Europeo gravel, la data contestata. Risponde Della Casa

01.10.2024
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Le discussioni sulla concomitanza del 13 ottobre tra gli europei gravel e la prova finale dell’importante circuito Gravel Earth Series in Spagna, sottolineate da Mattia De Marchi (che ha rinunciato alla convocazione azzurra per non perdere l’occasione iberica) tengono ancora banco nell’ambiente. Tanto è vero che è stato un tema discusso in maniera anche più ampia, inerente tutti gli influssi che l’attività e lo sviluppo della nuova disciplina devono avere, proprio negli ultimi giorni iridati a Zurigo.

La concomitanza di europei e finale del Gravel Earth Series ha scatenato forti polemiche
La concomitanza di europei e finale del Gravel Earth Series ha scatenato forti polemiche

Tra una riunione e l’altra, il presidente della Uec Enrico Della Casa non si è tirato indietro ed anzi ha voluto dire la sua sull’argomento, sottoponendosi di buon grado a una serie di domande.

De Marchi nella sua intervista afferma che la data dell’europeo è stata scelta in funzione del Lombardia…

E’ vero, non ho difficoltà ad ammetterlo. Siamo alla seconda edizione e trovare una buona collocazione non era facile. Abbiamo pensato che posizionarlo il giorno dopo la Classica Monumento, per contiguità territoriale, potesse essere una buona scelta, ma non solo pensando ai corridori, a chi se la sentisse di doppiare. E’ anche una scelta pensata per il pubblico, per convogliare tanti appassionati da una parte all’altra del Nord Italia e favorire afflusso di pubblico ad Asiago.

Mattia De Marchi è stato molto critico sulla scelta della data per Asiago, rinunciando all’azzurro
Mattia De Marchi è stato molto critico sulla scelta della data per Asiago, rinunciando all’azzurro
Una scelta che ha destato non poche polemiche…

Ne siamo consci – ammette Della Casa – sapevamo che avremmo scontentato qualcuno, ma è un prezzo da pagare per l’affermazione di questa disciplina, che per ora resta molto legata alla strada, sicuramente più di quanto lo sia alla mountain bike. Le discussioni sulla data non ci hanno lasciato indifferenti, teniamo presente che siamo solo alla seconda edizione. Il prossimo anno valuteremo con molto anticipo la data e la posizioneremo magari anche in un periodo diverso, riguardando tutto il calendario del gravel nel suo insieme.

Il gravel guarda alla strada, ma sta anche seguendo una propria via autonoma?

E’ un processo ancora agli inizi, i numeri di specialisti puri sono ridotti, anche se è indubbio che si stia avanzando in tal senso. Per questo dico che la vicinanza alla strada è ancora una necessità, più che alla mountain bike dove le differenze sono più marcate. Bisogna capire che per noi è ancora un evento nuovo, dobbiamo capire come arrivare a soddisfare tutte le esigenze, a cominciare da quella della partecipazione elevata dal punto di vista numerico che è un “must” per il prossimo appuntamento di Asiago. Sappiamo che commettiamo errori, è un prezzo da pagare al noviziato.

L’appuntamento continentale di Asiago verrà il giorno dopo del Lombardia. Quanti atleti doppieranno?
L’appuntamento continentale di Asiago verrà il giorno dopo del Lombardia. Quanti atleti doppieranno?
Da parte dei vari Paesi c’è una maggiore attenzione?

Sì, indubbiamente e noi dobbiamo spingere perché ci sia una buona attività nazionale – sentenzia Della Casa – facendo le cose per gradi. Organizzare è difficile, ma è solo facendo, sbagliando che si impara. Capisco che intorno all’europeo siano sorte tante critiche, ma spesso prima di parlare bisognerebbe mettersi dalla parte di chi organizza, conoscendo le difficoltà a cui si va incontro…

Avete pensato in futuro di allestire una challenge di appuntamenti continentali, sull’esempio delle World Series?

No e non tanto perché il movimento sia ancora composto da numeri troppo esigui. Noi come UEC abbiamo risorse ridotte, non solo dal punto di vista economico ma anche di forze effettive da impiegare. Vogliamo fare poche cose ma fatte bene. Stiamo spingendo sui nuovi circuiti di mtb, la Coppa Europa per cross country e downhill, non possiamo disperdere risorse e concentrazione. Fra 3-4 anni vedremo a che punto sarà l’evoluzione del gravel e riesamineremo l’idea. In questo momento è importante che ci si muova a livello locale, che sorgano piccole challenge nazionali che possano attrarre il maggior numero di praticanti, che possano soprattutto contribuire alla crescita numerica del movimento. E’ questo il nostro obiettivo comune.

Della Casa garantisce che il prossimo anno il calendario dovrebbe essere rivisto nelle sue date principali
Della Casa garantisce che il prossimo anno il calendario dovrebbe essere rivisto nelle sue date principali
In definitiva a che punto è il gravel?

In una fase di crescita molto forte, lo confermano anche le aziende e lo testimoniano i dati di vendita. Noi dobbiamo andare incontro a questo flusso, che possiamo vedere girando ogni domenica e accorgendoci di quanti modelli ci siano sulle strade e sui sentieri, ogni settimana più della precedente. Su un aspetto però voglio porre l’accento: è importante che ogni singola federazione spinga sulla crescita attraverso l’organizzazione di sempre nuovi appuntamenti, ma tenendo sempre come primo punto discriminante la sicurezza, sulla quale non si deve transigere…

La gravel secondo me: Mattia De Marchi e la sua Basso Palta

24.09.2024
6 min
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MISANO ADRIATICO – Spesso parliamo di gravel. Su bici bici.STYLE lo facciamo più in ottica di viaggi e avventure, ma poi ci sono anche i campioni, i professionisti di questa disciplina. E uno di loro è Mattia De Marchi, del Team Enough.

Con il friulano, oggi scendiamo nel dettaglio tecnico e scopriamo com’è la bici gravel di un pro’. Come è settata. E che rapporto ha l’atleta con la sua bici. Mattia lo abbiamo incontrato all’Italian Bike Festival, ospite del suo sponsor tecnico, Basso Bikes. E questo è quel che ci ha raccontato…

Mattia De Marchi (classe 1991) durante una delle sue avventure (foto Instagram – @hrrypwll)
Mattia De Marchi (classe 1991) durante una delle sue avventure (foto Instagram – @hrrypwll)
Mattia, partiamo proprio dalla tua bici. Qual è?

Ho due Basso Palta con due configurazioni diverse, principalmente nel gruppo: da una parte la monocorona, dall’altra la doppia. In particolare per la doppia sto testando il nuovo wireless di Campagnolo. Lo sto usando anche fuoristrada ed è un’evoluzione del classico Ekar. Riguardo all’elettronico ci sono pro e contro.

Cioè?

L’elettronico adesso è una necessità. In certe situazioni la sua facilità di cambiata è fondamentale: banalmente basta schiacciare un bottoncino per cambiare e tutto diventa più facile. Di contro devi essere un po’ più delicato. Mentre il cambio meccanico se ben mantenuto difficilmente ha dei problemi e si romperà, l’elettronico porta con sé sempre un filo d’incognita.

Qui la foto “da catalogo” della Basso Palta, quella che invece Mattia aveva portato all’IBF aveva i segni di tante battaglie
Qui la foto “da catalogo” della Basso Palta, quella che invece Mattia aveva portato all’IBF aveva i segni di tante battaglie
Dilaga la monocorona, però tu stai testando anche la doppia: perché?

Per esigenze di rapporto. Nel gravel si sta andando sempre più veloci nel settore agonistico, pertanto si ha l’esigenza di avere una gamma di rapporti molto più ampia rispetto ad un paio di anni fa. Avere rapporti con un determinato sviluppo e giro catena è fondamentale.

E poi qual è l’altro componente importante a cui dedichi parecchia attenzione?

Le gomme. La tendenza vuole sezioni più larghe. Ormai nel 90 per cento delle gare si usa una gomma da 45 millimetri. E questo succede anche in America, dove paradossalmente per noi europei non è necessario usare qualcosa di tanto largo perché il loro è un gravel molto più scorrevole, molto più veloce, meno cattivo e meno tecnico rispetto al nostro. In qualche caso negli Usa stanno usando addirittura gomme da mountain bike…

Mattia sta utilizzando sia la doppia che la monocorona: qui ecco la sua Palta con la mono (da 44 denti)
Mattia sta utilizzando sia la doppia che la monocorona: qui ecco la sua Palta con la mono (da 44 denti)
Le 650b, insomma le 27,5”?

Non solo, anche le 700, le 29”, ma comunque con sezione da 45 millimetri in su. Test alla mano, sembrano essere più veloci, nonostante un peso maggiore. Nei prossimi anni secondo me, anche nel settore dei copertoni vedremo degli ibridi tra il gravel classico e la mtb. Inizialmente si pensava che la scelta migliore potesse essere un copertone veloce e leggero, adesso invece predomina l’esigenza di avere qualcosa di sicuro, che ti permetta di non avere forature a prescindere dal livello tecnico del terreno.

Perché?

Adesso se fori hai perso la gara, invece qualche anno fa se foravi avevi il tempo di riparare e magari anche di tornare davanti. Ora il gravel è più “esasperato”. Si va talmente forte che appena hai un problema sei out. Anche il livello delle gare si è alzato.

Oltre alla gomma da 45 millimetri usi anche il liner?

Dipende dalle situazioni. Quando ci sono molte feed station e c’è più possibilità di cambiare gomme non lo metto. Ma può capitare di metterlo anche se le feed zone sono tante perché il terreno è molto accidentato. In quel caso metto il liner, la mousse, per non pizzicare. Altrimenti incrocio le dita!

Le gomme Pirelli Cinturato Gravel M da 45 mm: una delle scelte più gettonate da De Marchi
Le gomme Pirelli Cinturato Gravel M da 45 mm: una delle scelte più gettonate da De Marchi
Sfidi la sorte!

E’ vero che il gravel professionistico è sempre più una gara di velocità, però io resto fedele al vecchio motto. E il mio primo obiettivo è comunque portare la bici all’arrivo. Per questo parto con tutto il necessario per certe riparazioni, mentre altri che hanno un pensiero diverso dal mio partono col minimo indispensabile. E sono in assetto super leggero.

Quindi si va verso una copertura più robusta ed unica?

Direi di sì. Con Pirelli ci sto lavorando. L’idea è proprio quella di avere un copertone un po’ meno veloce ma più sicuro e più resistente. Ma non è facile perché se lo rendi più resistente poi la guidabilità non rimane proprio la stessa. Per lavorare bene il copertone infatti si deve deformare, ma se lo si vuole più robusto automaticamente la sua carcassa diventa più rigida. Serve il giusto compromesso. Per ora lo standard che prima era il 40 millimetri è il 45 come detto. Si sta vivendo la situazione che avvenne su strada con il passaggio dal 25, al 28 e ora al 30 millimetri. Il professionista stradista che si avvicina al gravel ancora mette il 40-38 millimetri, mentre chi come me fa gravel tutto l’anno tende al 45 millimetri.

Per il resto cosa deve essere presente sulla tua bici?

Partiamo dal manubrio. C’è stata un’evoluzione pazzesca sugli accessori, rispetto ai telai forse c’è più margine per migliorare. Il manubrio integrato aiuta e l’ergonomia adesso è un fattore importante. So che Basso ci sta lavorando.

Il friulano dà importanza a componenti come il manubrio integrato: questo risponde ad esigenze di peso, di aerodinamica e comfort
Il friulano dà importanza a componenti come il manubrio integrato: questo risponde ad esigenze di peso, di aerodinamica e comfort
Qual è il vantaggio dell’integrato nel gravel?

Banalmente il peso: è un po’ più leggero rispetto al classico set attacco + piega. E poi dà meno problemi con le vibrazioni. Non devi stare tutti i giorni a rivedere il serraggio delle viti e il manubrio non si sposta con un colpo. Come detto Basso sta lavorando sull’ergonomia del manubrio. Un appoggio sicuro, una campanatura ad hoc…

Passiamo alla tua posizione…

E’ una questione molto personale. A me piace pedalare molto alto di sella. Sui social sono stato persino criticato per avere la sella troppo alta, cosa che nel gravel non è usuale.

In effetti ci spiazza un po’. Alla luce di ciò che misure di pedivelle usi?

Per ora 172,5 millimetri, ma ammetto che in casa ho delle pedivelle da 165. L’idea è di provarle, però il problema è che ci vuole tempo per adattarsi, per fare dei test. Anche l’aspetto delle pedivelle è personale. Insomma: non è che Pogacar vince perché ha le pedivelle da 165. Io comunque quest’inverno vorrei fare alcuni test di questa misura.

Le velocità sono sempre più alte e di conseguenza cambiano anche le bici e gli assetti (foto @chiara_redaschi)
Le velocità sono sempre più alte e di conseguenza cambiano anche le bici e gli assetti (foto @chiara_redaschi)
Cosa non deve assolutamente mai mancare sulla tua bici, Mattia?

Il borsello con il necessario per tornare a casa. Ho una borsetta di Miss Grape abbastanza grande sull’orizzontale: è aero e s’intona con la bici. Lì ci sono sempre un paio di camere d’aria, una falsamaglia, vermicelli, delle toppe… almeno in allenamento, poi in gara uno fa quel che vuole. E’ il discorso di prima. Ma anche in gara il necessario non mi manca mai.

Una o due borracce?

Sempre due e grandi. Anche qui c’è un mondo che si sta evolvendo. Oggi le feed station sono diventate numerose e in alcune gare, tipo Unbound, sono diventate quasi il clou della gara. Adesso serve assolutamente un piano di nutrizione se vuoi andare forte. Anche per questo a volte uso il camelback, che in linea di massima cerco di evitare per il suo peso. Anche questo delle borracce è un tema non da poco: cosa ci metto? Che forma devono avere?

Perché parli della forma?

Per l’aerodinamica. Oggi è importantissima nel gravel. Le velocità si sono stravolte in poco tempo e l’aerodinamica ormai conta moltissimo anche in questo settore.

Gravel, il futuro è da scrivere. Ma le polemiche non fanno crescere

19.09.2024
5 min
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Quando lo raggiungiamo al telefono, Tomas Van der Spiegel è incastrato nel traffico di Bruxelles che al mattino è qualcosa di pazzesco. Lui dice che somiglia a quello di Milano e lo prendiamo subito per buono. L’amministratore delegato di Flanders Classics va sempre a mille. E così, dopo aver organizzato con il suo team i recenti campionati europei di Limburg 2024, ora fa rotta sugli europei gravel di Asiago del 13 ottobre, prima che arrivi come un tornado la stagione del ciclocross.

Il motivo della chiamata è proprio la gara di Asiago, dopo la reazione di Mattia De Marchi che, parlando a nome degli specialisti, ha puntato il dito sulla data e il tipo di percorso. La data, per la concomitanza con un altro evento in Spagna: il friulano ha scelto per questo di non correre gli europei. Il percorso, additato in quanto troppo facile e di conseguenza tracciato a suo dire per favorire gli stradisti e penalizzare chi di gravel vive tutto l’anno (in apertura Wout Van Aert agli scorsi mondiali di Treviso). 

Cosa pensi di questa polemica?

L’ho seguita, conosco bene Mattia. Direi per prima cosa che il gravel è una disciplina che sta cercando ancora il suo posto nel mondo del ciclismo. Conosciamo bene i problemi che ci sono con i calendari, non solo per la strada. Il ciclismo è molto popolare e il calendario è strapieno. Organizzare tutto l’anno eventi gravel per la comunità gravel è bellissimo. Anche io ne sono molto appassionato. Sono venuto a Conegliano due mesi fa per pedalare anche con Mattia. All’inizio dell’anno ho fatto The Traka da 360 chilometri in Spagna. Mi piace molto il gravel, però stiamo cercando di capire quale sia il suo posto.

Come si sceglie la data di un campionato europeo?

In quel periodo ci sono tanti eventi gravel e ancora tante gare su strada, non è facile trovare la data giusta. Si lavora con le Federazioni internazionale, con la UCI e la UEC, non sei tu organizzatore che scegli e glielo comunichi. Secondo me quello del calendario è il primo topic. E su questo sono d’accordo con Mattia che ci vuole anche tanto rispetto per la gente che fa gravel tutto l’anno e che sviluppa la disciplina.

Mattia De Marchi, qui ai mondiali 2023, è uno dei primi specialisti italiani del gravel
Mattia De Marchi, qui ai mondiali 2023, è uno dei primi specialisti italiani del gravel
Che cos’è per te il gravel?

E’ qualcosa di molto inclusivo per tutti e anche noi che organizziamo eventi stiamo cercando la formula giusta per le prove di campionato. E’ il metodo che in inglese si chiama trial and error, cioè provare e correggere in base ai risultati. Credo sia questo il processo che stiamo vivendo in questo momento. Magari quello di Asiago non sarà il percorso ideale, però dire che è fatto solo per gli stradisti mi sembra un po’ esagerato. Sono stato già tante volte sul posto, conosco l’area molto bene. Credo che sarà molto bello anche così e che potremo accontentare tanta gente, mentre non è sempre semplice o possibile accontentare tutti.

Ci sono tante diversità?

Ci sono gare di 100 chilometri e altre oltre i 300. Ovviamente ci sono gli specialisti delle prime e gli specialisti delle seconde. Allora credo che se troviamo un bel misto di corridori gravel, stradisti e corridori di ciclocross, perché ci sono anche loro, possiamo dire di aver fatto un bel lavoro. E’ solo il secondo campionato europeo, abbiamo i diritti anche per l’anno prossimo. Se qualcosa quest’anno non ci piacerà, potremo migliorarlo il prossimo.

Mentre parlavi pensavamo alla mountain bike, che ha i mondiali di cross country e quelli marathon, perché non è detto che tutti possano convivere negli stessi eventi, non trovi?

Potrebbe essere, non ci avevo ancora pensato. Dobbiamo tenere conto di alcune cose. Per esempio, oggi è molto importante poter raccontare la storia di una gara. Se ne fai una di 300 chilometri in mezzo al nulla, è molto difficile fare una produzione televisiva che funzioni. Allo stesso tempo, da amatore gravel io odio i circuiti. Soprattutto perché ci sono gare in cui ti tocca girare per 6-7-8 volte in anelli di 15 chilometri. Secondo me non è lo spirito giusto. Per cui dobbiamo trovare la formula giusta. Non avevo pensato al parallelo con la mountain bike, ma merita un approfondimento. Forse ha senso fare il sabato una gara più breve, magari con finale in un circuito più esplosivo. E poi una gara più lunga il giorno dopo.

Natan Haas e Lachlan Morton, primi due da destra, sono due specialisti del gravel di livello internazionale
Natan Haas e Lachlan Morton, primi due da destra, sono due specialisti del gravel di livello internazionale
Detto questo, è abbastanza chiaro che la presenza di Van der Poel, Van Aert, Pidcock e campioni del genere per i tifosi e per gli sponsor ha una valenza notevole, giusto?

Noi che siamo specialisti nel ciclocross, lo viviamo da anni. Oggi ci sono stelle della multidisciplina e credo che quello sia il futuro del ciclismo, del gravel e della strada. Non solo Mathieu, Wout e Tom, c’è anche Puck Pieterse fra le donne, c’è Fem Van Empel, c’è anche Thibau Nys che vince su strada e nel ciclocross… Forse il corridore del futuro è fatto così, anche per il gravel. Credo che questo sia un momento per raccogliere, dobbiamo usare questo fatto per far crescere anche il movimento. Dobbiamo trovare la via di mezzo. E’ vero che c’è questa comunità gravel che corre tutto l’anno, che ha i suoi appassionati, però per poter attrarre più gente bisogna anche avere delle stelle e credo che questa sia la vera sfida di oggi.

Nessuna polemica quindi?

Capisco molto bene certe frustrazioni, però credo che le polemiche non servano per far crescere il movimento. Dobbiamo guardare insieme come possiamo farlo. Dal mio punto di vista, il discorso è tutto qui.

Le luci e le ombre dell’europeo gravel secondo Mattia De Marchi

06.09.2024
5 min
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E’ recente la notizia che l’europeo gravel 2024 si terrà ad Asiago il prossimo 13 ottobre. Una data che ha sollevato più di qualche perplessità da parte di chi il gravel lo pratica tutto l’anno, com’è il caso di Mattia De Marchi, tra i più forti italiani della disciplina (in apertura al mondiale 2023). Lo abbiamo raggiunto al telefono mentre è impegnato al Giro del Friuli, per farci raccontare la sua opinione a riguardo (e il problema, abbiamo scoperto, non è solo questione di date).

Mattia, come vedi questo prossimo europeo gravel?

Non benissimo sinceramente. La prima cosa è la data scelta, il 13 ottobre. Sembra sia stata decisa pensando solo agli stradisti e non a chi fa gravel tutto l’anno.

Perché?

Perché proprio quel giorno c’è una gara molto importante in Spagna (la finale del circuito Gravel Earth Series, ndr), alla quale, se vogliamo correre l’europeo, dovremo rinunciare. Difficile non pensare che quella data sia stata presa perché il giorno prima si corre il Giro di Lombardia, cercando così di attirare i professionisti. Allora, mi dico: se la principale preoccupazione è quella, che facciano direttamente una gara gravel solo per i professionisti su strada. Con la possibilità che poi alla fine non vengano, ovviamente. Questo mi ha dato fastidio perché mi è sembrata una mancanza di rispetto, non ci voleva tanto a controllare il calendario. Devo dire poi che una recente intervista di Pippo Pozzato (che svolge funzione di supporto agli organizzatori di Flanders Classics, ndr) non mi è piaciuta granché, perché nomina solo i pro’. Quindi ecco, come praticante del gravel tutto l’anno mi sento un po’ preso in giro.

Per quanto riguarda il percorso invece, come lo vedi?

Il percorso lo conosco bene, ma è il più facile che si potesse fare. Dicono che il 70 per cento è sterrato, ma per mia esperienza diretta so invece che tante di quelle strade sono asfaltate. L’altopiano di Asiago lo conosco benissimo e c’erano molte altre alternative. L’obiettivo secondo me doveva essere spingere il posto nella sua interezza e credo che in questo senso si sia persa un’occasione. Voglio dire: si correrà su un anello che solitamente fanno fare alle famiglie con le e-bike. Mi auguro che questo evento faccia comunque conoscere il territorio, credo solo ci fosse un modo migliore per farlo conoscere, tutto qua.

Tu comunque parteciparei, giusto?

No, non andrò. Mi pesa moltissimo dire di no alla maglia azzurra, ma avevo questa gara in Spagna programmata da mesi e alla fine ho deciso di andare.

Una scelta non facile…

Rinuncio e basta, però non è un modo corretto di fare. Oltre al fatto che annunciare il tutto poco più di un mese prima rende ogni cosa complicata. Piuttosto forse era meglio non farlo, questo europeo. Quando sono iniziate a girare le voci su questa data, avevo anche scritto all’UEC, che ha in mano l’organizzazione, per fargli presente il problema. Non mi hanno mai risposto. Ad un certo punto c’erano corridori che mi scrivevano per chiedermi informazioni in quanto italiano, ma io non sapevo niente. Il rischio grande così facendo è di bruciarsi tutta una fetta di atleti e poi diventa un problema serio.

Cioè?

Cioe se noi decidiamo di non correre più agli eventi perché non ci sentiamo un minimo tutelati, e di non parlare più del gravel ogni giorno come facciamo da anni, anche chi organizza rimane fregato. Noi siamo nel nostro piccolo delle persone influenti che il gravel lo fanno tutto l’anno e in qualche modo tengono su la baracca. Finché c’è questo genere di approccio è difficile che riusciamo ad attirare corridori di livello. Noi siamo obbligati ad andare in America e loro, se le cose restano così, non verranno mai di qua. Dopo aver visto il percorso del primo mondiale gravel, gli americani non volevano venire al secondo, per dire. Hanno chiesto a me e io gli ho detto che invece valeva la pena. Ma capite bene che, di nuovo, se le cose si fanno così c’è il forte rischio di bruciarsi un sacco di opportunità.

Ti senti di dare qualche consiglio, magari per i prossimi anni?

Io, come avevo scritto all’UEC, sono a disposizione per dare consigli. Non saprei come organizzare un evento, ma sono nel giro da anni e quel mondo credo di conoscerlo. Spero che Flanders Classic veda potenzialità nelle nostre zone per fare qualcosa di davvero interessante qui, che investano nei nostri territori. Io, ripeto, sono e resto a disposizione.

Gravel sulle Dolomiti prima della Vuelta. Che storia il Dema…

19.08.2024
6 min
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Il gravel prima della Vuelta: è quel che ha fatto Alessandro De Marchi. Il Rosso di Buja riesce sempre a stupire in qualche modo. Mai banale nelle dichiarazioni e nei fatti e anche stavolta ci ha colpito. Fino a pochi giorni prima di partire per la Spagna era nel cuore delle Dolomiti in compagnia del cugino ad allenarsi in quota… e offroad.

Giornate fantastiche, dure e divertenti tra Marmolada, Gruppo del Sella, Lagazuoi… ma anche tanto allenamento vero. Oltre 1.500 chilometri e 70 ore di sella nei giorni dolomitici di Alessandro e suo cugino Mattia De Marchi.

Alessandro, cosa avete combinato con tuo cugino?

E’ stata una bella esperienza. In realtà tutto è nato da un’idea di Mattia che doveva fare certi lavori e io ne ho approfittato per la mia preparazione, visto che anche io avevo bisogno di fare ore di sella e di stare in quota. La sua proposta è capitata a fagiolo. Posso dire che siamo davvero andati alla scoperta.

Come è andata dal punto di vista della preparazione?

Io avevo già deciso di fare altura lassù, di base al Pordoi: mi trovo bene ed è un posto ideale anche per ritrovare la concentrazione. In più il periodo era perfetto in vista di un’eventuale Vuelta. Quando sono partito infatti non avevo ancora la certezza che sarei andato in Spagna. Sapevo però che avrei dovuto e potuto lavorare bene e in pace, cosa fondamentale, perché a casa tra famiglia e il resto non è poi così facile. E così abbiamo deciso di passare 15 giorni lassù.

Con Mattia…

Esatto. Lui è uno che comunque, lo sappiamo, pedala forte. Era già stato con me a Gran Canaria e insieme abbiamo fatto molti lavori. A lui serviva qualcuno per la strada e a me per il gravel (di cui Mattia De Marchi è un esperto, ndr)

Come avete lavorato?

Dopo i primi giorni di adattamento dovevamo fare dei blocchi di carico di tre giorni ciascuno, intervallati da uno di scarico. In accordo anche con i preparatori abbiamo deciso che uno di questi blocchi sarebbe stato in gravel. Bisognava fare infatti endurance pura, ore di sella. E in queste uscite ho aggiunto anche un lavoro di nutrizione, delle sessioni low carb.

Come mai? E come le hai inserite nell’allenamento?

Primo perché le due cose (gravel e low carb) si combinavano bene, secondo perché dovevo perdere qualcosina in termini di peso. Parliamo di uscite di 6-7 ore. Così ho sbilanciato la nutrizione sulla parte proteica e dei grassi, riducendo quella dei carboidrati. Era qualcosa che già avevo fatto in passato e di cui avevo buoni feedback.

Come sono andate queste uscite? Abbiamo visto anche alcuni passaggi davvero tecnici…

Vero, sassi, pietre, ghiaia, sterrati più semplice… ma in ogni caso in salita il terreno più mosso ti costringe ad avere una pedalata “piena ma dosata”. Devi spingere, ma non strappare altrimenti la ruota posteriore slitta, perde trazione e sei costretto a fermarti. E’ stato quasi un lavoro di forza a bassa cadenza e a bassa intensità. Anche questa perfetta per fare volume.

Avete toccato punti sublimi.

Davvero… Dal Pordoi siamo andati verso Porta Vescovo e poi siamo scesi. Oppure all’Alpe di Siusi, passando dalla Val Duron (sopra la Val di Fassa e alle spalle del Sassolungo, ndr) e poi abbiamo risalito la Val Gardena, facendo la salita di Dantercepies, in pratica il Passo Gardena in sterrato.

In pratica avete percorso molte delle strade della Hero, un’importante gara di mtb. Qual è stato il momento più duro?

La parte dura? La sfida quotidiana, vale a dire non mettere il piede a terra. E ho sempre perso! Sia sul Gardena che un giorno lungo una salita verso Cortina è stato difficile non crollare a terra.

Quali pedali avevi?

Quelli da strada. Anche mio cugino… Ma ormai è così. Avete visto come vanno nel gravel ormai? Per quanto si spinge servono pedali che ti danno sicurezza, stabilità, spinta.

Le scarpe le avrete distrutte…

Un po’ sì. Ne avevo un paio sacrificabili al gravel.

Avevate gomme particolarmente tassellate?

No, semmai giocavamo più sulle pressioni. Il vero trucco è lì: capire la pressione giusta. Io partivo sempre con una pressione un po’ troppo alta, cosa tipica degli stradisti. Poi quando capivo che la bici non era guidabile, mi fermavo e sgonfiavo un po’.

Paesaggi unici che hanno fatto bene alle gambe e anche alla mente
Paesaggi unici che hanno fatto bene alle gambe e anche alla mente
Prima, Alessandro, hai parlato di un certo modo di pedalare in salita. E’ stato anche un lavoro neuromuscolare?

Assolutamente sì. Il volume totale alla fine non è cambiato di molto, mentre quello che succede nel gravel è la distribuzione dello sforzo che è sproporzionato tra salita e discesa. Su strada si spinge anche un po’ in discesa e di conseguenza un po’ di potenza la sviluppi. Nel gravel, soprattutto se la discesa è tecnica, quasi non pedali. Devi stare attento alla guida, al bilanciamento, al controllo della bici. E’ un impegno mentale, di colpo d’occhio.

Invece il ritorno sulla bici da strada si sentiva?

Sì, parecchio. La guida gravel, come ho detto, è più precisa, sensibile e anche più faticosa specialmente per me che non sono così efficiente. Al contrario Mattia quando saliva sulla bici da strada avvertiva questo beneficio di semplicità e aveva sensazioni più agevoli. Io insomma risentivo un po’ dell’utilizzo di altri muscoli, altri nervi.

Alessandro, tu sei un appassionato di gravel e hai già preso parte ad un mondiale. Questo blocco dolomitico è stato fatto anche in ottica iridata?

Sì, sicuramente sarà servito. Tuttavia non l’ho fatto pensando al mondiale, ma di certo non ci stava male e sono stato contento di aver passato delle ore sulla bici gravel. Poi anche pensando alle gare gravel, il resto dell’allenamento lo fai con il ritmo della strada e in tal senso la Vuelta potrebbe essere un aiuto proprio in vista del mondiale gravel ad inizio ottobre. E del successivo campionato europeo.

Come affronti questa Vuelta?

E’ una Vuelta classica per me. Quest’anno ci sono una miriade di occasioni e dal team ho avuto abbastanza carta bianca, visto che non abbiamo un leader assoluto per la classifica generale. Possiamo interpretarla liberamente e proveremo ad approfittarne. Magari cercherò di essere un po’ più conservativo nella prima settimana, per risistemarmi e magari salvando qualche energia, per poi provare a fare di più dalla seconda settimana in poi. E’ soprattutto questo aspetto della prima settimana che m’interessa, visto che negli ultimi due grandi Giri che ho disputato ho fatto fatica a trovare dei momenti per salvare la gamba e poter crescere.

L’Unbound di Mattia De Marchi: dopo 200 miglia, a 5″ dal podio

25.06.2024
7 min
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Dopo un passato da pro’ che l’ha visto vincere una tappa al Tour of China nel 2016, da diversi anni Mattia De Marchi ha deciso di dedicarsi a tempo pieno al gravel. Una scelta che l’ha portato a vincere la scorsa edizione della famosissima corsa spagnola The Traka, e che quest’anno l’ha fatto volare in Kansas per partecipare al più importante evento gravel al mondo, l’Unbound 200.

Alla fine di una gara tiratissima contro alcuni mostri sacri della disciplina (in apertura, foto Roszko), Mattia è arrivato 5°, a cinque secondi dal podio. Il migliore degli italiani (nel gruppo dei nostri c’era un debuttante d’eccezione: Daniel Oss). Ci ha raccontato com’è andata.

Mattia, cominciamo dall’inizio. Com’è andato il tuo avvicinamento all’Unbound 2024?

Rispetto alle passate tre edizioni anni abbiamo deciso di arrivare molto più all’ultimo, senza viaggiare troppo presto, perché diciamo che l’America non è un posto facile dove allenarsi. L’anno scorso abbiamo passato lì tre settimane prima della gara e alla fine sono arrivato alla partenza che ero già finito. Perché quando sei lì non riesci ad allenarti con i tuoi soliti ritmi, seguendo l’alimentazione alla quale sei abituato, nel tuo ambiente familiare. Quindi questa volta siamo arrivati quattro giorni prima, che andava benissimo anche considerando il fuso orario, visto che la gara parte la mattina molto presto.

E’ stato utile?

Questa freschezza mentale mi è servita moltissimo. Arrivavo da un momento di stress dopo aver rotto il cambio alla fine della The Traka e non aver portato a casa niente. Un evento come l’Unbound è imprevedibile, ti giochi tutto in un giorno solo, possono succedere mille cose. In più quest’anno c’erano almeno 30 corridori che potevano vincere. L’importante è gestirsi a livello mentale.  Infatti nella prima metà di corsa avevo più paura di forare che di staccarmi dal gruppo principale.

Questo però significa che stavi molto bene fisicamente

Devo dire di sì. Mi avevano detto che il percorso sarebbe stato più duro di quello dell’anno scorso, ma io non l’ho trovato così più difficile. Il dislivello totale era maggiore, ma le salite sono comunque molto corte e quindi in realtà non riesci a fare troppa differenza. Poi quest’anno c’è stato anche un po’ controllo e dopo 150 km davanti eravamo ancora in 50, rispetto ai 15-20 delle passate edizioni, questo anche per il livello più alto in generale. Infatti è uscita una gara molto tattica, in cui tutti i favoriti si controllavano.

Tutti tranne un paio…

Lachlan Morton infatti ha corso senza pensare agli altri, a suo modo, seguendo la sua idea, e lo stesso ha fatto Chad Haga. Io invece per una volta – anche d’accordo con i preparatori – ho deciso di rischiare e stare più a ruota possibile. Poi forse se anche li avessi seguiti, gli altri non mi avrebbero lasciato spazio, perché ormai sono abbastanza conosciuto anche in America. Quindi ho deciso di rischiare, cercando di giocarmi il mio jolly più avanti possibile, anche perché in un percorso molto veloce in cui serve tanta forza io con con i miei 60 kg partivo svantaggiato. Quando in effetti me Io sono giocato, a 80 km dall’arrivo, mi sono reso conto che stavo ancora bene. 

Raccontaci un po’ meglio di questo jolly

A 80 km dalla fine c’era l’ultima feed zone, che ormai sono diventate come la Formula Uno. Una volta ci si rilassava, si respirava anche un po’, adesso se ti fermi più di 20 secondi rischi di rimanere indietro e buttare via la gara. Un po’ di esperienza gli anni scorsi l’avevo fatta e appena mi sono accorto che un gruppetto di corridori forti è ripartito prima di me, ho colto l’attimo e ho cercato subito di rientrare da solo. Perché sapevo che quella era un’ottima occasione di entrare in una fuga di qualità, dove è anche più facile andare d’accordo rispetto che in un gruppo con tanti corridori. Sono rientrato senza fare neanche troppa fatica e siamo andati avanti in 6-7 così per un po’, poi anche noi abbiamo iniziato a guardarci e quelli dietro ci hanno raggiunti. Lì mi sono detto che avrei dovuto inventarmi qualcosa.

E cosa hai fatto?

Ho attaccato una prima volta, ma nessuno mi ha seguito, allora mi sono fermato. Poi ho approfittato di un momento di indecisione e mi sono avvantaggiato con Stetina, assieme ad altri due ragazzi. Siamo stati per un bel po’ di chilometri con solo una decina di secondi di vantaggio sugli altri, ma è in quei momenti lì che devi tenere duro, perché poi basta poco per fare la differenza. Infatti col passare del tempo abbiamo preso un bel vantaggio. All’improvviso Stetina si è staccato e così abbiamo perso uno che ci dava una grossa mano. A quel punto ce l’abbiamo messa tutta per ricucire il distacco che avevamo su Morton e Haga, circa 1’30’’. Ma in quei momenti più vai avanti nella gara più è difficile rientrare, soprattutto quando ti trovi davanti gente come loro due, due regolaristi che possono andare avanti all’infinito.  Ormai non avevo molta scelta e dovevo cercare di arrivare al traguardo in meno possibile, ma ai -30 km sono rientrati su di noi 5-6 corridori tra cui Van Avermaet, e la corsa è ricambiata di nuovo. Ci siamo resi conto che i primi due erano andati e quindi sono saltati tutti i possibili accordi.

E qui hai deciso di giocarti il secondo jolly di giornata?

Esatto, ho dovuto inventarmi qualcosa per portare almeno a casa un bel risultato e a 10 km dalla fine ho attaccato ancora. Siamo andati via in tre, poi io a quel punto a dire la verità ero abbastanza stanco, con gli altri due molto forti in pianura e sono riuscito ad arrivare giusto alla fine, dove ho fatto 5°. E’ il mio miglior risultato all’Unbound, dopo il 13° del 2022 e le difficoltà dovute al terreno dell’anno scorso. Quindi devo dire che per me, anche se non ho vinto o centrato il podio, è stata comunque davvero un’ottima giornata.

L’altro De Marchi tra gare e passione: domenica il mondiale

02.10.2023
6 min
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Una birra e un sorriso. Si era chiuso così il mondiale gravel 2022 di Mattia De Marchi, pochi minuti dopo aver tagliato la linea del traguardo. Alzata al cielo e rivolta verso il cugino Alessandro che prima di un abbraccio dal sapore fraterno gli ha mostrato un sorriso di stima. Si potrebbe racchiudere in questi pochi secondi la filosofia con cui Mattia affronta il ciclismo. 

L’anno scorso era amatore, quest’anno è elite. «Ho semplicemente cambiato il tesserino, ma sono sempre io». Secondo al campionato italiano di Fubine, convocato per l’europeo in terra belga e tra meno di una settimana sarà al via del secondo mondiale gravel della storia. Il suo progetto Enough Cycling (foto in apertura di Bastien Gason), rivolto a portare sempre più ciclisti ad andare in bici per divertirsi, prosegue ma le sue prestazioni dimostrano che i De Marchi non sono proprio mai banali quando salgono in sella.

Qui De Marchi dopo l’arrivo del mondiale gravel 2022 a Cittadella, con la sua birra in mano (foto di Chiara Redaschi)
Qui De Marchi dopo l’arrivo del mondiale gravel 2022 a Cittadella, con la sua birra in mano (foto di Chiara Redaschi)

Italiano a sorpresa

«Non dovevo nemmeno correrlo». Così Mattia ci ha risposto alla domanda su come fosse andato il campionato italiano gravel. Il suo secondo posto in effetti ha un po’ stupito chi segue il movimento. Non per la prestazione, ma perché De Marchi è un ciclista che venera le due ruote in ogni declinazione senza aver mai posto la competizione come obiettivo primario. Ultra ciclista, biker, ex stradista, il ritorno con il numero attaccato sulla schiena in gare internazionali è sicuramente qualcosa su cui porre la lente di ingrandimento. 

«Non era nei programmi – spiega Mattia – il sabato ero in Spagna a fare la finale di Gravel Earth Series, alla quale non potevo mancare, perché era la prima volta che organizzavano un circuito così importante in Europa. Ero in testa alla classifica, l’organizzatore ha sempre creduto nel nostro progetto e non potevo non andare. Fatto sta che all’ultimo ho visto che c’era un volo per riuscire a fare anche l’italiano. Così un mio amico è venuto a recuperarmi in aeroporto e alle 3,30 del mattino sono arrivato a Fubine per poi presentarmi alla partenza alle 10,30. Poche ore di sonno, tanta sofferenza nei primi chilometri e tanto rammarico alla fine, quando ho trovato delle energie inaspettate che mi hanno permesso di chiudere secondo. Sono soddisfatto, ma ora mi mangio un po’ le mani».

Ieri Mattia De Marchi ha corso l’europeo nelle Fiandre insieme alla nazionale maggiore
Ieri Mattia De Marchi ha corso l’europeo nelle Fiandre insieme alla nazionale maggiore

Mondiale di casa

Un anno fa era in maglia azzurra in veste di amatore. Quest’anno il CT Pontoni lo ha voluto all’europeo nelle Fiandre e tra una settimana sarà al via del mondiale italiano. Un cambio di casacca, anzi di categoria, che lo vede quest’anno convocato nella nazionale maggiore. «Io e il mio amico Francesco Bettini quest’anno siamo elite. Ad essere sinceri l’anno scorso l’UCI cambiava regole ogni giorno ed è stata un po’ una confusione. Ora sono pronto a correre questo mondiale che mi piace davvero tanto. Sia come percorso sia come contesto. 

«Saremo invasi dagli stradisti – dice De Marchi – ma penso di poter dire la mia. La corsa sarà di 5 ore e loro saranno ancora nella zona di comfort, vedremo. Per le mie caratteristiche preferisco gare più lunghe, sono un corridore di fondo. All’italiano ho iniziato a sentirmi meglio nel finale e se ci fosse stato un giro in più chissà… Per domenica prossima sono incuriosito anche perché so che quest’anno ci saranno anche gli americani. Il gravel loro lo conoscono bene. Vedremo anche le partenze: nelle ultime tre gare in Italia, sembrava che l’arrivo fosse dopo la prima curva».

Cugini in azzurro

In maglia azzurra già da questi campionati europei corsi in terra fiamminga, Mattia ha condiviso l’esperienza con il cugino Alessandro. «L’ultima volta che ho corso con lui era ultimo anno tra i dilettanti e io primo anno. Cercavo solo di imparare da lui qualsiasi dettaglio. Dopo anni ci ritroviamo insieme e con la maglia della nazionale. Beh, è la conferma che tutto torna e sicuramente ci divertiremo». 

Qualche giorno fa i De Marchi sono andati sul percorso iridato per fare la ricognizione, il rosso di Buja della Jayco-AlUla ha commentato così il tracciato: «Bello, nervoso e duro. Credo sia uno dei percorsi offroad più belli che abbia affrontato. Anche se è vero che non ne ho fatti tanti quanti Mattia. Equilibrato nella durezza e nei tratti tecnici. Rampe e discese impegnative non mancano, non basterà saper salire forte, ma bisognerà anche cavarsela nei tratti all’ingiù. La pianura c’è, ma il fondo non sarà sempre così scorrevole, anzi…Il finale tra le colline del Prosecco farà da grande cornice: già ora ci invidiano queste colline, lo faranno ancora di più dopo il mondiale!».

Progetto Enough

Quando Mattia ci risponde è la vigilia del campionato europeo. «Non sono abituato – dice – a qualcuno che mi pulisce la bici, mi dice quando mangiare, mi ritira il numero. Sono tutte cose che faccio io di solito. Quest’anno mi sono dato dei ritmi scanditi con un atteggiamento più da atleta. Ho fatto dei periodi di stacco, con un senso. Però ammetto che se dovessi fare anche solo un anno dedicato interamente alle corse mi sentirei un po’ perso. Il mio atteggiamento è quello del progetto Enough in cui ho sempre creduto. Se c’è qualcosa che mi piace, lo faccio. Gare estreme di ultra cycling, gare di MTB e così via, prendo e vado». 

De Marchi si è sempre dimostrato scettico nella declinazione totale del gravel all’insegna della competizione.  «Un giorno non potrò più essere competitivo – afferma Mattia – voglio godermi ogni momento. Il progetto Enough è sempre al primo posto. Siamo partiti tre anni fa senza niente e oggi ci ritroviamo a muovere persone con l’obiettivo di portarne sempre di più a godersi la bici per stare bene insieme. Sto pensando anche di rimettermi a studiare, per dire quanto tutto è in evoluzione».

Il cantautore romagnolo Samuele Bersani in Giudizi Universali diceva “troppo cerebrale per capire che si può stare bene senza complicare il pane… Togli la ragione e lasciami sognare in pace”. Questo concetto Mattia ce l’ha scolpito nell’anima e per il bene di questa disciplina, approcci come il suo vanno protetti e sottolineati. «Una cosa è certa – conclude De Marchi – come l’anno scorso, al termine del mondiale, mi vedrete con la mia birra in mano nel bene e nel male della corsa a godermi quanto fatto insieme a tutti». 

Il gravel di De Marchi? «Abbastanza per sentirsi vivi»

27.12.2021
7 min
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«Andiamo in bici perchè pensiamo sia abbastanza per sentirci appagati». E’ questo il manifesto alla base del progetto di Mattia De Marchi. La squadra o per meglio dire collettivo, come vogliono essere chiamati loro, si chiama Enough Cycling. Nata a marzo, è l’insieme di intenti di nove atleti che vogliono vivere la bicicletta per essere felici. Chi in modo agonistico, chi per divertimento, chi entrambe le cose. Con Mattia abbiamo voluto approfondire la sua visione per il gravel in Italia e all’estero.

Il veneto alle spalle ha un’esperienza da stradista con uno stage da professionista alla Androni Giocattoli-Sidermec. Dopodiché ha deciso di reinventarsi e di affrontare la bici con un’altra filosofia. Non solo gare ma condivisione e agonismo come si legge sempre nella mission.

«Esploriamo e gareggiamo – dice – ci divertiamo e soffriamo. Ci spingiamo oltre ai nostri limiti e ce la prendiamo comoda. Pensiamo che il ciclismo non sia molto, ma sia già abbastanza per sentirsi vivi e in pace con se stessi».

Nelle corse di ultracycling i momenti di riposo sono pochi e spesso brevi (foto di Chiara Redaschi)
Nelle corse di ultracycling i momenti di riposo sono pochi e spesso brevi (foto di Chiara Redaschi)
Come ti sei avvicinato al gravel?

Ho fatto lo stagista in Androni e poi mi sono messo a fare altro. Inizialmente le gare erano negli Stati Uniti e per me e per chi si approccia a questo mondo l’oltreoceano era irraggiungibile dal punto di vista economico. Così mi sono buttato sul gravel, ma in modo diverso, andando a fare corse molto lunghe. Tipo in Marocco, la Atlas Mountain Race o l’Italy Divide. Dall’anno scorso ho cominciato a metterci un po’ più la testa anche sulle gare più corte.

Siamo agli sgoccioli di questo 2021 di Enough Cycling, ma da dove è iniziato tutto?

E’ nata una squadra attorno a otto ragazzi con lo stesso intento. Anche se non ci piace chiamarla squadra ma collettivo. Dall’anno prossimo saremo in nove ciclisti che vivono la bici in tanti modi. C’è chi non ha mai fatto una gara. Chi fa solo gare lunghe. Io per esempio ho un passato da pro’. Un ragazzo viene dall’atletica. Un altro dallo sci. Però ci siamo resi conto che abbiamo una cosa in comune. Andare in bici ci fa stare bene. Noi portiamo avanti questo motto. “La bici è abbastanza per essere felici”.

Che situazione vedi per il gravel in Europa?

Siamo un po’ indietro è vero, però c’è da dire che il gravel è nato in America. Loro hanno spazi molto più vasti, sono un po’ più lungimiranti di noi. Pian piano si sta arrivando anche qua. Per come la vedo io non bisogna soffermarsi troppo su quello che sarà il calendario UCI. Anche perché ad oggi non si sa ancora nulla. E’ un’ipotesi.

Pensi che il calendario UCI possa dare il giusto spazio a questa disciplina?

Per quanto mi riguarda, non mi sono basato su quello. Voglio continuare a fare le gare di ultracycling. Dove mi metto alla prova su distanze da 700/1.000 chilometri. Ma non voglio nemmeno privarmi dal provare ad andare in America e misurarmi su distanze più corte nella patria del gravel. Voglio continuare a fare quello che ho sempre fatto. Attualmente ho lavorato per un calendario e non ho tenuto conto di quello. Se ci si guarda in giro, di eventi ce ne sono sempre di più. E a parer mio non ci si deve basare solo sulla competitività. L’errore che faranno in tanti sarà soffermarsi solo sugli eventi che sono gara. Invece il gravel è un contenitore molto grande dove ci sono tanti modi di viverlo.

E’ un ambiente che sta crescendo molto?

Sì, assolutamente. Sia in termini di eventi sia di persone che si stanno avvicinando a questo mondo. Bisogna stare attenti in Europa. Moltissime persone si sono avvicinate per cercare una condivisione più che per la gara in sé. Dobbiamo essere bravi a non snaturare come è nato il movimento. Gli Stati Uniti ci insegnano anche su questo. Lì c’è la gara che è competizione pura. Però la parte di condivisione del prima e dopo c’è. Il rischio di avere una direzione solo incline alla competizione da parte dell’UCI è reale ma ci si può confrontare perché questo non avvenga.

Come si sostiene un progetto come il tuo?

Io ci ho messo tre anni. Mi sono licenziato un mese fa. Sono partito da zero. La prima bici l’ho chiesta ad un negoziante. Ero rimasto a piedi senza contratto e non avevo altro. Dal cognome il collegamento a mio cugino (Alessandro De Marchi, il rosso di Buja, ndr) potrebbe far pensare che le cose siano venute da sé. Invece no, le porte me le sono volute aprire da solo. Ho acquistato credibilità e gli sponsor poco alla volta hanno iniziato a credere nel mio progetto. La mia figura funzionerebbe anche da sola, come quasi tutti gli ex professionisti che si avvicinano a questo mondo. Però funziona tutto meglio con Enough. Questo progetto è nato in maniera più strutturata per fare arrivare alle persone il messaggio. Poi all’interno ci sono tante sfaccettature e obbiettivi, dalla parte competitiva al solo viaggio.

Spiegaci meglio…

Alle aziende inizia a non bastare più solo la vittoria. Avere una storia da raccontare può essere efficace anche quando il risultato non c’è. Per noi l’obbiettivo è il racconto. Quando andiamo ad un evento pensiamo sempre a come trasmetterlo a chi ci segue. Come per esempio il video dell’Italy Divide. Non nascondo che ho preso delle infamate perché mi facevo seguire da due operatori. Ma a me interessava raccontare le emozioni che provavo e trasmetterle a più persone.

Che futuro vedi per il tuo progetto?

Spero in una crescita costante. Vorremmo cominciare ad organizzare qualche evento in Italia. Le idee sono molte, dobbiamo riordinarle e fare in modo di realizzarle per come è il nostro modo di pensare. La seconda è essere sempre più inclusivi. Diventare una A.S.D. per permettere a tutti di iscriversi e indossare la nostra maglia e condividere il messaggio. Poi sinceramente non lo sappiamo bene neanche noi dove potremmo arrivare. Una cosa è certa, non perderemo mai la nostra identità. 

Il messaggio è bellissimo, ma lo è anche vincere…

Io la vena agonistica non potrò mai sopprimerla. Ci nasci. Non la nasconderò mai, mi metterò sempre alla prova. Sono il primo a dire che le ride mi piacciono, ma anche che io ho bisogno della gara. E se è sana non ci vedo niente di male, quindi sono il primo che vuole entrambe le cose. Continuerò come ho fatto in questi anni a fare un po’ di tutto.

De Marchi in settembre ha vinto in Spagna la Badlands (foto di Chiara Redaschi)
De Marchi in settembre ha vinto in Spagna la Badlands (foto di Chiara Redaschi)
Sempre senza dare però troppa importanza al risultato?

Esatto, non è la nostra priorità. Anche se per le aziende è molto importante. Rimarremo sempre con la libertà di fare una notte in bivacco. Non ci fisseremo mai su un obiettivo unico. In Spagna alla Badlands non ho dormito due notti e tutti mi chiedono come abbia fatto. La verità è che non avevo il tempo di dormire, non ne sentivo il bisogno. Erano tutti percorsi in salita, discesa, single track, di giorno, di notte. Paesaggi bellissimi. 

Hai dei consigli per chi si vuole avvicinare a questo mondo?

Il mio consiglio è di non fissarsi con le gare. Bisogna pensare che è un mondo nuovo in evoluzione. Fare un semplice bikepacking e spostarsi da un posto ad un altro in sella alla propria bicicletta e raccontare il viaggio. Si diventa forse più genuini che ad affrontare un calendario di sole gare e portare lo stress del risultato in questo ambito. E questo le aziende che stanno al passo lo notano e c’è un ritorno naturale. Ognuno deve trovare la sua dimensione. E io credo di averla trovata e che sia abbastanza.