Michele Bartoli

Preparazione: l’importanza di parlare con i ds

16.12.2020
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Preparazione a distanza, Androni Giocattoli e Michele Bartoli. Cosa hanno in comune queste tre cose? Michele Bartoli è uno dei preparatori che segue alcuni corridori dell’Androni Giocattoli.

Bene, risolto l’arcano cerchiamo di capire con il grande ex corridore toscano come gestisce questo compito che, come lui, svolgono tantissimi altri tecnici, tanto più in tempi di covid.

Scambio d’informazioni

«Ogni team oggi ha il suo responsabile di riferimento che si occupa della preparazione degli atleti – spiega Bartoli – Io parlo molto con Giovanni Ellena, uno dei direttori sportivi dell’Androni. Con Giovanni siamo molto vicini e ci sentiamo tutte le settimane. Vuole tenersi informato su come procede il lavoro.

«E’ chiaro che il preparatore segue anche quelle che sono le direttive della squadra in base al programma che hanno per i singoli corridori e non sempre questo coincide con il miglior cammino ipotetico. Quindi con alcuni corridori devo anticipare e con altri devo ritardare il top della forma, in vista di questo o quell’appuntamento».

Oscar Restrepo
Oscar Restrepo sulle strade del Giro d’Italia
Oscar Restrepo
Oscar Restrepo sulle strade del Giro d’Italia

Tre sudamericani 

Nel gruppetto di atleti dell’Androni che segue Bartoli ci sono anche tre sudamericani: i colombiani Oscar Restrepo e Santiago Umba e l’ecuadoriano Jefferson Cepeda. La preparazione non è sempre facile…

«Restrepo lo seguo dallo scorso anno. E’ un corridore di livello. Come altri colombiani alcuni sono già a pronti e con altri si parte da zero (o quasi). E forse proprio per questo sono tra i più forti al mondo: da giovani non hanno stress. Crescono solo a sensazioni, il che è buono per conoscersi e imparare a gestirsi. Anche perché gli stress da bambini o poco più poi si pagano. Ci sono dei nostri giovani che già hanno un bagaglio d’informazioni talmente ampio che finiscono col perdersi.

«Anche per questo io ho voluto la Michele Bartoli Academy, la mia squadra di ciclocross, perché quello è il modo più naturale per imparare a guidare, ad adattarsi, a stare in soglia… La mia idea è di portare, nel tempo, queste attitudini su strada. Ma con il tempo, ripeto, altrimenti finisco per essere uno di coloro che io stesso critico.

«A parte questa divagazione, Restrepo ha una buona base di partenza. Può essere tra i più forti. Io gli ho detto: ma dove sei stato fino adesso con i valori che hai? Il giorno in cui ha vinto Sagan al Giro, lui non era al top e pure è rimasto con i migliori fino alla fine. Bisogna fargli credere quello che vale. 

«Cepeda anche è bravo, ma rispetto a Restrepo è più acerbo. E Umba è “acerbissimo”! Lui ancora non l’ho conosciuto. Gli ho chiesto se avesse fatto dei test e mi ha detto di no. Mi ha detto però che conosceva i suoi battiti quando era a tutta, così mi ha mandato uno screenshot del computerino e sulla base di questo – quasi sorride Michele – ho stilato per lui una sorta di programma sulle intensità. Ma è un qualcosa di molto empirico. A breve quando riceverà il materiale nuovo ci lavoreremo su».

Alessandro Bisolti
Alessandro Bisolti lavora con Bartoli da due stagioni
Alessandro Bisolti
Alessandro Bisolti lavora con Bartoli da due stagioni

E gli italiani?

«Luca Chirico e Alessandro Bisolti, sono due buoni corridori. Hanno buone capacità, ma con loro il lavoro è più metodologico, più mentale che fisico. Bisolti ha un passato non facile, non è mai riuscito a fare un anno pieno, ha un potenziale che deve tirare fuori al massimo ancora. Chirico deve insistere sui suoi punti certi. Non sono campioni, ma in questo ciclismo ci possono stare.

«Sono io che spesso chiedo ai direttori sportivi. Loro sono i miei occhi sul corridore, tanto più in questi allenamenti a distanza e soprattutto quando sono alle gare. Se poi trovi un ds come Ellena che sa comunicare e conosce la materia, il mio compito diventa più produttivo. Con lui parliamo dei ragazzi, di quello di cui ha bisogno la squadra. E in base a questo correggiamo il tiro. Sono io che spesso faccio domande. Se per esempio analizzo dei dati e vedo che quel corridore in quel momento sta soffrendo più del dovuto chiedo a Giovanni: come lo hai visto? Perché? Com’era il colpo di pedale? Il suo parere va a compensare i numeri».

Jai Hindley, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020

Jai e i suoi… fratellini terribili

29.10.2020
3 min
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Jai Hindley, 24 anni. Joao Almeida 22 anni. Tao Geoghegan Hart, 25 anni. Tadej Pogacar, 22 anni. Remco Evenepoel, 20 anni. Egan Bernal, 23 anni. Questi i nomi più in vista: sono i ragazzini che a vario titolo hanno monopolizzato il ciclismo mondiale negli ultimi due anni e che al Giro d’Italia e prima al Tour de France hanno scavato un solco rispetto alla vecchia guardia. Intendiamoci, la vecchia guardia non era al top, ma certo vedere la disinvoltura e la maturità con cui i giovani hanno gestito le situazioni più spinose ha sollevato il più banale degli interrogativi: dove sono i nostri?

Le teorie sono molteplici. Le società juniores hanno bisogno di essere ascoltate. E probabilmente il lavoro che oggi dovrebbe impostare la Federazione è proprio quello di raccoglierne le istanze per venire a capo della situazione. Noi un parere lo abbiamo chiesto a Michele Bartoli, che con i giovani spesso lavora.

E’ possibile che i talenti nascano soltanto all’estero?

Non credo che dipenda dalle mamme italiane, no. Invece dipende dal lavoro di base, che forse qui non viene fatto bene. Anche perché non sempre si parla di Paesi con più praticanti. A parte Hindley e l’Australia, intendo. Non so dire come lavorino nel dettaglio, ma dai contatti che ho è evidente che non si cerchi il risultato come da noi. Qua ogni categoria è un punto di arrivo, non c’è una visione d’insieme.

Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020
Tadej Pogacar, l’ultima crono del Tour senza strumenti… a bordo
Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020
Pogacar, l’ultima crono senza strumenti
Spiega meglio.

Un atleta ha il suo patrimonio fisico e psicologico. Se ogni anno lo spremi perché vinca e perché dimostri qualcosa, è come se in un bicchiere di vino cominciassi a mettere acqua. Alla fine, avrai più acqua che vino. Lo annacqui.

Corrono troppo?

Non è l’attività che fa male. Perché la fatica ti rovini, dovresti fare tre Giri d’Italia consecutivi. Il fisico se è stanco va in autoprotezione e recupera. Quella che fa male è l’iperattività mentale, che fa cambiare la percezione della fatica. Se cominci a vivere sotto stress a 16 anni, il cervello perde la percezione della fatica e di conseguenza perdi anche la capacità di fare la prestazione. E questo spiega anche un altro punto.

Quale?

Che questi fenomeni, tutti o quasi, sono arrivati al ciclismo tardi o da altri sport. Senza la trafila giovanile che logora. E’ lo stress che ti consuma. Almeida è arrivato al Giro senza pressione, Jai Hindley ci si è trovato, Geoghegan Hart lo stesso. Sono stati tranquilli e al momento giusto hanno lottato alla morte. La maglia non si regala, al momento giusto si combatte. Ma se fossero arrivati al Giro con l’obiettivo di vincere, non sarebbe andata allo stesso modo. Ha ragione Gilbert.

Su cosa?

Sul fatto che i giovani vanno forte perché imparano meglio e prima. Alcuni strumenti come il misuratore di potenza riducono i tempi, permettono di imparare prima. Da bambini le addizioni le fai con le dita, il misuratore è la penna con cui annotare il risultato.

Non è la calcolatrice con cui disimpari a far di conto?

Quella sarebbe semmai la bici elettrica, che toglie la fatica. Ma se impari a conoscerti a 16-17 anni, quando sei grande il misuratore non ti serve neanche più. Infatti Pogacar nell’ultima crono del Tour non aveva strumenti.

Quindi per te i nostri sono già logori mentalmente quando arrivano tra i pro’?

Io temo di sì, la testa guida tutto. Se ogni categoria è un punto di arrivo, l’eccesso di attività inizia a logorare già da bambini. Nel calcio dei bimbi ormai neanche guardano più il risultato, perché va bene che lo sport prevede il risultato e che per quello si lotti, ma da giovani lo si deve vivere con cautela.

Quindi escludi la teoria, di cui si parlava al Giro, per cui questi giovani dureranno meno?

E perché dovrebbero? Durano meno se perdono la testa, ma se continuano a stare con i piedi per terra e a lavorare nel modo giusto, vanno avanti finché vogliono.

Michele Bartoli, Liegi Bastogne Liegi 1997

Bartoli crea la sua Academy di cross

27.09.2020
2 min
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Fausto Scotti l’ha detta giusta: Michele Bartoli, quello delle due Liegi e del Fiandre, sta per debuttare nel ciclocross con una sua scuola di ciclismo. Si chiamerà Michele Bartoli Academy.

Il pisano avrà accanto suo fratello Mauro e non è per caso che l’idea sia nata pochi mesi dopo la morte di papà Graziano. Fu lui a metterli entrambi in bici e fu lui ad accompagnarli sui campi di gara del cross. Michele centrò un secondo e un terzo ai campionati italiani, Mauro conquistò il tricolore allievi.

Bambino, ciclocross, figlio Mauro Bartoli
La Michele Bartoli Academy partirà da 12 bambini che correranno nel ciclocross
Bambino, ciclocross, figlio Mauro Bartoli
La Michele Bartoli Academy partirà da 12 bambini che correranno nel ciclocross
Non è per caso che accada quest’anno.

Non è affatto per caso. Il babbo è quello che ha dato il via a tutto questo. Pensate che mio fratello tiene da parte la giacca a vento e il cappellino che mio padre indossava quando lui vinse il tricolore allievi. E dice che lo tirerà fuori quando toccherà a suo figlio.

Di cosa si tratta, dunque?

Un progetto che mi piacerebbe portare avanti con tutti i criteri giusti. Ho coinvolto Giovanni Stefania, un laureato in Scienze Motorie, molto bravo, che lavora nel nostro Centro a Lunata. Metteremo insieme un po’ di ragazzini che tengono al cross, ora che i crossisti sono di moda. Poi vorremmo creare una filiera di talenti che corrano anche su strada.

Lo farai da solo?

Come appoggio economico? No, ci sono dei marchi storici del ciclismo giovanile in Toscana. C’è System Data che ci è stata accanto sin dalle prime edizioni della Gran Fondo. E c’è Donati Porte, che sponsorizzava il ciclismo quando io correvo nelle giovanili.

Di questa cosa ci ha parlato Fausto Scotti, il cittì della nazionale…

Ha fatto bene e quando la stagione inizierà, andremo a fargli un sacco di domande. La sua esperienza ci servirà molto.

A cosa ti è servito aver fatto ciclocross?

A vincere il Fiandre, ad esempio. Ho spesso detto che quello scatto sul Grammont, con le mani sotto e il peso centrato, lo devo al cross. Certe cose sul pavé le impari da piccolo. Lo stradista ne ha solo vantaggi, purché non esageri…

Chi esagera?

Van der Poel deve scegliere. Tre specialità sono troppe. La mountain bike è di troppo. Invece Van Aert lo fa nel modo giusto e si vede dai risultati. Il corpo umano non è inesauribile, le forze sono contate.

Di quanti ragazzini parliamo?

Sono 12, ma abbiamo ricevuto richieste per molti di più. I ragazzi bisogna seguirli bene, poi magari l’anno prossimo se ne fanno di più.

Con quali bici correranno?

Saranno marcate Michele Bartoli Academy. Le fa una azienda dalle mie parti che si chiama Atacama.