Il gravel prima della Vuelta: è quel che ha fatto Alessandro De Marchi. Il Rosso di Buja riesce sempre a stupire in qualche modo. Mai banale nelle dichiarazioni e nei fatti e anche stavolta ci ha colpito. Fino a pochi giorni prima di partire per la Spagna era nel cuore delle Dolomiti in compagnia del cugino ad allenarsi in quota… e offroad.
Giornate fantastiche, dure e divertenti tra Marmolada, Gruppo del Sella, Lagazuoi… ma anche tanto allenamento vero. Oltre 1.500 chilometri e 70 ore di sella nei giorni dolomitici di Alessandro e suo cugino Mattia De Marchi.
Alessandro, cosa avete combinato con tuo cugino?
E’ stata una bella esperienza. In realtà tutto è nato da un’idea di Mattia che doveva fare certi lavori e io ne ho approfittato per la mia preparazione, visto che anche io avevo bisogno di fare ore di sella e di stare in quota. La sua proposta è capitata a fagiolo. Posso dire che siamo davvero andati alla scoperta.
Come è andata dal punto di vista della preparazione?
Io avevo già deciso di fare altura lassù, di base al Pordoi: mi trovo bene ed è un posto ideale anche per ritrovare la concentrazione. In più il periodo era perfetto in vista di un’eventuale Vuelta. Quando sono partito infatti non avevo ancora la certezza che sarei andato in Spagna. Sapevo però che avrei dovuto e potuto lavorare bene e in pace, cosa fondamentale, perché a casa tra famiglia e il resto non è poi così facile. E così abbiamo deciso di passare 15 giorni lassù.
Con Mattia…
Esatto. Lui è uno che comunque, lo sappiamo, pedala forte. Era già stato con me a Gran Canaria e insieme abbiamo fatto molti lavori. A lui serviva qualcuno per la strada e a me per il gravel (di cui Mattia De Marchi è un esperto, ndr)
Come avete lavorato?
Dopo i primi giorni di adattamento dovevamo fare dei blocchi di carico di tre giorni ciascuno, intervallati da uno di scarico. In accordo anche con i preparatori abbiamo deciso che uno di questi blocchi sarebbe stato in gravel. Bisognava fare infatti endurance pura, ore di sella. E in queste uscite ho aggiunto anche un lavoro di nutrizione, delle sessioni low carb.
Come mai? E come le hai inserite nell’allenamento?
Primo perché le due cose (gravel e low carb) si combinavano bene, secondo perché dovevo perdere qualcosina in termini di peso. Parliamo di uscite di 6-7 ore. Così ho sbilanciato la nutrizione sulla parte proteica e dei grassi, riducendo quella dei carboidrati. Era qualcosa che già avevo fatto in passato e di cui avevo buoni feedback.
Come sono andate queste uscite? Abbiamo visto anche alcuni passaggi davvero tecnici…
Vero, sassi, pietre, ghiaia, sterrati più semplice… ma in ogni caso in salita il terreno più mosso ti costringe ad avere una pedalata “piena ma dosata”. Devi spingere, ma non strappare altrimenti la ruota posteriore slitta, perde trazione e sei costretto a fermarti. E’ stato quasi un lavoro di forza a bassa cadenza e a bassa intensità. Anche questa perfetta per fare volume.
Avete toccato punti sublimi.
Davvero… Dal Pordoi siamo andati verso Porta Vescovo e poi siamo scesi. Oppure all’Alpe di Siusi, passando dalla Val Duron (sopra la Val di Fassa e alle spalle del Sassolungo, ndr) e poi abbiamo risalito la Val Gardena, facendo la salita di Dantercepies, in pratica il Passo Gardena in sterrato.
In pratica avete percorso molte delle strade della Hero, un’importante gara di mtb. Qual è stato il momento più duro?
La parte dura? La sfida quotidiana, vale a dire non mettere il piede a terra. E ho sempre perso! Sia sul Gardena che un giorno lungo una salita verso Cortina è stato difficile non crollare a terra.
Quali pedali avevi?
Quelli da strada. Anche mio cugino… Ma ormai è così. Avete visto come vanno nel gravel ormai? Per quanto si spinge servono pedali che ti danno sicurezza, stabilità, spinta.
Le scarpe le avrete distrutte…
Un po’ sì. Ne avevo un paio sacrificabili al gravel.
Avevate gomme particolarmente tassellate?
No, semmai giocavamo più sulle pressioni. Il vero trucco è lì: capire la pressione giusta. Io partivo sempre con una pressione un po’ troppo alta, cosa tipica degli stradisti. Poi quando capivo che la bici non era guidabile, mi fermavo e sgonfiavo un po’.
Prima, Alessandro, hai parlato di un certo modo di pedalare in salita. E’ stato anche un lavoro neuromuscolare?
Assolutamente sì. Il volume totale alla fine non è cambiato di molto, mentre quello che succede nel gravel è la distribuzione dello sforzo che è sproporzionato tra salita e discesa. Su strada si spinge anche un po’ in discesa e di conseguenza un po’ di potenza la sviluppi. Nel gravel, soprattutto se la discesa è tecnica, quasi non pedali. Devi stare attento alla guida, al bilanciamento, al controllo della bici. E’ un impegno mentale, di colpo d’occhio.
Invece il ritorno sulla bici da strada si sentiva?
Sì, parecchio. La guida gravel, come ho detto, è più precisa, sensibile e anche più faticosa specialmente per me che non sono così efficiente. Al contrario Mattia quando saliva sulla bici da strada avvertiva questo beneficio di semplicità e aveva sensazioni più agevoli. Io insomma risentivo un po’ dell’utilizzo di altri muscoli, altri nervi.
Alessandro, tu sei un appassionato di gravel e hai già preso parte ad un mondiale. Questo blocco dolomitico è stato fatto anche in ottica iridata?
Sì, sicuramente sarà servito. Tuttavia non l’ho fatto pensando al mondiale, ma di certo non ci stava male e sono stato contento di aver passato delle ore sulla bici gravel. Poi anche pensando alle gare gravel, il resto dell’allenamento lo fai con il ritmo della strada e in tal senso la Vuelta potrebbe essere un aiuto proprio in vista del mondiale gravel ad inizio ottobre. E del successivo campionato europeo.
Come affronti questa Vuelta?
E’ una Vuelta classica per me. Quest’anno ci sono una miriade di occasioni e dal team ho avuto abbastanza carta bianca, visto che non abbiamo un leader assoluto per la classifica generale. Possiamo interpretarla liberamente e proveremo ad approfittarne. Magari cercherò di essere un po’ più conservativo nella prima settimana, per risistemarmi e magari salvando qualche energia, per poi provare a fare di più dalla seconda settimana in poi. E’ soprattutto questo aspetto della prima settimana che m’interessa, visto che negli ultimi due grandi Giri che ho disputato ho fatto fatica a trovare dei momenti per salvare la gamba e poter crescere.