Cronache di Oss, nostro inviato (tanto) speciale alla Unbound

08.06.2024
10 min
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EMPORIA (USA) – Il fatto è che avrei così tante robe da dire… Di solito mi trovo anche ispirato, perché mi piace quando mi emoziono. Però in questo caso, ho talmente tante cose da scrivere che non so da dove partire e come incastrarlo. Perché il gravel è un altro mondo. Mi piacerebbe dire da dove arrivo, ma sarebbe un preambolo che esula dalla gara. E poi sulla gara in sé, sulla Unbound Gravel, rischio di dire cose che magari per me sono scontate e magari non vanno direttamente al punto. E finisce che si sparpagliano in un vomito di parole un po’ confuse…

Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)
Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)

Un pallino americano

Dell’Unbound avevo sempre solo sentito parlare. E’ la più grande gara gravel d’America e forse del mondo. Avevo letto tanti articoli, racconti di ex professionisti che l’avevano provata. Ma anche tanti amici che l’hanno fatta come amatori, soltanto per una challenge, come la chiamano in America.

Una sfida contro se stessi e contro un percorso per nulla scontato. Mettersi alla prova sulla distanza classica di 200 miglia, se non sei allenato e non hai dimestichezza con il ciclismo, è una cosa tanto grande. Ma anche fare solo le 50 o 100 miglia è tanta roba. Ecco, insomma, ne avevo solo sentito parlare.

Perciò, da quando abbiamo voluto il progetto Gravel, nella mia testa l’Unbound è sempre stata un pallino. E’ tutto molto grande, americano: tutto molto «Wow!». Tanti ne decantano la grandezza e la maestosità.

Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari
Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari

Un giorno da eroi

Prevale l’eroismo nel fare questa cosa pazzesca. E oltre a questo, ovviamente, gli sponsor come Specialized ne hanno capito il valore e devono assolutamente esserci. Anche se loro vogliono primeggiare, essere davanti, essere presenti e protagonisti nel panorama gravel americano. E con questa Unbound si va dritti al cuore del discorso. Con questa mega gara popolare, magari ancora poco famosa, poco connessa da un punto di vista mediatico. Non c’è una diretta tv, ci sono quelle Instagram, forse su YouTube. Forse degli highlights vanno in televisione, ma su canali secondari.

In Europa, zero. Quasi non se ne sente parlare, se non perché quest’anno ha vinto Lachlan Morton. Ma tolti alcuni media specializzati, è un evento che di qua quasi non esiste. Però, fatto questo preambolo, davanti a un evento così grande che poi è sfociato in una gara, tra i racconti e quello che ho sempre sentito e quello che gli sponsor e la squadra mi chiedevano, un racconto ve l’ho promesso e vorrei farlo. Per cui, eccoci qua…

Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)
Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)

Cambio di pelle

Le aspettative erano buone e si sono confermate, non voglio dire il contrario. Ma quello che mi ha stupito molto è il fatto che il livello sia completamente cambiato. Vi faccio un esempio, magari dico cose a caso che in un articolo non vanno bene, ma serve per capire. Un anno fa, quando si parlava di gravel e di UCI Gravel Series piuttosto che altre tipologie di gara, si era capito che il settore fosse in crescita. Però c’era ancora un modo di correre piuttosto blando, per cui si riusciva a fare le gare anche in maniera un po’ goliardica. Si stava insieme, non c’era la necessità di riprendere in mano tutto il mondo degli allenamenti o dei rifornimenti e come farli.

Non era una dimensione troppo seriosa. Era un po’ a tarallucci e vino, tipo nozze coi fichi secchi. E poi alla fine chi stava bene faceva la sua volata o andava in fuga. Però la gara era basata ancora sull’avventura, sul partecipare e concludere un’impresa. Il fatto che ora il movimento sia cresciuto così tanto, rende tutto molto più professionistico. Quindi in questa Unbound mi sono trovato davanti a squadre organizzate, con atleti super allenati ed esperti, tecnicità da tutti i punti di vista. Ho visto anche dei body con un camelback integrato, molto fuori dalla logica gravel. Ho visto tanta aerodinamica, che sta diventando importante anche in questo settore.

Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)
Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)

La più veloce della storia

Fate conto che quest’anno, l’Unbound 2024 è stata la gara più veloce nella storia… dell’Unbound. Si corre dal 2006 e nei primi anni non c’era così tanta importanza per l’agonismo. I racconti dei miei ex colleghi professionisti erano tutti simili. Cioè ci si allenava 15 ore, si andava all’Unbound di 200 miglia, quindi 320 chilometri. E un atleta medio del WorldTour la faceva… fumandosi una sigaretta. Per dire che era abbastanza semplice. Riuscivi a vincere, riuscivi a farti la volata, aspettavi chi era meno allenato.

Invece quest’anno, le prime ore le abbiamo fatte a 40 e passa di media, tutti in gruppo. E poi un po’ alla volta c’è stata la scrematura. Ma chi ha vinto la gara, alla fine aveva 36 di media. Io ho finito 43° circa, a quasi 40 minuti da Morton e a quasi 33 di media. Quindi è abbastanza folle pensare a quanto tutto sia cresciuto in modo esponenziale da un anno all’altro.

Il percorso era asciutto, non c’erano tratti di fango. Siamo andati verso nord rispetto al solito, quindi era un percorso un po’ più duro. C’erano 3.500 metri di dislivello, pazzesco, è stata durissima. E non è che ci fosse una salita da 1.000 metri di dislivello, erano tutti strappi da un chilometro, 500 metri, 300 metri… Tutto così e quindi difficile per me.

Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)
Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)

Sveglia alle 3,30

Per cui, riepilogando, Unbound Gravel: 200 miglia – 326 chilometri – sterrata per il 98 per cento. C’erano solo due/tre piccole connessioni di asfalto, ma veramente irrisorie. Partenza all’alba, alle 5,50 del mattino gli elite e poi nell’arco di 20 minuti partono tutti, quasi attaccati, suddivisi per scaglioni di categoria. Alzarmi alle 3,30 per fare colazione è stata dura, anche se nei giorni di avvicinamento avevo cercato di tenere orari vicini a quello.

Al mattino c’era pochissima luce. Non era tanto freddo, quindi tutti in maniche corte e braghe corte. Tutti attrezzati con camelbak o borracce da litro e in tasca almeno un paio di penne, si chiamano così gli attrezzi per aggiustare i tubeless con i vermicelli. Se hai un buco nel tubeless, ci ficchi dentro questa penna. Tiri indietro e ti resta il vermicello fatto di gomma un po’ appiccicaticcia. Così riesci a tappare il buco e poi a rigonfiare la ruota.

Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)
Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)

Persi nel deserto

C’era da portare l’attrezzatura da sopravvivenza, perché a un certo punto ti trovi veramente nel nulla. Per oltre 50 miglia, dovunque guardi, non c’è niente. Chiaramente è facile raggiungere qualsiasi punto con la macchina, però tu sei in mezzo al niente e quindi se vuoi sopravvivere devi anche arrangiarti. Non è ovviamente il deserto del Sahara, però quasi…

Il regolamento dice che il percorso non deve essere segnato, per cui io avevo la traccia sul Garmin e gli altri sui loro dispositivi. Bisogna portare il telefono, perché in casi di emergenza estrema, bisogna averlo per collegarsi con qualcuno, ammesso che ci sia campo, perché non è scontato che ci sia. E’ capitato di trovarsi in mezzo al niente senza campo, senza rete.

Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)
Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)

Nove ore e 10.000 calorie

Le luci non le aveva nessuno, però bisognava organizzare i rifornimenti. Nessuno può avere un supporto sul percorso, se non in due punti prestabiliti. Infatti dopo 70 e dopo 140 miglia ci sono due rifornimenti. Un parcheggio gigante, spesso in un villaggio, con le tende dei vari sponsor e delle squadre. Ti puoi fermare o prendere al volo la sacca con 2 litri d’acqua e il cibo e le borracce. E davvero c’è stata da valutare anche la parte approvvigionamenti.

Io ho mangiato circa 12 gel. Sei borracce di acqua con 70 grammi di carbo che erano in bustina e ovviamente pieni di sali minerali, potassio, magnesio e tutto il resto. Sui cinque litri d’acqua. E ho contato nel finale circa diecimila calorie consumate. Ho fatto circa 9 ore 47’27” su 325 chilometri. Tanta roba, tantissima.

La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)
La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)

Più di una Sanremo

Non ho mai fatto una distanza del genere, intesa anche come timing. La Sanremo si avvicina, ma ormai si fa in meno di 6 ore. Quindi una distanza che non era mai stata fatta dalle mie gambette. E’ stata molto veloce all’inizio. Ci sono stati un paio di punti dove era particolarmente roccioso, quindi c’erano delle discese pericolose. Salti, fossi, delle pozzanghere, però con un fango abbastanza neutro, che non si attaccava tanto alla bici. Ci sono state cadute e anche forature.

Poi dalla seconda metà della gara, sui 100-140 km all’arrivo, il gruppo si è proprio spappolato nel tratto dove c’erano parecchie salite. Ognuno ha preso il suo posto ed è diventata una lotta con se stessi. Una lotta contro la fatica, per cercare di andare avanti il più possibile e gestire l’alimentazione. 

Una grande festa

Comunque tutti vogliono finire la corsa, perché quando finisci un’avventura così grande, è comunque molto soddisfacente. Quasi tutti hanno pubblicato che i più leggeri hanno fatto sui 250 watt medi e quelli più pesanti come me, sugli 80 chili, che hanno fatto 300 watt per quasi dieci ore. Il livello è altissimo e fa paura. Alla fine, all’arrivo, c’erano degli stand giganti, era tutto un barbecue, tutto un tacos. Quindi cucina messicana, americana, pasta all’italiana. E dovunque tanti atleti, tutti sfiniti, tutti sfatti, però un bel clima di… yeah!

Ho percepito un clima molto agonistico e un po’ mi dispiace, nel senso che mi sono sempre aspettato un clima più godereccio. Invece mi sono trovato proprio un clima da WorldTour. Da andare a letto presto, mangiare bene, poche distrazioni. Non che si dovesse fare chissà cosa, però mi immaginavo che ci fosse un po’ più una giostra, un ambiente più godereccio. Però è stato tutto molto bello. Lungi da me essere polemico, essere del tutto negativo: anzi, tutt’altro.

Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice
Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice

Una gara fighissima

E’ stata un’esperienza fantastica sotto tanti punti di vista. La cosa più bella, che forse più mi ha colpito, è il coinvolgimento di tantissima gente che non ha nulla a che fare con la parte racing, ma che è lì per godersi il weekend, la settimana e questa avventura contro se stessi. Mi ricordo in alcuni punti, quando stava per finire la gara, trovavo sul percorso gente che faceva un altro giro e quindi venivano doppiati. E quando li passavo, ci scambiavo qualche battuta.

«Dura, è?». E loro tutti gasati: «Sì, è dura!».  Quindi felici di fare una cosa talmente faticosa e questo mi ha colpito tantissimo. La felicità di trovare le forze per fare una cosa più grande di loro. 

E comunque è un’organizzazione bellissima, gara fighissima. Tante cose belle, anche gli stand, le grigliate, la gente felice. C’era felicità, c’era voglia di far fatica. C’era tutto questo ambiente mega festoso, ma allo stesso tempo sportivo, quindi alla fine della gara ci stava anche la birretta. Però erano tutti galvanizzati, carichi, felici di essere stati parte di questa cosa che era l’Unbound, davvero una gara fighissima.