Viviani DMT Livigno

Un campione per amico: l’importanza di Viviani per DMT

14.12.2025
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Elia Viviani ha concluso quest’anno una carriera costellata di tantissimi successi, sia in strada che in pista. L’ultimo – da libro cuore – è stato l’oro nell’Eliminazione ai mondiali di Santiago del Cile lo scorso ottobre.

Viviani ha passato gran parte della sua vita ciclistica a fianco dell’azienda veneta DMT, e il brand l’ha seguito anche durante il suo ultimo ritiro, quest’estate a Livigno, dove il velocista stava preparando il mondiale.

Abbiamo contattato Mattia Viel, che si occupa dei rapporti con gli atleti e delle sponsorizzazioni per DMT, per farci raccontare i suoi giorni in altura con il campione olimpico di Rio 2016.

Mattia Viel (a destra), ex pro’, ora si occupa delle sponsorizzazioni degli atleti in DMT, cosa che lo porta ad essere in stretto contatto con campioni come Pogacar o Viviani
Mattia Viel (a destra), ex pro’, ora si occupa delle sponsorizzazioni degli atleti in DMT, cosa che lo porta ad essere in stretto contatto con campioni come Pogacar o Viviani
Mattia Viel, cosa avete fatto con Viviani a Livigno?

Siamo stati lì con lui quest’estate per produrre un video che raccontasse il suo rapporto con la nostra azienda, ma anche qualcosa di lui che fosse più personale. Quando ho saputo del suo ritiro ho pensato che è stato davvero una persona fondamentale per noi e che forse potevamo comunicarlo di più. Da qui l’idea di produrre il video, sentire la sua viva voce che parlasse del nostro rapporto.

E lui com’è stato in quei giorni?

Super professionale come sempre. Si stava preparando per i mondiali in pista, ma ci ha dedicato qualche ora di alta qualità. Era un modo per omaggiare la sua straordinaria carriera.

Viviani DMT Livigno
Viviani è salito a Livigno quest’estate per preparare gli ultimi appuntamenti dell’anno e della carriera (foto Gabriele Facciotti)
Viviani DMT Livigno
Viviani è salito a Livigno quest’estate per preparare gli ultimi appuntamenti dell’anno e della carriera (foto Gabriele Facciotti)
Da sempre divisa tra strada e pista.

Esatto! E per noi Elia funziona bene proprio perché è molto versatile. Infatti il concept del video è avere un piede in due scarpe, proprio per sottolineare la sua passione per le due discipline e il fatto che sia riuscito sino alla fine a portarle avanti entrambe ad altissimi livelli. Allo stesso modo utilizza sia le scarpe con i lacci che quelle con i rotori, quindi è un testimonial perfetto.

Durante le riprese sono venuti fuori retroscena interessanti?

A me è piaciuto il fatto che sia venuto fuori il lato umano, le storie oltre alla performance. Per esempio quando scambia qualche battuta al telefono con Federico Zecchetto, il patron di DMT, e si parlano in veneto. Questo rende bene l’idea del rapporto che c’è tra lui e l’azienda. Noi siamo una realtà abbastanza piccola rispetto ad altre, ma proprio per questo puntiamo moltissimo sul seguire da vicino i nostri atleti.

Perché, ricordiamo, Viviani è veronese come l’azienda…

Esatto, e questo ha comunque avuto un ruolo. Come dicevo con lui c’è sempre stato un rapporto particolare, anche per la vicinanza che ha avuto con il nostro collega Nicola Minali, che è suo compaesano. Per esempio, credo sia la persona che ha ricevuto più versioni customizzate in assoluto.

Scarpe DMT Viviani custom
Uno dei molti modelli che l’azienda ha creato apposta per il campione veronese: forse l’atleta che ha ricevuto più customizzazioni in assoluto (foto Gabriele Facciotti)
Scarpe DMT Viviani custom
Uno dei molti modelli che l’azienda ha creato apposta per il campione veronese: forse l’atleta che ha ricevuto più customizzazioni in assoluto (foto Gabriele Facciotti)

La voce di Minali

E in effetti anche Nicola Minali, che in DMT è responsabile dello sviluppo tecnico, ha diverse cose da raccontare del campione olimpico. Nell’intervista rilasciata a bici.PRO quest’estate ci aveva accennato al fatto che, prima ancora del modello fatto per Pogacar, le primissime scarpe con chiusura a lacci siano state realizzate per Viviani. Gli chiediamo di spiegarci meglio questa storia.

«Quella scarpa fatta per Elia però – dice – era piuttosto diversa da quelle che sono in catalogo ora. Era una modello sì con i lacci, ma da pista e con una cover aerodinamica per massimizzare le prestazioni. Ed era in microfibra, a differenza di quella fatta per Tadej che è in knit. Era un modello pensato per gli sforzi di breve durata, appunto quelli che si fanno in velodromo. Su strada si sarebbe scaldata troppo».

Viviani DMT Livigno
Con ogni probabilità il rapporto tra il velocista e l’azienda continuerà, pur in forma diversa, anche in futuro (foto Gabriele Facciotti)
Viviani DMT Livigno
Con ogni probabilità il rapporto tra il velocista e l’azienda continuerà, pur in forma diversa, anche in futuro (foto Gabriele Facciotti)
Nicola, lei Viviani lo conosce da quando era un ragazzo. Com’è stato lavorarci tutti questi anni?

Io ed Elia siamo praticamente compaesani (i due sono entrambi di Isola della Scala, ndr), e durante la sua carriera quando è stato libero ha sempre collaborato con noi. E’ sempre stato un uomo azienda, molto lucido fin da ragazzino, uno che non parlava mai a vanvera. La sua maniacalità, quella che gli ha fatto raggiungere i risultati che ha raggiunto, ha aiutato molto anche noi. Da quando io lavoro qui, ci siamo sempre basati moltissimo sui feedback dai corridori e, visto il nostro rapporto, Elia è stato molto importante.

Forse il picco della sua carriera è stato l’oro olimpico di Rio 2016. Che scarpe aveva quel giorno?

Una scarpa particolare, con un filo che passava tutto attorno al piede, con chiusura a rotori. La scuola aveva due canaline che permettevano al filo di passare da parte a parte, per avvolgere il piede nel migliore dei modi. L’ispirazione del nuovo modello con i lacci è partita da lì, l’idea di base è la stessa. Elia c’è sempre stato in ogni nostra innovazione. Il primo modello di scarpa fatto con il knit e non più in microfibra l’ha usato lui ai campionati italiani e ha subito vinto. Sembrava che ogni nuovo modello che gli proponessimo lui lo provasse e immediatamente vincesse. Anche per questo è stato, e continuerà ad essere, una persona speciale per noi.

Tutti ai piedi di Pogacar: le scarpe e il mondo che ci gira attorno

09.08.2025
7 min
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Quando Pogacar arrivò alla DMT, aveva da poco concluso la prima stagione da professionista. Quella della prima vittoria e del podio alla Vuelta. Lo accompagnava Alex Carera, suo agente dalla primissima ora, e si trovò di fronte Nicola Minali. L’ex velocista veronese, che nel 1997 ha anche vinto la tappa di Parigi del Tour de France, era già allora addetto allo sviluppo dei modelli di calzature sulla base delle esigenze degli atleti. Nella scuderia degli atleti DMT c’era già Elia Viviani, veronese come lui, i cui feedback erano e sono ancora preziosi per lo sviluppo dei modelli.

Ora che Pogacar ha vinto il quarto Tour (ma non la tappa di Parigi), parlare di lui con Nicola Minali ci ha offerto la possibilità di fare un viaggio tecnico molto profondo nell’indole del campione e nell’impegno certosino dell’azienda nel crescere accanto a lui.

Nicola Minali, bentrovato. Partiamo da quel primo incontro?

Carera aveva parlato con Zecchetto, che è il mio titolare, di questo ragazzo molto promettente. Arrivano su, lui firma il contratto e una delle prime volte che lo incontro, mi chiede: «Ma voi fate le scarpe con i lacci?». Io gli dico di no, che le facciamo con i rotori e con i lacci abbiamo solo un modello da pista per Elia. Ma lui ripete che si trova bene coi lacci. Aveva le scarpe di uno sloveno e visto che sembrava convinto, gli dico che ne avrei parlato con il titolare e, se mi avesse autorizzato, avrei provato a fare qualcosa.

Come va a finire?

Chiamo Zecchetto e gli dico: «Guarda, Tadej mi dice questa cosa. Avrei una mezza idea di fare un modello con certi crismi». Lui mi dice che va bene e io mi metto al lavoro su questa scarpa che viene pronta 15 giorni prima del Tour del 2020.

Cosa ne dice Pogacar?

La prova. Dice che si trova bene e che ci correrà il Tour. Io gli dico: «Fermati un attimo, c’è anche un discorso commerciale, non puoi correre con una scarpa che nemmeno esiste. E poi che ne sappiamo se terrà?». Morale della favola, richiamo Zecchetto e lui approva che le usi: Tadej corre e vince il primo Tour, la cosa è partita da lì. Diciamo si sono allineati i pianeti, un po’ con la fortuna e con un po’ di bravura. Lui poi è diventato quello che è ora, ma noi l’abbiamo sempre seguito.

Tour de France 2020, il via da Nizza il 29 agosto. Nella prima tappa, ecco Pogacar con le inedite DMT con i lacci
Tour de France 2020, il via da Nizza il 29 agosto. Nella prima tappa, ecco Pogacar con le inedite DMT con i lacci
Come sono cambiate le sue scarpe?

E’ stata una continua evoluzione. Ne aveva un solo esemplare, poi gliene abbiamo dato un altro. Abbiamo cambiato la tomaia, rimanendo sempre nel contesto dei lacci e cercando sempre di dargli qualcosa di più leggero e più performante. Tadej è tranquillissimo, non è di quelli che ti chiamano sette volte al giorno, non è nella sua indole. Ultimamente è un po’ più attento ai pesi e a dettagli minori, ma se fossero tutti come lui, andremmo molto meglio. Non è non è una persona che ti stressa. Ci confrontiamo su qualcosa, ma troviamo sempre la quadra.

Trovare la quadra significa che, battezzata la forma giusta, non si tocca più?

Non mettiamo mai mano alla sua forma senza coinvolgerlo, quando facciamo delle modifiche gliele facciamo testare. Cerchiamo sempre di non lasciare la strada vecchia, ma di implementare la nostra proposta con l’esperienza fatta per dargli un qualcosa di più performante. Le ultime scarpe che sono state fatte, invece di avere il laccio che passa attraverso le asole, hanno delle canaline 3d con delle carrucole in cui passano i lacci. Siamo stati i primi al mondo.

Qual è il vantaggio?

Si eliminano gli attriti e si tira meglio la scarpa. Inserendo una carrucola fatta ad hoc da un nostro fornitore, quindi molto leggera e molto piccola che non esisteva in commercio, ci siamo ispirati agli scarponi da montagna. Questo consente in modo molto semplice di tirare il cavo, chiudere tutta la scarpa e poi bloccare tutto con un blocca laccio.

Pogacar corre la Strade Bianche e la Sanremo, la Roubaix e il Tour: quante scarpe cambia nella stagione?

Ultimamente fa fatica a cambiarle. I primi anni non c’era problema, potevi dargli la scarpa rosa, quella gialla, quella che volevi e che poteva, perché gli accordi con la squadra prevedono che possa mettere solo il bianco o il nero. Invece dal Tour dell’anno scorso, una volta che ha le sue scarpe, difficilmente le cambia. E’ diventato più attento, un po’ più professionista. Da questo punto di vista, la sella e le scarpe fa fatica a cambiarle.

Quindi la scarpa della Strada Bianche è la stessa di Sanremo, Fiandre e Roubaix?

Sì. E’ cambiato qualcosa quando gli ho fatto la grafica con l’iride, però l’ha messa e poi l’ha cambiata subito, perché c’erano 5-6 grammi in più. Ultimamente è attento proprio a questi aspetti. Per cui al Tour aveva le scarpe con cui correva e tre di scorta, una per ogni borsa del freddo. Quelle però hanno i rotori, perché sono più facili da infilare e chiudere se vanno cambiate durante la corsa.

Una volta, parlando con Viviani, venne fuori il discorso che le scarpe fatte con filo Knit evitano che il piede si surriscaldi d’estate. Tadej ha di questi problemi?

Davvero no. D’inverno, mette il copriscarpe solo se piove, non ha problemi di piedi. Va meglio col freddo che col caldo. Ovviamente la nostra scarpa va meglio l’estate. E’ molto leggera e areata. Il Knit, il materiale con cui la facciamo, è un filo, che rende la scarpa molto traspirante. Tanti dicono che sia estiva, ma io rispondo sempre di no. Tirando fuori l’umidità del piede anche d’inverno, con un copriscarpe ad hoc, tiene il piede ancora più caldo perché lo mantiene asciutto. Se invece il sudore resta dentro, con la classica scarpa in microfibra il piede congela. Che poi spesso la scarpa non c’entra.

Minali (seduto) l’uomo del comparto tecnico, Viel (in piedi) l’addetto alle relazioni, qui al lavoro con la Decathlon Ford di MTB (foto DMT)
Minali (seduto) l’uomo del comparto tecnico, Viel (in piedi) l’addetto alle relazioni, qui al lavoro con la Decathlon Ford di MTB (foto DMT)
Che cosa vuoi dire?

Che va sempre considerata l’irrorazione sanguigna. Tanti non lo sanno, ma chi ha freddo ai piedi molto spesso ha problemi circolatori. Me ne sono accorto per primo, dato che ho sempre avuto problemi di piedi freddi.

Abbiamo visto le foto del tuo collega Mattia Viel al Tour: qual è la vostra funzione alle corse?

Esatto, è andato Mattia. Apro e chiudo una parentesi: Mattia è con me da un anno, siamo le due parti della stessa mela. Lui tiene i contatti con i manager e si occupa di contratti, io seguo la parte tecnica. Fino all’anno scorso facevo tutto da me, però mi sono reso conto che non si può più improvvisare niente. Mattia era già in azienda, ho visto che è un ragazzo capace, brillante, veloce, sempre sul pezzo. Ha corso in bici, è una persona intelligente. Per cui è andato lui a Lille e poi a Parigi. A me farebbe piacere andare, a chi non lo farebbe? Però accetto le direttive aziendali e faccio quello che mi dicono.

In quali occasioni sei più a contatto con gli atleti?

Per il mio lavoro la presenza conta di più a gennaio quando si va in ritiro in Spagna e allora si parla un po’ più di lavoro, ma per il resto non c’è bisogno della presenza alle corse.

A Parigi con Pogacar eccio Mattia Viel (a destra) e Karel Vacek, ultimo arrivo in casa DMT
A Parigi con Pogacar eccio Mattia Viel (a destra) e Karel Vacek, ultimo arrivo in casa DMT

L’occhiolino del campione

Tirato in ballo da Minali, Mattia Viel spiega rapidamente quale sia il suo ruolo alle corse e nei ritiri e perché farsi vedere, anche per ricevere l’occhiolino del campione, sia effettivamente importante.

«La presenza alle corse – dice – serve ad avere più feedback possibili per quanto riguarda il prodotto, ma anche per farci vedere presenti, che è la filosofia DMT. Mantenere le relazioni fa parte del nostro modo di lavorare. E’ il punto di forza di un’azienda a gestione familiare rispetto a un colosso internazionale che su questo ha più difficoltà. La parte umana è importante quanto la ricerca della performance. Nel caso di Pogacar, durante il Tour mi sento più con Alex Carera. Tadej per necessità durante le corse deve essere distaccato da certe dinamiche. La percezione rispetto a qualche anno fa è che adesso sia veramente una star paragonabile a quelle di altri sport. A me basta uno sguardo, una stretta di mano al volo per capire se tutto va bene. Bisogna essere bravi ad aspettare i pochi minuti che ti dà, a interpretare l’occhiolino prima che salga sul pullman e a mettere tutto assieme per fare qualcosa di sensato».

Michael Minali: la famiglia, il ciclismo e il futuro

03.10.2022
4 min
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La famiglia è quella che ci guida alla scoperta del mondo, ci fa conoscere tutto quello che per noi è ignoto. All’interno delle mura domestiche i nostri genitori, o fratelli maggiori, ci trasmettono le loro passioni e i loro valori. Quando il tuo cognome è Minali è chiaro che all’interno della tua famiglia si parli esclusivamente di ciclismo. Per Michael Minali è stato esattamente così (in apertura festeggia la vittoria al GP Ciclistico Sannazzaro de Burgondi, foto Facebook Campana Imballaggi). Figlio di Nicola, professionista tra gli anni ‘90 ed i primi 2000, vincitore di tappe alla Vuelta, al Tour de France ed al Giro d’Italia. Michael ha anche un fratello maggiore: Riccardo, classe 1995 e ritirato a fine 2021, che conta cinque anni nel ciclismo dei grandi.

«La passione, come è logico che sia – dice con un sorriso Michael – è nata vedendo mio papà e mio fratello. Mi hanno fatto provare ad andare in bici e me ne sono subito innamorato, così a 7 anni ho iniziato a fare le prime gare. Quello che mi ha subito affascinato del ciclismo è stato il contatto con l’aria aperta e avere degli amici con i quali condividere questa passione. Poi sono passati gli anni e questo sport ha iniziato a temprarmi ed insegnarmi molto, nel corso degli anni penso di essere diventato più uomo».

Minali Intermarché 2021
La famiglia Minali ha una grande tradizione nel ciclismo: prima il padre Nicola, poi il fratello Riccardo ed infine Michael
Minali Intermarché 2021
La famiglia Minali ha una tradizione nel ciclismo: prima il padre Nicola, poi il fratello Riccardo ed infine Michael
Michael, intanto arrivi da un buon periodo, con tre vittorie all’attivo…

E’ un periodo nel quale la gamba sta girando bene, ho dovuto sistemare qualcosa in preparazione ma ora ne vedo i frutti. Mi spiace solo che a inizio anno non è andata come mi aspettassi, ho avuto un periodo negativo dove non trovavo riscontro del lavoro fatto in allenamento. Quando ho visto che i risultati iniziavano ad arrivare ho seguito l’onda emotiva ed ora mi sento meglio.

Come hanno reagito in casa quando hai detto di voler fare ciclismo?

Mio papà era la persona più contenta del mondo, mi ha sempre chiesto se fossi sicuro di andare avanti, ogni anno me lo chiedeva. La mia risposta non è mai cambiata: voglio provare a diventare uno dei grandi.

Il veneto è passato under 23 nel 2018 con la Colpack, anche il fratello Riccardo ha corso nel team bergamasco (foto Scanferla)
Michael è passato U23 con la Colpack, anche il fratello Riccardo ha corso nel team bergamasco (foto Scanferla)
Hai mai visto tuo padre correre?

Direttamente no, ero troppo piccolo (Michael è nato nel 1999, il padre Nicola ha smesso di correre nel 2002, ndr). Ho tanti ricordi degli episodi che mi raccontava, poi negli anni mi sono incuriosito ed ho iniziato a cercare dei video su internet. Uno di quello che mi ha maggiormente colpito è quello della caduta alla Tirreno: si vede la bici che sbanda da una parte all’altra della carreggiata, mi sono spaventato. 

E con tuo fratello Riccardo che rapporto hai?

Con lui vado molto d’accordo, ci vediamo spesso anche al di fuori della bicicletta. Quando ero piccolo non mi interessava molto quello che faceva, pensavo a divertirmi, sia in bici che fuori. Diventando grande, più o meno da junior, il livello diventa quasi professionale ed in quel momento sia mio padre che mio fratello mi hanno dato tanti consigli. Nella nostra famiglia si è sempre parlato di ciclismo, anche nei momenti di vita quotidiana

Sei al primo anno da elite, che percorso è stato il tuo?

Ho sempre fatto fatica al passaggio di categoria, soprattutto da under 23, il primo anno l’ho proprio sofferto. Ero arrivato in una squadra come la Colpack ed avevo poco spazio per mettermi in luce. A metà del secondo anno, proprio per ritagliarmi più occasioni sono andato alla Work Service con Contessa e quei mesi sono stati decisamente più positivi. 

Michael nel 2021 ha corso alla Iseo Rime Carnovali prima di trasferirsi alla Campana Imballaggi (foto Scanferla)
Michael nel 2021 ha corso alla Iseo Rime Carnovali prima di trasferirsi alla Campana Imballaggi (foto Scanferla)
Poi però sei ritornato alla Colpack.

Volevo provare a tornare in una squadra “grande” tra continental, parlai con Bevilacqua e decisi di riprovarci. La sfortuna che nel mio tentativo di riprovarci si mise di mezzo la pandemia.

Hai cambiato molte squadre, pensi che questa cosa non ti abbia permesso di trovare la giusta continuità?

Alla Iseo Rime Carnovali mi sono trovato bene, soprattutto con lo staff che mi ha accolto a braccia aperte. Sono rimasto da loro solamente per una stagione perché hanno scelto di fare una squadra solamente di giovani e io quest’anno entravo nella categoria elite. Con la Campana Imballaggi, mi sono trovato subito bene, Alessandro Coden mi ha accolto come un figlio. Anche il gruppo squadra è molto unito. 

Ti appresti al tuo secondo anno da elite, pensi di avere ancora qualche chance di passare pro’?

E’ difficile passare da elite perché negli ultimi anni si prendono ragazzi sempre più giovani, alcuni direttamente dalla categoria juniores. E’ un problema per il sistema e di conseguenza lo diventa anche per me, perché ovviamente i posti per noi elite sono sempre meno. Fino a quando ho la forza e la motivazione proverò a ritagliarmi un posto nel professionismo.

Nicola e Riccardo, padre e figlio: due mondi diversi

28.02.2021
4 min
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Nicola e Riccardo Minali, padre e figlio uniti da una come caratteristica: andare tanto veloci. Nicola, attivo dal 1993 al 2002, ottenne in carriera 50 vittorie, svettando in tutti e tre i grandi Giri e portando a casa due edizioni consecutive della Parigi-Tours quando ancora era una delle classiche regine per i velocisti. Era la principale alternativa a Re Leone Cipollini, tanto potente il toscano, quanto scattante e minuto il veronese. Curiosamente, suo figlio, oggi velocista di punta della Intermarché Wanty Gobert, ha un fisico possente ben più di suo padre.

Al Uae Tour 2021, per RIccardo un buon 9° posto nell’ultima tappa
Al Uae Tour 2021, Riccardo 9° nell’ultima tappa

Riccardo: un altro ciclismo

Fare paragoni è difficile perché nel ciclismo il tempo scorre veloce e vent’anni sono l’equivalente di due ere geologiche.

«Ai tempi di mio padre trovavi uno, due treni che guidavano la volata – afferma Riccardo – oggi ne hai 5-6 che cominciano a battagliare a chilometri di distanza dal traguardo, è un altro ciclismo, si va molto più forte».

Al Tour de Langkawi 2018, vittoria in maglia Astana
Al Tour de Langkawi 2018, vittoria in maglia Astana
Quanto ti ha influenzato tuo padre?

Quando correva o si allenava, io lo aspettavo a casa vestito da ciclista. Mia madre (i tre sono insieme nella foto di apertura, @photors.it) mi adattava le divise che lui smetteva. Praticamente sono nato in bici, io come mio fratello Michael, che corre fra gli under 23 ed è anche lui velocista. Tanti ricordi delle sue gare non ne ho o meglio le ho viste poi al computer, ma ricordo ad esempio che quando vinse a Parigi nell’ultima tappa del Tour, io c’ero.

Velocista lui, velocisti voi figli: un caso?

Non saprei, siamo molto diversi. Lui da quel che ho visto era più scattante, aveva lo sprint secco. Io ho bisogno della volata lunga per emergere, poi ad esempio lui se la cavava in salita, io proprio non vado. Ho un’altra stazza.

Nicola: mai avuto treni

«Riccardo rispetto a me è molto più equilibrato – dice la sua papà Nicola – io forse ero più scaltro ma dovevo esserlo, se non avevi il treno dovevi improvvisare ogni volta…».

Al Giro del 1998, Nicola vince a Forte dei Marmi su Strazzer
Al Giro del 1998, Nicola vince a Forte dei Marmi su Strazzer
Forse però avevi anche avversari diversi…

Ai miei tempi contava la fantasia, ora contano i watt… Già ai meno 20 dal traguardo vedi che si va a 70 all’ora, noi ci arrivavamo dopo lo striscione dell’ultimo chilometro. Basta una pinzata di freni e sei fuori dalla lotta. E’ un altro ciclismo, indubbiamente.

Riccardo: folla in volata

Torniamo a te: correndo con tante squadre che preparano la volata, si può ancora lottare da soli, sfidando i treni?

Si può, ma serve tanta fortuna, avere strada libera senza intoppi, per centellinare le energie quando sorpassi e risali verso le prime posizioni. Basta che un “vagone” dei treni, appena finito il suo compito, te lo trovi davanti e la volata è persa. Bisogna poi considerare che ai tempi di mio padre, del suo livello erano 3-4, ora ce ne sono almeno una quindicina che possono vincere, c’è molto più equilibrio.

Nel 2019 un po’ di colore alla Vuelta San Juan
Nel 2019 un po’ di colore alla Vuelta San Juan

Nicola: più cattivo

Fin qui il discorso tecnico, ma la volata è anche questione di spirito, di carattere, di quel pizzico di follia che può fare la differenza.

«Verissimo, io sono uno Scorpione – sentenzia Nicola – Riccardo è sicuramente più buono di me. Io dovevo essere determinato a giocarmi tutto perché sapevo che avevo una sola pallottola a disposizione.

Nel 2013 Riccardo vince da junior il Gp Giordana. Nicola al suo fianco
Nel 2013 Riccardo vince da junior il Gp Giordana. Nicola al suo fianco

A lui dico sempre che ci deve mettere quel pizzico di sana cattiveria agonistica in più. Ora per fortuna ha una squadra che crede in lui, anche se non può certo correre al suo servizio. Deve solo crederci perché verrà il suo momento, ne sono più che sicuro. Ha solo bisogno che finalmente la fortuna guardi dalla sua parte…».