Mori gongola: «Per noi è stata una Vuelta da sogno…»

15.09.2022
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«Alle premiazioni di Madrid non facevamo che salire e scendere dal palco. Per la prima volta era presente il presidente del team, Matar Suhail Al Yabhouni Al Dhaheri che era visibilmente soddisfatto. Non viene mai alle corse, vederlo in quest’occasione così felice è stato davvero bello». La voce di Manuele Mori, di ritorno dalla Vuelta, è stanca ma ricca di quelle emozioni vissute per tre intense settimane. La corsa spagnola passerà sì alla storia per il trionfo di Remco Evenepoel, ma è indubitabile che è stato l’Uae Team Emirates quello che ha raccolto il bottino più pingue.

Juan Ayuso sul podio, Joao Almeida nella Top 10 (e Jan Polanc poco distante), i successi di tappa di Marc Soler e Juan Sebastian Molano proprio nell’ultima tappa, il trionfo nella classifica a squadre con oltre un’ora di vantaggio. La Vuelta è stata un viaggio fortunato e il fatto che la sua conclusione sia arrivata in contemporanea con il trionfo di Pogacar a Montreal ha un che di simbolico.

Mori 2022
Manuele Mori, uno dei diesse della Uae. In Spagna la squadra ha fatto incetta di premi
Mori 2022
Manuele Mori, uno dei diesse della Uae. In Spagna la squadra ha fatto incetta di premi

«Quando hai in squadra il migliore del mondo è normale correre per lui – dice – ma la Uae non è solo Pogacar. Siamo competitivi sempre e con chiunque, abbiamo almeno 20 corridori che hanno vinto quest’anno e senza il Covid al Giro che ha costretto Almeida al ritiro, avremmo potuto centrare il podio in tutti e tre i grandi Giri».

La Vuelta è coincisa con l’esplosione di Ayuso, non era certo partito pensando al podio…

La nostra punta era Almeida, ma la corsa si decide sempre in corso d’opera. Che Ayuso fosse un fuoriclasse non lo abbiamo scoperto alla Vuelta, ma la corsa ci ha detto molto delle sue qualità. Intanto ha doti di recupero fuori del comune, più passavano i giorni e più andava forte. Inoltre ha la testa da campione, molto più matura dei suoi 19 anni. Quando ha forato nella parte finale di una tappa non si è fatto prendere dal panico, ha pensato a quel che doveva fare e si è saputo gestire. I campioni li vedi anche da queste cose. Quello della Vuelta era un test e l’ha superato con la lode…

Almeida ha chiuso quinto a 7’24” da Evenepoel, confermandosi uomo da grandi giri
Almeida ha chiuso quinto a 7’24” da Evenepoel, confermandosi uomo da grandi giri
Su Almeida c’è qualcosa da dire: il portoghese sembra sempre accusare gli scatti nelle tappe più dure, ma nell’ordine d’arrivo lo trovi sempre davanti…

E’ il suo modo di correre, per certi versi originale. La sua grande forza è che si conosce benissimo, sa quel che può chiedere al proprio fisico. Sale col proprio passo e alla fine ha sempre ragione lui, segno di grande autostima. Lo avevo capito all’ultima giornata della Vuelta a Burgos, mi aveva detto che voleva fare qualcosa di buono e quando ho visto che all’inizio perdeva mi ha detto di non preoccuparmi. Alla fine ha avuto ragione lui…

Considerando la sua giovane età, va cambiato qualcosa nella sua impostazione?

Secondo me no, è giusto che corra così proprio in base agli anni che ha. Io ad esempio alla sua età ero solito correre sempre davanti, ma dipende dalla propria indole. Anche Ulissi a inizio carriera correva così, poi ha cambiato, magari con gli anni anche Joao rivedrà qualcosa, ma per ora deve continuare sulla sua strada.

Per Soler una Vuelta da protagonista: una vittoria, quattro top 5 e premio per la combattività
Per Soler una Vuelta da protagonista: una vittoria, quattro top 5 e premio per la combattività
Chi è stato protagonista è stato Soler, con una vittoria di tappa e altri due podi di giornata…

Ma non ha fatto solo questo. E’ stato premiato come corridore più combattivo e per noi è stato un vero jolly, eccezionale nell’arco delle tre settimane. Nell’ultima tappa è stato decisivo per la vittoria di Molano, lanciando il treno della Uae a velocità folle fino ai 400 metri. Di fatto ha messo sia Molano che Ackermann nelle condizioni di vincere.

Proprio a questo proposito, la vittoria del colombiano ha un po’ sorpreso considerando che era il tedesco quello deputato alla volata. Che cosa è successo?

E’ semplice: quando Molano ha tirato era l’ultimo uomo. Il rettilineo era in leggera salita, lui sapeva che Pascal era dietro, ma su quel rettilineo è difficile rimontare, allora ha tirato dritto ed è andata bene. Nessuna polemica fra i due, sanno bene che i progetti vanno bene, ma poi è la strada che decide.

La volata di Molano a Madrid, con Ackermann finito terzo dietro anche Pedersen
La volata di Molano a Madrid, con Ackermann finito terzo dietro anche Pedersen
I risultati di Vuelta e Montreal hanno portato una vagonata di punti alla Uae. Alcune squadre hanno deciso di non dare alcuni corridori alle nazionali. Voi come vi siete regolati?

Figuriamoci, noi ne avremo 10 al via a Wollongong… E’ chiaro che al ranking ci teniamo, come anche le nostre dirette concorrenti. Non è un discorso economico, non funziona come la Champions League di calcio, è semplicemente una questione di prestigio. Diverso è il discorso per chi lotta per non retrocedere, lì ci sono anche inerenze economiche legate al destino della stagione. Se investi tanto nella squadra, ti aspetti risultati e essere lì in cima è il miglior risultato che ci sia, perché sai che tutti vogliono arrivarci. Speriamo di avere altri weekend come quello passato, così restiamo in testa…

Mori 2022

Mori, qual è il segreto della “nuova” Uae?

02.04.2022
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Tadej Pogacar ma non solo. Le imprese dello sloveno non sono solamente frutto del suo immenso talento, ma vanno inquadrate nel contesto di una squadra, il Uae Team Emirates, che non è più un semplice corollario. L’andamento della prima fase stagionale dice anzi che la formazione degli Emirati ha un singolare primato: quello di avere il più alto numero di vincitori nel circuito. Si vince con Pogacar, certo, ma anche con tanti altri e ogni volta che ci si presenta al via, chiunque siano i selezionati si corre per vincere.

Sembrano così lontani i tempi del Tour 2020, il primo vinto dallo sloveno. Si disse allora che la grande impresa era stata tale perché Pogacar aveva vinto praticamente da solo, mandando in crisi la Jumbo Visma per superare alla fine Roglic. C’era del vero, ma forse si era esagerato e la disamina della prima parte di stagione, di quel primato importante non può che partire da allora. A farla è un uomo che da 5 anni vive la realtà del team, Manuele Mori prima corridore e ora nel gruppo dei diesse.

MOri 2019
Mori, empolese di 41 anni, ha chiuso la carriera nel 2019, dopo 16 anni fra i pro’
MOri 2019
Mori, empolese di 41 anni, ha chiuso la carriera nel 2019, dopo 16 anni fra i pro’
Allora, Manuele, la squadra attuale è figlia anche di quella controversa interpretazione del Tour?

Diciamo che su quel che è successo allora si è ragionato a lungo in seno alla squadra. Non va dimenticato, ad esempio, che a inizio Tour perdemmo Formolo che era una pedina fondamentale proprio per sostenere Tadej, inoltre pochi ricordano che la prima maglia gialla fu nostra, grazie a Kristoff. Si guardava all’esito delle tappe, ma nell’approccio alle salite Pogacar aveva sempre almeno un uomo con sé, l’imperativo era non strafare, riguadagnare quanto bastava per giocarsi tutto a cronometro. E’ chiaro però che da lì non ci si è fermati, ma si è ripartiti per fare una squadra molto più forte.

E’ pur vero però che dopo un anno e mezzo la situazione è profondamente cambiata…

Quando hai il numero 1 in assoluto può sembrare tutto facile e scontato, ma non è così. Matxin ha lavorato con grande attenzione, ha dato vita a una struttura che ha in Tadej l’elemento più importante, ma uno dei tanti. Mi spiego meglio: il principio alla base del team è che l’importante è che vinca il team. Ci sono quindi occasioni – e lo avete visto anche voi – nelle quali Pogacar si mette al servizio degli altri. Al Uae Tour, nell’ultimo giorno, Tadej stava correndo in supporto di Majka e Almeida, perché vincessero loro, poi l’attacco di Yates lo costrinse a rispondere in prima persona.

Di acquisti ne sono stati fatti molti.

Sono stati scelti corridori di spessore ma anche giovani di prospettive, perché non guardiamo al singolo anno, il nostro è un lavoro in proiezione futura. Ci permette di portare a ogni gara una squadra competitiva, sempre nell’ottica di correre per vincere, chiunque sia a farlo. Questo ha portato ogni corridore a far propria una condotta di gara aggressiva, non subiamo mai le iniziative altrui, che siano gare d’un giorno o corse a tappe.

Pogacar ha spesso affermato che “vincere aiuta a vincere”…

E’ una grande verità, si è visto dalla prima gara che le cose andavano bene e questo influisce sul morale, dà entusiasmo, consente ai giovani di crescere con calma, ad esempio Covi sul quale puntiamo moltissimo. Tutti devono avere i loro spazi: alla Sanremo Ulissi ha corso per Tadej all’approccio del Poggio, ma poi a Larciano ha finalizzato lui la corsa. Matxin ha lavorato per inserire i tasselli adatti a ogni situazione di corsa.

C’è una gara che può identificare al meglio questa filosofia di base?

La Vuelta a Murcia, dove ero proprio io in ammiraglia Uae: erano in 5, ma sembravano 8 per come coprivano ogni fase della gara, portando alla fine Covi al successo. Trentin aveva ottime possibilità personali, eppure si è messo a tirare per Alessandro e le cose sono andate al meglio. Matteo era contentissimo e quel morale gli è servito successivamente in Belgio.

Soler Tirreno 2022
Per Marc Soler nuovo team e nuovo ruolo, ma verrà anche il suo momento
Soler Tirreno 2022
Per Marc Soler nuovo team e nuovo ruolo, ma verrà anche il suo momento
Anche dal punto di vista strategico però si lavora per essere competitivi in tutti i grandi giri considerando che Tadej più di due non può farne…

E’ il discorso che facevo prima nell’inserimento dei giusti tasselli. Joao Almeida è un leader nato per le grandi corse a tappe, ci consente di avere un’alternativa valida sia che Pogacar sia presente, sia che debba svolgere il ruolo di capitano unico come al prossimo Giro. Ricordando sempre che quel che conta è il Uae Team. Tadej lo sa bene, è sempre il primo a mettersi a disposizione e se la classifica, Dio non voglia, si dovesse mettere in un certo modo, darà volentieri una mano.

Finora hanno vinto in tanti. Da chi ti attendi uno squillo fra quelli che ancora non hanno potuto alzare le braccia?

Mi piacerebbe vedere Soler vittorioso, si è approcciato al suo nuovo team e nuovo ruolo con molta umiltà e disponibilità, ma ha già dimostrato di essere maturo per un successo e io penso che sia solo questione di tempo. Poi Ayuso naturalmente, ha un talento enorme, ma il tempo gioca decisamente a suo favore vista l’età ancora tanto giovane. In generale tutti i nuovi si sono integrati bene e stanno rendendo al meglio, però un ultimo pensiero vorrei dedicarlo a Majka, è stato davvero un piacere vederlo vincere all’ultima Vuelta, io c’ero e so che cosa significava per lui, lo ripagò del grande lavoro svolto al Tour. Vorrei che questi tre mi regalassero una gioia a breve, sarebbe davvero come se vincessi io.

Sull’ammiraglia con Mori, fra scherzi e discorsi seri

08.04.2021
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Adesso che il Mori è diventato direttore, come farà a scherzare con i suoi amici corridori? Manuele sorride, la stagione sta per entrare nel vivo e a lui hanno appena cambiato il programma. Farà le corse spagnole d’inizio stagione che saranno recuperate durante il Giro. Scavando nei ricordi e col rischio di passare davvero per… esperti, gli buttiamo lì una pillolina di memoria.

Sai che ogni volta che vado verso Cesena, passo davanti all’uscita Torgiano della E45 e mi ricordo di quando ti vidi vincere il campionato italiano allievi?

Era esordienti di secondo anno, che ricordi! Sono quelli che rimangono più nitidi. E sai con chi ero in camera a quella gara? Con Daniele Bennati. Ogni tanto lo ricordiamo e ci facciamo una risata.

Appena passato professionista, assieme a Leonardo Piepoli
Appena passato professionista, assieme a Leonardo Piepoli

Manuele è sceso di sella dopo 16 anni di professionismo, decretando l’estinzione (per ora) dei Mori in bicicletta. Suo padre Primo, corse dal 1969 al 1975. Suo fratello Massimiliano, dal 1995 al 2009 E poi c’è lui, il più piccolo, professionista dal 2004 al 2019.

Come è stato ritirarsi?

Avevo già parlato con Gianetti (manager del Uae Team Emirates, ndr) e sapevo che non mi avrebbero lasciato continuare un altro anno. Ero un buon gregario, essere arrivato a 39 anni è già un bel traguardo. Ho avuto la fortuna di una moglie, Elisa, che mi ha conosciuto all’ultimo anno da dilettante e mi ha capito. Potevo anche fare un’ultima stagione, ma ho sempre detto di non voler allungare la carriera per portare a spasso la bici. Con Gianetti ero passato professionista alla Saunier Duval, poi sono andato alla Lampre e di fatto sono sempre rimasto nello stesso gruppo. Il ritorno con Mauro è stato la chiusura del cerchio.

Com’è fare il direttore sportivo?

Una bella esperienza e una grande opportunità che mi viene offerta dalla squadra. E’ tutto diverso, ma lo capisci quando ci sei dentro. Nonostante i miei tanti anni di professionismo, non avevo colto fino in fondo il ruolo del diesse e quello che davvero fa lo staff. Siamo 90 in squadra, se le cose non sono ben organizzate, sono dolori.

Con l’inseparabile Ulissi e Visconti alla Tre Valli Varesine 2019
Con l’inseparabile Ulissi e Visconti alla Tre Valli Varesine 2019
Come si fa a essere direttore degli ex compagni?

Ho cercato di allontanarmi, ti fa mantenere il rapporto di fiducia, ma senza continuare a sentirci tutti i giorni. Siamo divisi in gruppo e noto che i corridori si rapportano con me in modo diverso, forse perché già quando correvo non riuscivo a stare zitto davanti a qualcosa che non mi stesse bene. Mi hanno sempre visto come il regista.

Si tende a far salire in ammiraglia corridori freschi di attività.

Anche qui da noi c’è un bel gruppo di persone giovani che hanno smesso da poco e sono diventati direttori. Parlo spesso con Baldato e Guidi. In tutte le squadre si cerca di fare questo, perché il ciclismo cambia in continuazione. Tanti criticano la mancanza di scatti… Non dipende dalle tattiche, ma dal fatto che si va così forte che anche i leader arrivano ai finali ormai stanchi. La bravura del tecnico sta nell’usare nel modo giusto l’unica cartuccia che si ha a disposizione.

Sei stato un buon gregario: quali sono stati i tuoi capitani?

Il primo è stato Piepoli, che alla fine ha sbagliato, ma mi ha fatto capire il senso di squadra e la professionalità. E’ una persona di cuore e penso che non si sia ancora perdonato quel che accadde, perché sente di aver tradito l’esempio che era per noi. Lui in squadra era davvero un leader.

Mori è diventato diesse del Uae Team Emirates nel 2020
Mori è diventato diesse del Uae Team Emirates nel 2020
E Ulissi?

Poi c’è stato Diego, con cui ci siamo tolti delle belle soddisfazioni. Un ragazzo bravissimo a vincere due mondiali junior, poi a ricavarsi la sua dimensione. Ho aiutato e ammirato tanto anche Ballan, che è arrivato tardi al professionismo come me e ha ottenuto grandi vittorie, dimostrando che puoi essere un buon professionista anche se non passi a vent’anni. Ma il primo capitano che ho ammirato davvero è stato Cunego. Io passavo e lui vinceva il Giro avendo un anno meno di me. Questi sono stati i capitani, poi però c’è stato uno sopra a tutti…

Ti aspettavo al varco…

Esatto, Michele Scarponi. Non lo reputo solo un capitano, ma una persona speciale che ha lasciato qualcosa di particolare in tutti noi che l’abbiamo conosciuto. La sua fine ha causato in tutti un amaro in bocca inspiegabile, a volte mi capita di andare a Filottrano al cimitero per fargli un saluto. Quando è morto ero alla Liegi, poi andai al Romandia. Due giorni dopo che tornai a casa, presi la macchina e andai a salutarlo. Gli anni con lui sono stati i più belli.

Si diventa forti anche passando da grandi, ma avete in squadra quel certo Pogacar…

Ne ho visti tanti di campioni e con tanti mi sono allenato. Quando Nibali era in Toscana, capitava di uscire insieme. Direi che Pogacar me lo ricorda, ma all’ennesima potenza. Con più tranquillità e umiltà. E’ forte. E’ sicuro. Non lo spaventa niente. Zero pressioni. Ho fatto anche in tempo a correrci insieme, era un bimbo ma si vedeva già tutto.

Spostiamoci ai direttori: da chi hai imparato di più?

Con Daniele Tortoli da dilettanti mi sono trovato da Dio. Mi ha insegnato il sacrificio per il solo scopo che conta: passare professionista. «Guardatevi allo specchio – ci diceva – e capite quale traguardo volete raggiungere». Daniele ha creduto in me finché non sono passato. Poi ho avuto Pietro Algeri e Matxin, con cui lavoro anche ora. Due persone diverse, uno riflessivo, l’atro aggressivo. Matxin conosce tutti i corridori e le loro storie. Poi ho avuto Orlando Maini, che ricorda Algeri. Da tutti loro ho imparato che dietro i grandi successi, c’è una grande preparazione. Per colmare le mie lacune, ho preso tutto da tutti. Facevo così anche da corridore.

Hai corso anche accanto a Fabio Aru, quale idea te ne sei fatto?

Non riesco a capire quegli anni di blackout, perché forti come lui in salita ne ho visti pochi. Gli serve tranquillità soprattutto con se stesso. Gli dicevo: «Cerca di ritrovare la voglia di andare in bici. Gli stimoli di quando eri un ragazzo, invece di rincorrere il risultato». Sono convinto che se riallaccia quel filo, può ancora dire tanto.

E’ vero che ti sei anche messo a produrre abbigliamento da corridore?

Confermo, con il grande aiuto di mia moglie. Abbiamo una linea che si chiama KM Cyclingwear. Cerchiamo di confezionare capi originali e tecnologicamente avanzati. Un bel passatempo e confermo una volta di più che se non ci fosse Elisa, non saprei come mandare avanti il tutto. Io adesso faccio il direttore sportivo e non ci sono mai. E devo dire che mi piace anche molto.