Tre distanze e una seduta di forza nella settimana tipo di Piganzoli

28.12.2024
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Con l’anno nuovo alle porte e la preparazione in pieno svolgimento, abbiamo chiesto a Davide Piganzoli di raccontarci la sua settimana tipo, un must di bici.PRO. Il giovane ciclista della Polti-Kometa ci ha offerto uno spaccato dettagliato della sua preparazione.

Mentre si sta preparando per un’uscita lunga, il Piga ci racconta come si struttura una sua settimana in questo periodo, in considerazione del fatto che dovrebbe iniziare a gareggiare a fine gennaio.

La filosofia di Piganzoli è di non arrivare al limite per quel che riguarda lo stress. Il relax è vitale (foto Maurizio Borserini)
La filosofia di Piganzoli è di non arrivare al limite per quel che riguarda lo stress. Il relax è vitale (foto Maurizio Borserini)
Davide, iniziamo con la preparazione: Il lunedì cosa fai?

Solitamente il lunedì è una giornata di doppia attività. La mattina lavoro in palestra, concentrandomi sulla forza. Farla a secco mi dà risultati migliori rispetto al farla in bici, ormai lo abbiamo appurato. Nel pomeriggio, invece, mi dedico a un’ora e mezza o due di bici, con qualche partenza da fermo e sprint per migliorare questo gesto specifico. Quindi sempre ambito forza.

Il martedì?

Il martedì è un giorno di transizione. Si tratta di fare due ore e mezza o tre in bici, senza lavori specifici. In questo periodo dell’anno è importante accumulare ore in sella, facendo magari salite un po’ più forti, al medio o in Z3 e il resto in Z2, alla fine ne esci con una buona media.

E siamo a mercoledì…

Il mercoledì è dedicato alla distanza (come una volta, ndr): cinque ore, anche cinque ore e mezza di allenamento. Anche qui, le salite si fanno in Z3 per mantenere una buona densità. Di solito inserisco due o tre salite di 20-25 minuti, evitando di esagerare con la lunghezza per non prendere troppo freddo poi in discesa. E poi sia che sia da me in Valtellina che a San Marino ho sempre una salita per rientrare a casa. Il dislivello si attesta tra i 2.200-2.500 metri in questi casi.

Quando fa distanza, il Valtellinese ama uscire in compagnia. «Cerco di usare la bici di crono due volte a settimana», ha detto Piganzoli
Quando fa distanza, il Valtellinese ama uscire in compagnia. «Cerco di usare la bici di crono due volte a settimana», ha detto Piganzoli
Il giovedì cosa fai?

Il giovedì è una giornata di recupero. Esco con calma, magari alle 10,30, per un’ora e mezza di bici. C’è anche tempo per una pausa al bar, una lunga pausa al bar, bevendo un caffè o cappuccino, leggendo il giornale. Questi momenti aiutano a staccare dalla routine.

Venerdì?

Il venerdì si torna a lavorare sodo. Ed è il giorno dell’intensità. Faccio quattro ore di allenamento almeno, inserendo lavoretti a soglia bassa come progressioni con cadenza o minuti alternati tra soglia e recupero. Sono stimoli utili per preparare il corpo poi agli sforzi massimali che arriveranno più avanti.

Il sabato invece?

Il sabato è dedicato ancora ad una lunga distanza, di cinque o cinque ore e mezza, con salite sempre in Z2 e Z3, si va via regolari. È un allenamento che si affronta bene in compagnia e permette di accumulare ore senza appesantire troppo il fisico.

Infine Domenica…

La domenica è giornata di riposo assoluto. È importante per recuperare fisicamente e passare del tempo con la famiglia e la fidanzata, viste le lunghe trasferte durante la stagione. In accordo con il mio preparatore, Giuseppe De Maria, abbiamo stabilito che un giorno così serve assolutamente. Non bisogna mai arrivare al limite.

Avevamo visto Piganzoli lavorare in palestra già nel ritiro in Spagna: l’incremento della forza è uno dei suoi focus (foto Maurizio Borserini)
Avevamo visto Piganzoli lavorare in palestra già nel ritiro in Spagna: l’incremento della forza è uno dei suoi focus (foto Maurizio Borserini)
Davide, abbiamo parlato della preparazione: ora passiamo all’alimentazione: equilibrio e varietà

Il nutrizionista della squadra ci fornisce piani personalizzati in base a quel che dobbiamo fare. Ma tutto è sempre molto equilibrato.

Per esempio a colazione cosa mangi?

A colazione privilegio carboidrati, una fonte proteica e una liquida come caffè o the. Quindi pane e marmellata, pane e uova e appunto un caffè.

Pranzi sempre o con le distanze salti questo pasto?

Pranzo, anzi pranziamo sempre. Anche in ritiro certe volte tornavano alle 15,30-16 e tra la doccia e tutto il resto ci è capitato di pranzare anche alle 17. Magari si salta la merenda perché poi in vista della cena non c’è tempo, ma pranzo sempre, anche a casa. Alterno pasta, in bianco o col sugo se ho più tempo, riso o couscous con proteine leggere come pesce, carne o uova, dipende anche cosa ho mangiato a colazione. Poi può capitare che magari un giorno non abbia tempo o voglia di cucinare e allora magari mi faccio due fette di pane e un mango.

Al mattino la fonte proteica non manca mai per Piganzoli. Qui pane e uova
Al mattino la fonte proteica non manca mai per Piganzoli. Qui pane e uova
E a cena?

La cena varia in base all’attività svolta e a quella prevista per il giorno successivo. Ma anche in questo caso i carboidrati non mancano mai. Per esempio la sera prima della distanza un piatto di pasta non manca mai nel mio menù. Ogni tanto c’è spazio per uno “sgarro” controllato, per mantenere l’equilibrio mentale. Il concetto è di non arrivare troppo al limite, di non stressarsi eccessivamente perché poi arriva il giorno che uno crolla e sgarra di brutto. Quindi se una sera voglio un hamburger lo mangio.

Sei molto attento ai carboidrati: anche in bici?

Sì, sì: servono per lavorare bene. Prendiamo il lunedì per esempio, alla fine è vero che pedalo solo un’ora e mezza, ma in totale sono tre ore di allenamento.

Hai una tua routine di orari?

Mi sveglio solitamente verso le 8-8,30 e verso le 10 più o meno sono in bici. Dopo gli allenamenti e i pasti, il pomeriggio lo dedico al riposo, specie in questo periodo in cui vengo da sedute lunghe e le giornate sono fredde. Che poi il tempo vola: tra il pranzo, il sistemare qualcosa, la doccia e qualche momento di relax ecco che è già cena. La sera mi piace guardare un film o una serie, ma senza troppe regole fisse. Mi capita d’iniziare un film e magari finirlo due settimane dopo! quando sono le 23, anche 23,30 sono a letto.

Cambio di ritmo: questione genetica o di allenamento?

27.12.2024
5 min
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In tanti durante le nostre interviste ci parlano del cambio di ritmo, della necessità di implementare questa componente che in qualche modo va ad intaccare il sistema anaerobico. Ma come si può fare? Quanto è anche una questione genetica?

E sì, perché tutto sommato la resistenza, con dei buoni allenamenti e, oggi più che mai, una corretta alimentazione, in qualche modo si può raggiungere. Insomma, è meno complicato rispetto al cambio di ritmo, che è una qualità più complessa da sviluppare e ottimizzare. Abbiamo sottoposto questo tema a Diego Bragato, a capo del Gruppo Performance della Federciclismo.

Tiberi è uno degli atleti che sta lavorando su ritmo: eccolo quando l’andatura sale e deve essere pronto alle accelerazioni dei big
Tiberi è uno degli atleti che sta lavorando su ritmo: eccolo quando l’andatura sale e deve essere pronto alle accelerazioni dei big

Cambio di ritmo: cos’è

Prima di dare la parola a Bragato chiariamo in termini più generali cos’è il cambio di ritmo. Il cambio di ritmo è la capacità di alterare rapidamente l’intensità dello sforzo, passando da un livello aerobico stabile a picchi anaerobici di breve durata. Questo avviene, ad esempio, quando un corridore deve rispondere a un attacco, scattare in volata o affrontare una salita con variazioni di pendenza.

Di base, dal punto di vista fisiologico, il cambio di ritmo sollecita principalmente il sistema anaerobico alattacido e lattacido. Nel primo caso, si utilizzano le riserve immediate di energia (ATP e creatinfosfato), utili per sforzi intensi ma brevissimi. Nel secondo caso, invece, l’energia viene prodotta attraverso processi metabolici che generano acido lattico, il quale deve essere poi smaltito durante la fase aerobica successiva. E questa è la definizione accademica.

Poi c’è da capire come si allena e cosa intendono i corridori quando dicono che devono migliorare questo aspetto. Interval training, lavori massimali o sub massimali, ma anche palestra… il tutto però deve tradursi in un’azione che magari, almeno su strada, avviene dopo cinque ore di sforzo. In tal caso la questione della resistenza torna a farsi cruciale.

Diego Bragato è il responsabile del gruppo performance della FCI
Diego Bragato è il responsabile del gruppo performance della FCI

Bragato sale in cattedra

Fatta questa premessa passiamo dunque la parola al tecnico della Federciclismo. «Non è facile neanche allenare la resistenza a dire il vero – ha detto Bragato – ma certo oggi più che mai è importante allenare il cambio di ritmo. Oggi che i livelli sono molto simili per tutti, è spesso questo aspetto a fare la differenza. E sì, perché tante volte vince chi riesce a fare quello scatto in più».

«Togliamo Pogacar, che parte da livelli eccezionali, e in parte Vingegaard ed Evenepoel. Per gli altri, che rappresentano la maggior parte dei casi, la differenza è minima. Come detto, si va tutti sullo stesso ritmo. Chi ha la capacità di fare quello scatto in più spesso vince. In quel cambio di ritmo riesce a guadagnare quei 15”-20” che poi porta fino all’arrivo, rimettendosi successivamente alla stessa velocità degli altri. Ma per fare questo servono anche il fondo e la forza».

Qui si aprono due capitoli fondamentali per il discorso del cambio di ritmo: forza e resistenza. E Bragato riprende: «Sapete che lavoro moltissimo anche con la pista. Lì le gare sono più brevi e anche più esplosive rispetto alla strada, ma tante volte ho parlato di resistenza. In quel caso si tratta di avere una grande base. Una base che ci consente di lavorare bene sui cambi di ritmo e di farne in un certo numero».

«Poi è anche chiaro che c’è chi ci è più portato e chi meno. Chi ha un numero maggiore di fibre bianche e chi meno, ma senza dubbio è una componente allenabile».

L’allenamento a secco è fondamentale per migliorare nel cambio di ritmo
L’allenamento a secco è fondamentale per migliorare nel cambio di ritmo

La forza conta

Alla base di questo discorso, per Bragato, c’è un aspetto che è centrale ed è quello della forza. «Va da sé – spiega il tecnico – che per effettuare un aumento di velocità serve forza, più forza di quella che si stava esprimendo fino a quel momento. Questa è fondamentale. Giustamente si è detto che si effettua un lavoro anaerobico durante un cambio di ritmo. Su pista soprattutto, ma anche su strada, se magari devo chiudere un buco di pochi metri, c’è un cambio di ritmo di 4”-5” che però non porta all’accumulo di acido lattico. Caso ben diverso se invece parliamo di sforzi di 30”-60”: lì l’accumulo c’è. Chiaramente bisogna lavorarci con sedute specifiche in allenamento (i 40”-20”, i 2’-5’ minuti in Z5 o anche più, ndr) ma anche con i lavori specifici di forza».

Questi allenamenti migliorano sia la capacità anaerobica che quella aerobica, consentendo all’atleta di sostenere ripetuti cambi di ritmo senza un calo drastico delle performance.

Anche la forza è cruciale, come sottolineato da Bragato. Lavori in palestra con esercizi specifici per le gambe (squat, leg press), uniti ai lavori di forza su strada, aiutano a sviluppare la potenza necessaria per affrontare gli strappi più impegnativi. 

Nonostante VdP abbia un cambio di ritmo “genetico”, lui stesso ha detto di insistere col cross per ridurre il gap da Pogacar nei momenti di maggior intensità
Nonostante VdP abbia un cambio di ritmo “genetico”, lui stesso ha detto di insistere col cross per ridurre il gap da Pogacar nei momenti di maggior intensità

Genetica o allenamento?

Tornando alla questione genetica, è vero che alcuni atleti partono avvantaggiati grazie a una maggiore percentuale di fibre muscolari bianche, più adatte agli sforzi esplosivi. Tuttavia, il lavoro mirato può compensare queste differenze. L’obiettivo è creare un equilibrio ottimale tra forza, resistenza e capacità di recupero, per sfruttare al meglio ogni situazione di gara.

In conclusione, il cambio di ritmo è una delle qualità più determinanti nel ciclismo moderno: richiede un mix di capacità fisiologiche e atletiche che solo un allenamento strutturato e personalizzato può garantire. Come dice Bragato, «Oggi vince chi riesce a fare quello scatto in più».

La settimana tipo: Martina Fidanza, Natale fra strada e pista

24.12.2024
5 min
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La settimana tipo degli atleti è sempre molto variegata.In questi anni difficilmente ne abbiamo viste due uguali o molto simili, e quella di Martina Fidanza, che vi proponiamo, è ancora più diversa rispetto alle altre.

Fidanza, infatti, appartiene a quel lotto di azzurri e azzurre che sono anche alla corte di Marco Villa. Senza contare che ha anche cambiato squadra, è passata dalla Ceratizit alla Visma-Lease a Bike, cosa che come vedremo ha effetti sulla preparazione. È dunque interessante vedere come concilia le due attività, specie in questa settimana natalizia

A Montichiari Fidanza svolge una grande percentuale del suo lavoro, almeno in questa fase invernale (foto Instagram)
A Montichiari Fidanza svolge una grande percentuale del suo lavoro, almeno in questa fase invernale (foto Instagram)
Martina, come inizia la tua settimana tipo?

Difficile per me stabilire una settimana tipo visto che di mezzo c’è anche la pista. Diciamo che in questa settimana natalizia, per esempio, c’è un po’ di tutto. Lunedì, per esempio, sono andata a Montichiari per girare in pista.

In questi casi com’è la tua giornata?

Mi alzo verso le 7. Faccio colazione e poi vado a Montichiari. Ci metto un’ora abbondante, dipende anche dal traffico, e lì si gira. La durata delle sessioni dipende anche da quanti siamo e quanto c’è da attendere tra le sessioni di un gruppo e l’altro. Nel pomeriggio comunque si torna e alla sera sono a casa.

Questo era il tuo lunedì, passiamo al martedì?

Oggi palestra e bici. Mi piace raggiungere la palestra in bici, anche perché così mi scaldo anche un po’. Lì mi cambio, conosco bene i proprietari: hanno le mie scarpe e quel che mi serve. Faccio i lavori di forza ed equilibrio. Quando ho finito, parto subito in bici e faccio un paio d’ore di scioltezza.

Mercoledì?

In questo caso, visto che domani è Natale, riposo. Ho cercato di organizzarmi così. Cercherò di svegliarmi il più tardi possibile, quasi verso l’ora di pranzo, così da saltare un pasto (la colazione, ndr) e godermi poi la giornata in famiglia!

Fidanza in allenamento preferisce sempre inserire qualche salitella. Tra qualche giorno vestirà ufficialmente i colori della Visma
Martina in allenamento preferisce sempre inserire qualche salitella. Tra qualche giorno vestirà ufficialmente i colori della Visma
E siamo a giovedì…

Farò tre ore. Tre ore tranquille a Z1 o anche Z2. In Visma-Lease a Bike mi stanno facendo lavorare molto in questa zona per ora. E’ un puro allenamento di Fat Max, ideale dopo il pranzo di Natale! Anche se non sono una scalatrice di certo, mi piace comunque inserire sempre delle salitelle nel corso delle mie uscite, così da movimentare un po’ il tutto. Stavolta, più che altre volte, cercherò di partire presto così che possa essere a casa per l’ora di pranzo e stare in famiglia.

Venerdì?

Di nuovo andrò in pista. Stavolta per una due giorni e infatti resterò a dormire a Montichiari. Venerdì è prevista una doppia sessione: una al mattino e una al pomeriggio. Sabato invece lavoreremo solo al mattino. Ma poi resteremo lì in quanto abbiamo organizzato una cena per festeggiare la vittoria olimpica di Chiara (Consonni, ndr) e Vittoria (Guazzini, ndr) delle Olimpiadi. Alla fine non c’è mai stato troppo tempo per stare tutti insieme.

Ed eccoci a domenica…

Esatto, tornerò a casa e andrò ad allenarmi. Di nuovo un paio d’ore tranquille, anche perché comunque verrò da due giorni di qualità in pista.

Questa è la parte della preparazione, Martina: come ti regoli invece con l’alimentazione, specie ora che sei passata in un team dove questo aspetto è particolarmente curato?

In effetti è forse la parte che più è cambiata. Ci tengono molto e sono molto attenti. Hanno messo a punto un’app con la quale, scannerizzando i codici a barre di ciò che mangiamo, sappiamo le quantità e i bilanciamenti da assumere. Non si tratta tanto di non mangiare questo o quello, tanto o poco, ma di avere sempre il giusto bilanciamento. Posso anche prendere un pezzetto di cioccolata, ma poi so che per il resto del giorno quel quantitativo di grassi o di zuccheri l’ho già preso. So quanto mi resta di quel nutriente.

Il porridge di Martina: inizia così la sua giornata alimentare
Il porridge di Martina: inizia così la sua giornata alimentare
In effetti è interessante…

Interessante e pratica direi. Loro sanno ciò che mangio e anche io. Mi stanno facendo cambiare gradualmente. Per esempio, a colazione ho riscoperto il porridge. Alla base c’è l’avena, io me lo faccio come voglio: quindi yogurt greco, che non necessariamente è quello allo zero per cento di grassi (anche se capita più spesso), quindi avena, frutta, frutta secca, miele o se voglio una crema di cioccolato che mi piace molto. Inserisco il tutto nella App e loro sanno cosa ho mangiato.

Cosa hai cambiato di più sin qui col passaggio alla nuova squadra?

L’alimentazione in bici. Ora mangio davvero di più. Il concetto in Visma è quello di assumere quello che serve. E quello che serve per pedalare al meglio. Quando faccio le tre ore, per esempio, i 60 grammi di carboidrati non mancano mai. Mentre sul fronte degli allenamenti il cambiamento per ora è molto graduale.

Riguardo alle tempistiche di una tua giornata standard, diciamo così, come sono i tuoi orari?

Mi sveglio tra le 7 e 8, dipende cosa devo fare e se devo andare a Montichiari, da quanto fa più o meno freddo. Mi alleno. Pranzo. E verso le 20 solitamente ceno.

Vai a letto ad un orario stabilito?

No, se capita che siamo in famiglia mi piace restare tutti insieme, magari a giocare a carte. Oppure guardo un film. Ma di solito entro le 23 sono a letto. A volte mi piace fare stretching dopo cena, proprio prima di dormire.

Jayco-AlUla: Pinotti e il nuovo asset dei coach

19.12.2024
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Nei giorni di Calpe abbiamo visto un bel viavai in casa Jayco-AlUla. Marco Pinotti, uno dei preparatori più esperti in assoluto e del team, ci parla del riassetto che sta vivendo appunto la sua squadra. Sono infatti partiti due allenatori, Alex Camier e Daniel Healy, e ne sono arrivati altri due: Fabio Baronti e Christian Schrot (in apertura foto @GreenEDGECycling).

Ma i cambiamenti non si sono limitati ai nomi. Sono cambiate anche alcune mansioni, sono state riviste alcune logistiche ed è arrivato un nuovo team di sviluppo, la Hagens Berman di Axel Merckx. Non c’è più una gerarchia verticale, ma come ha detto Pinotti: «Una struttura orizzontale».

Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Marco, partiamo da te. Stai assumendo un ruolo sempre più importante per quel che riguarda i preparatori e il reparto della performance, è così?

In realtà cerco di diminuire le parti di allenamento e preparazione perché sono sempre più coinvolto nei materiali. Però con gli atleti con cui ho iniziato a lavorare continuo. Faccio fatica a prenderne di nuovi. Tra uomini e donne il carico è più o meno uguale a quello degli altri anni.

E quanti ne hai in tutto?

Sei. Quattro uomini e due donne.

Abbiamo visto un bel movimento sul fronte dello staff legato alla performance: adesso quanti siete voi coach?

Sei in tutto. Anzi, sei e mezzo! Visto che uno, Andrew Smith, è anche un diesse e allena un paio di atleti. Quindi ci siamo io, Fabio Baronti, Christian Schrot, che sono i due nuovi arrivati, Peter Leo, Joshua James Hunt e Briant Stephens.

Due profili nuovi e che avevano a che fare con i giovani. Perché?

Non è stata una ricerca di coach giovani o che avessero a che fare con i giovani in senso stretto. Christian Schrot era responsabile della squadra juniores della Red Bull-Bora, l’Auto Eder, mentre Fabio Baronti veniva da un team di sviluppo, il CTF. Cercavamo dei coach con competenze che potessero andare bene per lavorare anche con i giovani e con i professionisti. Baronti, ad esempio, mi è stato segnalato. Ci siamo incontrati al Giro d’Italia, ho avuto una buona impressione e l’ho proposto al team. Poi da qui ad entrare a fare parte della squadra un po’ ci è voluto. Entrambi sono stati scelti per le loro “skills”, qualità e competenze.

Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
C’è una gerarchia tra voi coach?

Non più. Abbiamo una struttura orizzontale. Ogni coach è responsabile di un progetto specifico. Però, per molte cose fanno riferimento a me, perché sono qui da più tempo. Non c’è un head coach vero e proprio. Abbiamo cambiato nel corso della passata stagione. Abbiamo visto che stava funzionando bene e per ora manteniamo questo assetto. Poi magari, se le cose non andranno bene, rivedremo il tutto.

E come sono divise le responsabilità?

Ognuno ha un campo di responsabilità. Io, ad esempio, mi occupo dei materiali e dei progetti legati alla cronometro. Un’altro è più improntato sulle classiche. Un altro coach si occupa della logistica dei training camp, un altro dello sviluppo dei giovani. Ogni coach è anche responsabile di uno o più camp.

Un bel cambio insomma…

Sì, abbiamo assegnato responsabilità più definite. Prima il coach allenava e basta. Ora c’è una programmazione più strutturata: i camp sono decisi con un anno di anticipo e le date sono chiare per tutti. Quando sono arrivato, i corridori avevano molta libertà. Ad esempio, Simon Yates non partecipava ai camp di gennaio e in altri andava per conto suo. Idem Groenewegen. Per un Tour ad un certo punto avevamo tre gruppi in altrettanti camp. Ora cerchiamo di avere tutti insieme, con alcune eccezioni come gli australiani che gareggiano a dicembre-gennaio. Ma non è stato il solo cambiamento.

Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Cioè?

Abbiamo standardizzato i test. Adesso abbiamo lo stesso protocollo di test per la squadra WorldTour e per la devo, sia maschile che femminile. Non facciamo lo stesso test a uno scalatore e a un velocista, ma tra corridori dello stesso tipo il protocollo è identico. Questo permette confronti tra atleti e tra squadre.

I test sono su strada o in laboratorio?

Sono su strada e includono sia test incrementali che profili di potenza. Abbiamo test per lo sprint e test specifici per le caratteristiche dei corridori. Più ci avviciniamo alla stagione, più i test diventano settoriali. Per esempio: ora tutti hanno fatto il classico incrementale, utile per stabilire le zone di allenamento, ma a gennaio e man mano che si avvicinano le gare ognuno farà il test per le sue caratteristiche.

Riguardo al devo team, come gestite il fronte della preparazione: sorvegliate o intervenite di persona?

Abbiamo una reportistica programmata tra le due squadre, ma loro hanno un loro coach, Jen Van Beylen, che da danni era nella Hagens Berman. Nel nostro calendario gare però ci sono posti assegnati per i corridori della development anche in alcune corse WorldTour. In base alle esigenze ci diranno loro chi possono mandarci.

Come nasce il calendario? Il ruolo, centrale, del preparatore

16.12.2024
5 min
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Ogni stagione ha una preparazione meticolosa che parte molti mesi prima del via ufficiale. Per le squadre WorldTour, stilare il calendario degli impegni rappresenta un momento cruciale. Non si tratta solo di incastrare corse e date, ma di progettare una strategia che consideri le esigenze del team, i dati fisiologici e le richieste personali degli atleti. Maurizio Mazzoleni, sport manager e responsabile dell’area performance dell’Astana-Qazaqstan, ci racconta questo lavoro dietro le quinte durante il ritiro invernale della squadra in Spagna.

La stesura del calendario non si limita a una semplice programmazione: è un mosaico complesso in cui ogni pezzo deve combaciare per garantire che gli atleti siano al massimo della forma nei momenti decisivi della stagione. Questo processo richiede mesi di lavoro e la collaborazione di diverse figure professionali: preparatori, direttori sportivi, medici e gli stessi corridori. Vediamo come prende forma una stagione agonistica.

Il dialogo è importantissimo per Mazzoleni che qui è con Ballerini
Il dialogo è importantissimo per Mazzoleni che qui è con Ballerini
Maurizio, mi hai detto che questo ritiro rappresenta un momento cruciale per la stesura dei calendari. Ci spieghi il tuo ruolo in questo processo?

Ricopro il ruolo di sport manager, il che significa che coordino le attività dell’area performance e quelle organizzative della squadra. Questo comprende non solo la pianificazione dei calendari, ma anche il lavoro con tutte le figure che ruotano attorno all’atleta: direttori sportivi, medici, preparatori, e così via. L’obiettivo è strutturare al meglio ogni aspetto per iniziare la stagione con basi solide.

In che modo viene stilato un calendario? C’è una fase di raccolta dati o è tutto deciso qui, durante il ritiro?

La stesura del calendario è un lavoro complesso e strategico, che inizia mesi prima. Già da ottobre si valutano gli obiettivi della squadra per la stagione successiva. Nel nostro caso, l’obiettivo principale è accumulare più punti possibile per mantenere la posizione nel WorldTour. Questo ci porta a scegliere con attenzione le competizioni migliori per i nostri atleti, considerando sia le loro caratteristiche che le possibilità di ottenere risultati. Durante il ritiro, finalizziamo il lavoro iniziato nei mesi precedenti, combinando dati fisiologici, esperienze pregresse e input dai direttori sportivi.

I ragazzi del team in Cina per un impegno istituzionale con il nuovo sponsor X-Lab: hanno già iniziato la loro stagione con il ritiro in Spagna
I ragazzi del team in Cina per un impegno istituzionale con il nuovo sponsor X-Lab: hanno già iniziato la loro stagione con il ritiro in Spagna
Hai parlato di punti UCI: come si scelgono le gare e gli atleti per ogni competizione? Non è detto che il miglior atleta lo si porti alla corsa più importante, magari te lo giochi laddove ha maggior possibilità di fare bene, giusto?

Esatto. La scelta si basa su diversi fattori. Valutiamo la forma fisica prevista degli atleti, le loro statistiche e il tipo di gara. Come dicevo, non sempre è utile schierare il corridore migliore nella corsa più importante. A volte è più efficace puntare su gare di livello inferiore, dove le probabilità di ottenere punti sono maggiori come dicevate. Ad esempio, se un nostro corridore ha più chance di vincere una corsa ProSeries rispetto a una gara WorldTour, potrebbe essere più utile mandarlo lì. Però vorrei dire che non siamo i soli ad adottare ormai questa strategia

Chiaro…

E’ un metodo ormai utilizzato da tutte le squadre, anche quelle di vertice. Strutturare la stagione in modo scientifico aiuta a ottimizzare i risultati. Ad esempio, ci sono atleti di punta che vengono gestiti per massimizzare il punteggio in eventi specifici, evitando di sovraccaricarli con troppi grandi giri. Guardate la UAE Emirates l’anno scorso proprio con Ulissi (oggi in Astana, ndr). La chiave è la pianificazione mirata.

Quanto conta il parere del corridore nella stesura del calendario?

Il parere del corridore è fondamentale. Alla fine, sono loro a correre e devono sentirsi motivati. Se un atleta manifesta una preferenza per una determinata gara, cerchiamo di accontentarlo, compatibilmente con gli obiettivi della squadra. Spesso, questa preferenza deriva da un legame particolare con la corsa o dalla voglia di riscatto. Durante il primo incontro di team building a ottobre, abbiamo intervistato tutti i nostri 30 corridori per conoscere le loro esigenze e preferenze. Partendo da lì, abbiamo lavorato per incastrare le loro richieste con le nostre strategie.

Per arrivare a momenti così (qui la vittoria di Syritsa al Langkawi) dietro c’è una programmazione certosina
Per arrivare a momenti così (qui la vittoria di Syritsa al Langkawi) dietro c’è una programmazione certosina
Una volta stabilito il calendario, come si procede?

Dopo aver definito il calendario, ogni atleta riceve un programma personalizzato. L’allenatore sviluppa il piano di allenamento in base agli obiettivi stagionali, il direttore sportivo fornisce supporto logistico e il medico monitora lo stato di salute. Questo lavoro d’équipe è fondamentale per preparare al meglio gli atleti. Ovviamente, durante la stagione possono verificarsi imprevisti come infortuni o malattie, ma avere una struttura solida permette di adattarsi rapidamente.

Qual è il ruolo del medico in questa fase?

Il medico non interviene direttamente nella scelta delle competizioni, ovviamente, ma è informato sul calendario e sui carichi di lavoro previsti. Il suo compito è garantire la miglior assistenza possibile agli atleti, sia in caso di necessità, sia come supporto durante le fasi di preparazione più intense. In generale avere un piano ben strutturato è fondamentale, ma altrettanto importante è saperlo adattare alle circostanze. Ogni atleta ha esigenze diverse e ogni stagione presenta sfide imprevedibili. Lavorare in squadra e mantenere un dialogo aperto con gli atleti è la chiave per ottenere i migliori risultati.

Bragato a Caneva: l’importanza della programmazione

28.11.2024
5 min
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Stevenà di Caneva ha ospitato una serata speciale dedicata alla programmazione nello sport, con Diego Bragato, head coach della Federciclismo. Invitato dal GS Caneva e dal presidente Michele Biz, Bragato ha condiviso il percorso che porta a trionfare ai massimi livelli, come le Olimpiadi, offrendo spunti utili sia per atleti che per allenatori e appassionati. 

La serata è stata a dir poco corposa. C’erano società, giovani, direttori sportivi e persino una paio di rappresentanti extra settore. «Davvero una bella partecipazione – ha commentato Bragato – il Comune di Caneva realizza questi incontri con una certa costanza, tanto che ho parlato persino con il sindaco per chiarire gli argomenti che avremmo messo sul tavolo. E’ stato un incontro interessante. Pensate che doveva durare un’ora, ne è durato due!».

Diego Bragato (classe 1986) è l’head Performance della FCI. Moderatrice della serata, Giada Borgato
Diego Bragato (classe 1986) è l’head Performance della FCI. Moderatrice della serata, Giada Borgato
Diego, di che cosa si trattava e chi erano gli interlocutori?

Sono stato invitato dal GS Caneva di Michele Biz per parlare a cittadini e società sportive del territorio. La sala era gremita con circa un centinaio di persone, tra cui atleti amatoriali, giovani, tecnici e persone anche di altre discipline come il nuoto e l’atletica. L’idea era affrontare il tema della programmazione in funzione degli obiettivi, con esempi pratici legati al lavoro fatto per le Olimpiadi e i mondiali.

E qual è la tua idea di programmazione?

La prima cosa è avere chiaro l’obiettivo. Parto sempre dall’obiettivo, che sia a breve, medio o lungo termine. Una volta definito, ragiono sul punto di partenza, che significa capire dove si è oggi: nei giovani può essere un test fisico, ma anche una riflessione più ampia. Poi traccio un percorso, usando i mezzi e i metodi a disposizione: multidisciplinarietà, allenamenti specifici, periodi di recupero o attività alternative. L’importante è sapere dove si vuole arrivare, appunto l’obiettivo, e pianificare a ritroso per raggiungerlo.

Pianificare a ritroso…

Sì, so dove devo arrivare, percorro le tappe che mi servono, partendo da zero.

Come si adatta questo approccio a un giovane atleta? Prendiamo come riferimento la categoria allievi, dove i ragazzi sono ancora giovanissimi, ma più strutturati…

Un allievo è già in grado di iniziare a capire cosa gli piace. È fondamentale continuare a fare esperienze diverse per svilupparsi, ma iniziare anche a definire una priorità, che sia la strada, la mountain bike o la pista. Ad esempio, se la priorità è la strada, può sfruttare la pista o il ciclocross come completamento, ma concentrare la stagione principale sulla strada. L’importante è avere una visione chiara e lavorare per tappe, senza correre solo per la gara della domenica.

Kelsey Mitchell (classe 1993) prima passare al ciclismo era stata una ginnasta, aveva giocato ad hokey su ghiaccio, basket e calcio fino al 2017. Nel 2021 ha vinto le Olimpiadi
Kelsey Mitchell prima passare al ciclismo era stata una ginnasta, aveva giocato ad hokey su ghiaccio, basket e calcio fino al 2017. Nel 2021 ha vinto le Olimpiadi
Che non è programmazione…

Sì, oggi non funziona più. A livello assoluto, gli atleti arrivano pronti alla prima gara della stagione, ma per farlo hanno già intrapreso un programma ben definito. Le gare di allenamento non esistono più. Bisogna abituare i ragazzi a fare le cose in allenamento e arrivare alle gare pronti, con obiettivi specifici. Anche i giovani devono iniziare a ragionare così: non tutte le gare hanno lo stesso peso.

Che domande ti sono state fatte durante l’evento?

C’è stata una domanda che mi ha colpito, fatta da un direttore sportivo: mi chiedeva come gestire un ragazzo che arriva tardi al ciclismo, magari a 17 o 18 anni. Ho risposto con un esempio provocatorio: «Ho un ragazzo junior che ha giocato a calcio fino alla scorsa settimana e ora vuole iniziare con la bici. Lo prendereste?». Nessuno ha risposto.

Il caso Evenepoel!

Appunto. Questo è un limite culturale: altri Paesi accolgono atleti da altri sport, anche tardi. Noi diciamo di no e questo ci penalizza. Pensiamo alla vicina e piccola Slovenia. Quanto è forte nello sport? Loro hanno dato la possibilità concreta di pedalare ad un saltatore con gli sci (Roglic, ndr) e guardiamo dove è arrivato.

Ma secondo te perché le società non prederebbero quell’atleta? È solo una questione economica, perché in Italia sotto questo punto di vista è sempre più difficile. O c’è altro?

Io penso sia una cultura sportiva generale. Non è colpa né della Federazione, né della singola società, ma di una cultura sportiva più generale che dovrebbe essere più trasversale. Non so, penso alla sprinter canadese che si è ritrovata alle Olimpiadi quando fino a pochissimi anni prima giocava a calcio. Le hanno fatto dei test fisico/sportivi e hanno visto che poteva essere adatta alla velocità su pista nel ciclismo.

I giovani del Caneva in allenamento
I giovani del Caneva in allenamento
Chiaro…

È vero, ci sono meno bambini e molti più sport tra cui scegliere. È normale avere meno atleti disponibili rispetto a prima. Ma proprio per questo dobbiamo essere pronti a intercettare chi vuole provare il ciclismo, anche più avanti. In questo, serve una cultura sportiva trasversale, che parta dalle scuole e coinvolga tutti gli sport, come accade in paesi come la Slovenia appunto.

Una ragazza ti ha posto una domanda: era indecisa se fare l’intera stagione del cross in quanto aveva paura di arrivare stanca alla stagione su strada. Cosa le hai detto?

A occhio e croce poteva essere un’allieva. Le ho chiesto cosa le piacesse fare. Mi ha detto che ama il cross, e allora le ho detto di continuare a farlo. Dopo la stagione invernale, però, può fermarsi, recuperare, e iniziare la stagione su strada con calma, senza fretta, semplicemente entrando in gara qualche settimana dopo. Non bisogna avere paura di fermarsi per costruire una stagione con criterio.

Qual è stato alla fine il messaggio che volevi lasciare?

Sapere dove si vuole arrivare è fondamentale. È un concetto che vale nello sport e nella vita. Bisogna partire dall’obiettivo, analizzare il punto di partenza e costruire un percorso chiaro, usando tutti i mezzi a disposizione. Solo così si possono raggiungere traguardi importanti. Non bisogna guardare al breve termine… alla corsa della domenica.

Come ritornano in forma gli atleti? Ce ne parla Notari

27.11.2024
5 min
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Di recente abbiamo visto come i ciclisti ripartono con la palestra dopo la pausa invernale e il meritato riposo. Un periodo di inattività comporta sempre del relax e qualche viaggio, giorni nei quali la mente non pensa ad altro che al divertimento, alla leggerezza. Succede quindi, giustamente, che i corridori facciano una vita “normale” per delle settimane, questo comporta il fatto che si possa ingrassare di qualche chilo. A pochi giorni dai primi ritiri, alcune squadre iniziano i primi di dicembre, è giusto capire anche come si rientra in forma. O almeno in che modo si riparte per acquisire una condizione che possa permettere agli atleti di affrontare bene i primi allenamenti ad alta intensità (in apertura foto Fizza). 

Le camminata in montagna sono un ottimo modo per tenere in forma l’apparato cardiorespiratorio e circolatorio (foto Instagram Gal Glivar)
Le camminata in montagna sono un ottimo modo per tenere in forma l’apparato cardiorespiratorio e circolatorio (foto Instagram Gal Glivar)

Inizio soft

Le risposte alle nostre domande ce le fornisce Giacomo Notari, preparatore del UAE Team Emirates Gen Z. La formazione di sviluppo della squadra più forte al mondo. 

«Nelle due o tre settimane di pausa che si fanno a fine stagione – spiega Notari – i ciclisti riducono l’attività a zero, o quasi. Dipende un po’ dalle abitudini di ognuno e dalla necessità di recuperare. Anche le vacanze vanno un minimo responsabilizzate. Eccedere sì, ma non troppo. Altrimenti quando si riparte non è facile ritornare in forma. Riprendere l’attività dopo le vacanze non vuol dire solo andare in bici, ma anche fare camminate in montagna o correre. Noi come preparatori lavoriamo insieme ai nutrizionisti per stabilire un piano alimentare corretto che possa aiutare l’atleta a tornare in forma».

In che modo si perde peso?

E’ abbastanza semplice, attraverso l’attività aerobica. Questa può consistere in tre tipologie: andare in bici, camminare in montagna o correre. Le ultime due sono fatiche diverse che aiutano il corpo a rimettersi in moto. Soprattutto la camminata in montagna è utile per mantenere allenato il sistema cardiorespiratorio e circolatorio. Ma il dimagrimento avviene maggiormente andando in bici. 

Spiegaci meglio.

Pedalare a intensità bassa, diciamo in Zona 2, permette al nostro fisico di utilizzare i grassi. Questi diventano la nostra fonte di energia. Non a caso la Zona 2 corrisponde a quella di Fat Max. Si tratta della zona in cui il nostro corpo consuma maggiormente i grassi per mantenere un determinato sforzo. 

I corridori devono arrivare al ritiro di dicembre già in buona condizione (foto Instagram UAE Team Emirates)
I corridori devono arrivare al ritiro di dicembre già in buona condizione (foto Instagram UAE Team Emirates)
Prima parlavi anche del nutrizionista.

Sì, perché non è solo andando in bici che si perde peso. Ma anche con la giusta dieta. In Zona 2 il fisico utilizza maggiormente i grassi per produrre energia. Tuttavia va educato, perché continuerà ad usare comunque una parte di carboidrati.

Cosa vuol dire?

Che nelle prime uscite di stagione se sono un corridore devo ricalibrare l’assunzione dei carboidrati per ora. Se un atleta allenato consuma 120 grammi di carboidrati l’ora durante questo periodo diminuirà le dosi. Questo discorso vale anche giù dalla bici, è una fase cruciale. 

Yates Barcellona
La corsa a piedi è un buon modo per allenarsi in fase di ripartenza dopo la pausa invernale, ma non si può improvvisare
Yates Barcellona
La corsa a piedi è un buon modo per allenarsi in fase di ripartenza dopo la pausa invernale, ma non si può improvvisare
Perché?

Il tempo per tornare a un peso giusto per l’attività agonistica è abbastanza limitato. Nel primo ritiro, quello di dicembre, si deve avere un buon peso, vicino a quello ideale. Questo perché da quel momento in poi si andrà ad aumentare l’intensità dell’allenamento e il corridore dovrà tornare a consumare i suoi 100 o 120 grammi di carboidrati l’ora. Il grosso lavoro di perdita di peso si fa tra novembre e dicembre. 

La palestra gioca un qualche ruolo?

Non in maniera diretta. La palestra aiuta ad aumentare la forza, di conseguenza crescono la massa muscolare e il metabolismo basale. Non è un modo diretto per perdere peso, ma aiuta nel rimettersi in forma. Per perdere peso si deve fare attività aerobica. 

Una sessione di rulli a digiuno, la mattina, aiutano a riattivare il metabolismo
Una sessione di rulli a digiuno, la mattina, aiutano a riattivare il metabolismo
Ripresa graduale?

Io sono un preparatore vecchio stile, se così vogliamo dire. Quindi credo che uno dei principi fondamentali sia la progressività del carico. Ai miei ragazzi consiglio di partire con un’ora e mezza, massimo due. Fino ad arrivare a pieno regime con le classiche quattro ore e mezza. 

Quante settimane servono per tornare al massimo carico di volume?

Dalle due alle tre settimane. In questo arco di tempo consiglio di non guardare i watt ma il cuore. Un atleta è abituato a vedere certi numeri durante l’anno, se si parla di potenza. Questi però non sono replicabili all’inizio della stagione. Se si guarda ai battiti, invece, si può capire quando il cuore torna a stabilizzarsi. Diciamo che se si parla di frequenza cardiaca non bisogna mai andare oltre la Zona 3, che corrisponde al 75/80 per cento della frequenza massima. 

Il riposo totale? Anche se più breve serve eccome

15.11.2024
4 min
Salva

Siamo nel periodo di riposo, anche se poi alcuni atleti hanno già ripreso gli allenamenti, ma di fatto l’autunno resta identificato con lo stacco. Tuttavia, parlando con alcuni preparatori di varie squadre sembra che il riposo vero e totale stia un po’ scomparendo o quantomeno stia cambiando. La pausa si accorcia. O ancora, in quelle due o tre settimane di stacco c’è chi fa corsa, escursioni in montagna  nuoto (in apertura una foto di Giovanni Lonardi).

E’ proprio così? Qual è il quadro reale della situazione? Lo abbiamo chiesto a Samuel Marangoni, uno dei coach della Polti-Kometa. E’ lui che ci guida in questo viaggio. Riguardo poi alle tempistiche di stacco e ripresa molto dipende anche dal fatto di essere o meno in una squadra WorldTour e ancora di più se si è tra coloro che dovranno andare in Australia a meta gennaio oppure inizieranno più tardi.

Samuel Marangoni allena i ragazzi della Polti- Kometa (foto Instagram)
Marangoni allena i ragazzi della Polti- Kometa (foto Instagram)
Samuel, pausa e movimento: è giusto restare attivi anche durante il riposo?

Prima cosa: il riposo serve. Noi, come squadra, lasciamo ai nostri atleti almeno due settimane di completo stacco dalla bici. E’ vero, alcuni fanno una passeggiata con amici, famiglia o partner, ma non si può considerare attività vera e propria. Tutti, però, hanno fatto almeno queste due settimane di fermo totale e qualcuno arriva fino a tre. E’ una filosofia che condividiamo come team di preparatori, perché riteniamo che questo distacco sia necessario sia a livello fisico che mentale. Alla fine della stagione, dico sempre ai ragazzi: «Non voglio sentirvi per le prossime due settimane. Andate in vacanza, fate quello che volete!».

Perché il riposo è importante, anche da un punto di vista fisiologico?

Dopo una stagione intensa, con allenamenti e gare costanti, il corpo ha bisogno di rigenerarsi. Il riposo serve a questo, a livello muscolare e fisico. Naturalmente, non può essere troppo lungo, altrimenti si rischia di scivolare nell’inattività e di perdere tono muscolare, il che richiederebbe poi più tempo per tornare in forma.

Uscite in mtb, camminate, corse a piedi: se domina la parte ludica e non si esagera sono rigenerative
Uscite in mtb, camminate, corse a piedi: se domina la parte ludica e non si esagera sono rigenerative
Chiaro…

Ogni atleta è diverso: c’è chi termina la stagione molto affaticato e sente proprio il bisogno di fermarsi e chi invece arriva meno stanco e dopo pochi giorni sarebbe già pronto a ricominciare. Ma in generale, questi 15 giorni di pausa sono importanti anche per il fisico.

E se un atleta preferisce mantenersi in movimento?

Se qualcuno sente il bisogno di fare attività leggera, come nuoto o corsa, va bene, purché si prenda almeno una settimana di inattività completa. Se per lui è importante sentirsi in movimento, non ci sono problemi con attività alternative. L’importante è evitare allenamenti intensi.

Chi cerca il movimento a tutti i costi lo fa per paura di prendere peso?

Sì, per alcuni può esserci la preoccupazione di aumentare di peso, ma è anche vero che oggi molti atleti si sentono meglio se mantengono un po’ di attività, anche minima, durante la pausa.

In generale oggi gli atleti non terminano le stagioni del tutto al gancio, anche se poi ci sono molte variabili (foto Instagram)
In generale oggi gli atleti non terminano le stagioni del tutto al gancio, anche se poi ci sono molte variabili (foto Instagram)
Quali sono gli effetti del riposo a livello biologico? Per esempio migliorano valori come l’ematocrito, del ferro…

In effetti durante il riposo, si verificano dei miglioramenti nei valori biologici, ma non è facile stabilire quanto salgano e come migliorino: ognuno ha una storia a sé. Quando c’è carico di lavoro, questi valori tendono a calare, mentre durante il riposo tornano a livelli più alti, permettendo al corpo di rigenerarsi. 

Che poi oggi si tende ad arrivare “meno finiti” a fine stagione…

Non tutti gli atleti arrivano alla fine della stagione stanchi, e chi è meno affaticato può comunque trarre beneficio dal riposo, anche se non è completamente esausto. In generale, cerchiamo di non portare gli atleti al limite prima della pausa, perché è meglio staccare quando hanno ancora energia. Così, alla ripresa, il loro corpo è pronto e non rischiamo di sovraccaricarli sin da subito.

Z2 o Z3? Con Pozzovivo entriamo nei meandri di queste intensità

02.11.2024
4 min
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Jakob Fuglsang qualche tempo fa ci disse di quanta Z3 si fa in gara e della sua necessità di tornare ad allenarsi a questa intensità che era quasi sparita. «I giovani – ci disse Fuglsang – fanno Z2 e fuori soglia. Mi sono adeguato, ma con me non ha funzionato. Pertanto sono tornato alla Z3, il vecchio medio». Un tema che meritava di essere approfondito.

Per farlo abbiamo chiamato in causa Domenico Pozzovivo, il quale oltre ad essere stato in gruppo fino a pochi giorni fa, vuole diventare un preparatore atletico di primo ordine. E il cammino lo ha già iniziato da un bel po’, visto che recentemente si è laureato in Scienze Motorie.

Z2 e Z3, zone di intensità aerobica e il loro impatto sulle performance in gara, dunque. E con Pozzovivo si discute in modo approfondito delle differenze tra questi approcci di allenamento, con riferimento specifico alla sua esperienza e alle necessità dei professionisti di oggi.

Per allenare la Z2 e la Z3 si devo fare uscite a ritmi non eccessivi, ma comunque costanti (foto Twitter)
Per allenare la Z2 e la Z3 si deve fare uscite a ritmi non eccessivi, ma comunque costanti (foto Twitter)
Domenico, partiamo da quel che ci diceva Fuglsang. Qual è la situazione secondo te?

Dire che i giovani si allenano prevalentemente in Z2 è un po’ una forzatura. C’è spesso del “depistaggio” in certi racconti, perché ciascuno cerca di mantenere segreti i propri metodi di allenamento. Inoltre, le semplificazioni fanno comodo: quando qualcosa sembra facile, ci attrae subito. Sentiamo dire che Pogacar ha costruito le sue basi in Z2, e quindi si pensa subito che vada bene per tutti. Ma in realtà non è così. Anche i giovani ciclisti non si allenano solo in Z2.

Cosa s’intende per allenamenti in Z2 e Z3? Che utilità hanno?

L’intensità della Z2 è utile per alcuni ruoli specifici nelle squadre, soprattutto per chi deve controllare la corsa. Ad esempio, un corridore che guida il gruppo tenendo a bada le fughe nei primi chilometri ha bisogno di allenare molto la Z2 e anche la Z3. Questo perché gli serve mantenere un’intensità costante per non esaurire le risorse troppo in fretta. Tuttavia, allenarsi in Z2 non migliora direttamente la VO2 Max, anche se può aiutare indirettamente.

Nel senso che ci puoi costruire la famosa base?

Esatto, quella per poter eseguire al meglio i lavori più intensi e specifici per il VO2 Max.

Fisher-Black e Christen, due giovani… che tiravano. Come spiegava Pozzovivo per loro tanta Z2 e, in questo caso, Z3 bassa
Fisher-Black e Christen, due giovani… che tiravano. Come spiegava Pozzovivo per loro tanta Z2 e, in questo caso, Z3 bassa
Quindi quali sono i vantaggi principali dell’allenamento in Z2?

La Z2 serve soprattutto per ottimizzare il consumo dei grassi, che è l’aspetto principale di questa zona di intensità. Fino al limite della Z3, il carburante principale sono i grassi, quindi lavorare in questa zona aiuta a risparmiare glicogeno per le fasi più intense. Però, allenandosi solo in Z2, si rischia di perdere velocità e potenza anaerobica, e si può anche perdere un po’ di esplosività nei brevi sforzi.

E la Z3, invece, che ruolo ha?

La Z3 è un range piuttosto ampio e spesso si divide in “medio” e “medio-veloce.” Se si sta nella parte bassa, quella del medio, permette di affinare la biomeccanica della pedalata e di lavorare su aspetti come la cadenza e la potenza. Quando si arriva nella zona Z3 alta, o sweet spot, si ha già un vantaggio in termini di miglioramento della soglia, utile per le gare in salita e i cambi di ritmo.

Durante una gara, quanto tempo si passa effettivamente in Z2 e Z3? Qui ci riallacciamo a Fuglsang.

Dipende molto dalla gara. Prendiamo una corsa come l’ultimo Lombardia, ad esempio: nella parte pianeggiante, sfruttando l’aerodinamica cioè stando a ruota o ancora di più in coda al gruppo, si usa molto la Z2, come nel tratto tra la discesa della Roncola e l’inizio dell’ultima salita. Ma in salita, poi, si sale almeno in Z3, se non in Z4. Anche nelle discese non si è mai costantemente in Z2 poiché ci sono rilanci continui.

Per certi lavori la strumentazione elettronica è fondamentale (qui Battistella)
Per certi lavori la strumentazione elettronica è fondamentale (qui Battistella)
Tu quanto allenavi queste zone?

La Z2, onestamente, molto poco. E forse l’ho trascurata troppo, anche per via della mia attitudine ad affrontare l’allenamento in modo intenso. Tendo a prediligere l’intensità, quindi la Z2 mi è sempre sembrata un po’ troppo “blanda.” Tuttavia, negli ultimi tempi ho rivalutato la sua importanza, soprattutto per l’ottimizzazione metabolica nei momenti in cui è necessario bruciare grassi e perdere peso.

Dunque anche la Z2 ha un suo ruolo specifico?

Sì, esatto. È fondamentale, ad esempio, in inizio stagione o quando si torna dopo una pausa per ottimizzare il metabolismo dei grassi. Allenamenti di lunga durata in Z2, le cosiddette sessioni fat max sono utili anche se, per chi è abituato all’intensità, è difficile doversi “forzare” a mantenere un ritmo più blando.