Ballerini è convinto: «Al Tour ho capito che manca solo la vittoria»

31.07.2025
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La Grande Boucle, conclusa sull’inedito percorso di Montmartre, ha lasciato nelle gambe e nella testa di Davide Ballerini la consapevolezza di poter ambire a qualcosa di grande. Lo testimonia il fatto che tra una settimana correrà alle Arctic Race of Norway, che prenderà il via da Borkenes. I giorni dopo il Tour de France sono serviti per staccare un po’ a livello mentale, mentre le gambe girano ancora bene. Il momento va sfruttato, perché la consapevolezza e l’ambizione crescono. 

«Ci vorrà ancora qualche giorno per riprendermi totalmente dalle fatiche del Tour – dice Ballerini – sono ancora stanco. Più di testa, perché alla fine oggi sono uscito in bici per fare due orette tranquille e la condizione c’è. Lunedì sarà di nuovo tempo di chiudere le valigie e partire per la Norvegia, vediamo di sfruttare il momento positivo».

Wout Van Aert, Davide Ballerini e Tadej Pogacar sullo strappo di Montmartre, un assaggio di “classica” nella tappa finale del Tour

Dalla caduta agli Champs Elysées

Quel secondo posto di domenica sugli Champs Elysées ha lasciato un po’ di amaro in bocca all’atleta della XDS Astana, sensazione diventata più gradevole una volta raffreddati i pensieri e capito contro chi ci si è trovati contro. 

«La cosa migliore che porto a casa da questo Tour de France – prosegue – è la consapevolezza che se faccio tutto al meglio posso essere là insieme ai primi e giocarmi qualche gara. Anche perché la caduta durante la terza tappa mi ha fatto soffrire molto, ma la condizione c’era e questo mi ha aiutato a uscire dal momento difficile».

Il giorno dopo la caduta Ballerini presentava bendaggi evidenti ma ha saputo resistere e superare il momento difficile
Il giorno dopo la caduta Ballerini presentava bendaggi evidenti ma ha saputo resistere e superare il momento difficile
Il più difficile del tuo Tour?

Sicuramente, la mattina successiva alla caduta stavo davvero male. La vera risposta però l’ho avuta il giorno dopo, in quelle situazioni capisci subito se riuscirai a continuare o meno. Se quando sali in bici per andare al foglio firma senti dolori e acciacchi allora continuare diventa praticamente impossibile. Io appena sono salito in sella mi sono sentito relativamente bene, anche se devo dire che sono stato anche abbastanza fortunato.

In che senso?

Perché i giorni dopo non siamo andati davvero forte, le andature non sono state esagerate. Complice anche l’ottima condizione con la quale mi sono presentato al via da Lille. Arrivavo dalla caduta della Roubaix dove mi sono rotto lo scafoide, gli altri sono andati in altura mentre io avevo scelto di rimanere a casa per riuscire a fare tutta la riabilitazione necessaria. 

Nell’ultima settimana, riassorbite le botte, Ballerini ha provato a giocarsi la vittoria, qui a Valence dove ha chiuso quinto
Nell’ultima settimana, riassorbite le botte, Ballerini ha provato a giocarsi la vittoria, qui a Valence dove ha chiuso quinto
Cosa ti ha lasciato questo Tour?

Che non si deve mai mollare, prima o poi le gambe girano e lo faranno nel momento giusto. Ora ho visto che se mi preparo nel modo corretto posso andare forte, mi manca la vittoria e voglio raggiungerla. Nel ciclismo ne vince uno solo, quindi non è mai semplice.

Però a Parigi hai dimostrato di esserci…

Sì, per sensazioni mie e per l’entusiasmo del pubblico è stato il momento più bello. Sono consapevole che le forze in campo non erano esattamente pari, Pogacar non era al 100 per cento. Lui ha corso un Tour sempre davanti, tirato e al limite. Io ho avuto giorni nei quali mi sono staccato e ho preso il tutto con calma. Fare una, due o tre tappe in questo modo aiuta ad arrivare più freschi nel finale. Van Aert ha mostrato di essere superiore, non c’è nulla da dire. Ci ha lasciati lì con un’azione di forza impressionante. 

Nelle tappe di montagna ha potuto gestire lo sforzo e presentarsi in condizione all’ultima tappa di Parigi pronto a dare battaglia
Nelle tappe di montagna ha potuto gestire lo sforzo e presentarsi in condizione all’ultima tappa di Parigi pronto a dare battaglia
In generale cosa manca per agguantare la vittoria desiderata?

Non c’è un fattore da curare o qualcosa da fare in maniera differente. So che continuando a lavorare e preparandomi in questo modo la gamba c’è. Non si deve mai lasciare nulla al caso, prima o poi il momento arriva. 

Alla fine del viaggio, il bicchiere mezzo pieno di Vingegaard

28.07.2025
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Di nuovo secondo sul podio di Parigi, Jonas Vingegaard ha trascorso chilometri e chilometri alle spalle di Pogacar e parecchio tempo a dichiarare improbabili strategie. Dato che nessuno alla Visma-Lease a Bike ha mai descritto il dettaglio del piano, la supposizione più coerente con quanto si è visto è che il programma mirasse a stancare Pogacar. Lo hanno tenuto sotto pressione dal primo giorno, esposto a tensioni e attacchi. E anche se alla fine lo sloveno ha portato a casa il quarto Tour, non c’è dubbio che sia arrivato in fondo con le energie agli sgoccioli, come egli stesso ha ammesso ieri dopo la vittoria.

Vingegaard ci ha provato. Non tanto quanto sarebbe servito, ma se alla fine Van Aert è riuscito a staccare Pogacar a Parigi, è stato perché Tadej è arrivato all’ultima tappa obiettivamente stanco. Se non fosse accaduto che anche il danese è arrivato in fondo senza gambe, il piano avrebbe dato i frutti sperati. La sua Grande Boucle non è stata semplice, iniziata fra le polemiche per le dichiarazioni di sua moglie e il consiglio di Bjarne Riis che lo vedrebbe meglio ormai in un’altra squadra.

«In alcune tappe – dice il danese, in apertura con la famiglia al via dell’ultima tappa – ho raggiunto delle prestazioni di altissimo livello. In altre tappe, ho avuto la mia prestazione più bassa da diversi anni. Quindi questo Tour conferma che sono stato il miglior Jonas di sempre, ma anche che posso avere giornate negative».

Gli attacchi più decisi di Vingegaard sono venuti sul Mont Ventoux, in uno dei giorno meno brillanti di Pogacar
Gli attacchi più decisi di Vingegaard sono venuti sul Mont Ventoux, in uno dei giorno meno brillanti di Pogacar

Le pedivelle corte

Cercando una maniera per venire a capo dello strapotere di Pogacar, quest’anno Vingegaard ha sostituito le sue pedivelle da 172 mm con altre da 160 mm per le tappe su strada e 150 mm per le cronometro.

«In questo Tour, Jonas era quello con le pedivelle più corte – ha detto a L’Equipe Mathieu Heijboer, direttore delle prestazioni di Visma-Lease a Bike – ma ci sono stati altri corridori con le stesse misure. Sapevamo già che le pedivelle più corte sono probabilmente più efficienti, ma la maggior parte dei corridori non era aperta al cambiamento. Poi alcuni hanno deciso di provare e questo ha creato l’opportunità anche ad altri».

Aver visto Pogacar, passato dalle 172,5 alle 165, ha fatto sì che Vingegaard abbia accettato di sottoporsi a dei test fuori stagione e poi apportare un cambiamento radicale. Il danese è uno dei corridori con la più elevata cadenza di pedalata e inizialmente le pedivelle più corte rendevano la sua cadenza ancora più alta. Per questo ha optato per le 160 mm su strada, lasciando le più… audaci 150 per la crono, in cui ha fatto meglio di Evenepoel. Con la pratica, ha dunque iniziato a usare un dente in meno e quindi un rapporto più lungo. Grazie a questo, Vingegaard si è dimostrato più forte che in passato sulle salite più impegnative. Si è avvicinato (lo scorso anno perse per 6’17”, quest’anno il passivo è stato di 4’24”), ma non è bastato.

A La Plagne, i tre del podio sono arrivati insieme e Vingegaard ha battuto Pogacar nello sprint ristretto
A La Plagne, i tre del podio sono arrivati insieme e Vingegaard ha battuto Pogacar nello sprint ristretto

Obiettivo Vuelta

Così, mentre Pogacar ha fatto dubitare della sua partecipazione alla Vuelta (la UAE Emirates annuncerà la formazione nei prossimi giorni), Vingegaard guarda al futuro senza entrare troppo nei dettagli, ma confermando che il Tour, così com’è, sta diventando un’ossessione.

«Ho sempre detto – spiega – che mi piacerebbe partecipare al Giro un giorno. Non dico che sarà già l’anno prossimo, ma dobbiamo discuterne con la squadra. Faremo i nostri piani quest’inverno e vedremo. Innanzitutto ora avrò una settimana più o meno rilassata prima di ricominciare ad allenarmi. Si tratterà principalmente di aspettare di sentirmi di nuovo fresco. Poi avremo solo due settimane e mezzo di allenamento, il che non… lascia molto tempo. Però l’ho fatto due anni fa ed è andata abbastanza bene (nel 2023, Jonas chiuse la Vuelta al 2° posto dietro al compagno di squadra Sepp Kuss, ndr). Spero di riuscire a farlo ancora».

Il quarto Tour di Pogacar: non il più bello, ma certo il più faticoso

27.07.2025
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Ha capito di poter vincere il Tour dopo la vittoria al Mur de Bretagne, poi ha chiuso il discorso sui Pirenei. Tolto il primo conquistato nell’ultima cronoscalata, i tre Tour successivi di Tadej Pogacar si sono risolti nella seconda settimana. Difficile dire se sia per uno schema o per caso, ma di certo anche questa volta sui Pirenei ha imposto l’inchino a tutti i rivali, presentandosi al gran finale forse con le gambe più stanche del solito.

Nell’ultima tappa di Parigi, dopo non essere parso brillantissimo nelle ultime tappe di montagna prive di grandi attacchi, il campione del mondo in maglia gialla ha riscoperto il gusto sbarazzino della sfida. Ha fatto il diavolo a quattro sulla salita di Montmartre e solo alla fine si è arreso alle grande voglia di Wout Van Aert. Ci fosse stato anche Van der Poel, avremmo avuto la sensazione di essere tornati per pochi minuti sui viottoli del Giro delle Fiandre. Il divertimento a un certo livello è una componente decisiva.

«Mi sono ritrovato davanti – racconta – anche se forse non avevo davvero l’energia per vincere. Sono stato davvero felice che abbiano neutralizzato i tempi della classifica generale, così ho potuto correre più rilassato. Serviva solo avere buone gambe per essere davanti e mi sono ritrovato testa a testa con Wout Van Aert. Lui è stato incredibilmente forte, ha vinto con tutto il merito, ma alla fine è stata una tappa davvero bella».

Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono
Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono

La spinta di Vingegaard

Pogacar vince il Tour contro la Visma Lease a Bike e l’ombra di un piano che non si è mai visto del tutto. Eppure, rileggendo le tappe e guardando negli occhi lo sfinito sloveno, il piano di tenerlo sempre sotto pressione ha parzialmente colto nel segno. Il Tadej sfinito di fine Tour ha pagato certamente l’aggressività della squadra olandese. E anche se Vingegaard non è mai riuscito a staccarlo né a metterlo in difficoltà, di certo la sua presenza nella scia non ha mai permesso alla maglia gialla di abbassare la guardia.

«Sono senza parole per aver vinto il quarto Tour de France – commenta Pogacar – è una sensazione particolarmente fantastica. Penso che la vittoria sia da dividere con la squadra. Abbiamo avuto per tutto il tempo un’atmosfera fantastica, un grande spirito. Ho avuto modo di parlare con Vingegaard stamattina nel tratto neutralizzato prima del via. Ci siano detti quanto sia cambiato il ciclismo rispetto a cinque anni fa, quando ci siamo affrontati per la prima volta. Abbiamo alzato l’uno il livello dell’altro. Ci siamo spinti al limite e abbiamo cercato di batterci a vicenda. Lottare contro Jonas è stata nuovamente un’esperienza dura, ma gli devo rispetto e grandi congratulazioni per il suo impegno».

Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates
Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates

Semplicemente stanco

Il terzo posto di Lipowitz, il quarto di Onley, poi Gall, Johannessen e Vauquelin segnalano un’ondata di nuovi talenti in arrivo. Si è sottratto alla lotta Remco Evenepoel, ritirato prima di mettere le ruote sul Tourmalet. Tutti, chi prima e chi dopo, sfilano accanto alla maglia gialla attorno cui si è formato il capannello dei suoi più fedeli, fra cui l’immancabile Urska.

«Ho ancora degli obiettivi da qui alla fine della stagione – dice Tadej senza aprire né chiudere la porta sulla Vuelta – ma non mancano molte gare. Ho bisogno di recuperare perché è stato uno dei Tour più difficili da correre, per tutti nel gruppo. Dalla prima all’ultima tappa, abbiamo corso al massimo, ogni giorno. Non ci sono state giornate facili e abbiamo messo a dura prova il nostro corpo. La tappa di La Plagne è stata molto difficile. Ero esausto e la gente non mi ha visto felice come al solito. Ma mi sembra normale non avere un gran sorriso ed essere felice ogni giorno. A volte non si è al meglio, si potrebbe attraversare un periodo difficile.

«Sono stanco. Se non lo fossi dopo 21 giorni di gara, ci sarebbe qualcosa che non va. Immagino che tutti siano esausti, anche voi giornalisti, dopo tre settimane di corsa in zone miste, in sala stampa, come tutti coloro che partecipano al Tour. Quindi, penso che anche i corridori abbiano il diritto di essere stanchi. Ma mentalmente sono ancora in ottima forma (sorride, ndr)».

Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour
Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour

Il sogno della Roubaix

E’ sempre difficile chiedere a un atleta il bilancio di una corsa appena conclusa. Se appare frastornato Jonathan Milan con la conquista della maglia verde, figurarsi Pogacar che è passato in un tritacarne di sollecitazioni al massimo livello prima di poter dire che sia davvero finita. Eppure capisci anche che essere costretto a inseguire sempre e soltanto il Tour non lo trovi così divertente.

«La prima settimana – dice – non è stata divertente. Le tappe sono state frenetiche e brutali anche per gli uomini di classifica. Dovevi essere super concentrato e motivato. Ci sono stati tantissimi attacchi, soprattutto da parte della Visma: è stata una settimana davvero difficile. Anche senza le montagne, ci sono state sempre delle insidie. Ora però è il momento di festeggiare. Per me significa avere una settimana di pace con un meteo migliore di qui. Voglio godermi semplicemente qualche giorno di tranquillità a casa. Poi correrò il Criterium di Komenda a casa mia il 9 agosto e poi penserò alla prossima stagione.

«Soprattutto la Parigi-Roubaix, che voglio vincere. Quest’anno, alla mia prima partecipazione, ho trovato questa corsa pazzesca, voglio tornarci. E penso che tornerò al Tour anche il prossimo anno. Mi piacerebbe saltarlo per una stagione, per provare altre corse, ma so che sarà difficile. Ho dimostrato a me stesso di poter raggiungere grandi risultati. Ora cerco di concentrarmi su altre cose della mia vita, continuando a godermi il ciclismo. E se dovessi battere qualche record storico, come quello dei cinque Tour, sarebbe fantastico, ma non è questo il mio obiettivo».

La tattica della Visma

Lo chiamano per la premiazione, sui Campi Elisi si allungano le ombre e i dintorni. Era il 27 luglio anche quando nel 2014 su quel gradino salì un commosso Vincenzo Nibali. E mentre il ricordo ci riempie di orgoglio sia pure a distanza di così tanto tempo, riflettiamo che al netto dei commenti entusiastici davanti alla bellezza di gesti atletici così sublimi, non è stato il Tour più bello cui abbiamo assistito. Difficile dire se per il suo livello stellare o per quello inferiore dei rivali.

La sensazione a partire dal secondo riposo è che Pogacar abbia dovuto fare i conti con un qualche acciacco che gli ha impedito di rendere come avrebbe voluto. Ugualmente ha vinto il quarto Tour attaccando a fondo a Hautacam e poi nel giorno di Peyragudes. La tattica Visma lo ha stancato, ma Vingegaard non è bastato. Chissà chi dei due avrà ancora margini da scoprire per un futuro lontano che in qualche modo già bussa.

Parigi. Il circuito “olimpico” e la firma di Wout

27.07.2025
6 min
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Da Parigi a Parigi. Dalle Olimpiadi dell’anno scorso al Tour de France di quest’anno, le emozioni e lo spettacolo sono rimasti gli stessi. Sempre un belga ha vinto: stavolta si chiama Wout Van Aert, ma che bello è stato vedere il suo rivale numero uno, Tadej Pogacar, in maglia gialla.

Dopo una settimana sotto le aspettative in termini di attesa dei duelli in montagna, la corsa francese si è riaccesa. Si è ravvivato Pogacar e la magia è tornata, anche perché si è ravvivato pure Van Aert. Pensate cosa sarebbe stato se ci fosse stato anche Mathieu Van der Poel.

Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024
Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024

L’occhio di Mozzato

La novità del circuito di Montmartre era importante e ha fatto parlare già mesi prima. Noi stessi avevamo ipotizzato e analizzato questo tracciato, ma oggi siamo andati oltre: l’analisi l’abbiamo fatta con Luca Mozzato, atleta dell’Arkea-B&B Hotels, che non era al Tour ma sul lettino del massaggio al Tour de Wallonie, dove tra l’altro oggi ha ottenuto un incoraggiante quinto posto.

L’anello olimpico misurava 18,4 chilometri. La salita di Montmartre da ripetere due volte, arrivava dopo circa 240 chilometri. L’anello stavolta invece misurava 16,7 chilometri, arrivava dopo appena una settantina di chilometri, ma anche dopo tre settimane. Differenze non da poco.

Differenze che sottolinea parecchio Mozzato. Luca ha corso le Olimpiadi di Parigi 2024 e, tra quello che ha sentito sotto le ruote e quello che ha visto oggi in televisione, ci aiuta a capirne di più.

Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Luca, cosa ti è sembrato di questo finale parigino?

L’obiettivo del Tour è stato centrato. Prima, nella tappa finale, c’era suspense solo negli ultimi 15 chilometri che portavano alla volata. Adesso c’è stata un’ora abbondante di battaglia.

Ma secondo te la pioggia lo ha un po’ limitato questo spettacolo?

Non direi dal punto di vista tecnico, magari è cambiato qualcosa dal punto di vista del pubblico. Forse c’era qualcuno meno a bordo strada o non ci è rimasto così a lungo. Anche se poi sulla salita il colpo d’occhio era eccezionale.

Che circuito è questo, Luca? Tu ci hai corso alle Olimpiadi, in un altro contesto, con altre temperature e un gruppo ristretto. Ti è sembrato molto diverso?

La parte che era veramente uguale alla fine era quella di Montmartre: l’attacco, la salita e la discesa. Perché poi, per il resto, era completamente diverso. Poi un conto è farlo in una corsa di un giorno e un conto è farlo al termine di una gara di tre settimane, con le energie al lumicino. E per come è andata la tappa è stato come ritrovarsi a correre una classica. Perché di fatto è stata quasi una classica. E non è facile per le gambe degli atleti. Anche tatticamente è difficile fare un paragone tra quella gara e quella di oggi.

L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
Una cosa che abbiamo notato è che Pogacar stava sempre un po’ più lontano rispetto a chi lo precedeva…

Li ho visti affrontare le curve con tanta attenzione, soprattutto in frenata. Bisogna essere molto delicati, sentire proprio la frenata e la ruota, perché era scivolosissimo, specie con tutto quel pavé. E’ vero, Pogacar si teneva più lontano rispetto agli altri, ma il motivo è semplice: lui aveva molto da perdere. Comunque, okay la neutralizzazione del tempo, ma la bici la devi portare all’arrivo. Quindi okay rischiare, ma non oltre il limite. Gli altri erano lì per la vittoria di tappa e si giocavano il tutto per tutto. Poi bisogna considerare un’altra cosa.

Quale?

Che in una grande metropoli come Parigi, tra smog, polvere, foglie, le strade sono sempre un po’ più scivolose. E con questo bagnato e lo sconnesso degli Champs Elysées tutto diventa più insidioso. Per me Tadej ha fatto bene a non prendere rischi eccessivi.

Il momento decisivo. Terza tornata. Pogacar affonda il colpo, Van Aert sulla destra spinge ancora più forte
Rispetto a Parigi 2024, tu mi hai detto che il circuito era un po’ diverso: in cosa?

Alle Olimpiadi la parte in asfalto aveva molte più curve, e una sezione era veramente tecnica prima di prendere la salita. Qui invece, dopo l’Arco di Trionfo, era più lineare. Ma ripeto: sono due corse del tutto differenti.

Come li hai visti guidare?

Con attenzione. Vista la situazione, non mi è sembrato di vedere qualcuno che abbia preso più rischi del dovuto. Le uniche due discese veramente fatte a rotta di collo sono state quella di Matej Mohoric e quella finale di Van Aert. Lì bisognava davvero rischiare: Mohoric per rientrare, Van Aert per allungare. Con i sampietrini bisogna essere sensibili. Mai essere bruschi sui freni: il rischio di bloccare la ruota è un attimo.

Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Pogacar ci ha rimesso di più con la pioggia? Senza contare che Van Aert è anche più pesante di lui, e ai fini della trazione non era poco…

Un po’ sì, ma alla fine mi è sembrato vederlo aver speso un po’ di più nel corso di questa giornata. Proprio per non prendere rischi ha preso più aria degli altri e del necessario. E’ rimasto da solo presto al primo giro. Ha fatto lui la selezione e alla fine forse era un filo meno brillante: ma il gioco valeva la candela. Almeno queste sono mie sensazioni. Magari lui ci direbbe il contrario!

Era più duro questo o quello delle Olimpiadi?

Bisognerebbe farlo! Vedendo l’ultimo giro, questo è sembrato davvero tanto impegnativo. In fuga si staccavano pur essendo stati all’attacco per un’ora. I ritmi erano folli. Ma le due gare, ripeto, erano diverse e, come si dice, le corse le fanno i corridori. Io alle Olimpiadi ho sofferto, ma entrambi i percorsi erano selettivi. E il fatto che sia arrivato un atleta in solitaria vuol dire molto.

Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande
Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande

La firma (e la fiducia) di Wout

Il Tour de France si archivia quindi con la vittoria – bella e meritata, lasciatecelo dire – di un grandissimo campione. Alla fine, se ci si pensa, Wout Van Aert si è portato a casa i due arrivi simbolo di Giro e Tour: Siena e Parigi. Le lacrime della moglie al traguardo, il suo essersi “nascosto” sulle Alpi (almeno rispetto ai suoi standard), la dicono lunga su quanto e come avesse preparato questo assalto.

«E’ stata una giornata unica – ha detto Van Aert – E’ davvero speciale poter vincere di nuovo sugli Champs Élysées, per la prima volta con la salita di Montmartre nel finale di tappa.
Le condizioni a Parigi erano difficili. La pioggia rendeva la corsa rischiosa, ma la mia squadra ha continuato a credere in me».

«Ci abbiamo provato più volte durante questo Tour, anche ieri, ma non sempre sono stato bene. La parte più difficile in questi giorni è stata mantenere la fiducia in me stesso. Per fortuna le persone che avevo intorno continuavano a crederci. Anche oggi i ragazzi non hanno perso fiducia nelle mie capacità. Siamo riusciti a controllare la tappa. Sull’ultima salita ho dato il massimo: era il nostro piano anche prima della partenza, e ha funzionato».

Pogacar e Milan: motori diversi, ma la benzina è la stessa

27.07.2025
8 min
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NANTUA (FRANCIA) – Il Tour de France si accinge a vivere l’ultima tappa dopo tre settimane faticose e veloci. Abbiamo avuto la sensazione di una Boucle estenuante, impressione avvalorata quando si guardano i corridori nel fondo degli occhi. Sono stanchi, anzi stanchissimi. Ci siamo chiesti in che modo abbiano vissuto questa immensa sfida due corridori agli antipodi per fisicità e attitudini: Tadej Pogacar (il più forte di tutti) e Jonathan Milan (il più veloce). Entrambi sono andati così bene da essere stati sino all’ultimo in lizza per la maglia verde.

Tadej Pogacar ha 26 anni, corre al UAE Team Emirates, è alto 1,76 e pesa 66 chili. Jonathan Milan ha 24 anni, corre alla Lidl-Trek, è alto 1,96 e pesa 87 chili. Non potrebbero esistere due corridori più diversi e allora, parlando con i loro nutrizionisti, abbiamo cercato di capire quanto sia stato diverso anche il loro approccio nutrizionale con la corsa. Scoprendo che, al netto dei centimetri e dei chili, le differenze non sono poi così abissali. E questo è strano.

Gorka Prieto, spagnolo classe 1990, è il nutrizionista del UAE Team Emirates
Gorka Prieto, spagnolo classe 1990, è il nutrizionista del UAE Team Emirates

Quanto consuma Pogacar

Gorka Prieto è il nutrizionista del UAE Emirates e dice che da uno come Pogacar si impara tantissimo. E sei nei primi tempi della loro collaborazione, lo sloveno non seguiva alla lettera le sue dritte, ora è molto attento.

«Il consumo calorico – dice – ovviamente dipende dalla tappa e dal ruolo del corridore. Nella tappa di Hautacam, Tadej ha vinto, ma forse Nils Politt ha consumato anche più carboidrati di lui. Ha tirato a lungo e magari ha avuto un calo maggiore, dato che ha faticato più degli altri. Non è detto però che il corridore più forte sia quello che consuma di meno: anche Tadej ha bisogno di tanti carboidrati. In quella tappa è andato con 120-130 grammi ogni ora. A colazione ne avevamo messa una quota superiore e così anche nel recupero. Si guardano subito i file, si aggiusta la cena e si guarda la strategia alimentare per il giorno successivo. Non si devono guardare solo i carboidrati, in realtà, anche se si parla sempre di quelli. Bisogna anche avere un piano giusto con le calorie, con le proteine e tutto il resto». 

Marco Sassi, classe 1997, è da un anno nutrizionista della Lidl-Trek (@hardyccphotos)
Marco Sassi, classe 1997, è da un anno nutrizionista della Lidl-Trek (@hardyccphotos)

Quanto consuma Milan

Marco Sassi è il nutrizionista della Lidl-Trek. Per esprimere la sua enorme potenza, Milan deve arrivare ai finali avendo ancora delle riserve e senza aver speso tutto per portare in giro il suo peso.

«E’ sempre complicato gestire un Grande Giro – spiega Marco Sassi, nutrizionista della Lidl-Trek – perché non c’è tempo di fare grandi ricarichi di carboidrati. Ogni tappa comporta un consumo variabile di glicogeno muscolare, quindi bisogna sempre tenere i carboidrati alti. Vista la corporatura di Jonathan, che gli impone dei dispendi molto elevati, diventa fondamentale sia la nutrizione in bici sia riuscire a raggiungere il target calorico nel resto della giornata. Un altro aspetto fondamentale è la regolarità gastrointestinale, perché lo stomaco e l’intestino nell’arco delle tre settimane di gara sono messi sotto forte pressione. Per questo è necessaria una attenta gestione delle fibre. Si danno alimenti che possano favorire il recupero, ma anche la salute gastrointestinale».

Non solo i carboidrati nelle borracce: il serbatoio di Milan prevede anche l’uso di gel
Non solo i carboidrati nelle borracce: il serbatoio di Milan prevede anche l’uso di gel

Il metabolismo di Pogacar

«Si fanno tanti test – prosegue Gorka – per capire il metabolismo di ogni atleta, in base ai quali possiamo capire quanto consumerà in corsa. Pesiamo Pogacar il mattino prima della tappa e dopo l’arrivo per valutare la disidratazione. Sappiamo quanto peso perde e da cosa è composto. Si fa il rapporto fra carboidrati e liquidi, si guarda il resto che può aver perso e si lavora per colmare la differenza. Il recupero inizia dopo l’arrivo. Prima il Magic Cherry all’amarena, Poi mangia il recovery e per cena abbiamo pasti diversi preparati dai nostri chef. E’ tutto pesato, non c’è neanche un grammo in più. Ognuno ha il suo, il ciclismo di vertice è adesso così. La verifica successiva ovviamente non si fa dopo cena, ma la mattina dopo, prima di ripartire. Quindi va bene se al risveglio Tadej ha una quantità di liquido ancora da assumere: lo farà a colazione e il recupero sarà completo».

Il metabolismo di Milan

«Per il suo metabolismo – dice Marco Sassi – Jonathan tende ad asciugarsi tanto, ma dato che i carboidrati per ora hanno un limite, accumula un deficit calorico importante al termine di ogni tappa. Non è sempre facile raggiungere il bilancio energetico ed è l’aspetto più delicato. Bisogna evitare che dopo due settimane, il corridore arrivi con il collo tirato, quindi bisogna sempre monitorare la situazione. Per fortuna riusciamo a calcolare con precisione il dispendio energetico in base alla lettura del powermeter. In questo modo possiamo fare una stima abbastanza corretta del dispendio calorico. E poi, al termine della tappa, possiamo valutare e confrontare la stima che avevamo previsto in base a quello effettivo. Così, se necessario, possiamo rivalutare i passi successivi. Tra i fattori di cui tenere conto nel suo caso, c’è anche quello mentale, perché le pressioni incidono. Poi per fortuna è arrivata la vittoria di tappa che ha dato un senso a tanto spendere».

Lo scatto verso Hautacam: difficilmente vedrete Pogacar mangiare sulla salita finale
Lo scatto verso Hautacam: difficilmente vedrete Pogacar mangiare sulla salita finale

Pogacar, borracce e granite

«Le borracce alla partenza sono sempre due – spiega Gorka – ci sono i carboidrati, ma anche gli elettroliti che Enervit fa per noi. Nelle giornate calde, si guardano il meteo, la temperatura, il vento e l’umidità e poi si decide dove mettere le borracce. Se è molto caldo, a volte diamo semplicemente acqua perché possano buttarsela addosso, per abbassare la temperatura del corpo. Quando fa caldo, è importante anche un occhio alla termoregolazione. Ma se si tratta di bere, allora solo l’acqua non basta. La composizione della borraccia si decide ogni giorno in base al tipo di percorso. Se c’è una tappa piatta, bastano 30 grammi di carboidrati nella prima borraccia ed elettroliti nell’altra. Se la tappa è più impegnativa, ricorriamo anche alle granite, che sono come dei ghiaccioli con i carboidrati dentro. Capita che Tadej si ritrovi in salita senza borraccia. Se vede che ha mangiato tutto e la borraccia pesa mezzo chilo, magari sceglie di essere più leggero. Perché sa che in cima gli daranno una borraccia e anche un gel».

Milan, ricecake e borracce

«Ormai si usano praticamente soltanto alimenti tecnici – conferma Sassi – che siano liquidi o anche solidi. Enervit ci offre una gamma piuttosto vasta che ci permette di incontrare il gusto di tutti, senza annoiare troppo il corridore. Magari si usano le classiche ricecakes, però principalmente nel pre corsa, come ultimo snack. Quando si va al via, Milan ha due borracce e sta a lui scegliere se avere 30 o 60 grammi di carboidrati. Lungo il percorso diamo sempre la scelta tra acqua e una borraccia che contenga almeno 30 grammi di carboidrati. E’ una questione variabile, anche in base alla temperatura e alla sudorazione. Se la tappa è particolarmente calda, si berrà di più, quindi si prendono più borracce di acqua o comunque meno concentrate al livello dei carboidrati. Anche perché nella conta dei carboidrati vanno considerati anche i gel».

L’acqua semplice, in corsa e dopo, serve a Pogacar per la termoregolazione: nelle borracce ci sono sempre carbo ed elettroliti
L’acqua semplice, in corsa e dopo, serve a Pogacar per la termoregolazione: nelle borracce ci sono sempre carbo ed elettroliti

Arrivo in salita: in finale non si mangia

«Quando ci sono più salite – dice Gorka Prieto – abbiamo sempre due persone dello staff all’inizio e due alla fine. Abbiamo diversi prodotti energetici, che contrassegniamo con una sola X oppure con due X. Cambia la quantità di carboidrati per ogni borraccia, quindi nelle tappe impegnative mettiamo le borracce con più carboidrati. Tadej ha un target ben chiaro di quello che deve mangiare per ogni ora. Può essere che faccia poco più o poco meno, ma difficilmente sbaglia. Sa che deve mangiare prima che cominci la salita, in modo che quando poi attaccherà o dovrà rispondere agli attacchi, avrà già dentro quello che serve. Non si vede mai un corridore che scatta e poi prende un gel. Per cui anche se l’ultima salita dura 40 minuti e lui deve attaccare, la quantità rimane la stessa di 120-130 grammi per ora».

La volata inizia due giorni prima

«Se c’è una volata – spiega invece Sassi – si ragiona partendo da un paio di giorni prima. Il pasto all’immediata vigilia della gara deve essere molto digeribile, perché lasci per tempo lo stomaco e non dia problemi di appesantimento, visto che spesso c’è stato da fare il traguardo volante molto vicino alla partenza. Durante la gara si cerca di mantenere i livelli più possibile alti, senza rischiare di incorrere in problemi gastrointestinali. Semmai per avere un boost ulteriore, può capitare di dare un gel con la caffeina, oppure del bicarbonato o altri tamponi nel pre gara. Più si va verso il finale, si prediligono cibi liquidi. Le barrette, pur molto digeribili, si riservano alla prima parte di gara. Nei finali, anche se è frequente vederli assumere un gel negli ultimi 20 minuti di gara, quel che prevale è la suggestione di aver preso degli altri carboidrati. Può esserci un vantaggio psicologico: sappiamo infatti che oltre all’effetto sui livelli di glucosio, avere dei carboidrati nella bocca fa sì che gli appositi recettori mandino un segnale al cervello che recepisce l’energia in arrivo, anche se poi non è ancora totalmente in circolo».

La vittoria di Milan a Laval: lo sprint richiede energia disponibile anche dopo 4 ore di corsa
La vittoria di Milan a Laval: lo sprint richiede energia disponibile anche dopo 4 ore di corsa

I carbo uguali per tutti

La chiusura la affidiamo a Marco Sassi, per amore di bandiera e per tirare le somme di un confronto che più improponibile non potrebbe essere e ha invece evidenziato che puoi essere uno scalatore o un vero gigante, eppure la quota carboidrati è identica.

«Jonathan è una bomba – sorride – ha un motore enorme. Avendo inoltre una massa da atleta, non al minimo come gli scalatori ma comunque da ciclista, consuma veramente tanto e in alcune tappe arriviamo tranquillamente a superare le 7.000 calorie. Diventa una bella sfida riuscire a coprire tutte queste calorie ed è il motivo per cui non si può pensare di fare tutto in una sola giornata, ma bisogna partire prima. Dovrebbe mangiare più carboidrati in corsa, dato che ne consuma come Pogacar ed è grande il doppio? Non ci sono troppe evidenze che la quota di carboidrati dipenda dal peso. Sappiamo che a livello intestinale si può raggiungere una certa quantità. Il bello sta nel portare questo limite ancora oltre, ma non c’è proporzionalità diretta. Probabilmente è vero che una corporatura maggiore riesce ad assorbire un po’ di più, ma la parte maggiore la fanno la genetica e quanto il soggetto si sia allenato per questo tipo di assunzione».

Il bis di Arensman, per merito e grazia ricevuta

25.07.2025
5 min
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LA PLAGNE (Francia) – «Ho cercato di guardarmi dietro il meno possibile – dice Arensman – perché non è proprio necessario. Rischi solo di distrarti. Avevo la radio e mi dicevano che il vantaggio era più o meno stabile sui 30 secondi. Ma ho preferito non fidarmi e ho seguito il mio istinto. Mi sono concentrato solo sul traguardo, perché comunque non posso influenzare le gambe degli altri. Potevo solo andare il più veloce possibile, lottando contro il mio corpo. E’ l’unica cosa che si possa fare in quei momenti. Guardare avanti, mantenere una buona cadenza e dare il massimo per arrivare al traguardo. E’ quello che avrei dovuto fare e che ho fatto. E ne sono davvero orgoglioso».

Che cosa vogliamo fare? Ma Vingegaard non risponde e Pogacar smette di tirare
Che cosa vogliamo fare? Ma Vingegaard non risponde e Pogacar smette di tirare

Una partita di scacchi

Thymen Arensman, olandese di 25 anni in maglia Ineos Grenadiers, conquista la seconda tappa del suo Tour, dopo quella di Superbagneres. In realtà non si capisce quanto sia stato per il suo enorme merito e quanto per l’indulgenza degli inseguitori. La sensazione, in questo pomeriggio freddo e bagnato sulle Alpi francesi, è che Pogacar non fosse forte come al solito e che, in aggiunta, non abbia voluto servire la vittoria a Vingegaard che gli è rimasto a ruota per tutto il giorno. Avrebbe lasciato vincere anche Lipowitz, ma non il danese. Amici mai, lo abbiamo scritto a inizio Tour, e oggi se ne è avuta la conferma. La maglia gialla sembrava voler vincere e ha anche attaccato. Ma quando si è accorto di non poter fare il vuoto, ha chiuso sul primo allungo di Arensman e poi si è concentrato sul suo primato.

«Oggi abbiamo cercato di puntare alla tappa – dice Pogacar, infreddolito e stanco – perché ci sentivamo forti. Siamo stati bravi nel tenere la corsa, poi ci siamo accorti che alcuni corridori pensavano di potersela giocare allo sprint dopo una salita di 19 chilometri. Nessuno ha voluto tirare. Così ho fatto un attacco e ho pensato che con Jonas saremmo potuti arrivare in cima, ma Arensman era lì e oggi si è rivelato il più forte. Io ho cercato di impostare il mio ritmo. Ovviamente sono stanco, non è semplice essere attaccato dal primo all’ultimo giorno ed essere sempre concentrato e motivato. La priorità è la maglia gialla, quindi alla fine contavo i chilometri. Andavo avanti con la testa e speravo che nessuno mi attaccasse. E’ presto per parlare di una vittoria nella tappa di Parigi, sono abbastanza sfinito».

Pogacar non era al meglio, ha pensato alla classifica e incoronato Arensman
Pogacar non era al meglio, ha pensato alla classifica e incoronato Arensman

Il rilancio di Arensman

A fine 2022, Arensman aveva lasciato il Team DSM in direzione Ineos, con la convinzione che potesse diventare uno dei talenti per i Grandi Giri. In realtà le cose non sono andate come lui per primo si aspettava, ma questa seconda vittoria scattando dal gruppo dei migliori riaccende un riflettore che sembrava definitivamente buio.

«Forse ora posso avere un po’ più di fiducia nelle mie capacità – dice – so che posso vincere due tappe al Tour e ho la stoffa per essere tra i migliori. Ma sono anche un essere umano, ancora vivo e vegeto, ho i miei limiti e faccio del mio meglio. La tappa di oggi è una bella spinta per pensare nuovamente a una classifica generale. Non sono tanto le due tappe, quanto piuttosto come mi sono preparato dopo la caduta al Giro e in vista del Tour (Arensman era caduto facendosi male a un ginocchio nella tappa di San Valentino, ndr). Come mi sono preso cura del mio corpo, le scelte che ho fatto, la preparazione adottata con il mio allenatore. Abbiamo cambiato alcune piccole cose in questa stagione. Sono più calmo. Ho più fiducia in me stesso e nel processo. E penso che siano le cose principali che porto con me per i prossimi anni della mia carriera. Sono orgoglioso di questi cambiamenti, perché sembra che stiano funzionando».

Tra forza e astuzia

Il primo scatto rientrando da dietro ha avuto vita breve. Lo sloveno infatti aveva ancora in testa di vincere e ha chiuso facilmente il buco. Arensman lo ha guardato e ha capito che fra lui e Vingegaard non ci fosse grande feeling. Così si è spostato sul lato sinistro della strada ed è scattato ancora. Questa volta Pogacar si è guardato alle spalle, ha percepito l’assenza di reazione e ha lasciato fare.

«Sentire che Pogacar ha detto che sia stato il più forte – sorride – è un complimento davvero bello. Non riesco a sentire le sue gambe, ma sono sicuro che avesse e abbia ancora voglia di vincere un’altra tappa al Tour. Forse, se avesse avuto la forza giusta, avrebbe attaccato lui. Alla fine credo che fossero molto vicini a me, ma anche io avevo anche delle buone gambe e ho cercato di giocare d’astuzia. So che Jonas e Tadej a volte si guardano, così ho cercato di attaccare ancora e alla fine è stata la decisione giusta».

Neanche il tempo di arrivare e alle spalle di Arensman è piombata la maglia gialla
Neanche il tempo di arrivare e alle spalle di Arensman è piombata la maglia gialla

Il filo del passato

Si percepisce la voglia di essere là davanti e la fatica mentale di quando non ci riesci per così tanto tempo. Ritrovarsi a lottare contro Pogacar (sia pure in una posizione lontanissima di classifica) ha riacceso in Arensman dei ricordi che credeva sepolti.

«La prima volta che ho incontrato Tadej – racconta –  è stato durante il Tour de l’Avenir del 2018, quando arrivammo primo e secondo in classifica generale. Capii subito che è un corridore davvero speciale, un talento davvero grande. Io ero al secondo, lui al primo anno da under 23 e non mi aspettavo davvero che sarebbe diventato così forte. Ma fu davvero bello, per un diciottenne e un diciannovenne, sfidarsi in quella grande corsa. E ora sono qui al Tour de France, il mio primo Tour de France e ho già vinto due tappe. Se ripenso a quei giorni e mi rivedo oggi, è tutto molto speciale. E’ come un filo che si riallaccia e che ora finalmente potrò seguire».

Il piano della Visma è come lo yeti: nessuno l’ha ancora visto

24.07.2025
6 min
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COURCHEVEL (Francia) – C’era curiosità. Il piano tanto a lungo sbandierato dalla Visma-Lease a Bike prometteva una battaglia senza quartiere nella tappa regina di questa edizione. Con 5.642 metri di dislivello, c’erano tutto il tempo e il terreno per sferrare un vero attacco a Pogacar. Già da qualche giorno, la maglia gialla correva con insolita cautela. Se Vingegaard fosse riuscito a portargli via una manciata del suo vantaggio, la tappa di domani avrebbe avuto un’attesa stellare e l’interesse attorno al Tour sarebbe stata superiore.

La Visma ha preso in mano la corsa a metà della Madeleine. Vingegaard ha provato poi un solo scatto
La Visma ha preso in mano la corsa a metà della Madeleine. Vingegaard ha provato poi un solo scatto

Il piano della Visma

In realtà non è successo nulla di tutto questo. Gli olandesi hanno tentato un affondo a metà della Madeleine, ma lo scatto di Vingegaard non ha costretto Pogacar neppure ad alzarsi sui pedali. Ci aspettavamo che lo doppiasse e poi facesse il terzo. Invece Jonas si è rimesso seduto con il suo passo. Se quello era il suo modo di mettere a rischio il secondo posto pur di vincere, forse domani farà bene a tenersi stretto il piazzamento.

Nel fondovalle, il gruppo della maglia gialla è andato così piano da far rientrare gli staccati. E quando si sono ritrovati sulla salita di Courchevel, gli unici segni di vita si sono segnalati nel tratto più alto. Prima con il secondo scatto di giornata da parte di Vingegaard, poi con il giusto ceffone da parte di Pogacar.

«Sono super felice e orgoglioso di come abbiamo corso oggi», dice la maglia gialla, cui riferiscono che Vingegaard lo avrebbe visto tirato dopo l’arrivo. «Il Tour non è ancora finito – prosegue – mancano ancora tre giorni. Proverò a fare del mio meglio domani, dopodomani e poi a Parigi per mantenere il mio vantaggio sino alla fine. Era tutto sotto controllo, siamo andati benissimo. La Visma ha provato il tutto per tutto sulla Madeleine, ma sono arrivato senza problemi. Il Col de la Loze è difficile a prescindere dagli avversari, ma ho avuto un grande supporto dalla squadra. Alla fine non c’è stato troppo stress, speriamo di avere la stessa situazione domani perché probabilmente ci proveranno ancora».

Sul podio Pogacar è parso contento come dopo una vittoria: una tappa in meno verso Parigi
Sul podio Pogacar è parso contento come dopo una vittoria: una tappa in meno verso Parigi

Un leader diverso

C’è qualcosa di nuovo in questo Pogacar. Che sia stanco o non abbia più tanta voglia di stupire, di colpo il cannibale giallo si è trasformato in un leader vecchio stampo e si è messo a regalare tappe in giro. Ieri a Valence ha risposto per le rime a Thomas Voeckler che in diretta televisiva aveva accusato la sua squadra di correre in modo arrogante. Tadej ha preso la parola e ha spiegato che un conto è essere arroganti e un altro correre per vincere la maglia gialla. Poi ha invitato il cittì della nazionale francese a darsi una regolata, scusandosi con ironia se l’invito fosse suonato… arrogante.

Si sono fatti i paragoni con Indurain e il suo modo signorile di gestire il comando. Non si è considerato che sua maestà Miguel crebbe come gregario di Delgado e vide in che modo i vecchi capitani gestivano la corsa. E quando a sua volta arrivò a vincere il Tour, aveva già trent’anni e un’esperienza da campione navigato. Pogacar a 21 anni era già sul podio della Vuelta e a 22 ha vinto il primo Tour: da chi poteva prendere esempio se non da se stesso? Con l’impeto dei vent’anni, non c’è stato un solo giorno in cui non abbia voluto vincere. Invece le sue parole sul Ventoux, quando si è quasi commosso assistendo alla telefonata a casa di Paret Peintre che aveva appena vinto, fanno capire che probabilmente anche lui sta diventando grande. Che a 27 anni ha capito che il gruppo è composto da persone e non solo da avversari. Anche se questo probabilmente rischia di rendere il suo Tour meno elettrizzante.

Quando ha capito che Vingegaard aveva finito la spinta, Pogacar è scattato guadagnando altri 9 secondi
Quando ha capito che Vingegaard aveva finito la spinta, Pogacar è scattato guadagnando altri 9 secondi

Stanco e infastidito da tutti

Gli chiedono: qualcuno una volta ha detto che si affronta il Tour de France con tanta voglia di vincere e poi, a un certo punto della corsa, verso la terza settimana, non si vede l’ora che finisca. E’ così che ti senti ora?

«Esatto, è il classico momento – risponde – in cui mi chiedo perché sia ancora qui. Queste tre settimane sono davvero lunghe. E allora mi metto a contare i chilometri fino a Parigi e non vedo l’ora che finisca tutto. Posso fare anche altre belle cose nella mia vita, ma cerco di godermi il più possibile ogni giorno in bici, anche se è dura. I tifosi aiutano, quindi è comunque bello pedalare anche nella terza settimana, quando sei stanco e infastidito da tutti quelli che ti circondano e vorresti solo tornare a casa. Così alla fine, quando affronti queste grandi salite e la gente ti incoraggia e ti dà una motivazione in più, ti rendi conto che non è poi così male essere qui. Soprattutto se hai buone gambe, che rende tutto piuttosto bello».

Il talento di O’Connor

La tappa l’ha vinta Ben O’Connor, che sorride come un bambino, dopo un inizio di stagione in cui non è mai riuscito ad andare come voleva e un inizio di Tour non proprio esaltante. Per essere stato secondo alla Vuelta e poi anche ai mondiali dello scorso anno, lui per primo si aspettava di più passando alla Jayco-AlUla.

«Il Tour è una gara piuttosto crudele – dice – nei primi due giorni mi sono ritrovato a terra un paio di volte, ma non per colpa mia. A Copenaghen tre anni fa, la stessa cosa. Per contro nel 2021 ho vinto e sono arrivato quarto in classifica. Quello che ho fatto oggi significa molto. Sono orgoglioso di me stesso e della squadra. Nella discesa della Madeleine ho avuto una piccola discussione con Matthew Hayman sull’ammiraglia. Volevo capire cosa fare, come avrei potuto vincere. Non avevo niente da perdere e sapevo che per vincere sarei dovuto partire dal fondovalle, possibilmente con Matteo Jorgenson che di quelli davanti era il più forte. Alla fine è andata così. 

«Per me vincere così, a fine Tour – conclude – è stato lo scenario perfetto. Siamo arrivati in fondo alla discesa e avevamo già bruciato quasi 5.000 calorie. E’ un’enormità e mancava ancora un’ora. Era una di quelle situazioni in cui so di essere bravo. Si trattava di gestire lo sforzo, anche quando ti sbarazzi del tuo compagno di fuga. Devi essere sicuro che attaccare sia la mossa giusta. Sono rimasto a lungo da solo, mi è capitato altre volte nella mia carriera, quindi penso di avere un buon talento nel capire quando attaccare e quando no. E sono tanto sollevato di esserci riuscito oggi e di aver dato la vittoria alla Jayco-AlUla».

Pogacar si congratula. Gli dice che hanno fatto una grande corsa e ribadisce di non aver corso per la vittoria quando la Visma si è messa ad attaccarlo. Gli sarebbe piaciuto vincere, annota, ma ha preferito difendere la maglia gialla. Forse però questo passo in più nel lungo viaggio verso Parigi si può ritenere a buon diritto una vittoria.

Aerostorm di Scicon, gli occhiali “futuristici” per tutti 

24.07.2025
3 min
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L’azienda veneta Scicon (che fornisce gli occhiali, tra gli altri, a Tadej Pogacar) ha nel suo ricco catalogo anche il modello Aerostorm. Anzi i modelli Aerostorm, perché oltre a quello classico è disponibile anche la versione Vista, pensata per alloggiare le lenti correttive. In ogni caso si tratta di occhiali studiati per la performance, con un’estetica grintosa fatta di angoli e forme geometriche dal sapore futuristico. Il tutto, naturalmente, avvalendosi di tecnologie di altissimo livello.

Design aggressivo e materiali di alta qualità, le parole d’ordine degli Aerostorm
Design aggressivo e materiali di alta qualità, le parole d’ordine degli Aerostorm

Lente torica e forme all’avanguardia

L’intenzione di Scicon con il modello Aerostorm è piuttosto chiara: creare degli occhiali con un design aggressivo (quasi futurista) con delle funzionalità all’avanguardia. Il telaio Monolith Optics si integra molto bene con la lente torica Space Vision Toric in policarbonato. A differenza delle lenti sferiche, grazie ai loro poteri rifrattivi le lenti toriche permettono di compensare l’irregolarità della forma dell’occhio e migliorare così la nitidezza della visione.

La lente degli Aerostorm (che dispone di una protezione UV400) incorpora il sistema di ventilazione VortexFlow. Si basa su delle aperture lunghe e strette sul bordo laterale e superiore, che prevengono l’appannamento anche a basse velocità. Infine molta attenzione è stata messa anche nella costruzione delle aste TactiGrip. Sono costruite in nylon con un motivo geometrico che riprende la forma spigolosa della montatura, mentre i terminali sono in morbido termopolimero TPE. 

In questa foto sono evidenti le sottili aperture laterali che prevengono l’appannamento
In questa foto sono evidenti le sottili aperture laterali che prevengono l’appannamento

Aerostorm Vista, la soluzione per tutti 

Come accennato all’inizio, Scicon ha prodotto anche il modello Vista. Ha tutte le caratteristiche degli Aerostorm, con in più però l’inserto ottico per lenti correttive chiamato Slidefit. L’inserto è compatibile sia con lenti monofocali che progressive che possono arrivare fino a 4 diottrie. Attenzione però: si tratta di un inserto che supporta le lenti, le quali non sono incluse. 

Come il modello precedente anche questo è stato progettato in Italia direttamente nell’Innovation Design Center dell’azienda, con una grande attenzione alla vestibilità. Infatti entrambi i modelli si avvalgono del programma 3D Face Fit, che assicura un’ottima vestibilità per quasi ogni tipo di volto. 

Il modello Vista, come suggerisce il nome, prevede un inserto per lenti correttive, aprendo l’utilizzo a tutti
Il modello Vista, come suggerisce il nome, prevede un inserto per lenti correttive, aprendo l’utilizzo a tutti

Peso, colori e prezzo

Gli occhiali Aerostorm sono disponibili in 10 colorazioni, dal rosa, all’oro al bianco. Il modello Vista invece, dal sito dell’azienda, è disponibile soltanto in nero fumè. Il peso per entrambe le versioni è interessante, solo 32 grammi. Il prezzo invece è diverso: 150 euro per gli Aerostorm e 200 euro per i Aerostorm Vista.

Scicon

Non il solito Pogacar, ma quanto basta per arginare Vingegaard

22.07.2025
7 min
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MONT VENTOUX (Francia) – Che sia stato per una crepa o un leggero malessere, la tattica del UAE Team Emirates è parsa subito insolita. Se Pogacar chiede di partire con la bici nera superleggera e poi lascia che la fuga guadagni sei minuti e chiede ai compagni un ritmo regolare, qualcosa forse non va. Abbiamo vissuto l’avvicinamento della corsa alle pendici del monte calvo seduti davanti al maxischermo sulla cima. Un panino comprato nell’ultimo bar, una felpa provvidenziale e lo sguardo fisso sulla corsa. Il vento non era violento come in altre occasioni, mentre tutto intorno lo sguardo si perdeva all’infinito facendo capire perché poeti e campioni abbiano trovato quassù la loro sublimazione.

I tifosi sloveni

La fuga guadagnava, solo il gruppo di Ben Healy alla fine è riuscito ad agganciarsi e dare la svolta al finale. Dietro, se non fosse stato per un’accelerata della Visma-Lease a Bike nell’avvicinamento alla salita, il margine sarebbe continuato a crescere. Pogacar non sta bene, abbiamo pensato, altrimenti sarebbe andato a riprendere tutti i fuggitivi. E così, nella disputa fra colleghi che parteggiano per l’uno o per l’altro, l’eventuale calo dello sloveno avrebbe significato il riaprirsi del Tour in vista delle Alpi. Solo che quando Vingegaard ha attaccato, l’altro gli si è incollato addosso. Pochi scatti, ben altra cosa rispetto a quello che sarebbe stato necessario. Tanto che quando Pogacar è scattato a sua volta, non è parso troppo provato. Non s’è tolto il danese di ruota, ma ha confermato ancora una volta che il suo è un livello a parte.

«E’ stato piuttosto difficile – dice quando tutto è finito e sul traguardo ha rifilato 2 secondi a Vingegaard – perché c’era solo una salita. Considerando che era la tappa dopo il giorno di riposo, sono molto contento di come l’ho affrontata e di aver mantenuto il vantaggio. Ho visto più bandiere slovene che sui Pirenei, penso che d’ora in avanti ce ne saranno tantissimi. Tifano anche Roglic e questo dà a entrambi un’energia in più. Quindi spero che nei prossimi giorni sulle Alpi, anche se il tempo sarà un po’ peggiore, avremo ancora le bandiere slovene alzate e che tiferanno per noi».

Violenti colpi di tosse

Un breve passo indietro. Ieri nell’hotel subito fuori Montpellier, passando casualmente accanto alla tavola in cui stavano mangiando i corridori della UAE, ci siamo accorti che proprio Tadej tossisse in modo violento. La notizia del ritiro mattutino di Van der Poel per problemi respiratori aveva acceso un allarme. Se davvero c’è qualcosa e gli avversari se ne accorgono, sul Ventoux per lui si farà dura.

«Fin dall’inizio della salita – prosegue Pogacar – sapevo che i corridori della Visma stavano bene e che avrebbero provato ad attaccare. Avevano un buon ritmo e noi ne abbiamo tenuto uno altrettanto buono, quindi sicuramente non hanno avuto tante occasioni per attaccare. In alcuni tratti ho sofferto, lo sforzo è stato intenso e le raffiche di vento si sono fatte sentire. Abbiamo lasciato andare la fuga perché non ci interessava vincere. Se avessimo voluto farlo, avremmo attaccato la salita con Adam Yates, invece abbiamo deciso di lasciare spazio. Anche se con gli scatti di Jonas e miei, ho pensato che li avremmo raggiunti. Si meritavano la vittoria. Mentre ci cambiavamo ho visto Paret Peintre, era super felice. Stava chiamando qualcuno ed è stato bello. E’ stata una giornata davvero dura dopo il giorno di riposo, ma ora sono motivato per i giorni successivi».

Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?
Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?

Vingegaard ci crede ancora

Il danese non ha vissuto il miglior finale di tappa. Dopo aver attaccato per staccare la maglia gialla e averne subito il ritorno, Vingegaard si è ritrovato anche per terra a causa di uno scontro fortuito con un fotografo. Si spiega perché di colpo gli addetti al servizio d’ordine siano diventati spietati e per muoverci abbiamo dovuto adottare tattiche da… uomo ragno.

«Un fotografo si è ritrovato davanti a me subito dopo il traguardo – racconta Jonas – e sono finito a terra. Credo che chi sta dietro al traguardo dovrebbe stare più attento… Mi sentivo davvero molto bene. Sono molto contento delle mie sensazioni oggi e degli attacchi che sono riuscito a sferrare. Certo, non ho recuperato tempo, ma è una grande motivazione per me. Volevamo mettere dei nostri corridori in fuga, la squadra è stata fantastica. Tutti hanno lavorato, hanno dato quello che avevano e mi hanno sostenuto completamente. Pogacar mi ha seguito in ogni attacco e così ho fatto io. Non credo di aver visto debolezze in lui, ma le mie sensazioni di oggi mi danno la motivazione e mi spingeranno a continuare».

La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts
La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts

La tappa migliore

Sulla stessa linea è il suo tecnico Marc Reef, uno che porta bene alla squadra. Quando c’è, di solto vincono. Lo incontriamo nella coda delle ammiraglie che si avviano lungo la corsia di evacuazione e si ferma per rispondere a qualche domanda.

«Eravamo e siamo ancora pronti per la battaglia – dice – siamo ancora molto fiduciosi. Jonas ha incitato i ragazzi a fare un ritmo molto alto e poi ha fatto un attacco davvero, davvero forte. Benoot era pronto più avanti e dopo di lui anche Victor (Campenaerts, ndr). Penso che continuare ad attaccare sia l’unico modo per creare ancora qualcosa e riguadagnare un po’ di tempo. Vogliamo lottare per ogni occasione che avremo. E’ stata la tappa migliore che abbiamo fatto finora e continueremo a mettergli pressione. Aver visto che oggi non è riuscito a staccarci accresce la nostra fiducia per le giornate che dovremo affrontare».

Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates
Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates

Raffreddore e aria condizionata

L’ultima parola è per Matxin, il responsabile tecnico della UAE Emirates, che aspettava proprio Pogacar per affrontare la discesa. Tutti gli altri sono andati in bicicletta, con il classico fischietto al collo, approfittando della strada chiusa con encomiabile zelo dalla Gendarmerie, che per certe cose è inimitabile.

«Non siamo voluti entrare nella lotta per la fuga – dice lo spagnolo – eravamo consapevoli che a un certo punto la Visma avrebbe iniziato a muovere le acque, dato che avevano cinque corridori, fra cui due scalatori. Ma noi abbiamo usato la testa. Potevamo anche controllare e cercare di vincere la tappa, ma avrebbe significato spremere tutti i corridori per un solo giorno. Alla fine abbiamo una priorità che è la maglia gialla, alla tappa si può anche rinunciare. La Visma ci proverà ancora, dovrà provarci ancora, per questo non è nostro interesse essere sempre i primi ad attaccare.

«Il raffreddore di Tadej? Ha avuto qualche fastidio per l’aria condizionata e per tutti questi cambiamenti dovuti al meteo degli ultimi giorni. Arrivi al podio che ci sono 15 gradi, poi il giorno dopo ne trovi 30 e in hotel hai l’aria gelida. Fa parte degli aspetti da tenere sotto controllo».

In sintesi, prima di salutarvi e darvi appuntamento a domani: se Pogacar sta bene, te ne accorgi perché attacca. Se invece non è al meglio, si mette buono in gruppo e lascia fare. Manca una settimana di Tour, mancano le Alpi dove probabilmente pioverà. L’obiettivo della maglia gialla è fisso su Parigi: le azioni plateali per ora sono sospese, in attesa di altre comunicazioni.