«Alle premiazioni di Madrid non facevamo che salire e scendere dal palco. Per la prima volta era presente il presidente del team, Matar Suhail Al Yabhouni Al Dhaheri che era visibilmente soddisfatto. Non viene mai alle corse, vederlo in quest’occasione così felice è stato davvero bello». La voce di Manuele Mori, di ritorno dalla Vuelta, è stanca ma ricca di quelle emozioni vissute per tre intense settimane. La corsa spagnola passerà sì alla storia per il trionfo di Remco Evenepoel, ma è indubitabile che è stato l’Uae Team Emirates quello che ha raccolto il bottino più pingue.
Juan Ayuso sul podio, Joao Almeida nella Top 10 (e Jan Polanc poco distante), i successi di tappa di Marc Soler e Juan Sebastian Molano proprio nell’ultima tappa, il trionfo nella classifica a squadre con oltre un’ora di vantaggio. La Vuelta è stata un viaggio fortunato e il fatto che la sua conclusione sia arrivata in contemporanea con il trionfo di Pogacar a Montreal ha un che di simbolico.
«Quando hai in squadra il migliore del mondo è normale correre per lui – dice – ma la Uae non è solo Pogacar. Siamo competitivi sempre e con chiunque, abbiamo almeno 20 corridori che hanno vinto quest’anno e senza il Covid al Giro che ha costretto Almeida al ritiro, avremmo potuto centrare il podio in tutti e tre i grandi Giri».
La Vuelta è coincisa con l’esplosione di Ayuso, non era certo partito pensando al podio…
La nostra punta era Almeida, ma la corsa si decide sempre in corso d’opera. Che Ayuso fosse un fuoriclasse non lo abbiamo scoperto alla Vuelta, ma la corsa ci ha detto molto delle sue qualità. Intanto ha doti di recupero fuori del comune, più passavano i giorni e più andava forte. Inoltre ha la testa da campione, molto più matura dei suoi 19 anni. Quando ha forato nella parte finale di una tappa non si è fatto prendere dal panico, ha pensato a quel che doveva fare e si è saputo gestire. I campioni li vedi anche da queste cose. Quello della Vuelta era un test e l’ha superato con la lode…
Su Almeida c’è qualcosa da dire: il portoghese sembra sempre accusare gli scatti nelle tappe più dure, ma nell’ordine d’arrivo lo trovi sempre davanti…
E’ il suo modo di correre, per certi versi originale. La sua grande forza è che si conosce benissimo, sa quel che può chiedere al proprio fisico. Sale col proprio passo e alla fine ha sempre ragione lui, segno di grande autostima. Lo avevo capito all’ultima giornata della Vuelta a Burgos, mi aveva detto che voleva fare qualcosa di buono e quando ho visto che all’inizio perdeva mi ha detto di non preoccuparmi. Alla fine ha avuto ragione lui…
Considerando la sua giovane età, va cambiato qualcosa nella sua impostazione?
Secondo me no, è giusto che corra così proprio in base agli anni che ha. Io ad esempio alla sua età ero solito correre sempre davanti, ma dipende dalla propria indole. Anche Ulissi a inizio carriera correva così, poi ha cambiato, magari con gli anni anche Joao rivedrà qualcosa, ma per ora deve continuare sulla sua strada.
Chi è stato protagonista è stato Soler, con una vittoria di tappa e altri due podi di giornata…
Ma non ha fatto solo questo. E’ stato premiato come corridore più combattivo e per noi è stato un vero jolly, eccezionale nell’arco delle tre settimane. Nell’ultima tappa è stato decisivo per la vittoria di Molano, lanciando il treno della Uae a velocità folle fino ai 400 metri. Di fatto ha messo sia Molano che Ackermann nelle condizioni di vincere.
Proprio a questo proposito, la vittoria del colombiano ha un po’ sorpreso considerando che era il tedesco quello deputato alla volata. Che cosa è successo?
E’ semplice: quando Molano ha tirato era l’ultimo uomo. Il rettilineo era in leggera salita, lui sapeva che Pascal era dietro, ma su quel rettilineo è difficile rimontare, allora ha tirato dritto ed è andata bene. Nessuna polemica fra i due, sanno bene che i progetti vanno bene, ma poi è la strada che decide.
I risultati di Vuelta e Montreal hanno portato una vagonata di punti alla Uae. Alcune squadre hanno deciso di non dare alcuni corridori alle nazionali. Voi come vi siete regolati?
Figuriamoci, noi ne avremo 10 al via a Wollongong… E’ chiaro che al ranking ci teniamo, come anche le nostre dirette concorrenti. Non è un discorso economico, non funziona come la Champions League di calcio, è semplicemente una questione di prestigio. Diverso è il discorso per chi lotta per non retrocedere, lì ci sono anche inerenze economiche legate al destino della stagione. Se investi tanto nella squadra, ti aspetti risultati e essere lì in cima è il miglior risultato che ci sia, perché sai che tutti vogliono arrivarci. Speriamo di avere altri weekend come quello passato, così restiamo in testa…