a rimanere in Belgio dopo la Liegi per una positività che ha bloccato tutta la squadra.

Tatiana Guderzo, Sarcedo, tricolori 2020
Una salita che conosce molto bene e che a Tatiana non ha fatto sconti
Tatiana Guderzo, Sarcedo, tricolori 2020
La salita di Sarcedo non le ha fatto sconti
Ed eccoci qua…

Le ho provate tutte, è stato il mio anno migliore (ride, ndr). Dopo la Liegi, che era il 4 di ottobre, è arrivato questo tampone positivo. Una bastonata abbastanza pesante. Sono rientrata a casa solamente quattro giorni fa. Venti giorni senza bici o comunque con dei rulli. Per il primo periodo dovevamo stare completamente ferme. Ho fatto un secondo lockdown gratuito, diciamo così. Non è stato un avvicinamento adatto.

Neanche dire che ti sei riposata.

Sono arrivata fresca, questo sì, perché lassù energie non ne ho sprecate. In questi anni però non puoi inventarti più nulla. Ho fatto di tutto per esserci. Ho dovuto fare determinate visite. Ci sono stata perché il campionato italiano era in casa e ci tenevo. Non mi aspettavo nulla, tutto quello che arrivava era in più. Sapevo di fare tanta fatica, ma non pensavo così tanta.

Che anno è stato?

Disastroso, grazie. Ero partita in Australia molto serena e con una buona condizione. Poi la caduta di certo non mi ha aiutato assolutamente. Dunque è stato un inizio difficile, a inseguire. Poi il lockdown che sicuramente sui fisici non più giovani (sorride, ndr) non ha aiutato di certo, un rientro decisamente non fortunato e un pessimo finale di stagione. Sono fiduciosa, se gira la ruota, sarà un 2021 da paura.

Quindi correrai ancora?

Quindi con la Ale Btc Lubiana ho il contratto anche per l’anno prossimo. Quella è l’idea. Vediamo con la mente fredda di scegliere bene. Perché adesso sono un po’ troppo emotiva, ma l’idea è quella. Ci sarò anche l’anno prossimo.

Bastianelli al tricolore con 10 corse appena

29.10.2020
3 min
Salva

Un paio di giorni al via del Campionato italiano elite donne, nella cornice vicentina di Breganze. Un anello di 26,3 chilometri con una salita di 4,5 chilometri da ripetere cinque volte, attende le ragazze. 

Sarà una corsa impegnativa, anche perché arriva al termine di una tribolata stagione.

Marta con la maglia tricolore in azione in Belgio
Marta con la maglia tricolore in azione in Belgio

Un anno difficile

La campionessa uscente è Marta Bastianelli, una delle colonne portanti del nostro ciclismo rosa. La laziale, un iride e una bacheca grossa così, però non ci arriva nelle migliori condizioni.

«Per me è un anno da cancellare – dice Marta senza tanti giri di parole – dopo la quarantena mi sono accorta di avere la mononucleosi. Alla ripresa degli allenamenti sentivo che qualcosa non andava. Avevo mal di testa, una stanchezza ingiustificata e mi bruciavano le gambe anche per fare le scale. Davo la colpa ai rulli, ma le analisi hanno chiarito i dubbi. Così mi sono dovuta rifermare.

«Quando ho ripreso sono iniziate le corse. Siamo andate in Belgio ma dopo due gare ci hanno fermato di nuovo per dei casi sospetti. Insomma avrò fatto 10 giorni di corsa in tutto. In Belgio le altre ragazze hanno gareggiato fino al 18 di ottobre partecipando a De Panne. Non arrivo all’italiano al top».

Katia Ragusa, uno dei nomi più accreditati per Bastianelli
Ragusa, uno dei nomi più accreditati per Bastianelli

Rivali o compagne?

Bastianelli correrà il tricolore con la maglia delle Fiamme Azzurre e nonostante non sia nella migliore condizione vuole onorare chi la supporta. Ci tiene. E il gruppo per lei resta centrale.

«Con le ragazze delle Fiamme Azzurre corriamo insieme praticamente una volta all’anno. Però ci sentiamo spesso e abbiamo un bel feeling. Noi siamo sei, in Polizia sono undici: è un po’ più facile trovare l’intesa!  A volte in corsa quando senti per radio: vai a riprendere magari la Cecchini tentenni un po’. E’ un’amica, una compagna nelle Fiamme Azzurre, ma poi chiaramente emerge il senso di responsabilità e facciamo il nostro lavoro. Salvo poi scherzarci su a fine corsa. Con Tatiana Guderzo corriamo insieme anche all’Alè. Elena Cecchini è un po’ stanca mentalmente, perché ha corso un po’ di più, ma nel complesso sta bene. Poi ci sono Rossella Ratto e Letizia Paternoster.

«Ci aspetta un percorso che non lascia spazio all’inventiva. In una tappa di pianura o in un’altra tipologia di gara, magari qualcosa t’inventi, ma così no: o sei allenata o nulla».

Un terno al lotto

Nonostante gli stop, la stagione di Marta e delle ragazze in generale è stata lunga. Alla fine non si sono mai fermate. Di testa sono provate e l’incertezza sui calendari non le ha aiuta. Pensate che ancora non sanno se correranno le tre tappe della Vuelta dopo l’italiano. Così non è facile. E allora chi sarà la favorita?

«Ci sono molti nomi in ballo – conclude Bastianelli – Elisa Longo Borghini è certamente la favorita. Marta Cavalli è cresciuta molto ed è in uno stato di forma psicofisico molto buono. Sofia Bertizzolo e Soraya Paladin corrono in casa. Senza contare che ad organizzare la corsa è il papà di Katia Ragusa. La mia esperienza tuttavia mi dice che un italiano non sempre va secondo pronostico. Ci si può aspettare di tutto. Anche una sorpresa, magari proprio da una ragazza che ha solo dieci giorni di corsa nelle gambe!».