Dall’Africa all’Europa: la settimana azzurra di Frigo

03.10.2025
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Ieri Marco Frigo ha conquistato la medaglia d’argento nella cronostaffetta mista. La gamba è ancora quella buona dei mondiali. In una settimana il veneto è passato dall’Africa all’Europa, da un clima tropicale a uno più continentale, da un mondo esotico ad uno noto. «Oggi (ieri, per chi legge, ndr) – dice Frigo – siamo andati forte. Stavamo bene, stavo bene. Ed è stato un bel podio che dà fiducia! La Francia? Deve aver sentito l’odore di casa…». Come a dire che forse gli azzurri temevano di più la Svizzera.

Ma torniamo a questa settimana così particolare. Come si è gestito dunque Marco in questi sette giorni così diversi fra loro? Come si è adattato? Viaggi, stanchezza, voli, gare: è stata una giostra tra recupero e fasi intense…

Marco Frigo (al centro tra Ganna e Milesi) sul podio di ieri della mix relay europea. In basso: da sinistra, Venturelli, Cecchini e Guazzini
Marco Frigo (al centro tra Ganna e Milesi) sul podio di ieri della mix relay europea. In basso: da sinistra, Venturelli, Cecchini e Guazzini
Quindi Marco, da un clima tropicale, eravate in Rwanda, a un clima piuttosto fresco. Come ci si adatta? Perché poi praticamente siete volati direttamente in Francia, giusto?

Esatto, io sono passato dal Rwanda alla Francia in poco più di 24 ore. Però questo secondo adattamento è stato più facile. Alla fine si ritorna in Europa, si ritorna in Francia, un ambiente che ben conosco.

Chiaro…

E’ stato molto più semplice, per noi europei è un ambiente naturale. Ci avevano detto che in Italia era freschino e quindi eravamo preparati anche a un po’ più freddo. In realtà in questi giorni qui a Valence si sta bene, a parte il vento che c’è stato ieri e anche oggi. Le temperature sono ottime per pedalare. In Rwanda era più umido, si era un po’ in quota e di certo c’è stato un adattamento molto più complesso.

Il martedì Frigo e compagni hanno dovuto viaggiare, in volo si sono adattati col pasto che passavano
Il martedì Frigo e compagni hanno dovuto viaggiare, in volo si sono adattati col pasto che passavano
Si ritrovano subito certi automatismi, insomma. A livello di alimentazione come vi siete regolati, dal viaggio alla meta finale?

Dopo la prova su strada è stato importante recuperare subito i carboidrati e gli zuccheri per non rimanere troppo a lungo in deficit calorico. La giornata di domenica è stata davvero dispendiosa. Poi invece il lunedì è stato più tranquillo dal punto di vista energetico. Di fatto si è trattato di viaggiare.

E martedì?

A livello di alimentazione abbiamo sempre curato la quota di carboidrati e proteine. Sono giornate di viaggio in cui adattarsi è un po’ difficile. Abbiamo mangiato il pasto che ti servono in aereo: riso col pollo sostanzialmente. Poi, arrivati a Milano, abbiamo fatto una buona colazione che ci ha rimesso in riga. E la sera qui in Francia tutto è tornato a regime vista anche la presenza del cuoco.

Invece a livello di allenamento?

Personalmente è stato importante per me fare una sgambata lunedì dopo la gara per mantenere e “smollare” un po’ la tensione muscolare. Una sgambata che abbiamo effettuato il lunedì mattina in Rwanda. Poi da lunedì pomeriggio fino a martedì sera siamo stati in viaggio. In tutto 27 ore, pertanto martedì non sono uscito.

Due trasferte, due specialità (crono e strada): è servito anche un adattamento muscolare, ma in tal senso Frigo ringrazia i massaggiatori
Due trasferte, due specialità (crono e strada): è servito anche un adattamento muscolare, ma in tal senso Frigo ringrazia i massaggiatori
E siamo a mercoledì…

Ho fatto un classico pre-gara in vista della mixed relay. Ho fatto due ore e mezza con la bici da crono, senza forzare troppo, ma con piccole variazioni d’intensità.

Ieri la gara, con l’argento… E oggi?

La giornata prevede tre ore tranquille, recupero sostanzialmente. Andatura regolare. Alla fine è la prima uscita normale dopo il mondiale, diciamo. Si tratterà solo di ascoltare le sensazioni, di non forzare, perché comunque nella cronostaffetta è stata fatta dell’intensità, pertanto non c’è bisogno di riproporla oggi.

E sabato?

Sabato siamo di nuovo al pre-gara. Si farà un’ora e mezza, due al massimo. Magari inserirò un po’ di attivazione pre-gara per non essere ingolfati poi domenica in corsa.

Cosa intendi per attivazione?

Si fa qualche intervallo al medio o qualche intervallo più breve di maggiore intensità. Quindi un po’ di VO2 Max, ma niente di particolare. Poi sono anche le sensazioni che ti guidano in quei pre-gara, almeno per me è così. L’attivazione viene sempre fatta a sensazione: alcune volte la mente ti dice che non ce n’è bisogno, che stai bene, quindi ti tiri un po’ indietro. Altre volte invece senti proprio il bisogno di sfogarti e quei piccoli lavori li fai con determinazione. Capisci che ti servono.

In queste situazioni la parte di scarico, le famose sgambate, assumono quasi più importanza di quelle di carico (foto Instagram @pipecano)
In queste situazioni la parte di scarico, le famose sgambate, assumono quasi più importanza di quelle di carico (foto Instagram @pipecano)
E’ molto curiosa la parte del viaggio, Marco. Martedì, quando siete arrivati in Francia, per esempio hai fatto un po’ di stretching la sera?

Sì, quando sono arrivato grazie ai massaggiatori, davvero disponibili, sono riuscito a farmi fare un massaggio. E’ stata una manna per scaricare la tensione del viaggio, per la muscolatura intorpidita, per mettere in moto di nuovo i liquidi e sistemare eventualmente la ritenzione idrica.

Una nota curiosa: quali sono state le sensazioni personali tra un posto diverso come il Rwanda e uno come la Francia, che è “casa”?

Sul fronte del cibo, come potete immaginare, siamo stati molto attenti, però devo dire che abbiamo gustato del buon caffè. Il caffè lo sanno fare bene laggiù. Poi ovviamente il Rwanda mi ha lasciato bellissimi ricordi: era la mia prima volta in Africa e c’è stata una visione diversa della vita. I problemi lì sono diversi. Sembra di tornare indietro ad un’altra vita. E credo che vedere tutto questo ha rimesso un po’ con i piedi per terra a noi occidentali. E’ stata una prospettiva diversa della trasferta… non solo agonistica. Qui invece siamo di fatto a casa: sono ambienti, strade e clima che riconosci e nei quali ti ritrovi non solo subito, ma automaticamente.

Un’ultima domanda Marco. Ormai siete un bel gruppo, perché da giorni girate e vivete insieme: come stai vivendo questa nazionale?

Quest’anno la maglia della nazionale era un modo per trovare nuovi stimoli, nuove motivazioni dopo la Vuelta. E quindi mi sono messo a disposizione totale di Marco Villa e della maglia azzurra con molta grinta e molta energia. Ora speriamo che quanto fatto in settimana vada bene per domenica.

La stagione (solida) di Balsamo. L’analisi tecnica di Larrazabal

08.09.2025
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Anche ieri al Simac Ladies Tour Elisa Balsamo ha strappato un podio, anzi due. Uno nella generale e uno nella tappa. Rispettivamente è arrivata seconda e terza. Questo ennesimo buon piazzamento, ma non ancora una vittoria, ci porta ad analizzare la sua stagione. Una stagione che non si può non scomporre senza tenere presente un punto cruciale: l’incidente occorsole la passata stagione, quella della terribile caduta che mise in discussione persino le Olimpiadi. Il rientro rapido, il Giro Women e poi Parigi… Ma da lì in avanti non è stato facile. Oggi è comprovato che un atleta di vertice impiega oltre una stagione intera e senza intoppi per tornare al proprio livello.

Altro aspetto che può essere fuorviante: da sempre la carriera di Balsamo è accostata in parallelo a quella di Lorena Wiebes. E il fatto che l’olandese si trovi in stato di grazia può portare a un giudizio distorto. Per questo, per avere il quadro reale della situazione, ne abbiamo parlato con il capo dei coach della Lidl-Trek, Josu Larrazabal.

Josu Larrazabal è il capo dei preparatori in casa Lidl-Trek
Josu Larrazabal è il capo dei preparatori in casa Lidl-Trek
E quindi, Josu, partiamo facendo un quadro generale di Elisa Balsamo…

Alla fine la crescita di Elisa è costante e direi anche più solida. E’ più forte anche in salita. Come avete già accennato voi, non bisogna dimenticare l’incidente della passata stagione, che qualche intoppo poi lo ha portato nel corso dei mesi. No, no… per me la stagione di Elisa è solida.

E ieri ha concluso il Simac Ladies Tour al secondo posto…

Ecco, prendiamo proprio il Simac Ladies Tour: vedendo la classifica e gli ordini d’arrivo delle tappe, vinte quasi tutte dalla Wiebes, può sembrare sia stata una corsa di sole velociste e invece non è stato affatto così. Sì, alcune tappe erano veloci, ma non sono mancati strappi, brevi salite, ventagli, cronometro. Posso dirvi che Elisa non ha sbagliato un ventaglio. E’ sempre stata nel vivo della corsa.

Volendo fare la parte del diavolo, però la vittoria manca da un po’. E siamo abituati a vederla vincere con maggior frequenza…

La stagione è iniziata bene. La Balsamo ha vinto subito un paio di tappe e nella stagione delle classiche è stata bravissima. Ha vinto il Trofeo Binda, che non è affatto una corsa facile. E’ arrivata settima alla Milano-Sanremo, ha fatto podio a De Panne, Gand-Wevelgem e ha vinto la Scheldeprijs. Chiaro, non è a livello di vittorie del 2022, ma quella fu una stagione da record. Nel mezzo c’è stato un incidente importante, è di nuovo caduta al Tour de France Femmes e contestualmente c’è stato un grande salto di livello della Wiebes. E non è tutto.

Al Simac una Balsamo di grande sostanza, competitiva anche a crono
Al Simac una Balsamo di grande sostanza, competitiva anche a crono
A cosa ti riferisci?

Anche in squadra abbiamo avuto cambiamenti importanti, che non sono affatto da trascurare quando devi battere la Wiebes e la sua squadra, che è formidabile. Mi riferisco al fatto che abbiamo un treno nuovo, che deve ancora essere messo a punto. Sta anche a noi riuscire a darle il giusto supporto. Non siamo ancora al massimo sotto questo punto di vista, ma ci stiamo lavorando. Se una sprinter non vince uno sprint sembra sempre che manchi qualcosa, mentre noi tecnici valutiamo tutto anche sotto altri aspetti. Sappiamo che lei può ancora crescere. La Wiebes non so, altrimenti vince il Tour Femmes!

Prima hai accennato al fatto che Balsamo sia più forte anche in salita. C’è in corso una trasformazione fisica dovuta anche al fatto che quest’anno non ha fatto pista?

Dal momento che cambi approccio perché non fai pista è chiaro che qualcosina cambia. Se parliamo di trasformazione fisica nel senso che è più leggera, direi di no: il peso è più o meno quello. Ma con il coach e marito Davide Plebani stiamo facendo un ottimo lavoro. Il problema è che anche la Wiebes è più forte in salita e lo si è visto per come ha superato il Poggio e gli strappi di tante altre classiche.

Chiaro, è riduttivo ormai parlare “solo” di velociste…

In certi momenti diventa uno scontro uno a uno, devi stare al vento ma su questo vedo che Elisa è pronta. Vincere tre volte il Binda, che è una gara dura, non è cosa da semplici sprinter. Lo stesso fare seconda alla Parigi-Roubaix Femmes. Per questo sono convinto che arriverà anche il giorno in cui vincerà la Sanremo. Lo dico perché stiamo andando in quella direzione. Poi ripeto, se parliamo di vittorie aggiungo che in certi sprint non puoi fare tutto da sola: il supporto della squadra è vitale.

Balsamo è sempre più una leader del team e questo contribuisce alla sua crescita (foto Instagram)
Balsamo è sempre più una leader del team e questo contribuisce alla sua crescita (foto Instagram)
E’ previsto un ritorno in pista per Balsamo da qui a breve, a fine anno?

Non ne abbiamo parlato. I piani si fanno a dicembre anche con la federazione. Per quest’anno posso dire che non farà gare. Poi per i prossimi anni ci tornerà sicuramente, anche a noi fa piacere. Siamo abituati anche con altri atleti a stendere programmi misti, sono progetti importanti, ma ci sono certe pause da rispettare. Anche perché non si tratta solo di fare questa o quella gara, ma di programmare tutto: fasi di preparazione, gare su strada e su pista, ritiri, altura, fasi di recupero.

Quindi quale sarà il programma di Elisa Balsamo da qui a fine stagione?

Correrà fino alle ultime gare WorldTour in Cina. Prima farà Stoccarda, GP Wallonie, Tre Valli ed è in lista per il Giro dell’Emilia anche se in ogni caso non sarebbe al via per puntare, ma come avvicinamento alla Tour of Chongming Island che è una corsa a tappe sempre in Cina prima del Tour of Guangxi. Fare tante corse, specie WorldTour, per noi quest’anno è importante, non solo per il ranking a squadre, dove siamo quarte.

Con Copponi (in maglia verde) e Norsgaard un treno valido ma da migliorare ancora secondo Larrazzabal
Con Copponi (in maglia verde) e Norsgaard un treno valido ma da migliorare ancora secondo Larrazzabal
E anche per cos’altro?

Perché come detto siamo in una fase di transizione. Per il treno dobbiamo lavorare su certi automatismi. Emma Norsgaard, Clara Copponi e poi Balsamo. Ma in generale lo scorso anno avevamo due atlete come Gaia Realini, che quest’anno si è dovuta riprendere, e una certa Elisa Longo Borghini che in determinate corse facevano un certo lavoro. Non sono due atlete banali. E per dire quanto sia cresciuta Elisa: a Durango, corsa molto dura, ha aiutato molto il team. Una gara del genere nel 2024 con Longo e Realini l’avremmo controllata più facilmente.

Chiaro…

Elisa è stata la chiave della vittoria anche se personalmente, guardando l’ordine d’arrivo, non era davanti. Una vera donna-squadra. Si staccava, rientrava, tirava… Per questo dico che è solida. Alla fine le vittorie sono le stesse dell’anno scorso ma con tanti secondi posti in più. Basta che tre di quei secondi posti fossero vittorie e già sarebbe cambiato tutto.

Secondo Grande Giro? Per Bartoli conta più la testa che i numeri

18.08.2025
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Si avvicina la Vuelta e sempre più corridori di conseguenza si apprestano ad affrontare il secondo Grande Giro stagionale. Per la maggior parte si tratta di Giro d’Italia e Vuelta, ma per alcuni anche di Tour de France e Vuelta. C’è chi si è mostrato già in buona condizione, come Giulio Pellizzari, e chi invece sta cercando di recuperare al meglio, come Jonas Vingegaard.

Recuperare, stare al meglio: quali sono i parametri fisici che variano tra il primo e il secondo Grande Giro? Che differenze ci sono tra chi ha corso prima in Italia e poi in Spagna e chi in Francia e poi in Spagna? Ne abbiamo parlato con il coach Michele Bartoli.

Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Quali parametri, variano tra i due Grandi Giri, Michele? E cosa guarda il preparatore?

In primis contano le qualità dell’atleta. Puoi essere un bravo allenatore, ma se il corridore non è capace di recuperare e di riallenarsi, nel mese che passa fra un Grande Giro e l’altro, il castello crolla. Se invece hai un atleta reattivo, che in una settimana-dieci giorni recupera fisicamente, allora può ripartire subito con i lavori aerobici, magari un po’ di interval training VO2 Max appena prima del secondo Grande Giro, per riattivare tutti gli aspetti metabolici.

E se invece all’atleta servono più di 10 giorni di recupero?

In quel caso i tempi di ripresa sono più stretti e tutto diventa più difficile. Questo vale soprattutto se parliamo di Tour e Vuelta. Invece se parliamo di Giro e Vuelta, alla fine la preparazione rimane simile a quella del Giro. Dopo il Giro d’Italia c’è più tempo per scaricare e riprendere: la differenza non è fisica, semmai mentale, perché affrontare due Giri nello stesso anno pesa soprattutto sulla testa.

Dal punto di vista fisico, cosa può cambiare nel secondo Grande Giro? Magari si arriva un filo più magri? O al contrario svuotati dal caldo?

No, oggi più che mai i valori sono quelli. Semmai parliamo di differenze minime in più o in meno. Ho atleti che fanno Giro e Vuelta e si presentano allo stesso livello di peso e condizione. Nel secondo Grande Giro subentra soprattutto il fattore mentale, la capacità di sopportare la fatica. Perché è sempre il secondo Grande Giro in un anno, e questo pesa.

Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
E a livello strettamente fisiologico?

Oggi praticamente nulla. Lavoro molto a stretto contatto con il nutrizionista e da quel punto di vista gli equilibri cambiano poco. Una volta sì, perché non c’erano tutte queste informazioni, metodi di misurazione, software. Oggi invece si gioca a carte scoperte, con tanti strumenti che permettono di monitorare bene l’atleta. Certo, ci vuole la bravura di allenatore e nutrizionista, non è semplice, ma se conosci bene i tuoi corridori, due Grandi Giri a grande distanza non sono un problema.

Quindi il problema principale è tra Tour e Vuelta?

Esatto. In quel caso le tempistiche sono molto ridotte e il margine di errore è minimo: un imprevisto si paga. Per questo chi esce male dal primo, se ha in programma il secondo, spesso conviene che tiri una riga e si concentri direttamente sulla seconda corsa. Finire un Grande Giro non sempre è utile, se il rendimento è compromesso: meglio fermarsi prima, se si può, e ripartire.

C’è differenza tra un atleta giovane e uno esperto nel fare il secondo Grande Giro?

Preferisco l’esperto, perché sa dare feedback migliori e riduce il rischio di errori. Ma oggi, con il supporto dei dati, anche un giovane può gestirsi bene. L’importante è che sia motivato. Se invece manca la voglia di fare sacrifici, la testa diventa un problema serio.

Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
E per chi non fa alcun Grande Giro?

Per un giovane il danno è maggiore, perché un Grande Giro aiuta a raggiungere un equilibrio atletico solido. Non farlo è un’occasione persa di crescita. Diverso per un atleta esperto come Damiano Caruso, che ha già un fisico assodato: un anno senza Grande Giro non gli cambia molto, anzi può guadagnare freschezza. Per il giovane invece pesa di più, anche se comunque si lavora tanto in allenamento e non è un disastro.

Dopo una Vuelta, la preparazione invernale riparte da una base migliore?

Sì, sicuramente la base di partenza è più alta e più solida. Su questo sono d’accordo: è un vantaggio.

E’ più difficile preparare Giro e Tour o Tour e Vuelta?

Credo sia più difficile Giro e Tour, perché il Tour è il più duro e viene come secondo Grande Giro. La Vuelta, pur essendo esigente, ha tappe più regolari, meno stress e strade più ampie.

Il cardiofrequenzimetro e i pro’: ha ancora senso usarlo?

08.08.2025
5 min
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Il cardiofrequenzimetro oggi: ha ancora senso usarlo? E se sì, perché? E’ questa, in sostanza, la domanda che ci siamo posti in questo articolo. Per trovare una risposta chiara, ci siamo rivolti al dottore e coach Andrea Giorgi, figura di riferimento nella preparazione atletica e dello staff medico della VF Group-Bardiani.

Pensiamoci un attimo: oggi i parametri da osservare sono tantissimi. Se negli anni ’90 e 2000 il cardiofrequenzimetro era il primo vero strumento tecnologico per l’allenamento, ora il fisico dell’atleta viene monitorato in continuazione. Si controllano i watt, il consumo di zuccheri, la temperatura esterna e interna, perfino i cicli respiratori. Il sistema di monitoraggio è vasto. Senza contare i dati esterni come velocità, cadenza, distanza, pendenze… C’è più elettronica su un ciclista che su un’auto! E allora: che cosa se ne fanno i corridori del caro vecchio cardio?

Il dottor Andrea Giorgi preparatore e medico della VF Group-Bardiani
Il dottor Andrea Giorgi preparatore e medico della VF Group-Bardiani
Dottor Giorgi, dunque serve ancora il cardio?

Bisogna fare una premessa: partiamo dalla fisiologia, che è la base. Il consumo di ossigeno, ovvero la quantità di ossigeno utilizzata dal corpo per produrre energia, dipende dalla frequenza cardiaca, dalla gittata sistolica e dalla differenza artero-venosa dell’ossigeno. La frequenza cardiaca è quindi fondamentale per capire quanta energia sta usando il corpo in un dato momento. Quindi già da qui si capisce che la frequenza cardiaca è un parametro che va rilevato, che è importante. Poi dipende da quale sia l’utilizzo del parametro frequenza cardiaca.

Parliamo di allenamento o gara?

Di entrambi e non solo. Ha anche un utilizzo parallelo. Come misurare le pulsazioni al mattino a riposo nel letto. O dopo alcuni giorni di stacco… Può essere usata per monitorare l’andamento dell’allenamento: come varia la frequenza durante uno sforzo, quanto si abbassa a riposo. L’allenamento fisiologicamente abbassa la frequenza a riposo e nei lavori submassimali, mentre nei sovramassimali la frequenza tende a restare stabile. Quindi è utile anche per capire il livello di allenamento o se si è in una condizione di sovrallenamento.

Come si capisce se si è sovrallenati?

Entrano in gioco diversi fattori. Faccio un esempio: se un atleta si allena con un carico crescente e dopo una decina di giorni la sua frequenza a riposo si abbassa, oppure riesce a sostenere lo stesso lavoro con frequenze più basse, significa che c’è un adattamento positivo. Il consumo di ossigeno resta stabile o scende, la gittata aumenta, il cuore lavora meglio e i muscoli usano più ossigeno. Viceversa, se la frequenza a riposo aumenta e gli stessi esercizi generano più battiti, allora potrebbe esserci uno stato di sovrallenamento. Il cuore fatica a rispondere e al contrario non si riescono a raggiungere i picchi massimali desiderati.

Il cardiofrequenzimetro è utilissimo specie per il lavoro aerobico
Il cardiofrequenzimetro è utilissimo specie per il lavoro aerobico
Dopo una corsa, i dati del cardiofrequenzimetro vengono analizzati?

Certo, servono per confrontare sensazioni, potenza e frequenza. Si guarda la dissociazione tra frequenza cardiaca e potenza durante allenamento: power heart rate ratio. O anche se dovesse presentarsi una frequenza irregolare. In questo caso si accende un campanello d’allarme. E l’atleta può rivolgersi al medico del team ed iniziano ulteriori accertamenti.

I corridori oggi in gara guardano il cardio?

Qualcuno sì, dipende dalle abitudini. In genere lo fanno quando sentono che qualcosa non va e allora la frase più ricorrente è: «Non mi si alzano i battiti». Lo usano più che altro per capire se sono stanchi. Ma spesso prevale il potenziometro e in certe situazioni non si guarda nemmeno quello: si spinge e basta.

Nell’allenamento invece, conta ancora o si guarda solo il potenziometro?

La risposta è doppia. Primo: per i lavori submassimali il cardio resta fondamentale. Se un preparatore chiede di fare una Z2, la frequenza aiuta a capire come risponde il corpo, se si sta adattando, se si è efficienti. Secondo: c’è la durability, di cui in Italia si parla sempre poco, che è la capacità di mantenere una determinata intensità dopo un lungo periodo di esercizio.

Si nota la fascia cardio sotto la maglia di Piganzoli
Si nota la fascia cardio sotto la maglia di Piganzoli
Puoi spiegarci meglio?

Un atleta può sostenere gli stessi watt dopo tre ore di lavoro, ma quanto sono più alti i battiti? Quanta fatica in più ha fatto? Il mio collega Borja ha condotto uno studio confrontando valori submassimali a riposo e dopo un lungo allenamento: a parità di watt, la frequenza era più alta e la fatica percepita maggiore. Quindi il cardio serve anche per queste valutazioni.

E nei lavori massimali il cardiofrequenzimetro serve?

No o meglio, serve meno. La frequenza cardiaca ha un ritardo fisiologico nella risposta allo sforzo. Se fai ad esempio ripetute 40″-20″, il cuore non fa in tempo a seguire l’andamento dell’intensità. Lo capisci dopo 5-6 minuti di interval training, quando puoi osservare quanto sale (e anche quanto scende il battito al termine dell’esercizio). Ma in questi casi di lavori ad alte intensità si guarda il potenziometro, perché è più immediato. Però anche qui poter conoscere i dati del cuore, i battiti, è sempre importante.

In conclusione, dottor Giorgi, il caro vecchio cardio è ancora utile, ma forse serve più al preparatore che all’atleta. E’ così?

No, serve ad entrambi. All’atleta per capire come sta e per svolgere al meglio determinati lavori. Al preparatore per analizzare i dati e avere un quadro completo. Poi ovviamente ci sono variabili come l’altura, il caldo, lo stress, l’attrezzatura… tutti elementi che influenzano la frequenza. Ma questo è un altro discorso.

Tymewear, la misurazione del respiro…

03.08.2025
6 min
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E’ sempre più evidente quanto la tecnologia stia diventando parte integrante del ciclismo moderno. Il Tour de France ha confermato una tendenza in forte crescita: l’uso di strumenti che monitorano in modo sempre più dettagliato i parametri fisiologici degli atleti. Tra questi, ha destato molta curiosità Tymewear, un dispositivo indossabile che misura la respirazione e che è utilizzato da squadre di altissimo livello come la Visma-Lease a Bike (in apertura foto Tymewear).

Il suo impiego apre un nuovo orizzonte nella preparazione atletica e nella gestione dello sforzo in corsa, ma forse ancora di più nei meandri infiniti della preparazione. Dati come la potenza espressa, i watt, sono dati di output, cioè di quel che rende il fisico. E fu un passo in avanti rispetto al cardiofrequenzimetro che invece monitorava il corpo, come lavorava (dato input). Adesso, per assurdo, il concetto di Tymewear legato alla respirazione, sembra (rimarchiamo il sembra) fare un passo indietro, tornando ad incentrasi sul corpo umano. In realtà poi non è del tutto così, come vedremo. Di certo il tema è affascinante.

La fascia e i sensori Tymewear (foto Tymewear)
La fascia e i sensori Tymewear (foto Tymewear)

Cos’è Tymewear

Tymewear è un sistema intelligente di misurazione della respirazione pensato per raccogliere dati in tempo reale senza l’ingombro di maschere o sistemi ingombranti. Già questo fa capire che il monitoraggio della respirazione non è una cosa nuova, ma è importante. Pensiamo ad un atleta che fa i test in laboratorio…

Il dispositivo nasce da un’idea di Tymewear, appunto, una startup statunitense che si è posta l’obiettivo di portare la misurazione ventilatoria all’interno dell’allenamento quotidiano. La sua promessa è quella di offrire un parametro in più rispetto a quelli classici già disponibili, come potenza, frequenza cardiaca, temperatura corporea, consumo dei carbo…

Ma perché proprio la respirazione, ci si chiede anche sul sito di Tymewear? La ventilazione è il primo indicatore della fatica interna. A differenza della potenza, che misura solo la prestazione esterna, la respirazione racconta quanto quell’intensità costi al corpo, in termini di carico fisiologico. Tymewear rileva in modo preciso il volume di ogni atto respiratorio, consentendo di identificare soglie e stati di fatica in modo più sensibile. Il dispositivo è stato testato anche in ambiente accademico e ha già dimostrato una buona attendibilità nella misurazione ventilatoria durante lo sforzo, aprendo di fatto a nuove strategie di allenamento e di valutazione della performance.

Tymewear è utilissimo per individuare e ottimizzare le zone di lavoro
Tymewear è utilissimo per individuare e ottimizzare le zone di lavoro

Come funziona

Tymewear si presenta come una fascia elastica da indossare sotto la maglia. Al suo interno è integrato un sensore piezoelettrico che rileva l’espansione del torace a ogni respiro, traducendo questo movimento in dati numerici. Il sensore è collegato via Bluetooth a un computer da bici o ad una app, dove l’atleta può visualizzare informazioni come la frequenza respiratoria, il volume corrente e il volume/minuto. Oltre a questi, il sistema incrocia i dati di respirazione con gli altri già noti: potenza, battiti, cadenza…

Tymewear è stato pensato per l’uso continuativo: si può indossare per ore, anche in gara. E’ leggero, lavabile e compatibile con i principali sistemi di visualizzazione presenti sul mercato. Il vero valore aggiunto però non è solo il dato “live”, ma la raccolta a lungo termine: costruire uno storico della risposta respiratoria a determinati stimoli consente ai tecnici di impostare con maggiore precisione allenamenti personalizzati e strategie di recupero.

Il prodotto è ancora in evoluzione, ma il feedback ricevuto finora dagli atleti è stato molto incoraggiante. Soprattutto perché permette di “leggere” con maggiore accuratezza il bilancio tra stimolo e risposta, uno dei temi centrali nella preparazione moderna.

Edoardo Affini al Tour, il mantovano ci ha spiegato qualcosa di più su questo strumento
Edoardo Affini al Tour, il mantovano ci ha spiegato qualcosa di più su questo strumento

Parola ad Affini

Raccolta a lungo termine: questa frase si collega perfettamente con quanto ci ha detto Edoardo Affini, durante il Tour. Il campione europeo a crono ci ha raccontato come viene impiegato il dispositivo e quali informazioni fornisce realmente ai corridori.

«Tymewear – ha spiegato Affini – monitora il numero di respirazioni per minuto. O meglio, il volume di ogni respirazione. Questo parametro è collegato a tutto il resto: potenza, frequenza cardiaca… In pratica è un modo per capire quanto costa, dal punto di vista fisiologico, uno sforzo».

Ma serve davvero in gara? «Ad essere onesti non lo usiamo ancora in modo diretto come feedback. E’ più una raccolta dati. Magari gli diamo un’occhiata, ma sono soprattutto i preparatori e gli ingegneri a esaminare tutto: pendenza, watt, frequenza, cadenza… Da lì cercano di trovare spazi di miglioramento».

Per ora, dunque, Tymewear è uno strumento al servizio del team più che del singolo. Ma i margini di crescita sono ampi, perché la misurazione della respirazione rappresenta una frontiera ancora poco esplorata ma potenzialmente ricca di informazioni. Nel ciclismo l’approccio scientifico è sempre più determinante e come si lavora forte su materiali e aerodinamica, lo stesso si fa sulla gestione delle energie in corsa. Il dato della ventilazione, se interpretato correttamente, può essere la chiave per sbloccare ulteriori margini di rendimento.

Sembra che Vingegaard, super ligio ai dettami dei coach e della tecnologia, a Peyragudes si sia basato molto sui dati di Tymewear
Sembra che Vingegaard, super ligio ai dettami dei coach e della tecnologia, a Peyragudes si sia basato molto sui dati di Tymewear

A chi serve? Atleti o coach

Viene spontaneo chiedersi se questi strumenti siano utili anche a chi non fa parte del WorldTour. E’ un dispositivo solo per l’elite o può diventare uno strumento accessibile anche per gli amatori evoluti? La risposta, almeno per ora, è duplice. Tymewear si inserisce in un processo di analisi molto sofisticato, che richiede competenze specifiche per sfruttato al massimo. Ma è anche vero che, per chi lavora con coach, preparatori o usa piattaforme evolute, può rappresentare una nuova fonte di dati preziosi.

Dal punto di vista della compatibilità, Tymewear funziona con la maggior parte dei sistemi GPS più diffusi sul mercato, come Garmin, Wahoo o Hammerhead. Il dato può essere visualizzato come qualsiasi altro parametro e, una volta scaricato, elaborato tramite software di training come TrainingPeaks o GoldenCheetah.

Si dice che Jonas Vingegaard abbia fatto riferimento proprio alla respirazione Tymewear durante la cronoscalata di Peyragudes. «Personalmente – riprende Affini – lo guardo in corsa, ci butto un occhio come si suol dire, ma non è che dici: “Sto respirando due volte in più, meglio rallentare”. Quando sei a tutta e lo sforzo è massimo pensi solo a spingere. Però è vero che può aiutare a calibrare l’intensità se sei in una fase più gestibile dello sforzo».

E’ evidente che siamo ancora in una fase di test (almeno ad alti livelli), ma con prospettive molto interessanti. Per ora serve soprattutto agli staff tecnici, ma in futuro potrebbe diventare una risorsa anche per chi vuole migliorare il proprio approccio all’allenamento. Non più solo la prestazione visibile, ma anche il costo nascosto del gesto atletico.

Toni in Uzbekistan, la sfida di costruire il ciclismo dal basso

29.07.2025
6 min
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E’ tornato per la seconda volta in Uzbekistan, stavolta per fare sul serio. Dopo un primo viaggio esplorativo questo inverno, Pino Toni, preparatore con un lungo curriculum tra professionisti e giovani promesse, è stato incaricato direttamente dal Comitato Olimpico Uzbeko di contribuire alla crescita del ciclismo nel Paese.

Non solo preparazione, ma una visione globale per cercare talenti, formare tecnici e creare le condizioni perché questo sport possa attecchire in una realtà dove finora hanno brillato soprattutto pugili e sollevatori. Una sfida stimolante in un Paese giovane, ambizioso e in trasformazione.

Pino Toni durante i test in Uzbekistan
Pino Toni durante i test in Uzbekistan

Ambizioni sportive

Il collegamento tra Toni e l’Uzbekistan passa da Vladimir Starchyk, ex corridore della Amore e Vita e oggi tecnico della nazionale uzbeka. E’ stato lui a coinvolgerlo per una consulenza mirata su un giovane atleta uzbeko, Nikita Tsvetkov, in vista dei mondiali e delle scorse Olimpiadi. Da lì è nato un confronto più ampio, culminato con l’incarico del Comitato Olimpico uzbeko per valutare e potenziare l’intero settore.

«Mi hanno chiesto se me la sentivo di dare una mano – racconta Toni – loro ragionano in termini di medaglie: campionati asiatici, mondiali, Olimpiadi. Serve concretezza. Ma sono ambiziosi: su 36 milioni di abitanti, alle ultime Olimpiadi sono arrivati tredicesimi nel medagliere. In discipline da palestra: pugilato, lotta, sollevamento pesi. Il ciclismo non è ancora nella loro cultura, ma hanno costruito impianti modernissimi, come il nuovo velodromo a Tashkent».

Il potenziale, secondo Toni, è enorme. Non solo per la struttura demografica del Paese, ma per l’energia che si respira, tipica delle società in crescita. «Sono nel boom, ci sono un milione di nuovi nati all’anno. E c’è fame di migliorare e di fare sport».

In Uzbekistan non solo il velodromo, sta nascendo un villaggio olimpico per i Giochi Asiatici
In Uzbekistan non solo il velodromo, sta nascendo un villaggio olimpico per i Giochi Asiatici

Lo sport in Uzbekistan

In Uzbekistan lo sport è uno strumento di orgoglio nazionale, interamente finanziato dallo Stato, apsetto tipico degli stati ex sovietici. Sponsorizzazioni private e club privati sono rari, per non dire unici. Tutto passa per i comitati olimpici e le federazioni, che selezionano e sostengono i giovani con criteri precisi, ma anche con forti incentivi. «Il concetto di sponsorizzazione non esiste – dice Toni – tutto è pubblico. Chi entra nel sistema riceve aiuti concreti. I ragazzi della nazionale hanno un rimborso che vale quanto mezzo stipendio di operaio. E per molti è già un grande passo, ma serve di più se si vuole allargare la base».

Allargare la base, prima ancora che un progetto è una sfida. Le famiglie non sostengono uno sportivo se non ci sono prospettive concrete, economiche o sociali. «A 19 anni un ragazzo o una ragazzi sono spinti a mettere su famiglia, magari persino a sposarsi. Se non si vede un futuro nello sport, lo si fa smettere. Per questo insisto sul creare prospettive e i corpi militari anche nel ciclismo sono una soluzione. L’alternativa sarebbe fare quel che ha fatto il Kazakistan con l’Astana: una squadre stabile con un percorso chiaro».

Le discipline preferite sono quelle in cui l’impatto economico è minore e i risultati più immediati, vedi la lotta libera, quella greco-romana, il sollevamento pesi…. Ma qualcosa sta cambiando. Il comitato olimpico ha stanziato risorse anche per il ciclismo, considerato ora disciplina strategica, in vista anche dei grandi eventi giovanili, come le Olimpiadi asiatiche under 18 che si terranno nel 2026.

Il clima (molto freddo d’inverno e molto caldo d’estate) non ha aiutato la crescita del ciclismo. Ma le cose stanno cambiando
Il clima (molto freddo d’inverno e molto caldo d’estate) non ha aiutato la crescita del ciclismo. Ma le cose stanno cambiando

Una base da costruire

Il ciclismo in Uzbekistan è ancora ai margini. La nazionale ha buone dotazioni, bici Aurum, gruppi di alto livello, ottime ruote, ma la base resta debole. «Una famiglia normale non può permettersi una bici da corsa – spiega Toni – quindi molti usano mezzi datati, magari con telai di vent’anni fa. Però la federazione funziona bene, c’è entusiasmo e da lì bisogna partire».

Gli impianti stanno arrivando. Oltre al velodromo di Tashkent, Toni sta insistendo anche sul far costruire nuove piste BMX e centri di selezione giovanile. Il problema è la continuità: da allievi agli elite sopravvive solo il 10 per cento dei ragazzi. I motivi sono economici e culturali, come quanto detto prima, ma anche strutturali.

«Quando sono andato lì – racconta Toni – ho trovato 70 ragazzi a un ritiro nazionale: quasi tutti in pratica. Ma tanti c’erano, perché facevano questo sport. Tuttavia il livello dei ragazzi, specie degli allievi, è buono, direi quasi più alto dei nostri. Ho fatto test su 25-30 giovani e ho visto valori sorprendenti. Anche tra le donne. Ma senza continuità non si cresce».

Al momento, gare su strada e mountain bike sono poche. Si punta molto sulla pista e sulla BMX, anche per la loro dimensione urbana e la possibilità di selezionare atleti da altri sport. E questo è un passaggio cruciale.

Yanina Kuskova è attualmente la miglior ciclista uzbeka (anche rispetto agli uomini). Prende l’eredità di una grande: Olga Zabelinskaya
Yanina Kuskova è attualmente la miglior ciclista uzbeka (anche rispetto agli uomini). Prende l’eredità di una grande: Olga Zabelinskaya

Il lavoro di Pino Toni

Il ruolo di Toni va ben oltre quello del preparatore: è un supervisore tecnico incaricato dal Comitato Olimpico. Il suo compito è mettere in piedi un sistema: scouting, test, selezione, formazione di tecnici e atleti.

«Gli ho insegnato a fare test sui rulli normali – spiega – per iniziare a scremare i ragazzi e capire chi ha potenziale. Stiamo creando strutture BMX e preparando un percorso per la pista, dove c’è anche un tecnico tedesco. L’idea è coinvolgere altri sport, cercare ragazzi esplosivi da atletica o arti marziali. Bisogna andare sul territorio a scovarli».

Una delle grandi sfide è proprio questa: pescare talento fuori dal ciclismo. Toni lavora con scuole di atletica, di lotta, di pesistica, per individuare profili atletici trasferibili. «Chi ha potenza e motivazione può diventare un ciclista di BMX o su pista. Un mezzofondista dell’atletica potrebbe essere un buono stradista. Ma serve un sistema ed è quello che sto cercando di fare. E soprattutto serve dare speranza: se a un ragazzo prometti un futuro, resta. Altrimenti molla».

Il lavoro è iniziato dagli allievi, ma tocca tutte le categorie, uomini e donne. L’obiettivo è arrivare a creare un vero movimento, con una base solida, un percorso formativo e, magari, una squadra che raccolga il meglio del Paese.

Nikita Tsvetkov mentre fa dietro motore con Pino Toni in Toscana
Nikita Tsvetkov mentre fa dietro motore con Pino Toni in Toscana

Obiettivi sportivi e strategici

L’obiettivo immediato è arrivare pronti alle Olimpiadi Giovanili Asiatiche 2026, tappa fondamentale per il movimento. Nikita Tsvetkov, classe 2005, è il simbolo di questa scommessa: terzo nel ranking Asia Tour pur correndo praticamente solo con la nazionale. Toni lo sta seguendo anche in Italia, per offrirgli un contesto più competitivo.

Nel medio termine, si punta a partecipare con più continuità a Campionati Asiatici e Mondiali, ma anche a costruire una struttura interna stabile: squadre, centri tecnici, una filiera di crescita.

«Serve un modello tipo Astana – dice Toni – oppure l’inserimento nei corpi militari. Il ciclismo può attecchire se ha una funzione sociale. E il Paese ha risorse: gas, cotone, oro, industrie. Se decidono di investire, lo fanno sul serio come di fatto stanno facendo con le strutture a Tashkent».

Il futuro passa anche dalla creazione di una cultura sportiva condivisa. «Molti non sanno cos’è il ciclismo – conclude Toni – ma quando ne capiscono il valore, si appassionano. Il mio compito è seminare. I frutti verranno col tempo».

Altura e allenamenti al caldo, come è cambiata la preparazione?

15.07.2025
4 min
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Gli allenamenti al caldo e adattare il corpo a sostenere le alte temperature hanno effetti benefici sulla performance. Si parla di heat training. Fare preparazione in altura non è più sufficiente, perché all’allenamento in quota ora si abbina un periodo di training/adattamento al caldo (inteso come caldo esterno e calore prodotto dall’individuo), dove si cerca di interpretare le reazioni del corpo quando è messo sotto stress.

Una nuova frontiera (ormai sdoganata in ambito pro’) è l’heat training e la sua valutazione tramite il sensore Core, i dati forniti durante l’allenamento e la conseguente valutazione soggettiva, atleta per atleta. Cerchiamo di approfondire l’argomento.

Dopo la batosta della salita del Granon, Tour 2023, Pogacar usa costantemente il sensore Core
Dopo la batosta della salita del Granon, Tour 2023, Pogacar usa costantemente il sensore Core

Ottimizzare la preparazione per il lungo periodo

Uno studio recente mostra che buona parte dei benefici ottenuti grazie alla preparazione in altura vanno a scemare nel corso delle 3 o 4 settimane successive. Però, gli stessi benefici dell’allenamento in quota possono essere sfruttati per un periodo dilatato nel tempo a patto che si inserisca un blocco di heat training, con relativo adattamento al caldo. Quali sono i benefici primari? Su tutti, viene mantenuto un elevato tasso di emoglobina ed in alcuni casi c’è un ulteriore aumento di quest’ultimo. Il corpo si adatta ad un lavoro a temperature elevate.

La preparazione in quota aiuta/agevola/favorisce l’aumento della massa emoglobinica, beneficio che scompare rapidamente quando si torna a livello del mare. Lo studio condotto Medicine&Science in Sports&Excercise ha dimostrato che, l’inserimento di tre sessioni settimanali di heat training (nel corso delle tre settimane e mezzo successive al ritiro in quota) ha effetti benefici sulla capacità dell’atleta di mantenere un alto tasso di emoglobina. Per entrare ancora di più nel dettaglio abbiamo chiesto al dottor Tobias Schmid, Product Manager di Core.

Il dottor Tobias Schmid di Core (foto Core)
Il dottor Tobias Schmid di Core (foto Core)
Tobias, esiste un range medio di temperatura utilizzato per l’heat training?

Se parliamo di ambiente non esiste un range ottimale di temperatura, perché il corpo si può adattare anche a temperature estreme. La preparazione eseguita al caldo è parte di un percorso di adattamento. Si stimola il corpo ad eliminare il calore eccessivo che dipende da molteplici fattori ambientali, come ad esempio l’irradiazione solare, la velocità del vento, umidità e la stessa temperatura esterna.

Il sensore rileva due valori: la temperatura interna al corpo e quella cutanea
Il sensore rileva due valori: la temperatura interna al corpo e quella cutanea
Quale è la temperatura interna che un atleta può raggiungere durante lo sforzo fisico?

La temperatura interna del corpo può variare notevolmente, in base all’intensità dello sforzo e alle condizioni ambientali. Le temperature “normali” che possiamo vedere durante una prestazione atletica, durante una preparazione o allenamento, sono comprese tra i 38 e 39,5°C. Un atleta professionista può arrivare anche a 41,5°C, cifra che abbiamo documentato durante i Mondiali di Doha nel 2016.

Esiste una soglia individuale/soggettiva, diversa da atleta ad atleta?

Esiste ed è quel punto in cui la performance inizia a calare. Può cambiare da un atleta all’altro, è fortemente influenzata dai fattori ambientali e dalla temperatura cutanea misurata con il sensore Core. Questa soglia può essere modificata con la preparazione al caldo ed allenamenti mirati. Il miglioramento è quantificabile anche solo dopo 10 giorni.

Pidcock ed il Team Q36.5 sono supportati ufficialmente da Core
Pidcock ed il Team Q36.5 sono supportati ufficialmente da Core
Quindi l’adattamento al caldo è differente tra un corridore ed un altro?

Sì, allenarsi al caldo e sfruttarne i benefici è un processo individuale, perché le risposte fisiologiche sono diverse. Le risposte del fisico sono differenti, così come gli adattamenti, di conseguenza tutto quello che riguarda la preparazione heat training deve essere cucita addosso alle caratteristiche di ogni singolo atleta.

Recupero e alta intensità: le due settimane post Giro di Tonelli

23.06.2025
4 min
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Rispetto a qualche anno fa, dopo il Giro d’Italia abbiamo visto moltissimi corridori continuare a correre. C’è persino chi è andato in Slovenia, in pratica una consecutio della corsa, e chi è rientrato solo qualche giorno fa. E’ questo il caso, per esempio, di Alessandro Tonelli.

L’atleta della Polti–Kometa infatti, dopo due settimane, è rientrato in gara alla Route d’Occitanie. Due settimane sono un periodo intermedio, né breve per fare solo scarico, né tanto lungo per recuperare appieno. Tonelli ha disputato quindi la corsa francese e poi ha proseguito nella nuova gara pirenaica, la prima edizione della Andorra MoraBanc Clàssica.

Dal caldo torrido della Route d’Occitanie al fresco dei Pirenei: questi sbalzi termici non aiutano
Dal caldo torrido della Route d’Occitanie al fresco dei Pirenei: questi sbalzi termici non aiutano
Alessandro, partiamo dalle tue sensazioni: come è stato rientrare in gara dopo il Giro?

Diciamo che il caldo ha influenzato molto la prestazione. In Francia abbiamo vissuto cinque giorni di tappe caldissime, a 35-36 gradi. Si sono sentiti parecchio nelle gambe e nel corpo. Ieri ad Andorra invece in tal senso molto meglio, perché era più fresco… a tratti quasi freddo, ma è stata una gara durissima: 4.000 metri di dislivello in 115 chilometri.

Al netto del caldo?

Dopo il Giro, come spesso accade, sentivo di fare una fatica bestia quando si andava piano. Ero impacciato, pesante, mentre andava meglio quando si andava forte. Ma è un classico del Giro: vieni da tre settimane in cui ti sei abituato alle alte intensità, ma non hai recuperato del tutto.

Entriamo nel cuore dell’argomento, le due settimane tra Giro e Occitanie: come le hai passate?

Nella prima settimana ho osservato un giorno di riposo totale e un giorno in cui facevo un’ora e mezza molto tranquilla. Solo al sabato ho fatto quattro ore con un primo richiamo d’intensità: 5-6 minuti facendo una progressione da Z4 a Z5.

Passiamo alla seconda settimana: il lunedì cosa hai fatto?

E’ stata una giornata un po’ particolare. Ho lavorato sulla forza. Ho fatto le classiche SFR. Essendo parecchio tempo che non andavo in palestra, poteva essere rischioso con le gare così vicine. Così ho cercato di fare la forza in bici.

Per Tonelli nella seconda settimana post Giro parecchia intensità a casa
Per Tonelli nella seconda settimana post Giro parecchia intensità a casa
Martedì?

Recupero, un paio d’ore facili…

Mercoledì?

Ho ripetuto il lavoro del lunedì.

E siamo al giovedì…

Ho fatto 4 ore, con lavori ad alta intensità. Ho fatto due salite iniziandole forte in Z5 per 4 minuti, poi 3 minuti di recupero in Z3 e poi altri 8 minuti in Z5. In totale sono stati 15 minuti di lavoro ripetuti per due volte. A seguire ho inserito un lavoro in pianura ad alta cadenza: 2×8 minuti in Z3.

Venerdì?

Scarico semplice, un paio d’ore.

E il sabato?

Ho fatto una distanza regolare, che poi distanza vera e propria non era perché in questa fase non si deve caricare tantissimo. Quindi ho fatto 4 ore e 30′ con tre salite da 25 minuti. Una di queste salite l’hanno affrontata al Giro Next Gen prima del Maniva, è il Passo dei Tre Termini, che da noi è noto come Polaveno.

E infine, Alessandro, eccoci alla domenica…

Riposo assoluto, non sono uscito. Nel limite delle possibilità la domenica per me è sacra e la dedico sempre al riposo. In compenso ho fatto ancora un richiamo il giorno successivo.

Calando i chilometri, Tonelli ha diminuito l’apporto di carbo anche in allenamento
Calando i chilometri, Tonelli ha diminuito l’apporto di carbo anche in allenamento
E cosa hai fatto di preciso?

Ero alla vigilia della partenza per la Route d’Occitanie e ho fatto 2 ore e 45 minuti con due lavori ad alta intensità di 12 minuti in salita (a varie intensità) e a seguire 5 ripetizioni da 20”-40”.

Insomma Alessandro, nel complesso non un super volume ma neanche si passeggiava. Invece da un punto di vista alimentare come hai gestito queste due settimane?

Allenandomi meno ho calato l’apporto dei carboidrati, soprattutto nella prima settimana. Sostanzialmente la regola è: ti alleni meno, mangi meno. Poi quando ho ripreso ad allenarmi mi sono rimesso al regime di 80 grammi di carbo l’ora. Io anche in gara esagero, arrivo mediamente a 110 grammi l’ora.

Avrai mangiato meno, ma qualche sgarro post Giro lo avrai pur fatto?

Ma sì, già a partire dalla cena che abbiamo fatto tutti insieme a fine Giro. Poi però, dovendo correre, non è che ti lasci andare del tutto. In quella settimana di riposo controllavo l’alimentazione, ma se volevo qualcosa, che so un gelato, un dolcetto, me lo mangiavo. Alla fine lo stacco in quei giorni era anche per la testa e non solo per le gambe.

Sul fronte dei liquidi e dell’integrazione?

In allenamento non è cambiato tanto perché alla fine di caldo vero a casa ne ho preso un paio di giorni. Ma in gara in Francia ho bevuto moltissimo.

Piano, piano si rivede Tao. Slovenia e Svizzera per lo step definitivo

14.06.2025
5 min
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Non solo Delfinato. I grandi si muovono verso il Tour de France passando anche dal Tour de Suisse. E uno di questi è la maglia rosa del 2020, Tao Geoghegan Hart. L’inglese della Lidl-Trek si è rivisto al Giro di Slovenia e finalmente si è rivisto bene. Segnali incoraggianti per un ragazzo che, oltre al grave incidente del 2023, ha vissuto due stagioni piene di sfortune.

Del suo stato di forma e del lavoro svolto ne parliamo con Josu Larrazabal, head coach della squadra americana. Josu ci è parso fiducioso come non mai per Tao. Questa potrebbe essere davvero la volta buona per tornare a fare la voce grossa e rientrare nel paradiso dei grandi, quello che gli compete.

Il capo dei preparatori della Lidl-Trek, Josu Larrazzabal
Il capo dei preparatori della Lidl-Trek, Josu Larrazzabal
Josu, questo Slovenia ha dato buone risposte, sembra?

Sì, è stata una bella conferma dopo un periodo difficile. Tao ha avuto diverse malattie nei momenti sbagliati e di conseguenza troppi intoppi nel suo percorso. Finalmente sembra essersi liberato da tutto ed è andato bene. La performance in Slovenia è stata buona, è salito sul podio, nonostante non sia ancora al top.

Quello di Geoghegan Hart in vista del Tour è un percorso di avvicinamento particolare: prima lo Slovenia e poi lo Svizzera. Perché?

Nasce dalle necessità del momento e dagli intoppi avuti prima. Vi spiego: Tao doveva fare il Tour de Romandie ma si è ammalato. E anche prima le cose non erano andate meglio. La priorità dunque era ritrovare il ragazzo.

E come vi siete mossi?

La Volta a Catalunya doveva essere un momento importante per lui, ma si è ammalato e quindi stop dopo una sola tappa. Così, prima del Romandia, abbiamo aggiunto il Tour of the Alps, che sarebbe stato una sorta di sostituto del Catalunya, ma anche lì è stato male di conseguenza addio Romandia. Con lo stesso meccanismo abbiamo aggiunto lo Slovenia: era una corsa buona per lui in vista dello Svizzera, date le sue condizioni e un livello appena più basso. E’ stato un test e ha fatto uno step che gli ha dato fiducia. Ora arriva in Svizzera con quella fiducia e quella forma che volevamo.

In Slovenia si è visto un Tao aggressivo e attivo, eccolo tirare a testa bassa durante un attacco
Cosa ha fatto in questa settimana tra le due corse?

Ha pensato a recuperare. Ha fatto giusto un paio di sedute nel mezzo per un piccolo richiamo. Bisogna considerare che quest’anno il Tour de Suisse parte con una tappa dura: ci sono due salite importanti, specie la seconda vicino all’arrivo. Anche per questo gli abbiamo tolto il GP Aargau, che era in programma, proprio pensando a quella tappa e per cercare di farlo arrivare più fresco possibile. Se lo Svizzera fosse partito con una cronometro come sempre, invece Tao avrebbe fatto Aargau.

L’inglese è andato in quota?

Tao vive ad Andorra e, quando dico Andorra, intendo nella parte più alta, quindi è sempre in quota!

Josu, hai accennato alla crono. Come siete messi in tal senso?

Non so i numeri precisi, ma abbiamo fatto dei lavori già dalla scorsa stagione, sia in pista sia in galleria del vento, che ci hanno dato buoni frutti. Quest’anno, nell’unica crono fatta, all’Algarve, c’è stato un discorso di pacing non ottimale nel finale. Tao ha rischiato all’inizio e nel finale ha pagato, ma dal Delfinato dell’anno scorso sul fronte crono siamo a posto. Ha sempre disputato ottime prestazioni. No, su questo fronte siamo tranquilli.

E riguardo allo stare in gruppo? Si è ripreso, si sente a suo agio?

In realtà quello non è mai stato un problema. Lui è molto bravo a guidare la bici e non gli è rimasta nessuna paura dall’incidente. Anzi, è stato anche bravo a tirare la volata, come ha fatto con Bagioli allo Slovenia. Anche il nostro mental coach ha detto che va tutto bene.

Per l’inglese la cosa più importante è ritrovare la costanza di gare da poter disputare ad alto livello
Per l’inglese la cosa più importante è ritrovare la costanza di gare da poter disputare ad alto livello
Quindi siamo ai valori del Tao pre-incidente?

Siamo sui valori pre-incidente. Il problema per lui è che gli è mancata la costanza di allenamento e soprattutto di gare. Gli è mancato fare certi sforzi in successione, un vero percorso di preparazione. Perché la realtà è questa: la gente aspetta che Tao ritorni dopo l’infortunio del 2023, ma non è così. Lui da quel punto di vista è tornato. Ma come vi dicevo ha sempre avuto dei problemi.

Chiaro…

Al Delfinato dell’anno scorso è caduto e si è fratturato. Al via della Vuelta è subito finito a terra e ha corso con una costola rotta. Quest’anno aveva fatto un gran bell’inverno. In Algarve stava bene, ma nel momento topico è stato toccato da dietro, ha rotto il cambio e alla fine ha rovinato anche quella corsa. Poi in primavera, come avete visto, ha avuto diversi problemi di salute. Speriamo di avere la possibilità di fare due-tre gare di fila senza problemi. Guardate se questo blocco, Svizzera e Slovenia, andrà bene: vorrà dire che Tao avrà messo due gare di fila dopo due anni senza intoppi.

E in questo ciclismo davvero non ti puoi più permettere questi passaggi a vuoto. E invece cosa ti aspetti da questo Tour de Suisse? Un podio è possibile visto il livello molto alto?

Un podio è possibile e sarebbe importante, ma una cosa è parlarne e una cosa è farlo. Se uno come Tao è al top, è possibile, ma penso anche che non sia giusto chiedergli troppo, anche in Svizzera. Già arrivare nei cinque sarebbe una bella cosa per lui. Sarebbe il primo buon risultato nel WorldTour in due anni.