Secondo Grande Giro? Per Bartoli conta più la testa che i numeri

18.08.2025
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Si avvicina la Vuelta e sempre più corridori di conseguenza si apprestano ad affrontare il secondo Grande Giro stagionale. Per la maggior parte si tratta di Giro d’Italia e Vuelta, ma per alcuni anche di Tour de France e Vuelta. C’è chi si è mostrato già in buona condizione, come Giulio Pellizzari, e chi invece sta cercando di recuperare al meglio, come Jonas Vingegaard.

Recuperare, stare al meglio: quali sono i parametri fisici che variano tra il primo e il secondo Grande Giro? Che differenze ci sono tra chi ha corso prima in Italia e poi in Spagna e chi in Francia e poi in Spagna? Ne abbiamo parlato con il coach Michele Bartoli.

Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Quali parametri, variano tra i due Grandi Giri, Michele? E cosa guarda il preparatore?

In primis contano le qualità dell’atleta. Puoi essere un bravo allenatore, ma se il corridore non è capace di recuperare e di riallenarsi, nel mese che passa fra un Grande Giro e l’altro, il castello crolla. Se invece hai un atleta reattivo, che in una settimana-dieci giorni recupera fisicamente, allora può ripartire subito con i lavori aerobici, magari un po’ di interval training VO2 Max appena prima del secondo Grande Giro, per riattivare tutti gli aspetti metabolici.

E se invece all’atleta servono più di 10 giorni di recupero?

In quel caso i tempi di ripresa sono più stretti e tutto diventa più difficile. Questo vale soprattutto se parliamo di Tour e Vuelta. Invece se parliamo di Giro e Vuelta, alla fine la preparazione rimane simile a quella del Giro. Dopo il Giro d’Italia c’è più tempo per scaricare e riprendere: la differenza non è fisica, semmai mentale, perché affrontare due Giri nello stesso anno pesa soprattutto sulla testa.

Dal punto di vista fisico, cosa può cambiare nel secondo Grande Giro? Magari si arriva un filo più magri? O al contrario svuotati dal caldo?

No, oggi più che mai i valori sono quelli. Semmai parliamo di differenze minime in più o in meno. Ho atleti che fanno Giro e Vuelta e si presentano allo stesso livello di peso e condizione. Nel secondo Grande Giro subentra soprattutto il fattore mentale, la capacità di sopportare la fatica. Perché è sempre il secondo Grande Giro in un anno, e questo pesa.

Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
E a livello strettamente fisiologico?

Oggi praticamente nulla. Lavoro molto a stretto contatto con il nutrizionista e da quel punto di vista gli equilibri cambiano poco. Una volta sì, perché non c’erano tutte queste informazioni, metodi di misurazione, software. Oggi invece si gioca a carte scoperte, con tanti strumenti che permettono di monitorare bene l’atleta. Certo, ci vuole la bravura di allenatore e nutrizionista, non è semplice, ma se conosci bene i tuoi corridori, due Grandi Giri a grande distanza non sono un problema.

Quindi il problema principale è tra Tour e Vuelta?

Esatto. In quel caso le tempistiche sono molto ridotte e il margine di errore è minimo: un imprevisto si paga. Per questo chi esce male dal primo, se ha in programma il secondo, spesso conviene che tiri una riga e si concentri direttamente sulla seconda corsa. Finire un Grande Giro non sempre è utile, se il rendimento è compromesso: meglio fermarsi prima, se si può, e ripartire.

C’è differenza tra un atleta giovane e uno esperto nel fare il secondo Grande Giro?

Preferisco l’esperto, perché sa dare feedback migliori e riduce il rischio di errori. Ma oggi, con il supporto dei dati, anche un giovane può gestirsi bene. L’importante è che sia motivato. Se invece manca la voglia di fare sacrifici, la testa diventa un problema serio.

Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
E per chi non fa alcun Grande Giro?

Per un giovane il danno è maggiore, perché un Grande Giro aiuta a raggiungere un equilibrio atletico solido. Non farlo è un’occasione persa di crescita. Diverso per un atleta esperto come Damiano Caruso, che ha già un fisico assodato: un anno senza Grande Giro non gli cambia molto, anzi può guadagnare freschezza. Per il giovane invece pesa di più, anche se comunque si lavora tanto in allenamento e non è un disastro.

Dopo una Vuelta, la preparazione invernale riparte da una base migliore?

Sì, sicuramente la base di partenza è più alta e più solida. Su questo sono d’accordo: è un vantaggio.

E’ più difficile preparare Giro e Tour o Tour e Vuelta?

Credo sia più difficile Giro e Tour, perché il Tour è il più duro e viene come secondo Grande Giro. La Vuelta, pur essendo esigente, ha tappe più regolari, meno stress e strade più ampie.

Nasce la MB Academy: con Bartoli dai giovanissimi agli juniores

11.06.2025
6 min
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Dopo essere stato corridore e campione, Michele Bartoli ha intrapreso con identico successo la carriera del preparatore. I suoi corridori ottengono grandi risultati, ma già da qualche tempo il toscano si è accorto che le cose stanno cambiando e non necessariamente in meglio. Il rapporto con gli atleti è filtrato da procedure che rendono tutto complicato e così alla fine, complice il suo amore per il ciclismo, Michele ha deciso di ricominciare da capo. Intendiamoci, il lavoro di preparatore rimane, ma parallelamente dal 2026 nascerà una academy col suo nome: MB Academy. Michele Bartoli Academy. Partiranno dai giovanissimi e li porteranno fino agli juniores, la prima categoria internazionale, e si valuterà poi se salire un altro scalino.

«Avevamo fatto una specie di prova con il ciclocross – spiega – ed era carino, vedevi i bimbi soddisfatti. Abbiamo chiuso perché facendo solo cross, era un problema prendere ragazzini che volessero fare anche strada e insieme le altre squadre facevano fatica a mandarci i loro atleti. Ma voglio provare ancora. Un lavoro ce l’ho ed è quello del preparatore, però bisogna fare anche qualcosa che ti dia soddisfazione, un po’ di trasporto. Mi piace quello che faccio, quando vince un mio corridore è come se vincessi io. Però l’academy è tutta un’altra cosa, è difficile spiegarlo. Come si dice in Toscana: mi garba. E allora se vediamo se riusciamo a far vivere qualche bella esperienza a dei piccoli ciclisti, dato che abbiamo un budget interessante che ci copre già per i primi anni…».

Michele Bartoli
Michele Bartoli, classe 1970, è stato pro’ dal 1993 al 2004, vincendo classiche Monumento e Coppe del mondo
Michele Bartoli
Michele Bartoli, classe 1970, è stato pro’ dal 1993 al 2004, vincendo classiche Monumento e Coppe del mondo
Qual è l’obiettivo?

Mi piace insegnare e lavorare bene. Non fare le cose esasperate, chiaramente. Partire con i giovanissimi e arrivare fino agli juniores nel giro di due o tre anni e poi magari riflettere se sia o meno il caso di andare oltre. Abbiamo coinvolto le aziende giuste per fare eventualmente qualcosa di più grande dopo. Per noi è una partenza, ma anche per queste aziende è lo stesso.

Da cosa nasce quest’idea?

Dalla voglia di fare le cose come si dovrebbero. Dobbiamo insegnare alle famiglie il modo giusto per far diventare i loro figli degli atleti. Ai professionisti insegniamo a vincere, ma è chiaro che ogni età ha il suo insegnamento e da giovanissimi si deve puntare all’aspetto ludico. Quando sei esordiente, inserisci qualcosa di specifico. Quando sei allievo aggiungi altro e ancora di più negli juniores, che è la prima categoria internazionale. I genitori che fanno un passo del genere devono avere fiducia in noi. Perché noi cerchiamo di dargli la garanzia che se il ragazzino per un qualsiasi motivo non va bene, l’anno dopo è comunque con noi e lo portiamo alla categoria successiva. Se non trova la squadra, ce l’abbiamo noi la squadra.

Pensi ci sia già la paura di rimanere a piedi nelle categorie giovanili?

Mio fratello frequenta l’ambiente e mi dice che ci sono tanti ragazzini nei giovanissimi e negli esordienti che hanno paura di non trovare squadra l’anno successivo. E’ quello che noi vorremmo evitare, in modo da lavorare nel modo giusto. Poi ovviamente c’è il ragazzino più interessante e quello meno, però comunque lavori sempre con lo stesso sistema.

La Michele Bartoli Academy del cross è stata per un anno il progetto pilota della realtà che debutterà dal 2026
La Michele Bartoli Academy del cross è stata per un anno il progetto pilota della realtà che debutterà dal 2026
Perché non partire subito con una squadra di juniores?

Una delle aziende che ci sostiene me lo ha chiesto: perché non facciamo subito una categoria internazionale? A loro interesserebbe, lo hanno detto chiaramente, ma vogliamo portare negli juniores i ragazzini che abbiamo cresciuto. Un po’ come nelle giovanili di una squadra di calcio. Lì fanno la prima scrematura a sei anni, noi magari stiamo più alti, però l’idea è di prendere i bambini per farli crescere e inserirli ogni volta nella categoria successiva. Ovviamente non potremo avere 30 ragazzi per fascia di età, ci daremo un numero limite per poterli seguire bene. E non vogliamo necessariamente andare a prendere il più forte, altrimenti si torna alla filosofia di fare le cose esasperate che vorremmo evitare. Non è per nulla difficile far vincere i ragazzini…

Come si fa?

Li alleni tre volte tanto e vedi come vanno, ma poi? Non vogliamo fare dei salti senza che ci siano dietro una filosofia e anche un’etica. Voglio portare agli allievi quelli che abbiamo avuto nei settori giovanili. Potrà capitare l’eccezione di una famiglia che ha già un figlio che corre e vuole sposare la nostra causa. Potremmo anche prenderlo, ma vogliamo anche dare linearità al progetto. Partire dai giovanissimi e insieme gli esordienti, poi gli allievi e da ultimo gli juniores.

Che cosa metterete a disposizione di questi ragazzi?

Più assistenza possibile, anche in termini di sicurezza. Ora siamo anche in contatto con il Comune di Vicopisano che ci sta aiutando in un modo incredibile. Hanno individuato delle strade già un po’ predisposte, dove c’è poco traffico, che chiuderanno per 3-4 volte a settimana, per un’ora e mezza ogni volta, in modo da far allenare i giovanissimi. Siamo già stati a vedere e ci hanno chiesto di mandargli le foto delle eventuali buche perché manderanno ad asfaltare. E’ un aiuto importante, che garantisce alle famiglie la possibilità di allenarsi in un circuito chiuso e ben asfaltato, tutto è una bella cosa.

Mauro Bartoli, a sinistra è il fratello di Michele. Al centro suo figlio Danilo, corridore in erba e di buona sostanza
Mauro Bartoli, a sinistra è il fratello di Michele. Al centro suo figlio Danilo, corridore in erba e di buona sostanza
Parli al plurale, chi c’è dietro la tua academy?

Mia moglie, mio fratello e un amico che era mio tifoso e ha avuto esperienza in Federazione. Per ora siamo quattro persone, però abbiamo già individuato due direttori sportivi stimati dall’ambiente e abbiamo già preso il personale che accompagnerà i bambini. Ogni volta che sono con noi devono avere la miglior assistenza possibile. I due direttori sportivi sono un ragazzo di 18 anni e vi dico che non è facile trovarne uno così giovane e con tanta passione da venire la domenica alle gare anziché andare con gli amici. E poi un altro che ha meno di 40 anni. Correva in bici anche lui e ora corre suo figlio, ma è già più grande. Il progetto è piaciuto a entrambi e hanno accettato, anche perché sarà per entrambi l’occasione per crescere.

Con quali bici correrete?

Trovare chi faccia le bici da bambino è stata la cosa più complicata. I mezzi li abbiamo comprati, ma le bici? Ho sentito con Pinarello. Ho cercato anche da Decathlon, ma alla fine abbiamo scelto di lavorare con Vicini, in Romagna. Ho recuperato il numero, abbiamo parlato e mi hanno detto di sì.

Quale sarà il tuo ruolo?

Ci saranno dei momenti in cui parleremo, altri in cui pedaleremo insieme. Darò anche qualche consiglio per gli allenamenti e all’inizio faremo tante gimkane per abituarli alla guida. A quell’età non c’è solo l’allenamento vero e proprio, che è limitato fra 3 e 10 chilometri. Vogliamo insegnargli ad andare bene in bici, ad avere padronanza del mezzo. Sfrutteranno quelle strade chiuse, facendo tutto in sicurezza. Se poi su quello stesso percorso vorranno venire a girare anche altre squadre, nessun divieto: non ci sono le sbarre. Il ciclismo è di tutti!

Il riposo prima della crono: la ricetta di Bartoli per Tiberi

19.05.2025
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Ce ne aveva parlato Damiano Caruso qualche settimana fa dell’importanza del giorno di riposo all’alba della crono di Pisa. «Avere una prova contro il tempo dopo una giornata di riposo non è semplice – ci aveva detto il siciliano – gli uomini di classifica dovranno gestire al meglio la pausa per non arrivare con le gambe imballate e perdere tempo».

Il Giro d’Italia è lungo e pieno di insidie e spesso queste si nascondono nei momenti più inaspettati. Avere una giornata di stacco può essere utile per la mente, ma un tranello per le gambe. Incuriositi dalla gestione di questo momento particolare, siamo andati direttamente da Michele Bartoli. Il toscano, che a Lucca è di casa, è il preparatore di Tiberi e Caruso, tra gli altri. I due italiani della Bahrain Victorious al momento sono entrambi in classifica e proprio la crono di domani farà da spartiacque. Dopo la tappa di Siena (foto di apertura), il ciociaro al momento si trova in terza posizione a 17″ da Ayuso e 1’30” da Del Toro.

Nell’unico arrivo in salita Tiberi si è fatto trovare pronto, ma il Giro deve ancora prendere forma
Nell’unico arrivo in salita Tiberi si è fatto trovare pronto, ma il Giro deve ancora prendere forma
Entriamo subito nel dettaglio, come si gestisce la giornata di oggi per Tiberi?

Il riposo completo è sempre sconsigliato. Meglio fare un’uscita in bici e restare attivi. Se ci si ferma dopo dieci tappe il rischio è di fare come quando una macchina sbatte contro un guardrail, ovvero che si distrugga tutto. In questo caso parliamo del lavoro fatto.

Spiegaci meglio…

Il fisico degli atleti durante il Giro è abituato a certi ritmi e determinati sforzi. Fermarsi completamente vorrebbe dire arrestare un processo e cambiare di colpo il metabolismo. Di base non contemplo l’idea di non fare nulla, il mio concetto di “riposo attivo” vuol dire comunque prendere la bici.

Nel giorno degli sterrati Tiberi ha guadagnato 7″ su Ayuso e 1′ e 22″ su Roglic, un bottino importante in vista della cronometro di domani
Nel giorno degli sterrati Tiberi ha guadagnato 7″ su Ayuso e 1′ e 22″ su Roglic, un bottino importante in vista della cronometro di domani
Cosa si deve fare?

A mio avviso c’è da inserire una buona pedalata con qualche lavoro, come la produzione di lattato e altre piccole cose. Con Antonio (Tiberi, ndr) parliamo di pedalare un paio d’ore, anche due ore e mezza, e nell’uscita inseriamo qualche attivazione in salita.

Il rischio è di non avere una prestazione all’altezza?

Se un corridore potenzialmente ha nelle gambe una cronometro da 400 watt medi e la conclude a 380 watt è un problema. Per come la vedo io questa è anche la prima crono vera del Giro, quella di Tirana era atipica ed è emerso chi ha avuto voglia di rischiare un po’ di più.

La crono di Tirana ha lasciato poco spazio al motore degli specialisti
La crono di Tirana ha lasciato poco spazio al motore degli specialisti
Quindi il giorno di riposo diventa un’altra tappa?

In un certo senso sì. Non per gli sforzi in bici ma per la routine: colazione, bici, massaggi e certamente una parte di recupero. Il Giro fino a ora non è stato estremamente impegnativo, quindi oggi Tiberi farà la sua classica uscita di attivazione con un po’ di lavoro in Z3. Starà in bici tra le due ore e le due ore e trenta.

Che idea ti sei fatto per questa cronometro, pensi sia adatta a Tiberi?

E’ un percorso molto dritto, quindi la sua buona aerodinamicità può sicuramente essere sfruttata al meglio. Poi c’è una salita praticamente impercettibile, all’uno o 2 per cento. Lì ci sarà da spingere e Tiberi è molto bravo anche sotto quell’aspetto. La discesa è breve, brevissima, con quattro curve da fare in velocità. Concede un breve respiro e poi ci si rimette sul rettilineo e si spinge ancora. E’ sicuramente una cronometro da specialisti che può scavare dei grandi distacchi, per questo è importante arrivare pronti.

Ritiro al Tour of the Alps. Il piano B di Tiberi e Bartoli

25.04.2025
3 min
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Il secondo giorno al Tour of the Alps, a margine della vittoria di Storer si è registrato il ritiro di Antonio Tiberi per problemi allo stomaco. La squadra sta ancora aspettando l’esito delle analisi, tuttavia il dato da tenere sotto osservazione è che il corridore italiano, che da mesi è in rotta sul Giro, ha perso una settimana di importante lavoro di rifinitura. In che modo questo influirà sulla sua prestazione nella corsa di casa?

Lo abbiamo chiesto al suo preparatore Michele Bartoli, che lo ha seguito per il lavoro in altura delle settimane scorse, apprezzando anche l’ottima condizione di Damiano Caruso, che al Giro ne sarà nuovamente l’angelo custode.

Caruso e Tiberi, coppia forte della Bahrain Victorious verso il Giro. Il siciliano al momento è 6° in classifica
Caruso e Tiberi, coppia forte della Bahrain Victorious verso il Giro. Il siciliano al momento è 6° in classifica
Il 2025 di Tiberi è vissuto su Algarve, Tirreno-Adriatico e la prima tappa al Tour of the Alps. In che modo questo può influire sul rendimento al Giro?

Chiaro che per la prima settimana, un minimo di importanza ce l’ha. Mentre per il Giro in generale, la situazione non mi preoccupa. Certo, Antonio ha corso poco, quindi magari una cosa in meno potrebbe incidere. Eravamo andati a fare il Tour of the Alps perché sapevamo che ci avrebbe fatto bene. Vedremo nei prossimi giorni quello che sarà in grado di fare e come lavorerà.

Fino al momento del ritiro, come stavano andando le cose?

Bene, bene. E’ stato in altura con Damiano, che sta andando forte: era da tempo che non si vedeva un Caruso così.

Al Giro ci si può permettere di crescere con i giorni o servirà essere subito pronti?

La cronometro il secondo giorno rende necessario arrivarci bene, ma è un Giro impegnativo sino alla fine. Per cui potrebbe mancare il lavoro della corsa saltata, ma aspettiamo di vedere se va tutto bene e poi gli faremo fare un mezzo Tour of the Alps a casa. Faremo simulazione di gara, ma prima bisogna che stia bene. Oggi (ieri, ndr) è stato ancora fermo in attesa degli esami. Domani (oggi, ndr) spero possa ripartire a pedalare, magari inizialmente con un girettino. Non puoi chiamarlo allenamento, ma nel giro di un paio di giorni avremo i risultati delle analisi e a quel punto potremo iniziare a fare sul serio.

Prima del Tour of the Alps, Tiberi aveva corso la Tirreno, finendo terzo dietro Ayuso e Ganna
Prima del Tour of the Alps, Tiberi aveva corso la Tirreno, finendo terzo dietro Ayuso e Ganna
Su cosa ha lavorato in altura?

E’ stata una preparazione mirata a un Grande Giro. Quindi tanto dislivello e tanto lavoro aerobico. Poi è chiaro, la percentuale dei lavori cambia un po’. Prima magari per le gare di un giorno, si fa un po’ più di lavoro anaerobico. Per i Grandi Giri è diverso, ma Antonio ha lavorato con i giusti criteri ed è riuscito a farlo.

Trovi differenze fra il Tiberi di oggi e quello dello scorso Giro?

E’ cresciuto fisicamente e anche come consapevolezza. Parte da un livello di sicurezza diverso e già quello ti aiuta tanto anche a migliorare la prestazione. Perciò aspettiamo l’esito delle analisi e poi vedremo il modo migliore per riprendere il terreno perduto.

Cauberg, Muro d’Huy e Redoute, Bartoli spiega (e racconta)

20.04.2025
9 min
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Archiviate le corse di pavé e muri, si passa a quelle delle cotes. La Freccia del Brabante ha fatto da ponte, ma da oggi in poi con l’Amstel Gold Race si entra nel regno delle Ardenne. Salite un po’ più lunghe, ma comunque esplosive, di quelle in cui lo spettacolo viene quasi da sé… e in questa era di fenomeni non ne parliamo! Invece delle cotes e di queste strade ardennesi, ne parliamo eccome. E lo facciamo con un campione che lassù non si è solo fatto valere, ma più di qualche volta è stato dominatore: Michele Bartoli.

Con il toscano si parla delle salite simbolo delle tre classiche che mancano per chiudere la campagna del Nord: il Cauberg dell’Amstel, il Muro d’Huy della Freccia Vallone e la Redoute della Liegi-Bastogne-Liegi.

L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi
L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi

Il Cauberg

Il Cauberg è la rampa di lancio quasi sempre decisiva dell’Amstel Gold Race e simbolo, forse, di un’intera terra: Valkenburg. Qui si sono scritte anche pagine iridate e sempre qui andò in scena il famoso “ammutinamento” di Bartali e Coppi che, al mondiale del 1948, per controllarsi a vicenda arrivarono staccatissimi nelle retrovie. I due rimediarono una sonora squalifica da parte dell’allora UVI, antesignana della FCI. Ma torniamo ai nostri tempi e cediamo la parola a Bartoli.

Michele, partiamo dal Cauberg…

In effetti è un simbolo di una zona e non solo di una corsa, come per noi toscani il Monte Serra!

Puoi descriverci la salita?

E’ una salita con buone pendenze ed esplosiva. In realtà non possiamo neanche chiamarla salita, perché le salite vere sono quelle dove serve essere scalatori. No, qui parliamo di un’altra tipologia: strappi, cotes, chiamateli come volete, dove bisogna essere atleti veloci, esplosivi e anche potenti. E’ una salita particolare, più vicina al Fiandre. Per fare un esempio: è più adatta a Van der Poel che a Vingegaard. Non ho detto Pogacar perché per lui vanno bene tutte!

La strada com’è?

E’ molto ampia e la pendenza è abbastanza regolare: nel tratto duro sta attorno al 12 per cento. In tutto dura poco più di un chilometro e poi inizia un lungo falsopiano dove si troverà l’arrivo dell’Amstel. E’ selettiva, perché fatta nel finale riesce a fare la differenza. Tutti tengono duro nel primo tratto per non rimanere staccati, però poi, se inizia a mancarti la gamba, la velocità nel punto dove spiana può essere molto differente tra chi ne ha e chi no.

E a livello di ambiente?

E’ la salita dove c’è più presenza di tifosi all’Amstel: tantissimi. C’è un gran tifo quando si passa dentro Valkenburg e si inizia a salire.

Quando l’hai fatta tu, con che rapporti si affrontava?

Se programmavi un attacco, potevi farla anche con il 53 da sotto: all’epoca 53×19 o 21. Dietro si iniziava già a usare il 23, anche il 25. Adesso con il 54 e le scale posteriori che arrivano al 34 non hai problemi. In una corsa come l’Amstel, il 54 se vuoi non lo togli mai.

Qual è il tuo ricordo del Cauberg?

Che l’aspettavo… molte volte con ansia! Era l’ultimo trampolino di lancio per fare una selezione definitiva. Quindi lo vivevi con uno stato d’animo di attesa vera.

C’era un punto preciso dove attaccare o si seguiva l’andamento della corsa?

Vedevi un po’ gli avversari, come si muovevano. Magari se notavi qualcuno in difficoltà potevi decidere di anticipare. Altrimenti, se c’erano squadre che tiravano, aspettavi il finale. Sono salite brevi in cui devi decidere al momento, in base al comportamento del gruppo, a meno che non si prepari un attacco con tutta la squadra. Ai miei tempi, invece, se avevi un compagno nel primo gruppetto era già un lusso. Cercavi di usarlo in modo diverso, non per una tirata di 200 metri. Invece oggi, se prepari un attacco, puoi farlo in grande stile anche sul Cauberg.

L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza
L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza

Il Muro d’Huy

Passiamo al Muro d’Huy. Una vera icona. Nella Freccia Vallone si affronta per tre volte e ognuna è una bolgia, uno stadio a cielo aperto. Introdotto nel 1982 (quando vinse Mario Beccia), è diventato il punto d’arrivo della corsa dal 1985. Da allora, gli italiani hanno vinto 11 volte. Bartoli alzò le mani nel 1999.

Michele, eccoci dunque al Muro d’Huy. Ulissi ci ha detto che quando si sale si vive il pubblico, ne puoi sentire l’odore…

In generale devo dire che la Freccia Vallone mi è sempre piaciuta tantissimo. L’ho sempre cercata, in tutti i modi. Sì, Ulissi ha fatto una descrizione giusta. Il Muro d’Huy ti dà sempre i brividi, dalla prima all’ultima volta. E rispetto ad altre salite simbolo, penso al Grammont o al Poggio, è l’unica con l’arrivo in cima.

Come prima: descrivici la salita. Si pensa sempre alla “S” dura, ma anche prima non regala niente…

Inizia a salire sin dall’abitato di Huy e già dal chilometro finale, quando si svolta a destra e si entra nel muro vero e proprio, capisci come andrà a finire. Se senti che la gamba non risponde, è bene cambiare tattica e giocare in difesa.

Lì è importante avere un compagno di squadra che ti porta su, o essere già in posizione giusta ma coperto, giusto?

E’ importante, perché quando svolti a destra, se sei anche solo un po’ indietro, spendi energie per tornare davanti. E se in quel momento accelerano, ti manca quell’attimo per respirare. Avere un compagno è l’ideale, ma se non ce l’hai devi comunque stare davanti. Anche perché nel chilometro finale la strada diventa molto stretta.

Chiaro…

E’ molto ripida, siamo oltre il 20 per cento. Però si gestisce. Io cercavo sempre il feeling giusto, risparmiando fino alla S, perché l’attacco da lì in poi “viene da solo”. A quel punto, se hai la gamba, dai tutto fino a dove spiana. Lì capivi se i pochi rimasti andavano in difficoltà. A me piaceva guardare in faccia l’avversario: capire se stava accusando.

In quel tratto finale (tra il 9 e il 6 per cento) si riesce a mettere la corona grande?

No, è improponibile. Lavori dietro con i rapporti.

La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito
La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito

La Redoute

E veniamo infine alla Redoute, perla della Liegi-Bastogne-Liegi. Siamo “a casa” di Philippe Gilbert, nell’immenso spiazzo dei camper che si radunano alla base, e qualcuno anche lungo la salita, sin dal giovedì dopo la Freccia per gustarsi le ricognizioni.
La Redoute si affronta una sola volta. Quest’anno arriva al chilometro 218, cioè a 34 dalla fine.

Michele, chiudiamo con la Redoute. Rispetto ai tuoi tempi è cambiata: ora in cima al tratto duro si svolta a destra e si scende. Una volta c’era un falsopiano…

La Redoute aveva perso un po’ d’interesse con l’inserimento della Cote de la Roche aux Faucons. Ma adesso, con questi campioni, è tornata in auge. Di certo è cambiata tatticamente. Resta un trampolino di lancio dove misuri l’avversario o decidi di scatenare qualcosa. Per me la gara iniziava sulla Redoute. Lì capivi chi stava bene e chi no. Se era il caso di fare un attacco decisivo.

Come si prende? All’imbocco la strada è stretta, c’è quel dedalo di curve nel paesino…

E’ un bel problema prenderla bene, perché si viene da una discesa ampia che ti fa organizzare male la squadra. Ti passano da tutte le parti. Io lì usavo molto i compagni per stare davanti e dettare il ritmo.

Della salita vera e propria cosa ci dici?

E’ dura davvero. Ti toglie energie. Man mano che sali senti che le sensazioni cambiano, forse per la tensione accumulata. Non è il Mortirolo, ma quando arrivi in cima sei esausto: è un continuo aumentare della pendenza.

Tu dove attaccavi?

Ai 500-600 metri dal termine del tratto duro. Ma sono metri lunghissimi, non passano mai. Hai la percezione che il tempo rallenti: «Ora ci arrivo, ora ci arrivo»… ma non ci arrivi mai!

Sulla Redoute c’è sempre tanta gente. Che atmosfera si percepisce?

Durante la ricognizione, almeno per me, era sempre un test. Capire se era l’anno giusto, se avevi la gamba. Era quasi come una gara. Il tifo si percepisce, anche se sei concentrato. E’ un tratto talmente particolare che riesci a renderti conto di quanto ti urlano.

E questo contribuisce a rendere il momento importante?

Se sei tu a dettare il ritmo sì. Altrimenti, se subisci, il caos ti dà fastidio. Almeno, per me era così.

Abbiamo detto che non c’è più il falsopiano dopo il tratto duro: ti piace di più la vecchia versione o la nuova?

Tatticamente, la vecchia era meglio. Anch’io la vera differenza la facevo sul falsopiano. Ora, se non riesci a mettere in difficoltà gli avversari nel segmento duro è finita. La Redoute è passata. Prima, invece, avevi un “secondo round”.

Malgrado la sconfitta, un capolavoro di Pogacar

24.03.2025
5 min
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La Milano-Sanremo di Van der Poel, Ganna e Pogacar ha battuto diversi record. E’ caduto quello della Cipressa, stabilito nel 2001 da Casagrande in 9’36”. Pogacar l’ha abbassato a 8’57” (media di 37,100) lanciato da gregari che con altre maglie sarebbero capitani. E’ arrivato il record di ascolti, con un 20 per cento di share e 2,2 milioni di spettatori come picco massimo, che hanno permesso a Rai 2 di essere il primo canale. E soprattutto è cambiato il destino di una corsa che sembrava votata alla noia e piccoli sbalzi di umore ed è invece esplosa come una polveriera. Merito di Pogacar: senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile.

Se ne è ragionato con Michele Bartoli, un altro che tentò di disintegrare la corsa sulla Cipressa assieme a Pantani, ma fu poi risucchiato sul Poggio. Si è parlato di campioni e grandi assenti. Del loro livello e delle scelte di rivali che evitano il confronto con precisione scientifica.

«La Sanremo – dice il toscano – la possono vincere in tanti. Difficilmente Alaphilippe vincerà la Roubaix come per Van der Poel e Ganna è difficile vincere il Lombardia. La Sanremo invece è aperta a tutti e finché ci sarà Pogacar a fare il lavoro principale, questo sarà il suo svolgimento. Non ha il terreno per staccare tutti. E se trova due come Ganna e Van der Poel al 100 per cento, è difficile che possa toglierseli dalle scatole…».

Bartoli e Pantani all’attacco sulla Cipressa nel 1999: azione spettacolare, ma non organizzata
Bartoli e Pantani all’attacco sulla Cipressa nel 1999: azione spettacolare, ma non organizzata
Diciamo che la lotta è ristrettissima. Impensabile che Roglic, Vinegegaard oppure Evenepoel vadano a sfidarlo alla Sanremo. Si nasconde anche Van Aert…

Per determinati corridori è più complicato. Magari se ci fossero stati, sarebbero rimasti agganciati anche loro. Però alla fine chi fa corsa dura è Pogacar e gli altri non vanno più di lui. Ai miei tempi c’era il Panta, c’ero io, c’erano Boogerd e Vandenbroucke, c’era Casagrande: ognuno leader della sua squadra. Quindi se volevi fare forte la Cipressa, l’unico modo era metterne d’accordo più d’una, altrimenti non combinavi nulla. Sabato la menata per Pogacar l’hanno fatta dei capitani che sono anche suoi gregari, quindi ci sta che il record della Cipressa sia stato battuto. Per questo dico che se Pogacar vuole la corsa dura, visto il budget della UAE Emirates, il copione sarà sempre questo.

Gli assenti hanno sempre torto?

Van Aert non lo capisco. Salta la Sanremo per andare in altura prima di Fiandre e Roubaix, ma i periodi per fare l’altura sono talmente ampi che non è una settimana prima o una settimana dopo che ti impedirà di vincere al Nord. Probabilmente non si sente al livello degli altri e preferisce puntare alle corse in cui si sente più vicino a loro. Ho letto un’intervista di Roglic che, non potendo battere Pogacar, va a correre dove lui non c’è.

Senza Pogacar e i suoi attacchi, Van der Poel avrebbe vinto la Sanremo?

Forse no. Perché tutta quella selezione non sarebbe venuta e Mathieu si sarebbe ritrovato con Philipsen a ruota e gli sarebbe toccato tirargli la volata come l’anno scorso. Pogacar favorisce i forti e taglia fuori gli altri.

Per contro il ciclismo senza Pogacar si è visto alla Tirreno-Adriatico, in cui nell’unico arrivo in salita Ayuso ha vinto con 10 secondi di vantaggio.

E magari se c’erano due arrivi in salita, non vinceva Ayuso e toccava a Pidcock. Il ciclismo senza Pogacar sarebbe aperto come prima. Però è chiaro che se lo evitano, le cose per lui sono ancora più facili. Se lo sfidano, probabilmente vince lo stesso, ma deve faticare di più. Quantomeno nelle corse meno dure, dove non può far valere il suo strapotere in salita.

La selezione sulla Cipressa per mano di Wellens, potenzialmente un capitano
La selezione sulla Cipressa per mano di Wellens, potenzialmente un capitano
La Roubaix è una di queste corse?

No, al contrario. La Roubaix è complicata, ma il pavé in finale è quasi come una salita dura. Se hai più energie, fai la differenza. Quando arrivi al Carrefour de l’Arbre, se hai il serbatoio ancora al 90 per cento e gli altri ce l’hanno al 60, la differenza la fai e anche senza troppa difficoltà.

Il tuo rammarico è averla corsa una sola volta?

Il ciclismo di quegli anni era diverso anche per le informazioni che ti davano le squadre. Ti indirizzavano nelle scelte, era l’inizio della specializzazione. Ora l’abbiamo abbandonata e a me questo ciclismo piace di più, perché ora la differenza la fa l’essere forte. Quando sei forte, ti adatti a qualsiasi tipo di percorso, perché si lavora per portare in alto la prestazione. Quando la prestazione è alta, se sei un corridore forte, puoi dominare ovunque: a Sanremo, a Roubaix, al Lombardia e al Giro d’Italia.

Una volta si parlava tanto del recupero…

Sono d’accordo che qualcuno recupera meglio, ma sono convinto che recupera peggio quello che ha un livello di prestazione inferiore e si spreme di più per andare ai ritmi dei più forti. Se lavori bene, c’è così tanta conoscenza, che è difficile assistere a veri crolli in un Grande Giro, purché il corridore abbia il livello di prestazione adeguato per supportare il ritmo dei migliori. Allo stesso modo non ci sono più le crisi di fame. Oggi se ti prendono in crisi di fame, ti devono arrestare. I nutrizionisti lavorano benissimo, ogni 20 minuti ti dicono cosa devi mangiare, in base a quanto spendi.

Fare il Poggio a ruota concede anche qualche vantaggio aerodinamico: Van der Poel è stato anche astuto
Fare il Poggio a ruota concede anche qualche vantaggio aerodinamico: Van der Poel è stato anche astuto
Quindi chi evita il confronto sa di non avere il livello che serve e sta alla larga?

Esatto. Non è bello, ma ognuno seleziona in base alle proprie caratteristiche. E’ chiaro che Van der Poel non possa permettersi di non fare la Sanremo e Ganna sta facendo le belle cose che abbiamo sempre immaginato. Non si può accontentare di vincere le crono in un Grande Giro, per il motore che ha anche non mandarlo al Fiandre è una cosa che non capisco.

Dicevi di Van der Poel?

Nella sua testa sa che se è al 100 per cento, può tenere Pogacar sul Poggio. I calcoli sono facili: quando vai a 40 all’ora su quel tipo di slaita, stando a ruota risparmi il 20 per cento. Se invece vuoi stare a ruota sul Qwaremont, spendi quanto quello davanti, perché la resistenza dell’aria è praticamente nulla. E allora al Fiandre sai che soffri di più, ma alla Sanremo puoi puntare sull’acume tattico.

Tanto che alla fine, Van der Poel è stato onesto, dicendo che il grosso lavoro l’ha fatto Pogacar e lui si è limitato a seguire.

Esatto. Come se poi seguirlo fosse una cosa facile…

Dieci domande a Bartoli per esplorare il mondo di Paletti

14.03.2025
5 min
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Da quando Luca Paletti, nell’intervista fatta alla vigilia del Trofeo Laigueglia, ci ha detto che il suo preparatore è Michele Bartoli, ci si è accesa una spia. Quando un corridore entra nell’orbita dell’ex professionista e preparatore toscano non è mai per caso. Il ragazzo della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè si allena sotto i dettami di Michele Bartoli fin da quando era al secondo anno juniores, i due sono arrivati ormai al quarto anno di lavoro insieme. Ma cosa ha trovato Bartoli nel giovane emiliano?

«Fin da quando era junior – racconta il vincitore di un Fiandre e due Liegi – era un ragazzo, anzi ragazzino, interessante. Nonostante la giovane età, era parecchio determinato e con le idee chiare. Nel parlarci si capiva avesse una maturità superiore ai suoi coetanei. Devo ammettere che lavorare insieme è stato facile fin da subito. Paletti era in grado di darmi dei feedback, per quanto riguarda gli allenamenti e i lavori da fare, che mi aspettavo di trovare in un corridore di ben altra esperienza. Per me contano tanto le risposte e le considerazioni che un atleta riesce a darmi».

Paletti è arrivato alla Vf Group-Bardiani nell’inverno del 2022
Paletti è arrivato alla Vf Group-Bardiani nell’inverno del 2022
Per certi versi un ragazzo già pronto?

Consapevole di quello che doveva fare. Ad esempio era in grado di capire quali riscontri avrebbe dovuto avere da un certo tipo di allenamento e riusciva a riportarmi le sue sensazioni a riguardo. Una sensibilità che da un ragazzo di 17 anni non ti aspetti. 

Che atleta hai trovato?

Tutto da scoprire, forte in salita e a cronometro. Ma è anche molto bravo nel ciclocross, disciplina che ha sempre tenuto fino a questo inverno e che non escludo possa tornare a fare. Per il momento abbiamo deciso, in accordo con il ragazzo e la squadra, di accantonare un attimo il cross. Si è trattato di una scelta non facile, io sono favorevole alla doppia attività, ma alla sua età è importante formarsi. Per certi aspetti il cross toglie equilibrio alla preparazione su strada. 

In che senso?

Quando sei un atleta formato, come possono essere Van der Poel o Van Aert, si possono tenere più discipline senza troppi pensieri. I problemi, se così li vogliamo definire, arrivano quando si è giovani. All’età di Paletti, 20 anni, si è alla ricerca della propria dimensione su strada e si è soggetti a molti giudizi. Nell’inverno appena trascorso lui ha avuto modo di identificarsi.

Il giovane emiliano ha sempre fatto ciclocross durante la stagione invernale (foto Alessandro Billiani)
Il giovane emiliano ha sempre fatto ciclocross durante la stagione invernale (foto Alessandro Billiani)
Cosa avete capito?

E’ un ragazzo che può crescere parecchio nelle gare a tappe. Nelle salite lunghe e a cronometro si trova a suo agio. Lo abbiamo visto in questi primi appuntamenti del 2025, sia alla Valenciana che al Gran Camino si è piazzato tra i primi venti a cronometro. E nelle tappe di salita è sempre rimasto agganciato ai primi. 

Questo è stato un inverno che ha aperto nuove porte sulle qualità di Paletti?

Se vogliamo possiamo considerare il 2025 come il suo primo anno da professionista, nonostante sia alla Vf Group da due stagioni e abbia iniziato la terza. Abbiamo iniziato a lavorare sulle sue basi e per essere la prima stagione in cui si concentra al massimo sulla strada, siamo a buon punto. Con i giovani non si deve lavorare sul presente, ma in prospettiva futura.

Uno dei passi fatti è l’aver inserito delle sessioni in palestra?

Sicuramente è un aspetto molto importante per formare un corridore. Deve essere però inserita nel momento giusto, gli anni scorsi Paletti non era pronto per certi versi, aveva ancora un muscolo acerbo. Anche gli esercizi in palestra vanno inseriti con la giusta programmazione, da juniores si può fare core stability. 

Bartoli, che lo allena da quando era junior secondo anno, ha evidenziato ottime qualità a crono e nelle salite lunghe
Bartoli, che lo allena da quando era junior secondo anno, ha evidenziato ottime qualità a crono e nelle salite lunghe
Ci sono degli aspetti sui quali avete lavorato in maniera specifica?

Sulla resistenza, certamente. Però la maturazione del corridore passa dal curare tutti i particolari. Viste le sue qualità deve allenarsi sul VO2Max e sulla cronometro. Tuttavia a 20 anni non si può tralasciare nessun aspetto, è un gioco di percentuali in cui nulla va trascurato. 

Quindi deve essere pronto ad affrontare le gare di un giorno.

E’ il destino degli atleti moderni. Non si può curare un solo aspetto, ma si deve essere polivalenti. Se si guarda ai grandi nomi, cosa corretta da fare con le giuste proporzioni, si vede questa cosa. Ora anche corridori da corse a tappe come O’Connor sono in grado di fare un secondo posto al mondiale. Senza scomodare Pogacar, che quello è un fuoriclasse.

Un’altra qualità di Paletti è la capacità di restare per tanto tempo fuorisoglia
Un’altra qualità di Paletti è la capacità di restare per tanto tempo fuorisoglia
Lo stesso Paletti ha detto di essersi sentito bene in queste prime uscite, nelle quali ha corso davanti…

Ha fatto un bel progresso a livello di testa e consapevolezza nei propri mezzi. E’ un allenamento anche imparare a correre tra i primi nonostante non si sia al 100 per cento. Deve essere capace di interpretare la gara con una mentalità vincente sempre. Magari ora non è in grado di vincere al Gran Camino, ma deve muoversi da protagonista.

Cosa che gli torna utile tra gli under 23, vista la doppia attività che fa con la Vf Group-Bardiani.

Passare subito professionista non è facile, per diversi motivi. Gli under 23 della Vf Group corrono solo gare internazionali, che vanno bene per crescere e fare esperienza. Al primo e al secondo anno l’obiettivo deve essere questo, poi si inserisce il passo successivo: provare a fare la corsa. La stessa cosa accade tra i professionisti. Ora Paletti è arrivato in un momento in cui può provare a primeggiare, soprattutto tra gli under 23. 

Ballerini come Bartoli, un muro per amico

19.01.2025
3 min
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A volte i social prendono l’idea e te la tirano in faccia. Ed è così che scrollando Instagram senza una precisa destinazione, siamo finiti accanto a Davide Ballerini lungo le rampe di un muro in pavè. Lo inquadrano davanti, di lato e da dietro: l’ha postato il 3 gennaio. C’è del lavoro in quel video – nel pedalare in salita e nel montaggio di chi l’ha realizzato – che alla fine vede il corridore di Como poggiarsi a una cancellata col fiato molto grosso.

Bartoli e San Gennaro

Avendo qualche anno nelle tasche, la memoria è andata a quando certe cose le faceva anche un ragazzino di belle speranze, conosciuto quando era ancora dilettante: un certo Michele Bartoli. Il toscano che poi al Nord ne vinse tante da togliersi la voglia (mai del tutto) aveva un muro del genere vicino casa, dove andava per mettersi alla prova.

«Il mio muro si chiama San Gennaro – ricorda sorridendo – il tratto in pavé è lungo 700-800 metri, poi prosegue, si scollina, fai il giro della collina e puoi riprenderlo quasi subito. Quando mi allenavo per quelle corse, facevo 4-5 giri di fila e riuscivo anche a capire la mia condizione. Un’altra cosa mi lega a Ballerini: ho lavorato con lui l’ultimo anno che era all’Androni, ne vinse parecchie. Lui è uno che potenzialmente potrebbe vincere molto di più».

Michele Bartoli Giro delle Fiandre 99
Michele Bartoli e il Giro delle Fiandre, un grande amore. Qui nel 1999, tre anni dopo la vittoria del 1996
Michele Bartoli Giro delle Fiandre 99
Michele Bartoli e il Giro delle Fiandre, un grande amore. Qui nel 1999, tre anni dopo la vittoria del 1996

Il muro di Ballerini

Ballerini in questi giorni è in Spagna e vi rimarrà fino al 25 gennaio, quando inizierà la stagione alla Ruta de la Ceramica-Gran Premio Castellon. Poi proseguirà con la Valenciana e da lì andrà ad assaggiare il vero pavé del Nord, quello della Omloop Het Nieuwsblad che nel 2021 lo vide vincere in maglia Deceuninck-Quick Step.

«Uso spesso quel muro – sorride Ballerini – e un altro ce l’ho nella zona di Mendrisio. Non è come un muro del Fiandre, il Nord è un altro mondo, ma registro i tempi su Strava e lo uso di solito per fare lavori specifici. E’ lungo 150 metri più o meno. Di solito ci faccio ripetute da un minuto e mezzo a bassa frequenza di pedalata, esprimendo la massima potenza».

Il pavé è amico di Ballerini. Qui agli europei di Hasselt lo scorso anno
Il pavé è amico di Ballerini. Qui agli europei di Hasselt lo scorso anno

Il Teide a febbraio

Fra la Valenciana e il debutto del Nord, come abbiamo già raccontato all’inizio dell’anno, Ballerini salirà sul Teide proprio per preparare al meglio le prime sfide sul pavé.

«Lo scorso anno – spiega non ci andai – perché avevo ancora il problema al ginocchio. La recon sui percorsi di lassù l’abbiamo già fatta a dicembre, soprattutto per capire le pressioni delle gomme per Roubaix, mentre il resto lo vedremo quando saremo su. La nuova bici per ora posso dire che è molto rigida, ma finché non saremo in gara, sarà difficile fare una vera valutazione».

Quelle immagini continuano a scorrere in loop. E’ bello immaginare la stessa azione sul Paterberg all’ultimo giro del Fiandre, avendo grande stima nelle valutazioni di Bartoli e grande fiducia nei mezzi del Ballero. Mostrano la forza e la grinta di un’atleta forte e molto generoso, forse troppo? Un grande leadout per gli uomini veloci, uno che ci piacerà veder correre anche per se stesso.

Tiberi, parole da grande e lavori massimali progettando il Giro

12.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – Quinto al Giro d’Italia e miglior giovane, Antonio Tiberi si muove col passo felpato di chi ha in testa il ritmo giusto per fare le cose. Il mattino è stato dedicato alle visite mediche e ad una sessione fotografica, poi ci sono i giornalisti e le loro domande. La giornata è accecante di sole e mare, il riverbero del marmo a bordo piscina costringe a socchiudere gli occhi.

L’hotel Cap Negret è meno affollato del solito. Ci sono la Bahrain Victorious e la VF Group-Bardiani, come pure la FDJ Suez di Demi Vollering e Vittoria Guazzini. Il parcheggio però è mezzo vuoto, perché quest’anno la geografia dei team si è rimescolata. Ci sono stati anni in cui qui potevi incontrare anche sei squadre contemporaneamente: una sorta di caccia grossa per chi fosse in cerca di interviste.

Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023
Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023

La stessa flemma di Nibali

Per l’Italia che va in cerca di una nuova voce per i Grandi Giri, la carta Tiberi è il ponte più concreto fra il ricordo di Nibali e un futuro da scrivere. Di Vincenzo ha la flemma e per certi versi lo stile: la Trek-Segafredo aveva visto giusto nel metterli uno accanto all’altro, anche se alla fine il piano è caduto nel vuoto. Probabilmente al laziale manca ancora la capacità di inventare azioni vincenti, ma quella verrà quando le gambe saranno in grado di sostenerle. Il quinto posto al primo Giro è senza dubbio un bel trampolino da cui spiccare il volo.

Prima di raggiungerci, Tiberi si è coperto di tutto punto. Non tragga in inganno il sole: a volte si alzano delle folate di vento che suggeriscono prudenza in atleti che sono ancora lontani dal peso forma, ma si riguardano come meglio possono. Quando anche la mantellina è chiusa fino sotto il collo, Antonio si accomoda sullo sgabello di fronte.

«Vengo da un anno più che ottimo – dice – quindi sono qui per lavorare bene, cercare di crescere e fare qualcosa di ancora migliore per l’anno prossimo. Ho passato le vacanze a casa, un po’ a San Marino e un po’ dai miei genitori. Per me la vacanza è stare a casa, tranquillo e senza impegni. Sono sempre in giro a prendere aerei, quindi non ho molta voglia di prenderne altri anche a stagione finita».

Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Cosa si fa in questo primo ritiro?

Ci dedichiamo ai test, alle nuove foto, a provare nuove bici e il nuovo abbigliamento. E soprattutto avviamo la preparazione in vista del ritiro di gennaio, cui spero di arrivare con la gamba pronta per iniziare a lavorare sul serio.

Hai imparato qualcosa di più su Antonio nel 2024?

Ho imparato che facendo le cose con la testa e mettendoci impegno, riesco a ottenere degli obiettivi che prima neanche avrei immaginato. Sicuramente tutto quello che è venuto nella scorsa stagione mi ha dato più sicurezza e la maturità per iniziare la preparazione con maggiore concentrazione. E con la consapevolezza che, se faccio le cose al meglio, riesco ad ottenere comunque dei buoni risultati.

Il fatto di stare in salita con i migliori dipende dalla preparazione oppure in gara si alza anche la soglia del dolore?

E’ anche una questione mentale, giusta osservazione. Il lavoro conta tanto, perché a casa si allenano anche la sopportazione del dolore e della fatica. Il fatto di reggere certe andature è più che altro una questione di tempistiche e varia da persona a persona. Allenarsi tanto è necessario, ma per arrivare a un certo livello quello che fa tanta differenza è la testa. Penso che ogni persona abbia bisogno di arrivare al punto giusto di maturazione per riuscire a fare determinati sforzi e determinate prestazioni. Per metabolizzare bene lo stress e la fatica.

Su cosa devi crescere per essere ancora più incisivo?

Abbiamo fatto un’analisi delle mie prestazioni e quello che manca e che vorremmo migliorare è il cambio di ritmo, quello con cui Pogacar riesce a fare la differenza quando siamo tutti al limite. Ci lavoriamo già, l’idea è di alzare questa soglia, certe azioni non le puoi improvvisare.

Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita
Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita

Il cambio di ritmo

Il suo preparatore è Michele Bartoli, che lo ha preso in carico a metà 2023, ma ha potuto iniziare a lavorare con lui in maniera completa alla vigilia del 2024. Un anno di osservazione e lavoro ha portato appunto alla conclusione di cui parla lo stesso Tiberi.

«Faremo un programma di allenamenti intervallati – spiega il toscano – che durano secondi fino ad arrivare a pochi minuti. Andando avanti riesci a vedere più cose e guardandolo correre, abbiamo notato questo aspetto in cui possiamo lavorare per migliorare. Lavori che vanno da 30-40-50 secondi fino ad arrivare ai 3-4 minuti. Ma non ci si limita a quello. Si arriva a fare lavori massimali anche di 6-7-8-10 minuti, perché quello che ci serve e che serve ad Antonio è prettamente questo. Lavori con frequenti cambi di ritmo, da pochi secondi fino a pochi minuti.

«Ma non cominceremo subito – prosegue il toscano – perché Antonio ha corso fino a una gara in salita organizzata da Merida a Taiwan, quindi si è dovuto allenare dal Lombardia al 25 di ottobre, come se corresse ancora. Poi ha scaricato quattro settimane e siamo arrivati al 20 di novembre, quando ha ripreso a pedalare. Perciò sono due settimane che si allena e ora deve fare un po’ di base, non può caricare subito al massimo».

Nel tavolo accanto è seduto Colbrelli, con il computer aperto che all’esterno del monitor ha le foto delle sue vittorie più belle. Questi sono i giorni in cui si definiscono i programmi: per i direttori sportivi un vero rompicapo fra i desiderata degli atleti e le esigenze della squadra.

Caruso e Tiberi (di spalle), il fresco diesse Sonny Colbrelli e Stangelj: si parla di corse e programmi
Caruso e Tiberi (di spalle) e il fresco diesse Sonny Colbrelli: si parla di corse e programmi
Qual è stato il giorno più bello dell’anno?

Ne dico due. La penultima tappa del Giro, quella di Bassano, quando ho trovato i miei genitori dopo l’arrivo. E poi l’ultima tappa, quella di Roma, che a modo suo resta indimenticabile.

I mondiali potevano esserlo e non lo sono stati?

Diciamo che li ho presi come un’esperienza che sicuramente mi servirà in ottica futura, essendo stato comunque il primo mondiale. Sono andato a Zurigo con le aspettative alte, forse anche troppo per quello che era realmente il percorso. Speravo in qualcosa più adatto agli scalatori, che ci fossero delle salite dure. Invece era più esplosivo, per gente come Van Der Poel. Però il mondiale è sempre una gara particolare. L’ultima volta che lo avevo corso era da junior e bisogna dire che c’è una bella differenza tra juniores e professionisti. Si corre senza radio, è uno stile di gara molto molto diverso da quello cui siamo abituati.

In un ipotetico avvicinamento al Giro, se sarà Giro, rifaresti tutto quello che hai fatto quest’anno oppure si può cambiare qualcosa?

Se fosse Giro, l’avvicinamento sarebbe molto simile. Magari potrebbe cambiare un pochino la prima parte, proprio l’inizio della stagione e forse sarà così. Probabilmente inizierò all’Algarve, ma il resto sarà quasi uguale all’anno scorso, magari facendo qualche ritiro in più con la squadra.

Il quinto posto del Giro ha fatto crescere la tua popolarità?

Leggermente, qualcuno mi riconosce quando sono in giro a casa o anche quando mi alleno. Mi fa piacere, è qualcosa che ti dà più morale, che dà orgoglio e ti stimola a fare ancora meglio.