Guazzini, signori: vola nel quartetto e sogna Contador

Giada Gambino
02.02.2021
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La toscana Vittoria Guazzini immersa nella fredda neve dell’Etna, ma avvolta dal calore del clima della sua nazionale, si raccontava in una chiacchierata post sessione di ginnastica.

Perché il ciclismo? 

Mio padre era molto appassionato di questo sport e mi ha trasmesso la sua passione. Non essendo a conoscenza delle gare per i ragazzini, non lo iniziai a praticare subito. Un giorno, però, un amico di famiglia mi portò una piccola bici da corsa e da lì iniziai. Il ciclismo ti insegna cos’è la fatica, ad andare oltre i propri limiti e a non mollare mai. E’ una gara contro se stessi prima di esserlo contro gli altri. 

Rulli in quota nelle stanze del Rifugio Sapienza: il 2021 è iniziato così
Rulli in quota nelle stanze del Rifugio Sapienza: il 2021 è iniziato così
Il primo risultato? 

Già nella prima gara riuscii a vincere, eravamo poche ragazzine, ma ottenere subito una vittoria è stato davvero molto bello

Nel 2017 il quartetto con Consonni, Fidanza e Paternoster…

Quell’anno al mondiale conquistammo il record del mondo, fu un qualcosa di indescrivibile! Erano mesi che ci ritrovavamo tutte e quattro in pista per allenarci insieme, con il tempo si era creato un grande affiatamento e questo lo si vede anche dai risultati che abbiamo ottenuto. In una specialità come l’inseguimento a squadre ci deve essere tanta fiducia tra noi

Per Vittoria Guazzini ai mondiali di Imola il 25° posto a crono
Per Guazzini ai mondiali di Imola il 25° posto a crono
Nel 2018 tantissime vittorie

E’ stato un anno davvero soddisfacente, sia su pista che su strada. Dico sempre che le mie medaglie preferite sono quelle del quartetto perché è una felicità condivisa, ma anche la vittoria nell’omnium al mondiale è stata particolare. Ero caduta, rialzarmi e vincere mi ha fatto davvero sentire bene. 

Pista o strada?

Non riesco e non posso fare una scelta. La prima mi ha dato finora tante soddisfazioni, dalla seconda è nata la mia passione e sogno sempre un giorno di poter vincere una classica del Nord dal momento che  erano proprio queste le corse che con mio padre mi guardavo in televisione. E comunque, spero di continuare a praticare entrambe per il resto della mia carriera. L’una è funzionale all’altra, in strada si allena la resistenza e in pista la forza e l’esplosività

Agli europei elite di Plovdiv, centra l’oro con Elisa Balsamo nella madison
Agli europei elite di Plovdiv, centra l’oro con Elisa Balsamo nella madison
La staffetta mista…

Agli europei del 2019 venne introdotta per la prima volta questa specialità e conquistare un bronzo insieme ai ragazzi (Affini, Boaro, Martinelli, ndr) e le ragazze (Longo Borghini e Valsecchi) è stato senza dubbio molto divertente. C’era un po’ d’ansia nel momento in cui si doveva partire, solitamente c’è il conto alla rovescia, mentre in questo caso bisognava aspettare che arrivassero i ragazzi. Avevo addosso un’adrenalina pazzesca. Bello, è stato molto bello. 

La vittoria che non dimenticherai mai? 

Penso la madison agli europei 2020 con Elisa (Balsamo, ndr), è stata la mia prima vittoria tra le elite. Sicuramente anche il mondiale nel quartetto nel 2017, eravamo a casa, a Montichiari, è stato davvero speciale. 

Agli europei del 2019, la crono mista: qui Longo Borghini, Guazzini e Valsecchi
Agli europei del 2019, la crono mista: qui Longo Borghini, Guazzini e Valsecchi
Ti saresti mai aspettata di raggiungere questo livello?

Fino a qualche anno fa pensavo che il ciclismo fosse la mia grande passione, un gioco, un modo per divertirsi; non avrei mai potuto immaginare che avrei fatto del mio “gioco” la mia professione. Quando ho iniziato ad ottenere risultati in campo internazionale ho capito che forse le cose stavano cambiando. 

Il ritiro sull’Etna…

La Sicilia è una bellissima regione. Pedalare con attorno certi paesaggi fa sentire di meno la fatica. Era la prima volta che venivo sull’Etna, a differenza di qualche compagna che c’era già stata. Anche al Rifugio Sapienza siamo riuscite a fare tutti gli allenamenti a corpo libero o sui rulli, il personale è stato davvero molto disponibile. Forse l’unica nota dolente è il fatto che dovevamo ogni giorno scendere con la macchina sino a giù per allenarci in bici, ma è un aspetto che passa in secondo piano. 

Festa grande in casa Italia. Pirrone iridata, con Guazzini, Paternoster, D’Agostino, Fidanza
Festa grande in casa Italia. Pirrone iridata, con Guazzini, Paternoster, D’Agostino
Voi azzurre della pista…

Siamo tutte molto amiche, stiamo tanto tempo insieme e fortunatamente il trovarci nella maggior parte d’accordo fa sì che i tanti giorni di ritiro passino velocemente. Tutte le vittorie delle mie compagne sono importanti per me, mi emoziono e sono più in ansia di quando corro io stessa. Certe volte le persone danno per scontato che per noi sia semplice vincere, ma non è affatto così. 

L’obiettivo di quest’anno?

Le Olimpiadi! Spero che si possano disputare, perché farò di tutto per arrivarci. E’ il mio più grande sogno anche solo poter partecipare, sicuramente non sarà un punto d’arrivo. Ma se accadrà, saranno un punto di partenza per il futuro

Un selfie sul Belvedere di Taormina, con la regia di Chiara Consonni
Un selfie sul Belvedere di Taormina, con la regia di Chiara Consonni
Il ciclista a cui ti ispiri?

Ho sempre avuto un “debole” per Contador, anche se le salite non sono il mio terreno, mi ha sempre affascinato il suo modo di andare in bici dal momento che è un attaccante. E anch’io, finché ne ho, ho dentro questo spirito

Il giorno che a Sydney cambiò la storia del ciclismo

19.01.2021
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Un giorno, la storia del ciclismo ha preso una piega diversa. Un giorno, la cultura dello sport delle due ruote e quella olimpica si sono finalmente sposate, dopo essersi ignorate per decenni. E’ vero, la storia delle Olimpiadi nel ciclismo affonda quasi ai suoi primordi, ma fino al 1992 nella gara su strada gareggiavano solo i dilettanti, con un’evidente sperequazione tra i Paesi del blocco comunista, dove lo sport era di Stato, e gli altri. Quell’anno però il Cio aveva deciso di aprire le porte delle Olimpiadi ai professionisti: tutti ricordano l’edizione di Barcellona 1992 come quella del Dream Team americano di basket, che offrì uno spettacolo indimenticabile. Nel ciclismo si dovettero attendere quattro anni, ma la gara di Atlanta non colpì la fantasia degli appassionati. Per quella di Sydney, il 27 settembre 2000, fu diverso: allora la storia del ciclismo cambiò e fu grazie a due italiani.

Azzurri guidati dal cittì Fusi, dal dottor Daniele e dal segretario generale Standoli
Azzurri guidati dal cittì Fusi e dal segretario generale Standoli

Attacca Ullrich

L’evoluzione di quella gara fu tanto semplice quanto rivoluzionaria: a una trentina di chilometri dalla fine, il tedesco Jan Ullrich, reduce dalla piazza d’onore al Tour de France dietro Armstrong, chiamò a sé due compagni della Telekom, il connazionale Andreas Kloden e il kazako Alexandre Vinokourov e andò in fuga con loro. Tre uomini significava podio monopolizzato ed essendo i tre appartenenti allo stesso team (anche se alle Olimpiadi si corre per nazionali) voleva dire che la loro gara sarebbe diventata da lì una cronometro a squadre. Pressoché impossibile raggiungerli, ma due italiani ci provarono: Michele Bartoli e Paolo Bettini.

Due toscanacci di ferro, compagni nella Mapei. Un tentativo che poteva sembrare velleitario, ma proprio per questa sorta di sfida ai mulini a vento la storia del ciclismo cambiò. Perché? Semplice: fino ad allora, in ogni gara ciclistica, mondiali compresi, si pensava che quel che conta è solo il vincitore, nessuno si ricorda del secondo, men che meno alla rassegna iridata. Alle Olimpiadi vincono in tre e vincono davvero. Loro sapevano che dovevano provarci, anche se era un’impresa disperata.

Fra gli azzurri in Australia, anche Pantani, Di Luca e Casagrande
Fra gli azzurri in Australia, anche Pantani, Di Luca e Casagrande

Due azzurri in caccia

A tanti anni di distanza, quando ci ripensa la voce di Michele Bartoli s’increspa ancora: «Mi è rimasta la delusione tipica del quarto posto, perché potevamo vincere. La gara olimpica è particolare perché unisce un po’ di professionisti che affronti durante l’anno a tanti altri corridori che vengono da Nazioni non di primo piano, che non conosci. Poi si corre in 5 per squadra e non puoi controllare la corsa, quindi serve maggiore attenzione e noi, al momento cruciale, non l’avemmo. Per questo l’Olimpiade è così difficile da vincere».

Quell’inseguimento fu meno velleitario di quanto si pensi, perché i due azzurri ci credevano davvero: «Dovevamo provarci e arrivammo davvero vicini ai tre. Diciamo che ci mancò un terzo corridore della Mapei – dice ancora Bartoli – allora avremmo gareggiato ad armi pari, ma sarebbe bastato avere un altro corridore in grado di darci qualche cambio e li avremmo ripresi».

Jan Ullrich scatena la fuga e si fa aiutare da Kloden e Vinokourov compagni alla Telekom
Jan Ullrich si scatena, lo aiutano Kloden e Vinokourov

Bettini e la curva

Paolo Bettini è ancora più specifico: «Se non li riprendemmo, fu per causa mia. Dal mattino la gara era stata una battaglia e io e Di Luca eravamo quelli deputati a lavorare di più per tenere coperti Bartoli, ma anche Casagrande e Pantani. Nella parte finale di gara ero finito, ma mi ritrovai a inseguire con Michele. Ricordo che nel finale eravamo arrivati a una quarantina di metri, in prossimità di una curva, ma appena girata non riuscii a rilanciare l’azione e il distacco raddoppiò. A quel punto avevamo capito che la gara era finita, ma io non ne avevo più…».

Una cosa diversa

In una gara differente, come una grande classica, magari non ci si provava neanche: «E’ una cosa diversa – riprende Bartoli – perché hai più compagni di squadra e puoi gestire la corsa in molte altre maniere. Lì è una gara individuale. Dovevamo provarci anche se sapevamo che era difficile».

«E’ vero – ribatte Bettini – ma lì capii che l’Olimpiade è qualcosa di particolare, perché vincono in tre: io per esempio ho vinto un argento ai mondiali, ma non se ne ricorda nessuno, quasi neanche io, perché chi arriva secondo è un … Vabbé, avete capito!».

A Bartoli non resta che la volata per il quarto posto, che sa di beffa
A Bartoli non resta che la volata per il quarto posto

Progetto Atene

Eppure quell’epilogo (Bartoli finì per vincere la volata del gruppo dei battuti, Bettini arrivò nelle retrovie e la gara la vinse Ullrich) ebbe un peso enorme per il Grillo livornese, che vinse l’edizione successiva.

«Ero giovane a Sydney – dice – ma capii che potevo vincere, che anzi dovevo lavorare per vincere. Il 2000 fu un anno fondamentale per la mia carriera, avevo vinto la Liegi dimostrando che potevo lottare per ogni classica, poi cominciai a pensare ad Atene e non sbagliai. Tempo fa sono andato in Portogallo a trovare Paulinho, argento dietro di me. Da professionista non ha vinto nulla, ma nel suo Paese è considerato ancora un eroe: l’Olimpiade è questo».

Podio assicurato. Vince Ullrich, poi Vinokourov e terzo uno sfinito Kloden
Podio assicurato. Vince Ullrich, poi Vinokourov e terzo uno sfinito Kloden

Due scuole

Da allora la gara olimpica è diventata un grande obiettivo: «E’ cambiata la cultura ed è cambiata la storia – dice Bettini – ai nostri tempi il patron Lefevere odiava le Olimpiadi perché interferivano con la stagione, soprattutto con il Tour. Oggi non è così, tanto è vero che molti stanno programmando la stagione in funzione della gara di Tokyo e sono pronti a rinunciare al Tour, ma nelle squadre nessuno protesta perché sanno quanto conta la gara olimpica».

«Io però sono legato alla vecchia scuola – riprende Bartoli – non riesco a dare alle Olimpiadi lo stesso valore di un mondiale o di una classica monumento, perché è su quelle che si basa una carriera».

«Capisco l’idea di Michele proprio perché è figlia di un pensiero più tradizionale – ribatte Bettini – più legata alla storia del ciclismo, io però vi dico una cosa: ho vinto due mondiali, ma baratterei volentieri una maglia iridata anche per un bronzo olimpico, perché ho provato sulla mia pelle che cosa significa essere un atleta olimpionico. Quando ci penso mi vengono ancora i brividi…».

Olimpiadi

Olimpiadi tutti le vogliono, ma in passato…

26.12.2020
4 min
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Olimpiadi, tutti le vogliono. Potrà sembrare scontato oggi. Ma non è sempre stato così, almeno nel ciclismo o nel calcio, sport che vantano tradizioni differenti da atletica leggera o scherma.

Per il ciclismo è (o era?) il titolo iridato la massima competizione. Tuttavia da quando ad Atlanta 1996 si sono aperte le porte ai professionisti le cose sono cambiate. Non subito, ma sono cambiate. Sono cresciuti interesse e appeal da parte dei media e soprattutto dei corridori stessi.

Una lista di campioni

Oggi non c’è un atleta della nuova generazione che non ci faccia un pensierino. Ricordiamo quel che fecero Thomas, Froome e Wiggins per Londra 2012. Quanto le desiderava Nibali in Brasile. Cosa ha fatto Van Avermaet su un percorso che non era adatto alla sua stazza, sempre a Rio. 

Il vento è cambiato davvero nel 2004, grazie al successo di Paolo Bettini, che le preparò al dettaglio. Prima erano soprattutto quei Paesi in via di sviluppo a crederci di più, anche se poi a vincere erano sempre i grandi.

Maurizio Fondriest
Maurizio Fondriest nella cronometro individuale ad Atlanta 1996
Maurizio Fondriest
Fondriest nella crono di Atlanta 1996

Fuglsang è l’ultimo della lista ad aver dichiarato il suo interesse per Tokyo. Van Avermat vuol difendere il titolo, Van der Poel le vuole, ma quelle in Mtb, Van Aert anche ha alzato la mano, Lutsenko ha una potenza di fuoco alle spalle schierata dal Kazakhstan come avvenne per Vinokourov in più occasioni. Ci sono poi Alaphilippe, la schiera dei colombiani, Hirschi, Kamna, i due sloveni terribili. Insomma una lista infinita. Una lista che ad Atlanta 1996 non sarebbe esistita.

Fondriest ad Atlanta

Maurizio Fondriest vi partecipò a quei Giochi. I primi dei pro’, come detto. Il trentino ammette che non furono così sentite quelle Olimpiadi. Magari avrebbe più desiderato farle nel 1984, quando era dilettante.

«Non sapevamo come sarebbe stata la corsa – racconta Fondriest – c’erano squadre con meno corridori e un ambiente diverso. Vinse Pascal Richard, ma in gruppo c’erano anche tanti dilettanti dei Paesi meno grandi. Non ho un grande ricordo perché quando arrivammo non c’erano i pass per il Vvillaggio Olimpico. I colleghi della pista ci dissero che non era un granché. Il Coni ci trovò così un hotel in centro. Uscivamo la mattina e rientravamo la sera. Facevamo tutto a Casa Italia: mangiare, massaggi, deposito bici, allenamenti.

«Quindi non abbiamo vissuto il clima olimpico e non abbiamo visto gli atleti degli altri sport. E poi ho fatto quarto nella crono! Quel giorno ho perso per via del meteo, ci divisero in due gruppi io capitai in quello che corse con la pioggia. Avevo i tubolari da 20 sul bagnato. Non ho mai guidato bene come quel giorno. Broccardo che mi seguiva dalla macchina faceva: ora va giù, ora cade. Me lo disse dopo la corsa chiaramente.

«Anche Alfredo Martini non era teso come per i mondiali. Mangiava con noi e ci raccontava le barzellette, non aveva mai fatto così».

Nibali
Rio 2016, parata di campioni in testa: (da destra) Nibali, Majka, Fuglsang, Zeits
Nibali
Nibali a Rio de Janeiro 2016

La perla mancata di Nibali

«Molti corridori però preferiscono ancora la maglia iridata – dice Fondriest – Bettini quando ne parla racconta più della gara che dell’atmosfera olimpica, ma lui ha corso otto anni dopo di me e le cose erano già cambiate.

«Il ricordo di Nibali a Rio? La sua caduta. Quella è la mia immagine di quei Giochi – dice Fondriest – si fa presto a dire doveva rischiare di meno. Ma sei al limite e poi lo diciamo adesso. Mi dispiace che non abbia vinto perché sarebbe stata la perla della sua carriera. E gli avrebbe dato quella visibilità in più che purtroppo non ha e si merita, perché questo ragazzo ha un palmares incredibile ed è un patrimonio del nostro ciclismo».

L’interesse è alto. Anche culturalmente i ragazzi di oggi sono cresciuti con le Olimpiadi che vedevano protagonisti i professionisti, i loro idoli. Per i corridori questa corsa conta moltissimo. Alaphilippe ha detto che vale più di un mondiale. Valverde vorrebbe continuare solo per disputare i Giochi. Van Aert, forte anche di una cultura sportiva tipica del Nord Europa, non pensa ad altro. La sfida è aperta. Sarà una lunga corsa e ascoltare il parere di Fondriest ci ha fatto capire quanta strada sia stata fatta da allora.

Fusaz a Milan: aumentare la potenza

30.09.2020
4 min
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«Ormai certe ripetute è costretto a farle in salita, tanto è potente». Basterebbe questa frase del preparatore Andrea Fusaz per capire l’entità della crescita di Jonathan Milan, uno dei suoi atleti al Cycling Team Friuli.

La “Locomotiva di Buja” il prossimo anno correrà con la Bahrain-McLaren e non sarà più Fusaz ad allenarlo in vista di Tokyo 2021. Tuttavia, con il tecnico friulano, abbiamo voluto analizzare lo stesso l’ipotetico cammino atletico verso le Olimpiadi di Milan, in quanto nessuno lo conosce meglio di lui.

Milan
Jonathan Milan con Andrea Fusaz. I due analizzano i dati dopo una sessione di allenamento
Milan
Milan e Fusaz analizzano i dati di un test
Andrea, da dove dovrebbe partire Milan per essere al top in vista del quartetto olimpico?

Il primo step sono gli europei in Bulgaria a novembre. Lì avremmo tirato una riga per valutare il suo livello e tracciare il cammino olimpico.

Poniamo per un secondo che Jonathan sia ancora nelle tue mani, come imposteresti questo cammino?

L’obiettivo è aumentare la potenza. Dopo un’importante base aerobica (fine novembre-gennaio) inizierei a lavorare sull’intensità: ripetute a ritmo gara o più forte, a partire da 1′ fino ad un massimo di 2’30”, man mano riducendo il recupero. Raramente si arriva a coprire l’intera durata dello sforzo in gara. Ci si basa molto sui numeri. E’ importante valutare come Jonathan reagisce fisicamente e mentalmente a questi lavori particolarmente duri.

Quali sono le fasi della preparazione verso Tokyo?

Dopo gli europei Milan osserverei un paio di settimane di stacco, soprattutto mentale. Non dimentichiamo che tira la carretta da un anno intero. Lo avrei lasciato libero. L’unica cosa che gli avrei chiesto, di tenere a bada il peso. Per questo andavano bene del nuoto o delle passeggiate in montagna. Poi sarebbe salito in sella, su strada, per iniziare la fase aerobica. Contestualmente avrebbe curato la fase più intesa in palestra, quella in cui si lavora coi carichi massimali. Man mano la parte di forza in palestra si sarebbe alternata con quella in bici: partenze da fermo, ripetute con rapporti più lunghi (un dente in più davanti e uno in meno dietro), lattato massimo… E saremmo stati già verso febbraio. A quel punto sarebbero iniziate le gare di Coppa del mondo.

Spesso parli di recupero mentale. Questi sforzi intensi consumano anche sul piano psicologico. Avete un figura ad hoc nel CTF?

No. Nel Cycling Team Friuli però tendiamo a stare molto vicino ai ragazzi. E li ascoltiamo. In questo modo capiamo noi stessi i problemi. Solo così, hanno la capacità di affrontare in allenamento i propri limite e superarli.

Milan
Milan dopo la vittoria di tappa all’ultimo Giro U23 (foto Scanferla)
Milan dopo la vittoria di tappa all’ultimo Giro U23 (foto Scanferla)
Per le Olimpiadi avresti previsto più picchi di forma?

No, un solo picco. Io sono per una crescita graduale fino all’appuntamento clou. Poi va da sé che al termine di ogni blocco Milan avrebbe toccato dei picchi, ma ognuno sarebbe stato più basso del successivo. Sarebbe stato un lavoro approfondito su ogni fronte. Avrei prestato attenzione soprattutto alla forza. La palestra sarebbe stata fondamentale. Un allenamento o due a secco a settimana lo avrebbe svolto sempre.

Nell’anno olimpico la bici da strada si usa di meno?

No. La strada come detto serve per la base aerobica. In pista si fa bene il lattato. Ma nel complesso una gara su strada porta una qualità che nessun allenamento può dare. In più ci saranno i blocchi in pista con i ritiri a Montichiari. In quel caso i ragazzi alternano uscite su strada e 4-5 allenamenti su pista a settimana. Ogni sessione sul parquet dura circa tre ore, ma non si gira in continuazione. Tra riscaldamento, recupero, ripetute, analisi dei dati ci sono delle pause. 

Quando gli avresti fatto fare l’ultima gara su strada?

Dipende dalla durezza della corsa, ma non oltre le tre settimane prima.

Quali sono i lavori che preferisce Jonathan?

Vedo che tiene bene gli intermittenti. Jonathan ha dei numeri che degli atleti normali non hanno. E’ in grado di fare i 30-30 o i 40-20 anche a 650 watt. E ormai in pianura non riesce a farli, non riuscirebbe a raggiungere quei wattaggi. La velocità sarebbe troppo alta e così lo mando in salita.

Nell’ultimo anno Milan è cresciuto moltissimo. Ha potenza da vendere (foto Scanferla)
La potenza del friulano in pianura (foto Scanferla)
Dove può arrivare Milan?

Bella domanda. Dobbiamo capirlo anche noi. Stiamo parlando di un ragazzo che fino ad un anno e mezzo fa praticamente non si allenava. Mi sento di dire con certezza che batterà quel suo 4’08” (tempo stabilito a febbraio nell’inseguimento individuale, ndr). Vi dico che quest’anno ho dovuto rivedere tre volte le intensità delle sue tabelle. Per certi lavori siamo partiti con 500 watt, poi siamo passati a 600 e ora siamo a 650!

Quanto conterà il lavoro sui materiali?

Molto, ma questa risposta è legata alla nuova squadra. Posso dire che con Campagnolo e Pinarello abbiamo lavorato bene. Io mi concentrerei molto sul manubrio. Guardate cosa ha fatto Ganna ai mondiali.

C’è il quartetto olimpico nella testa di Milan

26.09.2020
3 min
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Jonathan Milan viaggia spedito verso le Olimpiadi di Tokyo 2021. Nella sua testa c’è prima di tutto il quartetto. Il gigante friulano però eccede anche in umiltà quando dice che prima deve guadagnarsi la convocazione.

«Dico così perché non si sa mai», spiega Milan. «Ti può capitare un malanno, di non essere in condizione per quel periodo. A quel punto devi lasciare il posto a qualcun altro, giustamente. E poi non vivo su quanto fatto agli ultimi mondiali».

Milan
Alla Vuelta a San Juan, in Argentina ad inizio stagione, Jonathan Milan ha corso in azzurro
Milan in azzurro alla Vuelta San Juan

A febbraio, infatti, Milan volava. Nella sfida iridata di Berlino aveva staccato un super tempo. Aveva fatto segnare 4’08” per coprire quei 4.000 metri nell’inseguimento. Un tempo anche migliore rispetto a quello di Filippo Ganna alla sua stessa età.

Un’estate a suon di titoli nazionali

La sua corsa verso Tokyo è ripartita con i campionati italiani (dove ha vinto l’inseguimento individuale) e con quelli europei U23. Oltre ai successi su ottenuti strada, come la cronometro tricolore. Insomma, Milan alternativa naturale a Ganna? E’ sempre più probabile.

Nell’inseguimento a squadre, agli europei under 23 di Fiorenzuola, il friulano ha coperto la quarta posizione, quella delle tirate più lunghe. Quando si ritroverà con gli elite le cose cambieranno, quello infatti è il regno di Ganna.

«Dovrei essere il secondo e mi piace. E’ una posizione che richiede responsabilità. Il primo porta il team nella velocità stabilita. Il secondo deve mantenerla e se possibile aumentare, ma senza strappare. Serve sensibilità. Ai mondiali la formazione era nell’ordine: Francesco Lamon, io, Simone Consonni e Filippo Ganna. Però dobbiamo ancora parlarne con Marco Villa. Va stabilita la velocità del primo e quanto devono accelerare gli altri. Ci sono molte cose da inquadrare».

Milan (al centro) con il bronzo conquistato nel quartetto ai mondiali di Berlino
Milan (al centro) con il bronzo di Berlino

A questo punto sarà interessante vedere come andranno gli europei in Bulgaria (dall’11 al 15 novembre), uno dei banchi di prova più importanti in vista dei Giochi. Villa cercherà farà delle prove, visto che il discorso qualificazione è praticamente chiuso.

Nel 2021 sarà in una World Tour

La questione più delicata semmai riguarda il fatto che il ragazzo di Buja lascerà la categoria U23. Approderà tra i professionisti, in una squadra WorldTour. Al Cycling Team Friuli, la sua attuale società, sarebbe piaciuto molto trattenerlo ancora un anno. Jonathan non avrebbe rovinato quell’equilibrio che lo ha fatto crescere.

«Voglio passare e fare il grande salto», conclude Milan. Dalla squadra con cui andrò ho avuto garanzie che potrò lavorare per la pista. Le Olimpiadi prima di tutto. Per questo cercherò di allenarmi il più possibile in velodromo, chiaramente senza trascurare la strada».

Cavalli, la bimba che imitava Cavendish

23.09.2020
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Marta Cavalli è stata una delle “sorprese” della nazionale di Dino Salvoldi ad Imola. Tuttavia per la ragazza della Valcar la maglia azzurra non è certo una novità. In pista infatti ha raggiunto traguardi importanti specialmente nell’inseguimento a squadre, non ultimo il titolo europeo a Fiorenzuola. Ed anche al Giro Rosa Iccrea la 22enne lombarda è stata tra le migliori: buoni piazzamenti di tappa e seconda azzurra dopo Elisa Longo-Borghini nella generale. Conosciamola meglio.

Marta Cavalli
Ad Imola ha trovato la maglia da titolare
Ad Imola ha trovato la maglia da titolare
Marta, quando e come hai iniziato a pedalare?

Ad 11 anni, un po’ per gioco e un po’ perché vedevo il Giro, il Tour insieme a papà e poi imitavo Mark Cavendish in cortile mentre faceva le volate. Mio padre, appassionato, ha assecondato questo mio interesse e mi ha portato al C.C. Cremonese, la squadra locale, dove ho iniziato a gareggiare. Da qui l’impegno è andato a crescere fino ad arrivare alla Valcar.

E hai capito subito che il ciclismo potesse essere più di un gioco?

Fino da juniores lo vedevo solo come un divertimento. In più non che andassi molto bene, avevo paura del gruppo, non vincevo… e più di qualcuno tra i tecnici mi disse che il ciclismo non era per me. Però vedere le altre che miglioravano e vincevano mi fece scattare una molla. Così iniziai anche io ad essere più puntigliosa, ad allenarmi di più e arrivarono le prime soddisfazioni. E’ al secondo anno elite che ho capito che il ciclismo era la mia strada.

Qualcuno mi disse che il ciclismo non era per me. Però vedere le altre che miglioravano e vincevano mi fece scattare una molla.

E le prime gare con le grandi come andarono?

Gli esordi nel World Tour furono devastanti! Mi sono ritrovata con campionesse tipo Vos, Van Vleuten, ho preso delle batoste che la metà bastavano! Però mi sono anche detta: così non vado avanti, adesso mi ci metto al cento per cento. Adesso non sono ancora tra quelle 10-15 top rider, mi manca qualcosa, ma l’obiettivo è quello di far parte di quel ristretto gruppo di atlete.

E cosa ti manca?

Le variazioni di ritmo in salita. Quando una Longo-Borghini o una Van Vleuten attaccano, la differenza la sento. Hanno un altro ritmo. Però anche se mi stacco devo dire che cerco subito il mio passo e quasi sempre riesco a cavarmela limitando i danni. Ci sono alcuni aspetti che miglioreranno da soli col tempo, come la resistenza e la capacità di allenarsi o tenere certi sforzi e altre che invece sulle quali devo proprio lavoraci su, come appunto il cambio di passo in salita.

Dove ti alleni?

Io vivo a Formigara, un paesino della Bassa, in provincia di Cremona. Lì è tutta pianura e spesso per trovare della salita o faccio molte ore oppure prendo la macchina e mi sposto verso l’Appennino piacentino. E lì faccio lavori specifici. 

Cavalli
Marta Cavalli corre con la Valcar dal 2017. Passerà alla FDJ Nouvelle
Marta corre con la Valcar dal 2017
Ti alleni sola? E chi ti segue?

Sì, il più delle volte da sola, però con la nazionale e la squadra spesso facciamo dei ritiri, andiamo anche in pista. Mi allena Davide Arzeni, che è anche il direttore sportivo della Valcar. 

C’è una compagna che ti ha fatto da chioccia?

Fino allo scorso anno avevamo in squadra Dalia Muccioli. Lei è davvero brava. Sempre disponibile e sempre pronta a darmi consigli.

Hai parlato della pista, tu vanti una bella storia con il parquet…

E’ lì che ho iniziato a raccogliere i risultati più importanti, tra cui l’oro europeo nell’inseguimento a squadre (era il 2017 e lo ottenne con Martina Alzini, Elisa Balsamo e Francesca Pattaro, ndr). Questo risultato fu poi anche quello che mi aprì la porta tra le elite e alla Valcar. La pista è un vecchio amore e in vista delle Olimpiadi da questo inverno mi ci concentrerò per bene. Anche la strada mi piace. A conti fatti dico che la passione tra le due è 50-50!

Ti aspettavi la convocazione da parte di Salvoldi?

Non me l’aspettavo però ci speravo. L’anno scorso stavo bene ma non fui convocata. Due anni prima il circuito era troppo duro per le mie caratteristiche. Questo è stato l’anno buono per far parte del gruppo azzurro.