Quattro minuti di sorrisi e promesse correndo accanto a Pellizzari

03.06.2025
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ROMA – Il popolo che si stringe attorno a Giulio Pellizzari è composto da persone che ne apprezzano la semplicità e la grinta. Solo che rispetto allo scorso anno, si tratta di un popolo ben più numeroso. E così camminare e parlare con il marchigiano della Red Bull-Bora dopo l’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia significa essere investiti da continui richiami, complimenti e applausi. Lui sorride a tutti e intanto racconta, con quel sorriso luminoso che ha mostrato dopo ogni arrivo: anche i più duri.

Lo abbiamo già detto: al Giro non doveva neppure esserci. Poi dalle parole del coach Artuso abbiamo scoperto che le sue prestazioni erano parse già così buone al Catalunya da aver persuaso la squadra a valutare l’opzione rosa. Felice come un bimbo, Giulio si era perciò presentato al via da Tirana, orgoglioso e motivato dall’idea di aiutare Roglic. Quando poi lo sloveno è caduto e si è fermato, la squadra ha dovuto resettare le impostazioni di partenza e lui ha raccolto con motivazione lo scettro di Primoz. Il bello, il segno del riconoscimento da parte dei compagni è stato nel loro votarsi alla causa. Anche Martinez, secondo nel 2024, e come lui Aleotti, che dopo quel Giro andò a vincere il Giro di Slovenia. Pellizzari capitano non è parsa un’idea balorda. E lui, stringendo i denti, in cinque tappe si è arrampicato dal diciottesimo al sesto posto generale.

Questa intervista è stara realizzata camminando accanto a Pellizzari subito dopo il traguardo finale di Roma
Questa intervista è stara realizzata camminando accanto a Pellizzari subito dopo il traguardo finale di Roma
Quanto è stato difficile cambiare il chip in questo giro?

Credo – sorride – che quella forse è stata la cosa meno dura di questo Giro. Alla fine ho fatto quello che avevo fatto anche nelle prime due settimane, sono stato sempre davanti con Primoz. Solo che nella terza settimana non c’era lui, ma ero solo.

Nel giorno in cui lui si è fermato, tu sei arrivato terzo a San Valentino. E’ vero che eri più dispiaciuto per lui che soddisfatto della tua prova?

Abbastanza, è vero. Quando ho realizzato che non avremmo vinto il Giro con lui sono rimasto parecchio male. E’ stato un dispiacere. Però alla fine ho visto che lui era sereno e contento che continuassimo e mi sono buttato nella terza settimana come meglio ho potuto.

Hai dovuto fare i conti con un ruolo nuovo per te, con un intero squadrone che ti ha eletto leader. Come è stato?

Alla fine mi sono divertito. Sono convinto che in futuro si potrà fare e questa è la consapevolezza maggiore che mi porto a casa dal Giro d’Italia.

La maglia bianca l’ha vinta Del Toro con 5’32” di vantaggio, a Pellizzari la palma di miglior giovane italiano
La maglia bianca l’ha vinta Del Toro con 5’32” di vantaggio, a Pellizzari la palma di miglior giovane italiano

Pellizzari-Caruso: gregari diversi

Lo chiamano per nome. Lo incoraggiano. Lo sospingono. Per qualche secondo ci fanno cogliere il privilegio di essere accanto a raccogliere le sue parole. Nel Giro in cui Caruso è stato il primo degli italiani, Pellizzari ha acceso la fantasia con un attacco che ne lasciava presagire altri. Li avevamo accomunati in un singolare articolo che li dipingeva come gregari diversi – Caruso per il giovane Tiberi, Giulio per l’esperto Roglic – ed entrambi sono diventati leader delle loro squadre.

La differenza rispetto al Pellizzari dello scorso anno sta nel fatto che la doppia scalata del Monte Grappa fu il gesto di un giovane fuori classifica, lasciato andare e poi sbranato da Pogacar. Gli attacchi di quest’anno sono venuti dal gruppo dei migliori e la differenza non è certo banale.

Insieme sul traguardo di Sestriere, a 7’10” da Harper. Fra Pellizzari e Del Toro rivalità e amicizia
Insieme sul traguardo di Sestriere, a 7’10” da Harper. Fra Pellizzari e Del Toro rivalità e amicizia
Che effetto fa sentirti chiamare così?

E’ un’esperienza, un’emozione unica. E speriamo che siano sempre di più.

Dopo San Valentino pensavi fosse più facile, ammesso che sia mai stato facile?

Lo ammetto, credevo che avrei avuto altre possibilità e che sarebbe stato più facile, ma forse è stata solo l’emozione del momento. Perché la gamba di San Valentino non l’ho più avuta. Sono andato bene sul Mortirolo, ma se avessi avuto la gamba dei giorni precedenti, avrei guadagnato di più.

Ugualmente, se prima del via ti avessero detto che avresti chiuso il Giro al sesto posto, come avresti risposto?

Impossibile (ride di gusto, ndr).

Qual è stato il momento più duro?

Quando dopo la tappa di Siena, Primoz ha perso due minuti e mezzo. E’ stato il primo giorno in cui ho creduto che forse non ce l’avremmo fatta a vincerlo.

E il più bello?

Sempre dopo la tappa di Siena, quando ci siamo fermati in Autogrill a prendere delle birre e abbiamo festeggiato il giorno di riposo…

EDITORIALE / Giro finito, resta qualche domanda sulla UAE

02.06.2025
6 min
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ROMA – In ordine sparso, prendendosi anche del tempo supplementare per una passeggiata in centro, a partire da stamattina e fino a sera, corridori, giornalisti, donne e uomini della carovana del Giro riprenderanno la via di casa. Alcuni ne hanno approfittato per farsi raggiungere dalle famiglie e trascorrere un paio di giorni a Roma, che ieri si è mostrata sfavillante e bella al mondo del ciclismo. Ma del Giro di Simon Yates si continua a ragionare e, non ce ne voglia il lettore, anche in modo irrituale.

Quando stamattina abbiamo iniziato a fissare il primo caffè, è tornata alla memoria una considerazione che si faceva anni fa parlando di mountain bike, telai e sospensioni. E quando si arrivava al dunque e si diceva che nel disegnare gli schemi per le bici si prendeva ispirazione dalle moto, l’obiezione di quelli più pragmatici giungeva puntuale come una sentenza. Puoi anche farlo, dicevano, ma ricordati che la moto ha il motore: basta dare gas e ti porta fuori da ogni situazione critica. La bicicletta il motore non ce l’ha e di lì partiva la spiegazione.

Roma ha mostrato il suo volto più bello al mondo del ciclismo: tifosi e corridori non hanno nascosto la meraviglia
Roma ha mostrato il suo volto più bello al mondo del ciclismo: tifosi e corridori non hanno nascosto la meraviglia

Senza il motore Pogacar

Secondo noi nel disegnare la squadra del Giro, la UAE Emirates ha dato poca importanza all’assenza del motore, vale a dire Tadej Pogacar. Se qualcuno pensava che bastasse indossarne la maglia per averne i superpoteri, avrà avuto un brusco risveglio. Il modo di correre nelle tre settimane è stato uguale a quello di sempre: la corsa tenuta saldamente in mano con la squadra davanti e poi l’ultima accelerata, per consentire al leader di fare la sua parte.

Ma Ayuso non è Pogacar e tantomeno per ora gli si avvicina Del Toro, il cui Giro è stato davvero un capolavoro splendido, inatteso e prodromo di una grande carriera. Sarebbe ingiusto pretenderlo da entrambi, dato che Tadej sarà probabilmente raccontato come uno dei corridori più forti della storia. Questo lo sanno quasi tutti nel team di Gianetti e nel “quasi” probabilmente si nasconde la radice della sconfitta di Sestriere.

Giusta la scelta di Baldato di dare via libera a Del Toro verso Siena. Poi però è iniziata la confusione
Giusta la scelta di Baldato di dare via libera a Del Toro verso Siena. Poi però è iniziata la confusione

Fra Del Toro e Ayuso

A Siena si è aperta la crepa che ha minato le sicurezze di Ayuso: Del Toro che scappa con Van Aert e conquista la maglia rosa ha messo infatti in discussione l’autorità del leader. La squadra ha fatto bene a lasciare spazio al messicano, ma è andata in confusione quando ha dovuto gestirne il primato.

In alcune situazioni infatti Del Toro non è stato trattato da leader e si è trovato da solo a fronteggiare gli attacchi, mentre la squadra dietro faceva quadrato attorno allo spagnolo. E’ difficile credere che un tecnico esperto come Baldato non abbia notato il dettaglio, eppure la tattica non è cambiata e viene da chiedersi se sia stata sempre condivisa. Isaac ha speso più del necessario, mentre con il giusto sostegno forse sarebbe arrivato ai giorni conclusivi con forze migliori.

Tutti, giornalisti e i suoi stessi dirigenti, hanno notato che nella conferenza stampa di Cesano Maderno, il messicano abbia cambiato modo di parlare, mostrando una sicurezza da vero leader. Forse non è casuale che ciò sia accaduto proprio nel giorno del ritiro di Ayuso.

Del Toro in rosa ha mandato in tilt Ayuso: la sfortuna ha fatto il resto e lo spagnolo ha lasciato il Giro
Del Toro in rosa ha mandato in tilt Ayuso: la sfortuna ha fatto il resto e lo spagnolo ha lasciato il Giro

Un uomo in fuga

Quando si è consapevoli di avere un leader attaccabile, occorre mettere in atto delle contromisure. La UAE Emirates, che nel giorno chiave della corsa aveva sull’ammiraglia il presidente del team Al Yabhouni Matar, respinge l’osservazione per cui sarebbe stato utile mandare un uomo in fuga nella tappa di Sestriere, affinché la maglia rosa trovasse un appoggio dopo il Colle delle Finestre. Yates ha trovato Van Aert e le trenate del belga hanno chiuso il discorso. Non si tratta di una tattica geniale, anzi è piuttosto elementare ed è anche semplice da smontare: basta non lasciar allontanare la fuga. E’ tuttavia geniale quando funziona.

Nella 20ª tappa della Vuelta 2015, Giuseppe Martinelli mandò in fuga Luis Leon Sanchez. Tom Dumoulin era leader, Aru lo seguiva a 6 secondi. Così quando Fabio attaccò e si trovò davanti il passistone spagnolo, se ne servì come di un treno e strapppò la maglia a Dumoulin, che andò a fondo. E’ una tattica che ben si presta per l’attacco, ma che funziona anche in difesa.

Il Giro si è chiuso a 2 km dalla vetta del Finestre, quando si è lasciato andare Yates aspettando che fosse Carapaz a chiudere
Il Giro si è chiuso a 2 km dalla vetta del Finestre, quando si è lasciato andare Yates aspettando che fosse Carapaz a chiudere

Neutralizzare Van Aert

Se non si può mandare nessuno in fuga per scelta tattica, allora si usano gli uomini per non far allontanare troppo la fuga con Van Aert, in modo da smontare l’iniziativa della Visma-Lease a Bike. Li tieni a 3 minuti e quando inizia il Finestre, basta metà salita per prenderli e lasciarli indietro. Invece la fuga ha guadagnato i minuti necessari e quando la Ef Education ha attaccato il Colle delle Finestre ad andatura folle, i cinque compagni di Del Toro si sono staccati e la maglia rosa è rimasta isolata. Forse in quel momento qualcuno si è mangiato le mani, mentre Del Toro si è trovato a gestire da solo una situazione troppo grande per i suoi 21 anni.

Pogacar se la sarebbe cavata da solo, per il messicano serviva predisporre una vera tattica. Gli è stato detto di seguire Carapaz e a un tratto i due sono arrivati a 7 secondi dal chiudere su Yates. Non si può sempre stare a ruota, toccava a Del Toro, ma non lo ha fatto. Qualcuno gli ha detto che spettava a Carapaz o lo ha pensato lui? Con eterna gratitudine, il britannico ha gestito la salita con astuzia: aveva l’uomo davanti e ha fatto scattare la trappola.

Nell’ammiraglia UAE verso Sestriere c’era anche il grande capo Al Yabhouni Matar
Nell’ammiraglia UAE verso Sestriere c’era anche il grande capo Al Yabhouni Matar

Il cinismo di Carapaz

Del Toro era in crisi di gambe oppure ha ricevuto ordini che lo hanno messo in confusione? Questa è una risposta che potranno dare soltanto lui e la squadra, ma è chiaro che qualcosa non sia andata come volevano e che la gestione di quella fase sia stata confusa. Simon Yates e la sua squadra invece sapevano di non poter schiacciare i rivali e hanno corso con intelligenza, dosando gli sforzi e sparando tutto nella tappa più adatta.

Carapaz ha provato a far saltare il banco ed è comprensibile che da un certo punto in avanti abbia smesso di farlo, negando collaborazione alla maglia rosa. Non si collabora con l’avversario, se non si hanno interessi in comune. Poco cambiava per Richard fra il secondo e il terzo posto. La crudeltà della tattica lo avrebbe visto attaccare nuovamente dopo aver costretto Del Toro a seguire Yates. Ma lui non lo ha fatto: non aveva le gambe o era in confusione. Se non interessa a te difenderla, ha pensato Carapaz, perché dovrei farlo io?

Finestre e Del Toro: pasticcio o gambe finite? Parla Majka

02.06.2025
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ROMA – Nello sguardo di Rafal Majka c’è la delusione di chi era a un passo dalla vittoria e si ritrova con un pugno di mosche. Quello che è successo sabato sul Colle delle Finestre continua a suonare strano. L’apparente disinteresse di Del Toro nel difendere la maglia rosa dall’attacco di Yates ha lasciato molto con dei punti di domanda. Stamattina al bus della squadra circolava l’ammissione che ci fosse poco da inventare tatticamente, poiché il messicano non aveva gambe per fare altro. Ma per una sconfitta del genere ci saremmo aspettati una resa più combattuta.

Isaac Del Toro ha conquistato il secondo posto in classifica generale e la maglia bianca di miglior giovane
Isaac Del Toro ha conquistato il secondo posto in classifica generale e la maglia bianca di miglior giovane

Del Toro all’improvviso

L’immagine più eloquente ritrae Majka in testa al gruppo inseguitore, con la saliva secca intorno alla bocca, cercando di compiere l’ennesimo miracolo da grande gregario. Del Toro non doveva essere lì, quasi fermo in mezzo alla strada per Sestriere. Doveva essere davanti con Carapaz e Yates a difendere la maglia rosa, invece no. Hanno provato a rilanciarlo, ma la frittata era fatta. Majka racconta, lo vedi che c’è rimasto male. Forse più di Del Toro, che dalla sconfitta dovrà trarre un prezioso insegnamento.

«Quando lo abbiamo raggiunto, era tardi – dice – era già successo tutto negli ultimi 2 chilometri della salita del Finestre. Altro non si può dire, se non che eravamo a un passo dal vincere il Giro d’Italia. Secondo me però queste lezioni gli faranno bene. Dagli sbagli, si gettano le basi per vincere».

Tutto intorno il Giro si sta avviando alla conclusione. I giorni di Tirana sembrano lontani degli anni: le pagine che sono state scritte da allora saranno il motivo per i nostri approfondimenti. E’ stato davvero un viaggio intensissimo, a partire da quando Siena ha incoronato la giovanissima maglia rosa.

Majka e Del Toro, l’abbraccio dopo l’arrivo di Sestriere è quasi una resa
Majka e Del Toro, l’abbraccio dopo l’arrivo di Sestriere è quasi una resa
Del Toro ha solo 21 anni, dicono tutti che il tuo ruolo al suo fianco è stato preziosissimo.

Mancava un po’ di esperienza, ma tutta la squadra ha lavorato veramente bene per 20 giorni. Mi sembra che solo la UAE Emirates abbia veramente controllato la corsa. Nessun altro poteva tenere la corsa sulle salite, come abbiamo fatto noi. Però abbiamo perso tutto l’ultimo giorno, ma questo è il ciclismo e Isaac ha solo 21 anni. Ha un grande futuro e speriamo che vinca presto il Giro. Con lui ho dovuto lavorare un pochino di più, perché è giovane e io ho l’esperienza di cui ha bisogno. Il buono è che è un ragazzo d’oro, speriamo.

Può essere stato un problema di nervosismo?

E’ normale che sei nervoso quando hai la maglia l’ultimo giorno. Volevamo che tutta la squadra fosse con lui, perché tutti volevamo vincere. Ma è successo così e non possiamo cambiare niente. Non so dire se sia stato più un problema di testa o di gambe, bisognerebbe chiederlo al ragazzo. Io non l’ho chiesto e non ho voluto farlo. Quello che so è che lavori tre settimane, controlli tutta la corsa e non è facile perdere l’ultimo giorno.

Ieri mattina c’era fiducia di vincere?

Sì, volevamo vincere e pensavamo di poterlo fare. L’avversario che avevamo individuato era solo Carapaz e normalmente saremmo riusciti a tenerlo. Solo che secondo me è stato uno sbaglio quando lui ha iniziato la salita così forte, perché loro sono rimasti in tre davanti e noi in cinque dietro. Ma questo è il ciclismo, non puoi fare niente.

Secondo Majka, Del Toro ha perso il Giro negli ultimi 2 km del Finestre
Secondo Majka, Del Toro ha perso il Giro negli ultimi 2 km del Finestre
Quanto tempo hai impiegato ieri sera per capire come è andata a finire?

Non ho ancora capito bene. Ho vinto Giro e Tour con Pogacar e anche la Vuelta con Contador. Puntavo anche a vincere una tappa al Giro, perché ancora mi manca. Però mi sono messo a fare il gregario per il giovane e alla fine va bene. Bello il secondo posto, però la vittoria ci manca.

Stavi bene?

Stavo molto bene. Come l’anno scorso con Tadej, ho preparato il Giro nei dettagli. Stavo veramente bene, però mi tocca ripeterlo ancora: questo è il ciclismo, ragazzi.

Il Giro di Yates: un viaggio nei pensieri della maglia rosa

01.06.2025
6 min
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ROMA – Quando Simon Yates ha tagliato il traguardo dell’ultima tappa del Giro d’Italia, aveva sul volto un sorriso bellissimo, in netto contrasto o a completamento delle lacrime di ieri a Sestriere. Sette anni dopo essere stato respinto dal Colle delle Finestre, il britannico della Visma-Lease a Bike è tornato sulla stessa salita per riprendersi quello che sentiva suo e ci è riuscito. Per questo, acclamato dalla gente di Roma sul circuito finale, Simon ha sentito di aver realizzato un suo sogno di bambino. E così gli abbiamo chiesto di raccontarci alcuni pensieri di questa giornata finale tutta in rosa. Di quelle che ha visto con altri attori al centro della scena e lui, in disparte, ad abbassare lo sguardo sperando in giorni migliori.

Il Giro a Roma ha trovato gli scenari più degni per un evento così grande
Il Giro a Roma ha trovato gli scenari più degni per un evento così grande

Sulla vittoria del Giro

«Da quando sono diventato professionista ho sempre sognato di vincere le migliori gare e ovviamente i Grandi Giri, che sono l’apice del nostro sport. Mi sono innamorato del Giro nel 2018 e penso sappiate tutti bene che negli anni ho avuto i miei alti e i bassi, ma era come se questa corsa continuasse a chiamare il mio nome. E alla fine sono riuscito a vincerla, a coronare il mio sogno e quasi mi sembra impossibile».

24 ore dopo, Van Aert e Yates: a Sestriere, Wout ha spianato la strada verso la maglia rosa
24 ore dopo, Van Aert e Yates: a Sestriere, Wout ha spianato la strada verso la maglia rosa

Sulla fiducia in se stesso

«Penso che chiunque creda in se stesso e pensi di potercela fare. Solo che nell’ultima settimana mi sono ritrovato a perdere del tempo da Carapaz e Del Toro e stavo iniziando a vedermi lontano e a capire che vincere sarebbe stato sempre più complicato. Ma come ho raccontato ieri, i ragazzi mi hanno incoraggiato a provare, perché non si sa mai. Ci ho creduto anche io, ho provato e sono riuscito a farcela. Quindi questa domenica del Giro a Roma è stata una giornata pazzesca».

La maglia rosa ricevuta in Vaticano da Papa Leone XIV, un momento ad alta intensità
La maglia rosa ricevuta in Vaticano da Papa Leone XIV, un momento ad alta intensità

Sull’incontro col Papa

«Oggi la partenza è stata davvero incredibile. Per qualche motivo non mi ero reso conto che ci saremmo fermati ed è stato davvero comico. Pensavo che saremmo passati di lì, non immaginavo a un momento per me. Pensavo fosse per tutti i corridori presenti, saremmo passati di lì e avremmo avuto la sua benedizione. Invece è stato un momento davvero forte».

Sul cambio di squadra

«Sono stato per 11 anni nella stessa squadra e ho vinto il Giro al primo anno che ho cambiato. Penso che avessi solo bisogno di cambiare e volevo arrivare in una squadra che sapesse come vincere i Grandi Giri. Lo hanno fatto con successo con diversi corridori e sembra che il cambiamento abbia dato i suoi frutti. Naturalmente, non mi sono mai pentito di essere rimasto alla Jayco per così tanto tempo, penso di avere alcuni amici di una vita e dei bei ricordi. Ma sono team molto diversi, non sarei in grado di cogliere una sola differenza che abbia cambiato le cose».

Yates si definisce poco emotivo e razionale, ma l’impresa di Sestriere lo ha scosso nel profondo
Yates si definisce poco emotivo e razionale, ma l’impresa di Sestriere lo ha scosso nel profondo

Sui momenti duri

«Penso che tutti noi abbiamo sempre dei dubbi, se stiamo facendo la cosa giusta o se siamo sulla strada giusta. Ho anche avuto un sacco di battute d’arresto, non solo qui al Giro, ma anche durante altre gare. E davvero ho pensato che forse fosse il momento di fermarsi e fare qualcos’altro. Ma ho continuato ad andare avanti e adesso mi ritrovo qui. Finora questo è stato il mio anno, non ho avuto sfortuna».

Sorridono tutti, ma Del Toro e Carapaz riusciranno prima o poi a spiegarsi?
Sorridono tutti, ma Del Toro e Carapaz riusciranno prima o poi a spiegarsi?

Sulle lacrime di ieri

«Normalmente mi considero poco emotivo, diciamo, e abbastanza concentrato. Ma ieri non sono riuscito a trattenere le lacrime perché quello che ho vissuto mi ha davvero colpito. Non per continuare a ripetermi, ma è qualcosa per cui ho davvero lavorato e mi sono sacrificato per molto tempo e non riuscivo a credere di essere riuscito a farcela. Per questo piangevo e per questo ci sto ancora pensando. Comunque voglio dire che erano lacrime di felicità. Anche oggi abbiamo finito questa tappa in modo così grande che siamo tutti al settimo cielo. Inizio davvero a rendermi conto di ciò che abbiamo realizzato. Abbiamo avuto un grande tifo e vedremo cosa succederà dopo».

L’attacco sul Finestre ha permesso a Yates di restare da solo e gestire al meglio lo sforzo
L’attacco sul Finestre ha permesso a Yates di restare da solo e gestire al meglio lo sforzo

Sull’impresa di Sestriere

«Dire se ieri ho vinto per le gambe o per astuzia? Avevo un’idea e prevedeva di attaccare da lontano. Volevo davvero stare da solo in modo da potermi concentrare sul mio sforzo. Sapevo di avere gambe forti e sapevo che, una volta rimasto da solo, che potevo concentrarmi e dare il meglio. Mi è sembrato che alcune delle altre tappe fossero più tattiche, ma sabato sapevo o sentivo che avrei fatto meglio in uno sforzo più lungo e sostenuto. Avevo solo bisogno di andarmene da solo e riuscire a farlo. Ad essere onesti, da lì in poi è stato abbastanza semplice. Ogni giorno avevamo il piano di mandare qualcuno in fuga per sostenermi se ne avessi avuto bisogno in caso di attacco. Ed ha davvero funzionato».

Qualche chilometro accanto al fratello Adam: per i gemelli Yates un Giro dalle luci differenti
Qualche chilometro accanto al fratello Adam: per i gemelli Yates un Giro dalle luci differenti

Sul fratello Adam

«Sono molto legato a mio fratello, ma in realtà non parliamo molto di ciclismo. Così oggi abbiamo pedalato accanto, ma non del fatto che la sua squadra ha perso il Giro. Abbiamo parlato solo del correre attraverso la Città del Vaticano e cose della vita normale. Ma penso, venendo alla sua squadra, che Isaac Del Toro sia un ragazzo giovane e davvero brillante, già di livello mondiale. Penso che quando avevo 21 anni, ero ancora un neo professionista o forse non ero nemmeno professionista. Quindi sono sicuro che si riprenderà e avrà molto più successo nel suo futuro».

Sono le 21 di una giornata lunghissima. La Visma-Lease a Bike ha riservato un tavolo al Midas per festeggiare la vittoria in un Grande Giro che mancava dalla fantasmagorica Vuelta del 2023. Sul podio è spuntato nuovamente il boss, Richard Plugge, che si frega le mani, si gode il momento e magari pregusta i giorni del Tour, quando anche Yates correrà al fianco di Vingegaard. Ma per quello ci sarà tempo. Il vincitore sparisce dalla grande porta della Sala della Protomoteca in Campidoglio. A noi non resta che scrivere…

Kooij sale sul diretto Affini-Van Aert e si prende Roma

01.06.2025
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ROMA – Olav Kooij sta per entrare in mix zone. Sono passati forse venti minuti dalla sua vittoria, ma ecco che Wout Van Aert lo richiama. «Vieni, andiamo alla premiazione di Simon (Yates chiaramente, ndr)». E così è andata a finire che tra brindisi, premiazioni, antidoping, priorità delle tv, e svariate pacche sulle spalle, l’olandese della Visma-Lease a Bike si è presentato ai microfoni quando ormai le ombre avevano coperto persino i punti più alti del Foro Romano.

Il re di Roma è lui. E’ lui che ha vinto lo sprint finale su un circuito meno scontato del previsto. Un anello nel cuore della Capitale che a tratti riprendeva gli ondulati del GP Liberazione e arrivava sulla collinetta che domina il Circo Massimo.

Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale
Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale

Turbocompressore Affini

Si poteva pensare che i calabroni, oggi a dire il vero con il rosa al posto del giallo, potessero essere appagati dai due successi di tappa e soprattutto dalla rocambolesca maglia rosa conquistata ieri. E invece eccoli spianati sulle loro Cervélo. Il treno finale, un diretto, era composto da Edoardo Affini, Wout Van Aert e appunto Kooij.

La velocità era altissima. La fuga volava e dietro si limava come fosse una classica. Altro che gambe stanche. O almeno, se così era, i corridori non lo hanno dato a vedere. La Alpecin-Deceuninck ha svolto un ottimo lavoro per Kaden Groves, ammaliato dal circuito tecnico e duro e dall’arrivo in salita: 300 metri al cinque per cento.

Ma quando poi entrano in gioco i mega motori c’è poco da fare. Sentite qui il racconto di Affini degli ultimi 1.500 metri: «C’era tanta tensione ed è stato un po’ un gioco di tempistiche nella parte finale. Anche le altre squadre volevano stare davanti e soprattutto avevano sacrificato degli uomini per chiudere sulla fuga, che stava andando veramente forte. Quindi un po’ tutti erano senza uomini e per questo non bisognava sbagliare i tempi della volata. A quel punto siamo andati in crescendo di velocità, pensavamo partisse il tutto ma si sono spostati e la velocità è calata».

Quelli sono attimi di incertezza in cui c’è un grande rimescolamento di carte. E proprio lì Affini mette a segno il capolavoro per il suo team e per Kooij.

«Ci sono state di nuovo un paio di accelerazioni – spiega Affini – ma sono riuscito a stare in posizione senza sprecare troppo. Poi a un chilometro e mezzo ho visto che era il momento di andare e mi sono detto: “Adesso. O la va o la spacca”. Per radio Wout mi ha fatto sapere che erano in buona posizione. Mi ha detto: “Siamo qui”. Io ho capito che erano alla mia ruota ed è stata un’indicazione importante per fare un’accelerata forte. Quando sai che i tuoi compagni ti seguono hai ancora più motivazione, più certezza. Sai che non stai facendo una tirata a vuoto».

L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)
L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)

Vittoria Kooij

A quel punto Kooij doveva “solo” spingere la sua bici fino al traguardo. «Edoardo – dice Kooij – è stato un grande a spingere in quel modo e a sua volta anche Wout ha potuto affondare fortissimo. Toccava a me e non potevo che spingere forte sui pedali… L’unica paura che avevo non era per lo sprint in sé ma di riuscire a restare sui pedali dopo tre settimane durissime».

«Non è facile concludere uno sprint perfetto, ma oggi credo proprio che ci siamo riusciti con tutta la squadra. Prima di Affini e Van Aert che, ripeto, mi hanno posizionato in modo perfetto, anche gli altri avevano svolto egregiamente il loro compito. Pertanto sono contento di averli ripagati così».

Prima di andare oltre, Olav ha dedicato anche un pensiero a Robert Gesink, una colonna portante di questo team. «Oggi abbiamo pedalato con un’emozione speciale ulteriore, per la perdita della moglie del nostro ex compagno di squadra Gesink».

La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità
La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità

Festa maglia rosa

«Olav – racconta Affini – è sicuramente un grande velocista, direi uno dei migliori al mondo. E che finale per noi, con Simon in maglia rosa. È stato bellissimo finire il Giro d’Italia così, con Olav primo a Roma. Era una tappa che avevamo cerchiato in rosso. E credetemi, oggi non è stata affatto una passerella, come si suol dire. Siamo andati forti tutto il giorno. A parte ovviamente la prima parte con un po’ di foto, un po’ di festeggiamenti».

Anche Kooij fa eco a quanto detto da Affini e ha voglia di staccarsi dalla sua vittoria. In fin dei conti è comprensibile: hanno vinto il Giro d’Italia. «Questo finale di settimana è stato incredibile, davvero. L’azione di ieri con Simon è stata, è stata… non so neanche come dire: pazzesca! E poi vincere qui a Roma. La vittoria di Simon mi ha dato ancora più carica. Abbiamo vissuto 24 ore incredibili».

Proprio su Roma, si è soffermato l’olandese. In qualche modo è riuscito a godersi lo spettacolo di questo arrivo nella storia. «E’ stato bellissimo, abbiamo pedalato con un panorama stupendo. Conoscevo già il Colosseo… Un circuito bello, ma anche duro. Ora festeggeremo con una bella cena romana!».

Il GP Liberazione di Masciarelli, vittoria e profumo di rinascita

26.04.2025
6 min
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Quelle mani sugli occhi dopo l’arrivo e la dedica verso il cielo danno la misura esatta del bisogno che Lorenzo Masciarelli avesse di vincere. Ce lo aveva raccontato pochi giorni fa e per questo la vittoria di Roma, in questo giorno a suo modo così strano, resterà scolpita nella sua storia personale di atleta e di uomo (in apertura, foto di Simone Lombi).

Il Gran Premio Liberazione si è svolto in un frullatore di emozione. Per la squadra bergamasca, quelle successive alla morte di Pietro Valoti, papà del diesse Gianluca, cui anche Masciarelli ha rivolto un pensiero avvicinandosi al traguardo. Per Roma e per il mondo cattolico, quelle dei giorni successivi alla morte di Papa Francesco. Un 25 aprile che l’abruzzese del team MBH Bank-Ballan ha vissuto come una vera rinascita e come tale ci piace raccontarla. Cinquant’anni dopo la vittoria di suo nonno Palmiro, memoria di un ciclismo diverso, di quando i dilettanti erano tali e al via di questa corsa ne trovavi anche 250 da tutto il mondo, lanciati verso le Olimpiadi.

Sono stati 160 i corridori al via del Gran Premio Liberazione organizzato da Claudio Terenzi (foto Simone Lombi)
Sono stati 160 i corridori al via del Gran Premio Liberazione organizzato da Claudio Terenzi (foto Simone Lombi)
Uno scalatore che vince il Liberazione, stavi davvero tanto bene?

Sapevo di andare forte e che potevo fare bene, però non mi aspettavo di vincere. Con la squadra sapevamo che avrei dovuto anticipare, ne avevamo parlato, anche perché comunque in volata sarebbe stato più rischioso. Ho visto l’occasione dopo due giri e mi sono infilato nella prima fuga di giornata. Ho pensato che a qualcuno era andata bene facendo così e mi sono buttato dentro. E poi nel finale mi sentivo bene, grazie anche al mio compagno che mi ha dato una grande mano (l’ungherese Takács, primo anno che nel 2024 ha vinto il Giro del Friuli juniores, ndr).

Forse il fatto di essere uscito dai panni dell’uomo da giri a tutti i costi ha aperto altre porte?

Sono contento perché ho ritrovato un po’ più di esplosività, anche se devo ancora capire bene che corridore sono, perché al Recioto sono andato forte anche in salita e avevo buone sensazioni. Ora so di avere anche questa sparata, quindi è complicato trovare una definizione unica. Non so sinceramente come descrivermi, so che ho vinto e questo è davvero una grande notizia.

Takàcs è stato di grande aiuto in fuga per Masciarelli, facendo tirate decisive (foto Simone Lombi)
Takàcs è stato di grande aiuto in fuga per Masciarelli, facendo tirate decisive (foto Simone Lombi)
Sei stato in fuga per tutto il giorno: hai sempre creduto che sareste arrivati oppure avete avuto paura per il gruppo che si avvicinava?

Da quando sono entrato in fuga, ho visto i corridori che c’erano e ho pensato sin da subito che si poteva fare bene, perché era gente forte e facevamo una bella andatura. Nonostante dietro il gruppo menasse forte, non ci prendeva tanto. Ho avuto paura in qualche momento che tornassero sotto, dopo 2-3 giri che eravamo partiti. Però poi abbiamo iniziato a prendere sempre più margine e soprattutto tra noi c’è stato molto dialogo.

Dialogo?

Quando abbiamo visto che il gruppo ci è arrivato a 1’30”, abbiamo alzato nuovamente l’andatura e siamo riusciti a tornare sui due minuti, c’era un bell’accordo tra di noi. Ci parlavamo molto e quindi lì ho iniziato a essere sempre più convinto. Si poteva arrivare. Anche quando si è messa davanti la Uae e ci hanno preso subito 30 secondi, li abbiamo respinti aumentando il ritmo.

Nell’ultimo giro a testa bassa e senza voltarsi: così Masciarelli ha respinto gli inseguitori (foto Simone Lombi)
Nell’ultimo giro a testa bassa e senza voltarsi: così Masciarelli ha respinto gli inseguitori (foto Simone Lombi)
Fino al tuo assolo finale…

Ho fatto la prima azione a tre giri dalla fine e siamo tornati a 2 minuti di vantaggio e mi sono reso conto che dietro non fossero fortissimi. Takàcs mi ha aiutato tantissimo, ha fatto delle tirate veramente forti e intanto i ragazzi che erano con noi erano sempre più sofferenti. A quel punto, ho capito che si poteva fare.

Sei andato via da solo e non ti sei mai voltato.

Esatto, ma fino ai 400 metri non ci credevo ancora. Nell’ultimo giro, non mi sono mai guardato alle spalle. Avevo qualche riferimento soltanto quando vedevo il gruppo nel controviale. All’inversione dopo l’ultimo passaggio sull’arrivo, li avevo visti vicini. Saranno stati 6-7 secondi e quindi da lì in poi non mi sono più girato. Sono andato a tutta fino al traguardo e quando negli ultimi 400 metri ho visto che nella discesa alle mie spalle non c’era nessuno, mi sono reso conto di aver vinto.

Le dita al cielo salutando Pietro Valoti, scomparso la settimana precedente (foto Simone Lombi)
Le dita al cielo salutando Pietro Valoti, scomparso la settimana precedente (foto Simone Lombi)
Una vittoria che dà fiducia?

Sapevo di stare bene e già questo mi dava convinzione. Quello che mi porto via da Roma è la lezione che a volte osando di più si può tirare fuori un bel risultato. Su strada non vincevo dal secondo anno da allievo, davvero tanto tempo. Ci sono riuscito, quindi ho più serenità a livello personale, magari d’ora in poi potrò divertirmi di più.

Che cosa prevede ora il programma?

Ci sono ancora tante gare, poi c’è il Giro Next Gen, ma intanto andiamo alla Torino-Biella. E’ un bel momento. Nespoli ha vinto il Recioto ed è dal primo ritiro che abbiamo avuto la sensazione di una squadra in ottima salute. Ci dispiaceva di non aver ancora raccolto i frutti degli allenamenti e degli sforzi che avevamo fatto nei giorni sull’Etna con cui abbiamo preparato le classiche di aprile. Questa settimana è stata la vera svolta.

E’ stata anche la conferma che lavorando bene, i devo team non sono poi così lontani?

Secondo me è così. Magari hanno qualche piccola accortezza, qualche aggiornamento in più avendo alle spalle dei team WorldTour. Però alla fine sono ragazzi come noi, abbiamo la stessa età. Quindi per quanto possano essere più aggiornati di noi, tolti 2-3 corridori che vanno fortissimo come lo stesso Finn, non abbiamo nulla da invidiargli. A patto che si lavori nel modo giusto: questa è la premessa più giusta.

EDITORIALE / Il ciclismo ha bisogno di ponti, non di muri

03.03.2025
4 min
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C’è qualcosa che vorremmo dire sulla Coppa Italia delle Regioni, presentata la settimana scorsa a Roma, nella solennità di Montecitorio. Come spesso avviene nel ciclismo, già la sera qualcuno ha iniziato a inviare messaggi di scetticismo, come a dire che non fosse vero niente. A noi invece la cosa sembra importante, a patto che tutti accettino di giocare secondo le stesse regole.

Il ciclismo nel salotto buono della politica avrà anche una parte di facciata, ma alla base ci sono sostanza e impegni concreti
Il ciclismo nel salotto buono della politica avrà anche una parte di facciata, ma alla base ci sono sostanza e impegni concreti

Il ciclismo a Montecitorio

Primo aspetto: la solennità della manifestazione. Nulla si fa senza immaginare un tornaconto. Perciò, se alcuni ministeri hanno elargito finanze per mettere in piedi questa collaborazione, rendergli grazie è un passaggio istituzionale e di buon senso. La presenza di tre ministri serviva a questo: a fargli spiegare la loro scelta e ricevere in cambio la visibilità che ne hanno potuto trarre.

In ogni caso, il fatto che il ciclismo sia stato ospitato nella sede istituzionale più prestigiosa, è un segnale che dobbiamo valorizzare, senza lasciar prevalere il cinismo di sempre. Prendiamo il buono che abbiamo, il male non ha bisogno di essere scelto: si impone da sé.

Facciamo che se ne parli nei salotti che contano e approfittiamo dell’occasione di uscire dai soliti circoli in cui a volte ci si sente comodi e altre volte ci si sente imprigionati. Roberto Pella, sindaco e deputato, sta compiendo passi evidenti. Lo fa perché ha un animo sensibile o per qualche tornaconto? Cerchiamo di capire cosa può darci e lasciamolo lavorare. Ci siamo spesso lamentati di non essere rappresentati nei centri del potere: adesso in parte lo siamo, proviamo ad approfittarne. Di certo nella mattinata di Roma sono emersi spunti importanti, che sarebbe un peccato non cogliere.

Mercoledì torna il Trofeo Laigueglia: qui il via del 2024, con le continental in mezzo alle WorldTour
Mercoledì torna il Trofeo Laigueglia: qui il via del 2024, con le continental in mezzo alle WorldTour

Il calendario italiano

Secondo aspetto: il calendario italiano. Lasciando stare l’eterna e malinconica disputa sull’assenza di una squadra WorldTour in Italia, quel che manca è un’attività credibile per tutto il resto del nostro ciclismo. Ci sono classiche di remoto prestigio e altre che trovano ancora una loro ragione di essere. Quel che manca è il coinvolgimento delle squadre italiane che, fatte salve le tre Professional, sono ormai soltanto delle continental.

Proprio nel mattino di Roma, un organizzatore è stato chiaro: io voglio portare più squadre WorldTour e non essere costretto a far correre le continental. Soprattutto perché alcune delle squadre italiane hanno a suo dire un livello tecnico che lascia a desiderare. Questo è proprio il punto su cui Lega e Federazione dovrebbero trovare un accordo. Si può ricorrere al ranking delle continental e prevederne la presenza in numero ragionevole?

Le cose si possono fare, basta la volontà. Per questo è sembrato strano che alla presentazione di Roma non ci fossero esponenti della FCI. La Lega del Ciclismo Professionistico è un’emanazione della Federazione, ha senso che ci sia una distanza?

Al momento l’ACCPI del presidente Salvato si occupa unicamente dei professionisti
Al momento l’ACCPI del presidente Salvato si occupa unicamente dei professionisti

I grandi e i piccoli

Terzo aspetto: il grande protegge i piccoli. Coinvolgere le continental e i devo team nelle gare della Coppa Italia delle Regioni significa per i grandi prendersene in qualche modo cura. Il professionismo non può essere diviso dal resto del ciclismo da altri muri che non siano il contratto. Avere sul movimento degli U23 e degli elite un occhio del professionismo significa anche lavorare per un loro miglioramento. Significa provare a esportare le tutele minime, magari in termini di sicurezza, semplicemente prevedendo un osservatore che ci metta un occhio. In modo che se succedesse di nuovo qualcosa come la morte di Giovanni Iannelli, l’Associazione dei corridori non si ritrovi a dire che il ragazzo non era un professionista e di conseguenza loro non possono occuparsene. Non è possibile creare un tavolo condiviso?

Quando si parla di ciclismo, è difficile far capire al di fuori che ci sono certe distinzioni, anche davanti alla sicurezza degli atleti. Il giovane che muore, qualunque sia il suo nome, un giorno sarebbe potuto diventare un grande professionista. La sua perdita è un lutto per tutte le categorie. Prendersi cura dei più piccoli è indice della civiltà di qualsiasi tipo di società.

Coppa Italia delle Regioni, il ciclismo racconta l’Italia

27.02.2025
7 min
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ROMA – Fa un certo effetto pensare che di là c’è l’aula del Parlamento. E fa nuovamente un certo effetto – la prima volta accadde dopo il Giro d’Italia – rendersi conto che il ciclismo è l’ospite d’onore nella Sala della Regina, al cospetto del Presidente della Camera, di tre Ministri e dello stato maggiore della Lega del Ciclismo Professionistico. Il presidente Roberto Pella sa come muoversi e il risultato è che si parla di sport alla presenza di altissime cariche dello Stato.

«Il ciclismo attraverso le vittorie dei suoi campioni – dice il presidente Fontana – di Coppi, Bartali e poi anche Pantani, ha avuto grande valenza per la vita degli italiani. Quindi è un grande piacere essere qui con voi a presentare questa manifestazione ed è un grande piacere che venga fatto alla Camera. E’ molto bello che ci siano questi campioni intervenuti oggi con noi. E io li ringrazio. Alcuni di loro, probabilmente senza saperlo, hanno cambiato le vite di tantissime persone. Magari in maniera anche più profonda di quello che essi stessi possono immaginare. Sono parte del ricordo intimo di tantissime persone, per me è stato così. Perché anche in alcuni momenti difficili della mia vita, nel ciclismo ho avuto un momento di empatia e quindi li ringrazio per le emozioni che hanno dato.

«E ringrazio chi si impegna quotidianamente in questa attività e in questo sport – conclude Fontana – perché continua a regalare tantissime emozioni. Vedere questi atleti nel loro sforzo fisico, nell’impegno che ci mettono e nell’ardore che hanno sicuramente ne fa dei punti di riferimento importanti per la vita di tante persone».

Lorenzo Fontana, Presidente della Camera, è appassionato di ciclismo: eravamo già stati qui dopo il Giro (foto LCP)
Lorenzo Fontana, Presidente della Camera, è appassionato di ciclismo: eravamo già stati qui dopo il Giro (foto LCP)

La Coppa Italia delle Regioni

L’occasione è la presentazione della seconda edizione della Coppa Italia delle Regioni, il circuito voluto appunto dalla Lega Ciclismo e dalla Conferenza delle Regioni, per fare delle corse in calendario il più efficace veicolo promozionale per il territorio italiano.

«Non è solo un insieme di ottime corse – dice il senatore Pella – ma nasce dagli intenti di due entità che vogliono valorizzare il territorio su cui si muovono e vivono. Il ciclismo passa sotto le case e coinvolge le famiglie. Il ciclismo entra nel cuore e nelle anime. Lo dico da sindaco: non c’è niente di meglio di quel gruppo che passa per valorizzare un territorio».

Undici regioni e 31 corse

Il calendario della Coppa Italia delle Regioni coinvolge 11 regioni e guarda avanti ad attirarne di più. Le corse sono 31 (21 per gli uomini, 10 per le donne). Il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome è Lorenzo Fedriga, ma oggi non c’è. Nel messaggio che affida al depliant di giornata parla del ciclismo come «una disciplina che unisce passione e determinazione, attitudine al lavoro di squadra e resilienza, capace di trasformare ogni strada percorsa in un viaggio alla scoperta delle bellezze del Paese».

Al suo posto interviene dunque Vito Bardi, presidente della regione Basilicata e coordinatore della Commissione Sport della Conferenza delle Regioni. «Questo calendario di gare e questa presentazione – dice – non sono un atto formale, ma un impegno per promuovere il ciclismo. Le competizioni sportive sono una chiave eccezionale per raccontare il territorio e propugnare un modo sano di vivere. Si è costituito un gruppo di lavoro permanente dello sport in collaborazione con Sport e Salute, con il Governo e con la Conferenza delle Regioni per promuovere stili di vita migliori. Abbiamo inaugurato la miglior fase collaborativa».

Il Ministro Abodi ha parlato di sport, di sicurezza, di giustizia, di cultura e di turismo
Il Ministro Abodi ha parlato di sport, di sicurezza, di giustizia, di cultura e di turismo

La saggezza di Abodi

Conduce Giada Borgato, che guida il discorso da un interlocutore a un altro. Introduce i contributi video di Antonio Tajani e Giancarlo Giorgetti, assenti e giustificati da alti compiti istituzionali, e poi passa la parola al Ministro dello Sport Andrea Abodi, che va dritto al sodo con parole competenti.

«Ringrazio i campioni – dice – gli organizzatori e i media, ma soprattutto ringrazio per la passione popolare. Se siamo qui e se il ciclismo è lo sport popolare che amiamo è per una staffetta generazionale. Dare la cornice di questa Coppa Italia delle Regioni a tutti gli organizzatori significa fare un passo nella giusta direzione, quella del cambiamento che permette allo sport di stare al passo coi tempi. Come Governo, non faremo mancare il nostro contributo. Nonostante sia uno sport che parte dalle individualità, il ciclismo insegna a fare gioco di squadra. Ma il nostro impegno non si limiterà all’agonismo, ma anche alla promozione di impianti rivolti ai più piccoli.

«La sicurezza ci sta a cuore. Vorrei che in caso di morte nelle competizioni, ci fosse la ricerca puntuale delle responsabilità. Vorrei che la contabilità dei morti sulle strade non fosse così elevata. C’è bisogno di un’alfabetizzazione per chi va sulle strade, per chi quando guida si distrae o non è nelle condizioni per farlo. E poi c’è la promozione turistica, che non deve limitarsi alle gare, ma essere un obiettivo per 365 giorni all’anno».

Il trofeo nasce dal Simbolo del Terzo Paradiso, ideato da Pistoletto, in duplice versione: uomini (sopra) e donne

Le pari opportunità

C’è anche Daniela Santanché, in quanto Ministro per il Turismo, che in questi giorni ha probabilmente altri fronti caldi su cui contentrarsi, ma ugualmente snocciola i numeri del cicloturismo e decanta la crescente voglia di Italia nel mondo. E poi Giada Borgato passa la parola alla Ministro delle Pari Opportunità e Famiglia Eugenia Maria Roccella. E lei ricorda immancabilmente Alfonsina Strada e racconta di aver aderito con entusiasmo alla richiesta di Roberto Pella di sostenere la Coppa Italia delle Regioni anche con il suo Ministero.

«Le pari opportunità – spiega – partono dal riconoscimento di una differenza. Il fatto che si siano pareggiati i premi fra uomini e donne non è simbolico, ma un fatto di sostanza. Abbiamo contribuito con grande entusiasmo al questo progetto, perché lo riteniamo un progetto simbolo. E visto che sono anche Ministro per la Famiglia, ricordo tanti anni fa quando le famiglie si ritrovavano attorno alla radio per ascoltare le cronache del Giro d’Italia. Era una comunità che si stringeva attorno all’orgoglio di essere italiani, al senso di appartenenza».

Chiusura con i campioni

L’ultimo scampolo di tempo spetta ai quattro campioni inseriti a pieno titolo nell’organigramma della Lega Ciclismo: Giuseppe Saronni, Francesco Moser, Vincenzo Nibali e Gianni Bugno. Li vedi che sono emozionati nel parlare davanti a una simile platea, ma tutti ti comunicano l’orgoglio di esserci e la voglia di svolgere appieno l’incarico ricevuto. Poi di colpo un commesso del Parlamento con i guanti bianchi consegna un foglietto a Giada Borgato e si capisce che si deve chiudere.

Di là a breve discuteranno di bollette e altri provvedimenti del Governo, di qua ci guardiamo intorno, salutiamo facce che normalmente vedremmo alle corse e poi ci rituffiamo nel traffico, contando i giorni che mancano per la prima prova della Coppa Italia delle Regioni. Il Trofeo Laigueglia, mercoledì prossimo. Poi il 2025 italiano prenderà finalmente il via.

Sicurezza: manifestazione a Roma all’indomani del Giro?

29.01.2025
3 min
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«Sicuramente bisogna fare qualcosa – dice Salvato – perché tutti quanti stiamo qua solo a lamentarci per la poca sicurezza o a fare il post con il cuoricino spezzato per Sara che è morta, ma alla fine diventa ridicolo, hai capito?».

Abbiamo chiamato il presidente dell’ACCPI perché l’idea di organizzare una manifestazione di ciclisti sta prendendo forma. Dopo la morte di Sara Piffer era solo nella nostra testa , ma quando ne è uscita attraverso l’Editoriale di ieri, ha incontrato il consenso del popolo del ciclismo. Quantomeno della gente comune, ma i corridori? I professionisti sono disposti a scendere in piazza e metterci la faccia per protestare contro una strage che riguarda loro per primi? Chi può essere sicuro di non essere il prossimo?

In questi ultimi 30 anni li abbiamo visti scioperare per non mettere il casco, contro le scorribande della Polizia al Tour del 1998, contro le rotaie e la poca sicurezza sulle strade del Giro, perché c’era troppo vento, perché c’era troppa pioggia e anche per la neve. 

L’uccisione di Sara Piffer ha fatto traboccare il vaso? E’ immaginabile scendere in piazza? (immagine Instagram)
L’uccisione di Sara Piffer ha fatto traboccare il vaso? E’ immaginabile scendere in piazza? (immagine Instagram)
E adesso, presidente, avrebbero voglia di metterci la faccia?

Riavvolgendo un po’ il nastro, sapete da quanto stiamo battagliando su questa cosa, no? Siamo stati i primi a muoverci sul tema della sicurezza e lungo la strada abbiamo conosciuto tanti amici. Marco Cavorso, ad esempio, che è stato uno dei motori e sempre una forza di tutto questo movimento. Poi c’è stato il tira e molla per la legge del metro e mezzo. Ci siamo arrivati vicini tante volte. Siamo stati a Roma con vari ministri, ne ho conosciuti tanti, però alla fine c’è stata la versione di Salvini: non era come la volevamo, però almeno è stata approvata.

Cristian, non basta…

Per questo abbiamo parlato con varie persone e avevamo pensato di muoverci sul fronte della comunicazione. Si pensava di realizzare degli spot sulla sicurezza stradale, ci erano state date parole di collaborazione che poi sono state rimangiate. Tanto che ne abbiamo riparlato nel nostro Consiglio e ci siamo detti di fare anche da soli.

Di cosa si tratterebbe?

Avevamo in mente di coinvolgere qualche personaggio noto, si pensava a Paolo Kessisoglu, che è un grande appassionato di bici. L’idea era di realizzare delle pillole video in cui far parlare corridori, familiari che hanno perduto qualcuno, ma anche personaggi di spicco come Paolo, appunto, ma anche Cannavaro, oppure Jovanotti e magari Mancini…

Cavorso, con Paola Gianotti e Fondriest: una settimana dopo questa foto al Mugello, la morte di Sara Piffer
Cavorso, con Paola Gianotti e Fondriest: una settimana dopo questa foto al Mugello, la morte di Sara Piffer
Non basta. Finora hai parlato di iniziative cui partecipi tu e nessun corridore. Quello che sarebbe bello sapere è se per questo scenderebbero in strada. Altrimenti si fa un funerale e ci si mette buoni ad aspettare il prossimo…

Ognuno è preso dalle sue mille cose. Se li prendi singolarmente, magari De Marchi che è sempre più sensibile, oppure Trentin… E’ difficile coinvolgerli, devi organizzargli le cose, lo sai come sono fatti…

Ma qui si parla della loro vita e il solo modo perché la gente se ne accorga è invadere le città…

Allora proviamo a organizzare qualcosa che potrebbe essere, non so, il giorno dopo il Giro d’Italia? I ragazzi saranno a Roma, gli si può chiedere di fermarsi un giorno in più, sennò come fai a portarne tanti? La carovana è là e magari invece di tornare a casa la mattina dopo, tornano il pomeriggio. Ma una cosa dobbiamo saperla.

Quale?

Puoi mettere in atto tutte le azioni che vuoi, ma c’è poco da fare se ti ritrovi con quel vecchio che andava troppo forte e in Spagna ha investito la nazionale tedesca, a Calpe che sembra il paradiso dei ciclisti. Però sono d’accordo, qualcosa bisogna fare e bisogna anche coinvolgere più gente possibile. Anche io tante volte quando sono in bici, quando torno più che altro, penso che potrebbe toccare anche a me.