Il viaggio in rosa di Ulissi, tornato per un giorno bambino

20.05.2025
5 min
Salva

«Ma vi dico – fa Ulissi con la solita arguzia – da una parte mi hanno fatto prendere la maglia rosa nel giorno sbagliato. Dall’altra però devo dire che è stato il giorno giusto, perché arrivavo in Toscana. Quindi da una parte bene e da quell’altra un po’ meno, no? Però è stata veramente una bella emozione e del tutto inaspettata. Ero lì che pensavo alla tappa, poi è arrivata l’opportunità…».

Il Giro d’Italia va veloce e a volte rischia di scrollarsi di dosso con troppa fretta dei pezzi importanti di vita. La maglia rosa di Diego Ulissi, come quella di De Marchi quattro anni fa, è un frammento che sarebbe un peccato lasciar scivolare troppo indietro. Era il sogno del ragazzino passato professionista sedici anni fa e si è avverato quasi per caso in un giorno di primavera sulle strade marchigiane di Castelraimondo, dopo 113 chilometri di fuga. E’ durato poco: la tappa di Siena ha spostato le inquadrature altrove, ma i ricordi restano. Diego racconta, noi prendiamo appunti.

Forse qualche volta ci eri arrivato vicino…

Nel 2016 c’ero arrivato a 20 secondi. Il Giro era partito con la crono di Apeldoorn in Olanda e quando siamo arrivati a Praia a Mare, vinsi la tappa e mi ritrovai terzo a 20 secondi da Dumoulin. Ma quando l’ho avuta, quando mi è arrivata, è stata una bella emozione. Sono cresciuto guardando il Giro d’Italia. I ricordi delle prime gare che vedevo sin da piccolissimo coi miei nonni e il resto della famiglia sono del Giro di Italia. Quindi ritrovarsi a vestire il simbolo del primato è stato qualcosa di molto forte.

Come è stato vestirsi la mattina per la tappa?

Mi guardavo allo specchio, con il mio body rosa e anche il casco. Cercavo di essere impeccabile, ma sapevo che l’avrei indossato solo quel giorno. Perché potessi tenerla, doveva venire una tappa di studio, che nel ciclismo attuale è impossibile. Sapevo che si sarebbero fatti la guerra. Il problema grosso è che avevo speso tantissimo il giorno prima, mi sentivo stanco…

E’ vero che la gente riconosce di più la maglia rosa? Ti chiamavano più del solito durante la tappa?

E’ davvero così e forse per il fatto che si entrava in Toscana, ho sentito un grande affetto da parte delle persone. Però l’emozione più grande l’ho avuta quando me l’hanno consegnata sul podio.

A Siena hai riconosciuto i tuoi tifosi?

Sì, c’era tanta gente che conoscevo. Tifosi partiti da Donoratico e dalle mie zone. In Toscana ho dato i primissimi colpi di pedale, è la mia terra, ci sono cresciuto.

Van Aert ha trovato ad accoglierlo sua moglie e i figli: Arianna era a Siena?

No, volete ridere? Arianna era venuta al Giro, ma è ripartita il giorno prima. Ha fatto in tempo a vedere che avevo preso la maglia rosa, ma quando l’ho chiamata appena arrivato sul bus, era già in viaggio. Diciamo che non era previsto.

In effetti ci hanno raccontato del silenzio in attesa che arrivasse il gruppo…

Prima di tutto non mi ricordavo esattamente il ritardo che avevo dalla maglia rosa Roglic, quindi non sapevo bene quale fosse il limite del gruppo. Per questo mi sono affidato ai ragazzi che ti devono portare sul palco e guardavo loro. Erano lì e aspettavano che arrivasse la conferma via radio, poi mi hanno fatto una specie di countdown. E quando ho visto che il tempo era scaduto e il gruppo ancora non arrivava, ho capito di aver preso la maglia rosa ed è stato bello.

In Piazza del Campo, 42° a 5’10” assieme a Fortunato, il saluto di Ulissi al pubblico e alla rosa
In Piazza del Campo, 42° a 5’10” assieme a Fortunato, il saluto di Ulissi al pubblico e alla rosa
Vuoi dire che sei a posto e il tuo Giro potrebbe finire qui?

No, neanche un po’, mi conoscete. Sapete che quando parto, soprattutto in una gara importante come il Giro d’Italia, io punto a vincere. L’altro giorno ero in fuga per cercare la vittoria di tappa, per cui adesso l’obiettivo mio e di tutta la squadra è cercare l’occasione giusta per giocarsela. Sono immensamente felice dell’obiettivo raggiunto, di aver vestito la maglia rosa. Però, insomma, ci sono ancora tanti giorni davanti. Le gambe ci sono, quindi bisogna provarci.

EDITORIALE / Ayuso, Del Toro e il miraggio del posto fisso

19.05.2025
4 min
Salva

Una volta per soldi si andava via, oggi per soldi si resta. La storia del ciclismo è piena di ottimi corridori diventati gregari di corridori ancora migliori che, a un certo punto, allettati dalla corte di altre squadre, cambiarono maglia. Di solito succede nelle squadre dei dominatori, che amano circondarsi di super gregari. Ayuso e Del Toro diventeranno dunque la trama di romanzo giallo? La foto di apertura si riferisce ai giorni felici della Tirreno-Adriatico, anche se non c’è dubbio che per la conferenza stampa di oggi alle 15 la UAE Emirates avrà rimesso ogni tassello al suo posto. Quanto accaduto ieri (al pari di quanto accaduto all’ultimo Tour nel giorno del Galibier) ha dato però da pensare.

Se nasci e cresci vincente, accettare di fare il gregario è certamente remunerativo, ma calpesta la tua indole. Se però accetti di stare al gioco, allora devi rispettarne le regole. Altrimenti vai via. La storia insegna che raramente chi parte riesce a battere colui per il quale ha lavorato, se non altro tuttavia avrà vissuto mesi e anni di progetti e sensazioni forti.

Sul podio per la prima maglia rosa della carriera, ma Del Toro non sprizza felicità
Sul podio per la prima maglia rosa della carriera, ma Del Toro non sprizza felicità

Fra corridori e agenti

Certo deve esserci affinità di vedute fra gli atleti e chi li rappresenta. Il ciclismo è un lavoro e deve dare da mangiare, meglio se in abbondanza. L’abbondanza infatti riguarda le tasche del corridore e in percentuale variabile quelle del suo agente. C’è solo da capire se la molla dello sportivo sia unicamente il guadagno oppure esista ancora la voglia di arrivare al vertice e vincere. La sensazione è che ai giovani più talentuosi venga ormai prospettato il guadagno sicuro e prolungato, togliendo dal mazzo o banalizzando il risvolto della medaglia. Che diventa invece insormontabile a causa di clausole rescissorie sempre crescenti.

Diciamo questo pensando alla situazione che si sta vivendo al UAE Team Emirates. E’ legittimo blindare Tadej Pogacar con un contratto fino al 2030. E’ anche comprensibile, da parte della squadra, tenersi stretti Ayuso (fino al 2028), Del Toro (2029), Christen (2030), Adam Yates (2028), Almeida (2026), Morgado (2027). Siamo certi tuttavia che i corridori siano consapevoli di cosa significhi legarsi così a lungo ad un super team in cui le strade sono obiettivamente poche?

Già alla Tirreno, quando Del Toro ha lavorato sodo per Ayuso, si è capito che il messicano sia in fortissima crescita
Già alla Tirreno, quando Del Toro ha lavorato sodo per Ayuso, si è capito che il messicano sia in fortissima crescita

Le tattiche chiare

Ayuso non si è mai rassegnato del tutto a fare il gregario di Pogacar, tanto da aver mandato a memoria un paio di risposte standard per quando gli chiedono dei suoi rapporti con lo sloveno. L’ultima dopo l’arrivo di Tagliacozzo: «Non vedo Tadej da tantissimo tempo, l’ho incrociato a Granada prima di partire per il Giro, ma solo per 30 secondi. Quindi non ho avuto molto tempo per parlare con lui».

Adesso lo spagnolo si ritrova davanti l’esuberante Del Toro, il quale sa bene cosa significhi pedalare per rabbia più che per amore. Ieri il messicano ha vissuto con gli occhi spenti l’impresa che gli è valsa la maglia rosa e solo a tratti lo abbiamo visto ridere. Sarà stata davvero l’emozione, come si è affrettato a spiegare, e speriamo sia così. Credete che Pellizzari non morisse dalla voglia di attaccare sul Sassotetto dalla cui cima si vede Camerino? L’ammiraglia gli ha detto di stare con Roglic e così Giulio ha fatto. E se davvero Del Toro è caduto nell’errore di voltare le spalle al suo capitano, a cosa serviva che avesse dietro l’ammiraglia?

Ieri Pellizzari ha lavorato sodo per Roglic, come pure sabato sulle strade di casa, salvando la classifica dello sloveno
Ieri Pellizzari ha lavorato sodo per Roglic, come pure sabato sulle strade di casa, salvando la classifica dello sloveno

Il salary cap

I team manager delle squadre più ricche si oppongono all’istituzione di un salary cap, con l’approvazione degli agenti che hanno l’imperativo di far guadagnare (possibilmente bene) il più alto numero di atleti per guadagnarne a loro volta. E’ un fronte compatto e comune che l’UCI dovrebbe prima o poi affrontare: ad ora se ne sta occupando l’Associazione dei gruppi sportivi presieduta da Brent Copeland.

Il punto a nostro avviso non è fare la guerra a qualcuno in favore di qualcun altro, come vorrebbero le squadre francesi. Siamo abbastanza sicuri che se domani la squadra francese più povera trovasse il budget più ricco, passerebbe in automatico a difendere il suo diritto a strapagare i corridori. Il punto è la tutela dello sport e della sua credibilità. E il rispetto di talenti che la certezza di lauti guadagni prolungati inevitabilmente svilisce. Se anche Checco Zalone per amore rinuncia infine al posto fisso, la domanda è: chi vuole davvero bene al ciclismo?

Del Toro in rosa: una maglia storica, che fa discutere

19.05.2025
6 min
Salva

SIENA – Juan Ayuso non si ferma dopo l’arrivo. Tira dritto e se ne va. La sua bici da crono, che lo attendeva per il defaticamento nel retro del palco, perché forse già pregustava la maglia rosa, non la userà mai. La maglia rosa è finita sulle spalle del compagno di squadra, Isaac Del Toro, che adesso è il nuovo leader del Giro d’Italia proprio davanti a lui.

Se ieri abbiamo assistito al grande ritorno di Wout Van Aert, è anche vero che bisogna parlare del messicano e della tattica della UAE Emirates. E’ fuori dubbio che almeno qualche incomprensione ci sia stata. Se poi sia stata più o meno involontaria, si vedrà strada facendo. Ma è un fatto che mentre uno davanti era in fuga, l’altro dietro tirava. Ed i soggetti in questione avevano la stessa maglia.

Del Toro e la Ineos hanno dato il maggior impulso all’attacco dopo la caduta di Turner, Roglic e Pidcock
Del Toro e la Ineos hanno dato il maggior impulso all’attacco dopo la caduta di Turner, Roglic e Pidcock

Una rosa storica

Bisogna però andare con ordine e rendere comunque omaggio alla nuova maglia rosa, appunto Del Toro. Una maglia rosa affatto banale. Questo, ragazzi, è un campione con la C maiuscola. Ha vinto l’Avenir, ha mostrato doti enormi in salita. Va forte a crono, guida bene la bici. E soprattutto è un classe 2003!

«Indossare questa maglia è qualcosa di incredibile – racconta Del Toro – la maglia rosa la sogni da bambino quando inizi a pedalare. Non ci avrei mai creduto».

Isaac appare frastornato. Le domande insistenti sulla tattica adottata dalla sua squadra lo spiazzano. Sembra una gioia col freno a mano tirato. Come di chi sa di averla fatta grossa? Per rispondere a questo punto di domanda bisognava essere delle mosche in casa UAE ieri sera.

E ora cosa cambia per Del Toro e la UAE? E’ normale porsi certi quesiti. «Io leader? No – smentisce Del Toro – i capitani sono Adam Yates e Ayuso. Io sto bene, ma loro sono più forti. Io ho sfruttato una situazione di corsa. Ero davanti nel momento della caduta e non mi sono reso conto. Quando mi sono ritrovato davanti, all’inizio ho pensato che quello in maglia bianca fosse Ayuso, invece era Bernal. E infatti poi non ho più tirato. Poi la squadra mi ha detto di restare lì, proprio perché Bernal poteva essere pericoloso, e ho continuato. Era troppo rischioso fermarsi. Sapevo poi che dietro c’erano dei compagni».

«Sono pronto ad aiutare i capitani – ripete Del Toro – ho molto rispetto per loro. Intanto sono qui davanti, ma loro sono più bravi. Però non posso neanche fermarmi o non avere fiducia in me stesso. Voglio credere in me stesso, perché sono l’unico che può. Se non lo faccio io, chi lo fa?».

Auyso ha cercato collaborazione, ma non tutti hanno tirato come ci si poteva immaginare per chiudere su Bernal o incrementare su Roglic
Auyso ha cercato collaborazione, ma non tutti hanno tirato come ci si poteva immaginare per chiudere su Bernal o incrementare su Roglic

Tattica contraddittoria

La squadra gli avrà anche detto di restare lì, e ci sta, visto che dietro con Ayuso c’erano anche Arrieta (per un po’), McNulty e Adam Yates. Solo che lo spagnolo continuava a dannarsi l’anima e per lunghi tratti il messicano davanti accelerava forte. Faceva la selezione.

Poi a un tratto ha smesso di tirare, ma dietro Ayuso continuava a scalpitare e non sempre trovava l’appoggio dei compagni: chi si staccava, chi restava in coda (vedi Yates), chi era palesemente ferito ma non mollava (vedi McNulty).

Sono andati a singhiozzo. A volte spingeva Ayuso. A volte McNulty. E solo nel finale si è visto timidamente Yates. Insomma, la UAE Emirates ha dominato, ma non ha corso alla perfezione come spesso accade.

E poi una frase di Del Toro ci ha fatto riflettere. In conferenza stampa gli è stato chiesto cosa si fossero detti con Van Aert quando erano rimasti in due. Lui aveva attaccato e il belga l’aveva seguito.

«A Wout – spiega Del Toro – ho chiesto di tirare, ma mi ha detto che non poteva perché dietro aveva il suo leader, Simon Yates». La domanda è legittima: e allora tu perché hai tirato? Non avevi forse dietro il tuo, anzi, i tuoi leader? Un bell’enigma. Bisogna vedere cosa diceva la squadra.

Anche Del Toro guarda indietro. In fuga con Van Aert, il messicano (a suo dire) cerca collaborazione
Anche Del Toro guarda indietro. In fuga con Van Aert, il messicano (a suo dire) cerca collaborazione

Più Isaac che Juan?

E poi ci sono le scene, i movimenti dal vivo da valutare. Quel che si osserva nei giorni di gara nella zona dei bus, la villaggio, nel dopo arrivo… Quando Del Toro è arrivato ha festeggiato, ma senza esagerare. Ci sta anche che fosse stanco e, da campione qual è, fosse dispiaciuto per aver perso la tappa.

Ma poi vedi McNulty sorridere per la maglia rosa. Adam Yates quasi euforico. E Ayuso, appunto, che non c’è.

E qui ecco subito i mormorii tra giornalisti e addetti ai lavori. Con la mente che torna al caso del Galibier all’ultimo Tour de France, quando Ayuso non tirò a dovere per Pogacar e Almeida e Yates non ne furono felici.

Ieri prima del via Ayuso era seduto sul bus a parlare con la sua compagna. Nulla di che, sono congetture, ma perché non era con gli altri sul bus? Ayuso è ambizioso. E’ forte, è un cannibale quando può, e questo Giro potrà ancora farlo suo. Ma deve in qualche modo attaccare il compagno o sedersi sulla riva del fiume ad aspettare che succeda qualcosa.

Ayuso ha tagliato il traguardo in settima posizione. Ora nelle generale è secondo a 1’13” da Del Toro
Ayuso ha tagliato il traguardo in settima posizione. Ora nelle generale è secondo a 1’13” da Del Toro

Due punte

Sereno era anche Filippo Baroncini. Col “Baro” abbiamo scambiato giusto una battuta fugace. «Una bella giornata per noi. Adesso ne abbiamo due davanti. Sono contento per Isaac». Baroncini era uno dei più freschi all’arrivo e il motivo è presto detto.

«Mi sono ritrovato nel drappello con Roglic e chiaramente non ho tirato mai. Avevo il compito di stare lì, vedere cosa succedeva e riferire i suoi movimenti al team».

Matxin, manager e tecnico della UAE, esperto qual è, sfrutta a suo favore la situazione. «Adesso ne abbiamo due davanti, per gli altri sarà più complicato attaccarci. Non c’è nessun problema. Isaac si è ritrovato davanti ed era giusto che continuasse a stare lì», sono le parole che ha detto alla Rai.

Non tutti hanno preso bene questo modo di correre. Persino la stampa spagnola si chiede se Ayuso abbia il nemico in casa. Come sempre sarà la strada a dare il verdetto, e la strada dice che già domani ne vedremo ancora delle belle. La crono di Pisa sarà senza esclusione di colpi.

«Per me sarà difficile – ha concluso Del Toro – Juan è più bravo di me a crono. E poi si tratterà della prova contro il tempo più lunga che ho mai fatto».

E Wout risponde con un colpo da campione. Siena è sua

18.05.2025
6 min
Salva

SIENA – Si alza un coro. “Wout, Wout…” e lui si lascia andare a un urlo che quasi non gli appartiene. E forse è così perché quel Wout Van Aert da qualche ora non c’è più. E’ tornato il campione che tutti conosciamo. Poche ore fa avevamo titolato: Il Belgio sulle spine chiede ogni giorno di Van Aert. Ebbene, questa è stata la sua risposta.

A Siena va in scena una tappa da strip-tease tecnico e nervoso. Una frazione che potrebbe decidere addirittura il Giro d’Italia, una giornata che ha ricordato l’epica tappa del 2010, solo che al posto del fango stavolta c’era la polvere.

Bentornato Wout

Quante cose da raccontare, quanti spunti. Ma oggi la notizia è il ritorno alla vittoria di Wout Van Aert. Stamattina era stato tra gli ultimi ad accordarsi: era rientrato nella zona dei bus per un ultimo controllo.

Man mano che la corsa andava avanti, tra accelerate, cadute, attacchi, noie meccaniche, il gruppo si assottigliava. E lui c’era. E’ lì che si vede il campione: lo squalo che fiuta il sangue e poi azzanna la preda.

Infatti ha detto: «Ho cercato di crearmi situazioni favorevoli. Prima della tappa pensavo che avrei potuto vincere con una fuga da lontano. Non avrei immaginato che ci sarebbero stati dei team con voglia di controllare. Quando ho visto che non ero nella fuga, ho pensato di aver sprecato la mia occasione migliore per vincere».

«La Q36.5 ha continuato a lavorare, ha controllato la fuga. Dal secondo settore di sterrato la situazione si è fatta favorevole anche per me, perché c’erano ancora corridori in classifica interessati a fare ritmo e riprendere la fuga. Stavo bene, già dal primo settore. La dinamica è cambiata dopo la caduta: la Ineos Grenadiers (quella in cui sono rimasti coinvolti anche Pidcock e Roglic, ndr) ha approfittato del momento con tanti corridori davanti. E’ stato lì che ho iniziato a crederci».

Nel finale un duello tra titani: Del Toro e Van Aert. Il messicano sembrava più brillante
Nel finale un duello tra titani: Del Toro e Van Aert. Il messicano sembrava più brillante

Duello con Del Toro

La preda di cui parlavamo è molto più giovane di lui. Una preda che per un tratto è stata anche alleata. Isaac Del Toro, talento della UAE Emirates, ha tirato molto. Forse anche più del belga.

I due si sono parlati. Forse si sono accordati con il classico “tappa a me, maglia a te”. Ma a giudicare da come se le sono date nel finale, non sembrava proprio. Addirittura Van Aert nell’ultima curva, per essere sicuro di non farsi passare, è quasi finito sulle transenne per uscire alla massima velocità. Dettaglio che lui stesso ha rimarcato (e anche Del Toro lo ha notato). Se c’è stato un patto, sono stati due ottimi attori.

In realtà poi si è saputo che Wout gli ha detto che non poteva tirare troppo perché dietro c’era il suo leader: Simon Yates.

Intanto dietro era il caos totale. Ciccone che a tratti tirava. Ayuso che non stava fermo e cercava collaborazione. Roglic che inseguiva e Pellizzari che continuava a rientrare per aiutarlo. Bernal che si è rivisto a livelli siderali. Un sacco di carne al fuoco.

Fuori dal tunnel?

La cosa più bella è stato il suo crescendo. E probabilmente è proprio questo che anche a lui è piaciuto di più.

«Non sono ancora al top – ha detto il belga – ma va bene così. Sto crescendo… Sono cresciuto sia durante la tappa (ma quella è la testa, ndr) che durante questo Giro.

«Sono felicissimo, per me vuol dire tanto vincere al Giro e soprattutto tornare al successo dopo un periodo lungo e complicato. Ho studiato bene il finale, conosco bene la Strade Bianche e penso che l’esperienza in questa corsa, mi abbia aiutato. Sapevo che in quel punto, dopo lo strappo di Santa Caterina, sarebbe stato molto difficile superare qualcuno. Nel finale, probabilmente, se avessi avuto gambe migliori ci avrei provato».

All’arrivo c’era la sua famiglia. Anche i suoi bambini sembravano stralunati nel vedere il loro papà così euforico. Gli urli, poi lo sdraiarsi in terra. A riordinare le idee. L’adrenalina resta, ma i nervi crollano. Le forze vanno via, emerge la passione.

«Se sono fuori dal tunnel? Sì – poi ci pensa un attimo Wout – direi di sì. Insomma, una bella e grande domanda. Sono molto emozionato, ho tante cose che mi passano per la testa. Questo è un posto speciale, forse il più bello dove finire una corsa di bici. Una piazza così, con tifosi così vicini, quasi un’arena… Forse è una delle mie vittorie più belle.

«Oggi sono riuscito a entrare nel ristretto gruppo davanti e anche in quello di chi ha vinto in tutti i grandi Giri. Il mio obiettivo principale era vincere una tappa qui. Avrei voluto anche vestire la maglia rosa. Ci sono andato vicino, ma nei giorni successivi ho perso troppo tempo. Forse anche per questo questa vittoria vale ancora di più per me e per la squadra».

Il messicano e l’olandese sullo strappo di Santa Caterina. Guardate che grinta. Alla fine Wout ha vinto anche di esperienza
Il messicano e l’olandese sullo strappo di Santa Caterina. Guardate che grinta. Alla fine Wout ha vinto anche di esperienza

Un nuovo Giro

Da Siena inizia un nuovo Giro d’Italia per tanti: per Roglic, oggi sconfitto di giornata. Per la UAE Emirates. Per la Visma-Lease a Bike.

«Non abbiamo mai mollato – riprende Van Aert – ci siamo andati vicini più volte nelle tappe precedenti. Spero che questa vittoria possa cambiare il Giro anche per i miei compagni. Abbiamo corridori adatti a ogni terreno».

Intanto il suo addetto stampa gli porge il box con la pasta. Lui lo guarda affamato, ma è troppo gentile per mangiare durante la conferenza stampa. Altri lo fanno, credeteci!

«Sicuramente – conclude Van Aert – festeggeremo con una bella bottiglia di vino. Siamo in Toscana. Ho notato che siamo passati anche davanti alla cantina di Antinori, quindi stasera sarà il momento per celebrare. Come sapete, l’Italia è la mia Nazione preferita per le vacanze. E anche per andare in bici. Il Giro mi sta aiutando a scoprire nuove regioni e nuovi posti. Ieri mi è piaciuta molto la zona dove è finita la tappa. E’ davvero bello vincere qua».

Un po’ come ieri, con Ulissi, mentre venivamo via. Van Aert ci ha sorpassato tra i vicoli di Siena, tornati in mano ai turisti. C’era una salita per tornare ai bus. Mentre faceva lo slalom tra la gente, un cenno d’intesa e: «Uff, ancora salita!».

Tutti fanno un passo indietro e l’Eroica Juniores salta

05.04.2025
6 min
Salva

Dopo due edizioni l’Eroica Juniores Nations Cup si ferma. A poche settimane dal via la corsa a tappe dedicata ai ragazzi nati tra il 2007 e il 2008 non partirà. I problemi sono stati di natura economica. I due fondatori di questa corsa, Giancarlo Brocci e Franco Rossi non hanno trovato le certezze adeguate per portare avanti un impegno del genere (in apertura foto Eroica Juniores/Guido Rubino). 

«Sono assolutamente dispiaciuto – dice in prima battuta Giancarlo Brocci – questa è la conferma che non ci sono le condizioni di tranquillità per proporre eventi di calibro internazionale in quella che è la categoria di riferimento del ciclismo giovanile. Nessuna delle istituzioni chiamate in causa ci ha potuto dare conferma dell’impegno preso, per motivi diversi. Né Rossi e nemmeno il sottoscritto poteva esporsi ulteriormente per portare avanti una manifestazione che ha dei costi notevoli».

Giancarlo Brocci al via della seconda tappa nell’edizione del 2024 (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Giancarlo Brocci al via della seconda tappa nell’edizione del 2024 (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)

Un passo indietro

Alla luce di quanto appena detto da Giancarlo Brocci è evidente che l’idea e la volontà di portare avanti un evento come quello dell’Eroica Juniores Nations Cup era in mano alla passione dei due fondatori. Nel cercare una soluzione e una stabilità economica si sono imbattuti nel “passo del gambero” da parte delle istituzioni che avevano dapprima dato il via libera per poi fermarsi e ritrattare. 

«Gli enti chiamati in causa – continua Brocci – con i quali avevamo un accordo iniziale non erano in grado di coprire le spese perché anche loro aspettavano finanziamenti che tardavano ad arrivare. Siamo partiti con il cercare supporto da Regione Toscana e dai Comuni che hanno manifestato interesse per le iniziative legate al marchio Eroica. La Nations Cup ha il suo appeal, ma è difficile trovare continuità di spesa. E i bilanci di questi enti alla fine non prevedono risorse da destinare». 

L’Eroica Juniores porta i giovani a conoscere un ciclismo dal sapore antico (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
L’Eroica Juniores porta i giovani a conoscere un ciclismo dal sapore antico (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Insomma, signor Brocci, tutto è legato all’incertezza…

Quando fai una corsa a tappe internazionale ovviamente devi mettere in conto una cifra importante, sopra i 40.000 euro a tappa. Il tirarsi indietro da parte degli enti deriva dal fatto che non possono darti a bilancio le cifre necessarie. Servirebbe una potenza di fuoco maggiore, che ad esempio è propria del Giro d’Italia. Loro possono agire con anticipo e avere già dei fondi. Noi ci muoviamo su bilanci che sono più difficili da gestire, perché siamo sempre nell’arco dell’imprevedibilità.

Cosa che porta a non avere un budget sufficiente…

Arrivi a raccogliere sempre meno di quanto preventivato, per diversi motivi. Rossi e io siamo spinti da un grande spirito, ma quando alla fine ti manca un 20 o 30 per cento del budget previsto non è facile. Negli anni scorsi il marchio Eroica ha coperto le spese rimanenti e lo ha fatto in maniera importante, soprattutto nella prima edizione (il 2023, ndr). Il problema fondamentale è uno…

Quale?

Se non hai una delibera formale (da parte di Regione Toscana e gli altri enti, ndr) dove viene assegnato un fondo sul quale contare cosa si può fare? Io vengo da una storia in cui ho messo cifre astronomiche che mi hanno cambiato la vita proprio per il romanticismo con cui ho proposto il Giro Bio e altri eventi. Sapete bene che non si può continuare a vivere di romanticismo e di imprevisti.

Stefano Viezzi, campione del mondo ciclocross, in azione sugli sterrati della provincia di Siena (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Stefano Viezzi, campione del mondo ciclocross, in azione sugli sterrati della provincia di Siena (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
E’ mancato interesse nella promozione della manifestazione?

Dietro eventi come questi c’è una promozione del territorio che ha una risonanza mondiale. Con Eroica e Strade Bianche abbiamo portato la Provincia di Siena al centro del movimento del ciclismo e del cicloturismo. Lo abbiamo fatto in quella che era la provincia meno ciclistica della Toscana. Abbiamo fatto delle cose che hanno inciso sulla cultura mondiale di questo sport, basti pensare al Tour de France del 2024 con l’inserimento di 32 chilometri di strada sterrata dentro la nona tappa. 

L’arrivo del Giro a Siena, oltre alla Strade Bianche, può aver contribuito nella mancanza di fondi?

Può anche essere, ma questo lo state supponendo voi. L’Eroica Juniores Nations Cup è una manifestazione che ha un costo elevato, vicino ai 250.000 euro ed è sempre stata in mano all’aleatorietà. Cosa che il primo anno è ricaduta in gran parte su Eroica Srl. Ma a un certo punto devono anche essere le istituzioni a fare un passo verso di te e dirti: «Abbiamo individuato questo tipo di risorse». Ma se fino all’ultimo non sappiamo quanto è il contributo come fai a fidarti? Se poi al posto che 80 ti danno 30 chi mette quel che manca?

Gli anni scorsi lo ha fatto il marchio Eroica, come ci dicevi?

Esattamente, come detto prima loro arrivavano a coprire quel che mancava, ma non è un modo sostenibile di andare avanti. 

L’arrivo in Piazza del Campo a Siena vinto dal norvegese Felix Orn-Kristoff (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
L’arrivo in Piazza del Campo a Siena vinto dal norvegese Felix Orn-Kristoff (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Come mai Eroica ha fatto un passo indietro?

Chi gestisce l’utilizzo del marchio deve farlo per le manifestazioni che hanno una resa per i soci. Il marchio Eroica dice che se non ci sono garanzie quest’anno non potremo coprirvi perché il primo anno abbiamo messo 100, il secondo anno 30 ma dal nostro punto di vista possiamo sostenervi soltanto per la corsa di un giorno. 

Eroica prestava il nome, senza quindi un contributo economico fisso?

Sì. Il discorso è stato semplice. Eroica ci ha fornito un contributo economico fisso a fronte della manifestazione di un giorno (che si terrà a maggio, ndr). Che porta anche il nome di Andrea Meneghetti, un socio del marchio purtroppo scomparso. Eravamo noi (Brocci e Rossi, ndr) che vedevamo anche nella corsa a tappe un’opportunità importante. 

Come mai poi non c’è stato un accordo economico fisso sulla corsa a tappe? 

Perché rispetto a un impegno economico di un certo tipo, Eroica ha detto che a quelle condizioni non lo avrebbero sostenuto. Credo sia legittimo, è un marchio che deve rendere conto ai soci della propria produttività. La corsa su quattro o cinque giorni non siamo in grado di garantirla perché non sappiamo quanto ci potrà costare se non ci sono le garanzie istituzionali. 

Permettere ai ragazzi di vivere l’atmosfera del ciclismo dei grandi è un’occasione unica (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Permettere ai ragazzi di vivere l’atmosfera del ciclismo dei grandi è un’occasione unica (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Perché poi alla fine non c’è stata questa garanzia a livello di istituzioni?

Noi a Regione Toscana abbiamo fatto richiesta di un contributo per una cifra e ci hanno risposto che tutta non ci sarebbe stata. Poi quanto ci avrebbero dato non si sa, non siamo stati in grado di avere una risposta. Se poi ti manca anche il contributo del marchio Eroica tutto finisce. Sono scelte legittime. 

Il discorso può essere racchiuso con la frase “Ubi maior, minor cessat” già usata in un nostro editoriale quando si era parlato dell’evoluzione del ciclismo. Le cose non cambiano quando si parla di eventi. L’avvento, gradito, della Sanremo Woman ha portato alla cancellazione del Trofeo Ponente in Rosa. E l’impressione è che il coinvolgimento di Siena per l’arrivo della nona tappa del Giro abbia contribuito a tagliare i fondi per l’Eroica Juniores.

Nel 2024 la città ha ospitato l’arrivo in Piazza del Campo vinta dal giovane Felix Orn-Kristoff, e sempre da Siena erano partite due frazioni della corsa riservata agli juniores. Il rischio è che se si arriva al punto in cui gli eventi di primo livello mangiano quelli più piccoli ci ritroveremo con una casa dal bel tetto ma senza fondamenta.

Il Giro in Toscana ed Emilia: la ricognizione di Caruso e Tiberi

18.03.2025
6 min
Salva

Le fatiche della Tirreno-Adriatico sono da poco alle spalle per gli atleti della Bahrain Victorious è stato un altro passo di avvicinamento al Giro d’Italia. Lo scontro tra Juan Ayuso e Antonio Tiberi ha dato un piccolo anticipo di quello che potremmo vedere sulle strade della Corsa Rosa. Lo scalatore laziale ha dato prova di solidità nella cronometro iniziale, mentre ha pagato dazio (se pur in maniera leggera) sull’unico arrivo in salita della Corsa dei Due Mari.

Ma i passi che lanciano la ricorsa alla lotta per la maglia rosa sono ancora lunghi e danno modo di pensare che Ayuso e Tiberi possano crescere ulteriormente. Una caratteristica che non può mancare nel preparare il Giro d’Italia è la cura dei dettagli. In questo Antonio Tiberi ha un’arma in più a suo vantaggio: l’esperienza di Damiano Caruso. I due hanno approfittato di questi ultimi giorni per visionare tre tappe: la nona, la decima e l’undicesima.

Antonio Tiberi e Damiano Caruso sulle strade senesi per visionare gli sterrati
Antonio Tiberi e Damiano Caruso sulle strade senesi per visionare gli sterrati

Le insidie senesi

Per la frazione numero nove, quella degli sterrati senesi, l’attenzione è andata verso i quasi trenta chilometri di strade bianche.

«Siamo stati a visionare due settori – racconta Caruso mentre in sottofondo la musica accompagna il trasferimento dopo l’arrivo di Pergola – quello che alla Strade Bianche è il numero sei (Pieve a Salti, ndr). Forse il più tecnico dei cinque che attraverseremo, con una salitella e due tornanti insidiosi in discesa. A mio avviso sarà un remake di ciò che abbiamo visto alla Strade Bianche, ci saranno grandi distacchi. Gli sterrati impegnativi, che sono in totale tre, arrivano tutti nella parte centrale della tappa. Le cadute saranno all’ordine del giorno».

Sarà importante trovare la giusta pressione delle gomme per pedalare sulle strade bianche e in maniera efficiente nei lunghi tratti asfaltati
Sarà importante trovare la giusta pressione delle gomme per pedalare sulle strade bianche e in maniera efficiente nei lunghi tratti asfaltati

Attenzione ai dettagli

I consigli riguardo a come affrontare gli sterrati senesi arrivano anche da chi la Strade Bianche l’ha corsa. Piccoli dettagli che possono fare la differenza in una gara che potrebbe decidersi sugli episodi.

«Pello Bilbao – continua Caruso – ci ha dato qualche informazione importante, ma lui è uno che la bici sa guidarla davvero bene. Quello su cui ci siamo concentrati Tiberi e io è trovare l’equilibrio sui dettagli tecnici. Penso adotteremo copertoni da 30 millimetri con pressioni non troppo basse, alla fine ci sarà tanto asfalto e serve trovare il compromesso ideale. La condizione degli sterrati sarà simile a quella che abbiamo trovato noi: secchi, polverosi e con poco grip. Vedrete sicuramente un bellissimo spettacolo, forse un pochino al limite per essere in una grande corsa a tappe. E’ giusto mettere le strade bianche, come al Tour si inserisce il pavé ma non si deve esagerare».

Tiberi e Caruso in Piazza dei Miracoli a Pisa, la cronometro Lucca-Pisa sarà la prima tappa dopo il giorno di riposo
Tiberi e Caruso in Piazza dei Miracoli a Pisa, la cronometro Lucca-Pisa sarà la prima tappa dopo il giorno di riposo

Riposo attivo

Al termine della nona tappa i corridori entreranno nel secondo giorno di riposo, dopo quello che arriva una volta rientrati dall’Albania.

«Avere una cronometro dopo il riposo – spiega Caruso – non è facile da gestire. Chi farà classifica dovrà gestire in maniera attiva la giornata di pausa. La partenza dal centro di Lucca è spettacolare ma insidiosa, con l’attraversamento di un tratto in basolato e tante curve. Successivamente la strada si apre e per una quindicina di chilometri ci sarà spazio per gli specialisti, lì chi ha gamba può tenere una media sui 55 o anche 58 chilometri orari. Appena si arriva nei pressi di Pisa torna una parte delicata con un altro passaggio dal centro storico fino all’arrivo in Piazza dei Miracoli. Sarà importante fare un giorno di riposo che permetta agli uomini di classifica di arrivare con il motore acceso».

L’arrivo della frazione che porterà i corridori da Gubbio a Siena sarà in Piazza del Campo
L’arrivo della frazione che porterà i corridori da Gubbio a Siena sarà in Piazza del Campo

Attenti alle imboscate

La terza e ultima frazione visionata da Tiberi e Caruso è stata quella che da Viareggio porta a Castelnovo ne’ Monti. 185 chilometri a due facce, una tranquilla e sorniona, l’altra agguerrita.

«Ci siamo concentrati sugli ultimi 120 chilometri – dice ancora Caruso – da quando inizia la salita di Alpe San Pellegrino. E’ una tappa che si presta al classico scenario da “corsa nella corsa”. La fuga avrà il terreno giusto per muoversi e anche gli uomini di classifica potranno muoversi. Se nei primi 60 chilometri la fuga avrà già preso forma avremo una scalata regolare, altrimenti i ritmi potrebbero alzarsi parecchio. La salita di Alpe San Pellegrino è impegnativa, ma lo è altrettanto la discesa e farsi cogliere impreparati vuol dire inseguire tutto il giorno. E’ una di quelle classiche tappe trabocchetto, se nella fuga entra un corridore non troppo distante dai primi potrebbe rientrare in classifica. Non è facile gestire queste situazioni, perché chiudere sui fuggitivi vuol dire spremere i compagni e su tre settimane di gara ogni goccia di energia conta».

Finale insidioso

Superata la principale asperità di giornata il gruppo punterà deciso verso la provincia di Reggio-Emilia, attraversando l’appennino tosco-emiliano.

«Una volta finita la discesa di Alpe San Pellegrino la strada torna subito a salire – conclude Caruso – con il GPM di Toano e Pietra di Bismantova. Salite di seconda categoria, brevi e ripide con pendenze a doppia cifra. Se dovesse arrivare anche il brutto tempo diventa una giornata in cui qualcuno si può fare male in termini di classifica. Negli ultimi cinque chilometri ci sono due strappetti tosti che era bene visionare. L’asfalto non è in condizioni ottimali, speriamo venga rifatto prima del Giro. In generale saranno tre giorni in cui tenere gli occhi aperti».

Ferrand-Prevot e quella consapevolezza che dà ancora più forza

17.03.2025
4 min
Salva

La vittoria di Elisa Balsamo al Trofeo Binda ci lancia definitivamente verso la settimana della Milano-Sanremo Women. Una classica che, pur essendo alla sua prima edizione, fa gola a molte campionesse, tra cui Pauline Ferrand-Prevot. La grande ex biker è tornata alla strada dopo tanti anni ed è già a un ottimo livello.

La francese della Visma-Lease a Bike è tornata alla strada per puntare a essere ancora una grandissima. Pauline è una ragazza che ama le sfide… e se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo dire che qualche speranza ce l’ha eccome.

Ferrand-Prevot (classe 1992) è tornata su strada dopo aver disputato l’ultima stagione intera nel 2018
Pauline Ferrand-Prevot (classe 1992) è tornata su strada dopo aver disputato l’ultima stagione intera nel 2018

Che ritorno

Alla Strade Bianche è arrivata terza. Era il quinto giorno di corsa, dopo l’ultima apparizione internazionale, che risaliva al 2018 (mondiale di Zurigo escluso). Aveva preso parte a qualche campionato nazionale, ma così… “tanto per”, come si suol dire.

In Piazza del Campo, dopo la gara, il suo sorriso anticipava le sue parole. «Mi sento davvero bene – ha detto Pauline – e sono contenta. Ho visto che Anna Van der Breggen e Demi Vollering erano troppo lontane e così mi sono concentrata sul podio. Sono anche caduta, ma è stato un errore tutto mio. Non penso di essere ancora al 100 per cento, e per questo sono felice, so che posso alzare il livello delle mie performance».

Ferrand-Prevot è dunque tornata in gara da poco. Ha trovato un ciclismo ben diverso da quello che aveva lasciato, un ciclismo pre-Covid, che si è radicalmente modificato, soprattutto in campo femminile. Lei stessa ha ribadito più volte il tema della concentrazione durante la gara e l’importanza di essere sempre attiva. Cosa che non è così facile dopo tanti anni di inattività su strada, considerando che le gare di MTB durano meno di un’ora e mezza. Così come aveva sottolineato il problema di “ricordarsi” di mangiare, cosa che nelle sue gare di MTB non faceva, ovviamente.

«Quando sono arrivata al ritiro di dicembre, l’allenatore mi ha detto: “Sembri sorpresa”. Non pensavo che il livello fosse così alto – ha detto Pauline – Anche l’alimentazione è cambiata molto e gioca un ruolo essenziale nelle prestazioni. Le tattiche di squadra sono diventate fondamentali. Il ciclismo è diventato davvero uno sport di squadra».

Al UAE Tour Women un po’ di fatica, specie nella salita lunga, ma era previsto. A Siena è stata già terza
Al UAE Tour Women un po’ di fatica, specie nella salita lunga, ma era previsto. A Siena è stata già terza

Questione di testa

Ferrand-Prevot sta riprendendo ad allenarsi in un certo modo, e si può dire che sia ancora in una fase di adattamento.
«I momenti più difficili? Penso che sia solo una questione di fiducia. Non ho corso a questo livello da molto tempo, quindi devo trovare la fiducia e credere in me stessa. Alla Strade Bianche, forse nel momento dell’attacco mi sono mancati 5 o 10 metri, ma la cosa importante è che mentalmente so di poter essere la migliore. Sì, devo credere in me stessa. Ma ora che so di poter competere con le migliori atlete, affronterò le prossime gare con buone sensazioni».

La meticolosità di Pauline è quella di sempre. Anche se sapeva che sarebbe tornata alla strada, per esempio, ha fatto le cose al massimo nella MTB fino alla fine. E guarda caso, ha vinto il titolo olimpico. Prima della Strade Bianche, era venuta alcune settimane prima a fare la ricognizione per avere tutto sotto controllo, perché di fatto per lei era qualcosa di nuovo. E lo stesso farà per la Sanremo.
«Alla Sanremo andremo con una squadra forte. Davvero vogliamo vincere questa prima edizione».

E’ il 23 aprile 2014 quando Pauline vince la Freccia Vallone. In quell’anno conquisterà anche il mondiale (foto Eurosport)
E’ il 23 aprile 2014 quando Pauline vince la Freccia Vallone. In quell’anno conquisterà anche il mondiale (foto Eurosport)

Obiettivo Tour

La Visma-Lease a Bike vuole essere tra le grandi anche tra le donne, per questo ha ingaggiato Ferrand-Prévot. I sogni della francese sono in sintonia con quelli del team: vincere il Tour de France Femmes.
«Per ora c’è stato un buon inizio di stagione – ha detto Pauline – ma so che c’è ancora tanto lavoro da fare».

E a proposito di Tour, un’atleta con le sue caratteristiche non poteva esimersi dal correre le classiche del Nord, a prescindere dall’obiettivo del Tour. Tuttavia, nonostante le doti da biker, non correrà le classiche delle pietre, ma si concentrerà sulle Ardenne, dove tra l’altro ha già fatto bene. Nel 2014 vinse la Freccia Vallone, tra l’altro – ed è una curiosità – l’ultima prima del dominio di sette anni di Van der Breggen, anche lei tornata quest’anno.
«L’idea è di vincere il Tour da qui a tre anni. Ci pensavo da un po’. Lo scorso anno mi ero concentrata del tutto sulle Olimpiadi, ma ora eccomi qui».

EDITORIALE / Quando anche i giganti hanno paura

10.03.2025
4 min
Salva

Dovunque vada, Pogacar vince. Le eccezioni rafforzano la regola. A partire da gennaio 2024, lo sloveno ha… fallito appena due volte. Alla Milano-Sanremo, chiusa al terzo posto. Poi nel Grand Prix Cycliste de Quebec, in cui è arrivato settimo. Tolta la Tre Valli Varesine annullata per avverse condizioni meteo e problemi di sicurezza, le altre le ha vinte tutte. Parliamo di Strade Bianche, Catalunya, Liegi, Giro, Tour, Montreal, mondiale, Giro dell’Emilia, Lombardia, UAE Tour e ancora la Strade Bianche. Si può capire che gli altri ne abbiano paura.

Non si vuole dire che il ciclismo nell’era Pogacar risulti monotono, ma di certo – rischiando le ire dei suoi tantissimi tifosi – sarebbe auspicabile assistere a un minimo contraddittorio, che renderebbe le sue vittorie più emozionanti e lo spettacolo meno prevedibile.

Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro
Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro

I dominatori del passato

L’esperienza personale e diretta di un così grande dominatore, sia pure meno vorace, risale agli anni di Indurain. Era un altro ciclismo, lo spagnolo lasciava le classiche ai corridori più adatti e vinceva in serie il Giro e il Tour. Imbattibile, inattaccabile, educato e spietato. Qualcuno ci provava in Francia, qualcuno in Italia. Bugno, Chiappucci e per un po’ anche Chioccioli andavano all’assalto, ma alla fine neanche ci provavano più, vittime della paura e stanchi d’essere piegati.

Tolta la grande impresa di Chiappucci al Sestriere nel 1992, le corse seguivano lo stesso schema di attacchi spesso spuntati sull’ultima salita. E Indurain intanto dominava e probabilmente ringraziava, fino all’arrivo di Pantani che, sconfiggendolo e piegandolo, conquistò i cuori degli sportivi che dopo un po’ si erano anche stancati di quel dominio.

L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale
L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale

Il coraggio di Pidcock

Alla Strade Bianche è successo qualcosa di inatteso: qualcuno ha riposto la paura e ha attaccato Pogacar. Lo ha fatto Pidcock, pur sapendo probabilmente di essere sconfitto nel momento stesso in cui ci ha provato. Eppure la sua presenza e le ammissioni successive di Pogacar hanno dimostrato che in determinate circostanze il solo modo per tenere aperta mezza porta sul risultato a sorpresa sia mettere pressione al campione.

Lo ha detto Tadej, appunto, nella conferenza stampa dopo la vittoria. Avere a ruota uno che è stato campione del mondo e olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross lo ha spinto probabilmente a osare di più in discesa, fino all’errore e la caduta. Dinamiche che fanno parte del gioco, come la sua reazione da campione assoluto che si è rialzato e ha rimesso a posto i tasselli del mosaico. Lo stesso Mauro Gianetti, il grande capo del UAE Team Emirates, si è accorto delle novità e si è complimentato con il britannico del Q36.5 Pro Cycling Team.

Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì
Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì

La paura di Van der Poel

Non si tratta di fare tifo contro, ma a favore del ciclismo. Affinché la Sanremo si trasformi nella più bella corrida, la Liegi proponga il confronto di alto livello con Evenepoel e magari il Tour mostri un Vingegaard finalmente a posto.

I mancati incroci per motivi di salute sono inevitabili. I mancati incroci per opportunità o paura di rimetterci la faccia sono la piaga di questa fase. Se alle spalle di Pogacar oltre a Pidcock ci fosse stato un altro campione del mondo di ciclocross, dopo la caduta forse lo sloveno non sarebbe rientrato. E Pidock e Van der Poel, collaborando, si sarebbero giocati la corsa. VdP ha avuto paura di fare una figuraccia? E’ possibile, molto possibile. La sua squadra ha preferito risparmiarsela e risparmiargliela? E’ altrettanto possibile. Chissà che fastidio avrà già addosso l’olandese al pensiero che Pogacar possa davvero sfidarlo anche alla Roubaix dopo averne subito la lezione nell’ultimo Fiandre corso insieme.

Lo abbiamo detto in apertura: dovunque vada, Pogacar vince. Gli altri, evitandolo, gli rendono semplicemente la vita meno complicata. Gli organizzatori, disegnando corse sempre più dure remano contro la possibilità di uno spettacolo aperto. Aspettiamo dunque la Sanremo, il primo scontro senza grandi assenti, sul percorso meno scontato di tutti.

Pidcock non ha sbagliato nulla. E’ stata “solo” questione di motore

08.03.2025
5 min
Salva

SIENA – Quando chiediamo a Tom Pidcock se si aspettasse questa sfida con Tadej Pogacar, lui replica con un secco: «E con chi altro?». Ma forse la domanda andava girata. Forse sarebbe stato meglio chiedergli se si aspettasse di tenere così a lungo le ruote del campione del mondo. Era chiaro che lo sloveno ci sarebbe stato.

In ogni caso, quello che abbiamo potuto vedere a Siena nel dopo gara è un Pidcock realista. Di certo non contento per il secondo posto, perché uno come lui è nato per vincere o per correre con l’idea di vincere. Ma neanche così dispiaciuto.

«Sono contento di essere stato l’unico che è riuscito a seguire Tadej, ma nel finale è stato troppo forte per me». Alla fine, quello che doveva fare lo ha fatto. È andato via con il numero uno e solo un suo affondo potente ai 18 chilometri dall’arrivo lo ha messo fuori gioco. Questione di motore. C’è poco da fare.

Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom
Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom

Vado o non vado?

«La corsa è andata come mi aspettavo – spiega Pidcock – siamo andati abbastanza veloci per tutta la gara, quindi sono contento che tutto sia andato bene».

E poi si arriva al momento clou: la caduta che avrebbe potuto cambiare tutto. È vero che dopo lo ha atteso, ma è anche vero (e dalle immagini TV si è visto benissimo) che dopo la scivolata di Pogacar e il dritto di Swift, lui si volta e decide di proseguire. Il che è legittimo, non lo biasimiamo, sia chiaro. La gara è gara. Specie contro un atleta pressoché imbattibile come Pogacar, si sfrutta ogni possibilità.

«Per un po’ – dice Pidcock – ho pensato di andare. Ho guardato dietro e né Tadej né Swift c’erano. Però poi ho pensato anche che c’erano ancora 50 chilometri da fare e che ero da solo, con solo mezzo minuto di vantaggio. A quel punto sono tornato sui miei passi e ho aspettato. Ed è stata la cosa giusta. Quando è rientrato, ho visto le sue ferite e si capiva l’impatto che aveva subito».

Qualcuno gli chiede se questo Pogacar sia un superuomo e, se lo aprissero, cosa si aspetterebbe di trovare. Lui glissa e dice: «Mi aspetto di trovare qualcosa di normale, un corpo, delle ossa…».

L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni
L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni

Pidcock coraggioso

Una cosa è certa: oggi Pidcock ha dimostrato grande coraggio. Attributi che gli avevano chiesto di mostrare il giorno prima. Alla fine, in questi due giorni senesi, l’inglese ci è parso molto concreto, passateci il termine. Pochi fronzoli, pochi sorrisi, ma neanche musi lunghi. Si è presentato in mixed zone e ha risposto a non si sa quante interviste, forse anche più di Pogacar. In fin dei conti, la notizia, l’outsider che avrebbe tenuto in piedi la tensione della competizione, era lui. E lo stesso atteggiamento lo aveva dopo il traguardo.

Ancora Tom: «Non si trattava di avere gli attributi, si trattava semplicemente di seguire il piano. E il piano non era attaccare a Monte Sante Marie, ma solo seguire Tadej quando avrebbe attaccato. Sapevo che sarebbe partito di lì a poco. Si vedeva che stava aspettando il momento giusto, e così ho pensato di andare io». Insomma, la dinamite era pronta, lui ha solo acceso la miccia.

Pidcock, come la netta maggioranza degli atleti in gara, ha utilizzato gomme da 30 millimetri (i tubeless Vittoria), ruote a profilo medio-alto e, contrariamente a molti altri, non aveva un manubrio strettissimo, specie se rapportato alla propria altezza e quindi alla larghezza delle sue spalle. E questo, sullo sterrato, è un bel vantaggio: allarga la base d’appoggio.

«Siamo a posto, Tom sta bene, ci farà divertire», ci aveva detto Gabriele Missaglia prima di salire in ammiraglia e schierarsi per l’allineamento.

Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens
Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens

I pensieri della sera

Cosa passa nella mente di un atleta che deve sfidare il più forte corridore, forse, di tutti i tempi? Come va a dormire? È un onore o un onere? Paura o adrenalina?

«Pensavo che alla fine questo duello sarebbe stato una gioia. Questo è ciò che speravo. Sapevo di essere in buona forma, penso che sia la migliore condizione che abbia mai avuto ed è stato bello essere in lotta così a lungo con lui. Ho fatto una delle mie migliori performance. Mi sentivo molto bene oggi. Quando hai ancora 70 chilometri da fare e attacchi, è perché stai bene. Sapevo che sarebbe stata una lunga gara, ma ero “comodo” con quel passo che abbiamo tenuto in due. Sono sincero, spesso quando siamo rimasti da soli davanti ero in Z2».

Riassumendo, il coraggio c’è stato, la parte tattica anche, le gambe? Assolutamente sì, lui stesso ha parlato di miglior condizione di sempre. E quindi? come detto all’inizio questione di motore: stop. Quindi c’è da allargare le braccia, incassare e continuare a lavorare. Cosa che tutto sommato ha detto anche Tom: «Ho fatto dei passi avanti quest’anno e posso dire di stare andando nella direzione giusta. La nuova squadra, il nuovo allenatore, il nuovo nutrizionista, tutte queste novità sono arrivate solo a dicembre, sono passati solo tre mesi». Vale la pena continuare a sperare insomma…