EDITORIALE / La tappa della discordia e il ciclismo che cambia

27.06.2022
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Ha ragione Marco Selleri. La terza tappa del Giro d’Italia U23, da Pinzolo a Santa Caterina Valfurva, ha scatenato un processo degno di uno studio televisivo. Distanza di 177 chilometri, dislivello di 5.000 metri con Tonale, Aprica e Mortirolo. Ha vinto Leo Hayter in 5 ore 10’49” alla media di 34,186 (in apertura, foto ExtraGiro-Isolapress), come era previsto della tabella di marcia che indicava un range fra 33 e 37 orari.

E’ chiaro che, a fronte del tempo di Hayter, vada annotato anche quello dell’ultimo: Christian Danilo Pase della Work Service, all’arrivo in 6 ore 14’57” (distacco di un’ora 04’08”). Dato che tutti hanno dovuto sobbarcarsi anche un trasferimento di 50 minuti, è chiaro che le ore di sella siano state oggettivamente tante.

La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Italiani cercasi

Dei corridori italiani si sono perse le tracce. Per trovare i primi tre bisogna andare alla 14ª posizione con Piganzoli (Eolo) a 9’27” poi alla 19ª, dove si incontrano Meris (Colpack), Raccani (Zalf) e Germani (Fdj) che però in precedenza aveva tirato per i compagni Gregoire e Martinez all’attacco. Il loro distacco è stato di 13’45”.

E qui è scattata la discussione. Sul posto, per chi c’era. Sui social, per gli altri. Non è semplice interpretare la disfatta, perché di base hanno ragione tutti. Ciascuno ha il suo punto di vista, anche se non tutti i punti di vista sono condivisibili. E qui si innesca il corto circuito.

La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Dibattito acceso

Davide Cassani osserva che le squadre italiane non vanno a confrontarsi all’estero, come le altre. Ma invece di fare autocritica, preferiscono puntare il dito sull’organizzatore che ha proposto una tappa troppo dura. 

Pino Toni, preparatore della Bardiani U23, sostiene che non si possa proporre una corsa così dura a un parterre come quello italiano, abituato ad altre difficoltà. E che se anche la tappa avesse avuto 3.500 metri di dislivello, il risultato finale non sarebbe cambiato. 

Il Giro d’Italia U23 non è una gara italiana, come l’Avenir non è una corsa francese. Sono prove internazionali di altissimo prestigio: le vincono i più forti e non strizzano gli occhi a nessuno. Il tempo in cui per avvantaggiare i corridori di casa si modificavano i percorsi è finito da un pezzo: aspettarsi che accada è un altro sintomo del problema.

E’ probabilmente un errore invece portare ragazzi di primo anno a corse così dure. Se rischia di esserlo per Gregoire e Martinez (abituati a un’attività superiore sin da juniores, che da tempo corrono senza la limitazione dei rapporti e che comunque si sono inchinati alla solidità dei rivali), figurarsi per gli italiani.

La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)
La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)

Declino invisibile

L’Italia è la culla del ciclismo, così come lo è dell’arte e della cultura. Poi vai all’estero e ti accorgi che hanno la metà del nostro patrimonio, ma lo valorizzano meglio. Siamo talmente pieni delle nostre certezze, da non accorgerci del declino.

Nel 2004 eravamo così convinti che il WorldTour non sarebbe mai nato, che ci misero dentro per il rotto della cuffia. Poi iniziammo a lamentarci perché ai mondiali U23 vincevano ragazzi abituati al professionismo e siamo ancora lì a parlarne. E adesso che la svolta continental ha impresso un cambio di marcia, come accade in tutti gli sport di elite in cui si accede al professionismo nella tarda adolescenza (non a caso l’UCI ha abolito la limitazione dei rapporti fra gli juniores), il tema è una tappa troppo dura. 

E’ giusto? E’ sbagliato? Questi ragazzi dureranno meno? Le domande sono tutte legittime, ma non essendoci risposte facilmente raggiungibilli, non è facendo finta di niente che si possa gestire la situazione.

Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)
Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)

Il mondo del lavoro

Le squadre di dilettanti, in cui i ragazzi vengono seguiti come figli, avrebbero ancora senso se ci fossero dei grandi team italiani per dare continuità al lavoro. La continental deve preparare al mondo del lavoro ed essere agganciata a una WorldTour: se non accade, c’è un problema.

L’Italia del ciclismo è come una vecchia casa gloriosa, con i muri pieni di affreschi che raccontano storie bellissime. E’ la Reggia di Caserta, più imponente di Versailles ma tenuta peggio, che nessuno si sognerebbe di modificare per ospitarvi uffici che abbiano bisogno di tecnologia e modernità. Invece siamo lì a pensarci. Aggiungiamo piani. Ampliamo stanze. Sfondiamo pareti. Cambiamo destinazioni d’uso, senza renderci conto da un lato di essere bloccati per mille vincoli e dall’altro di comprometterne la solidità.

La fortuna di altri Paesi, che non hanno mai avuto tanta ricchezza, è aver costruito tutto dal nuovo. Senza vincoli, mettendo dentro solo quello che effettivamente serve.

Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)
Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)

L’esempio di Germani

Tredici continental sono troppe, soprattutto perché non fanno un’attività all’altezza. Un invito alla Coppi e Bartali e alla Adriatica Ionica Race, quando va bene al Giro di Sicilia e poi? E poi le solite corse. Quanti ragazzi delle continental a fine anno saranno andati all’estero contro i pari età stranieri? Si contano sulle dita di mezza mano. Poi arriva il Giro e speriamo di brillare? Non è realistico.

Lorenzo Germani, fresco campione italiano U23, quest’anno ha corso in Francia, Belgio, Repubblica Ceca e in Italia. Ha preso schiaffi, ma al momento giusto ne ha dati.

Si può fare attività U23 senza essere continental? Si può fare. Per scovare e lanciare i talenti migliori, anche se alla fine ne godranno altri. Senza contare le vittorie e senza promettere la luna agli sponsor, sacrificando ad essa il futuro dei ragazzi. Servirebbe un tavolo di lavoro condiviso, con la Federazione a tirare le file, per incastrare al meglio le esigenze di tutti, sgombrando il campo dalle pretese meno realistiche.

Il nostro giardino

La nostra ricchezza non merita di essere svilita dall’assenza di visione. Però bisogna che tutti facciano la loro parte. Occorre una più ampia partecipazione alla vita federale e a quella internazionale, quando vengono prese le decisioni più importanti, altrimenti è inutile lamentarsi. Invece si guarda spesso al proprio giardino senza sapere cosa ci sia fuori. Come nella vita di tutti i giorni, in cui a decidere sono quelli che nella politica hanno trovato un mestiere. Gli altri si lamentano, ma non vanno neanche a votare. E se qualcosa non va, la colpa è degli altri.

Il futuro del ciclismo è più grande di una singola corsa

22.06.2022
6 min
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E’ l’Italia, ragazzi. Perché ti cerchino, devi dire che li molli. Succede con i gestori telefonici, che appena fai per cambiare, si ricordano che esisti. E’ successo con Marco Selleri, che assieme a Marco Pavarini a partire dal 2017 ha strappato il Giro d’Italia U23 dalla morte. Stanco e stufo, il romagnolo ha portato al traguardo l’ultima edizione vinta da Leo Hayter (foto Extra Giro in apertura) e ha annunciato il ritiro. Il contratto è scaduto, l’hanno rispettato fino all’ultimo: basta così! Non che prima non avessero dato segnali di amarezza e difficoltà, tutt’altro. Nella pur breve storia di bici.PRO ne avevamo parlato in abbondanza, ma pochi li avevano colti, dandoli per scontati. Adesso finalmente se ne sono accorti e magari hanno capito che un… cliente come Extra Giro, che in pochi mesi ha messo su il mondiale di Imola nel 2020 del Covid, sarebbe davvero un peccato perderlo.

Al via da Gradara, Marco Selleri e Marco Pavarini (foto Extra Giro)
Al via da Gradara, Marco Selleri e Marco Pavarini (foto Extra Giro)

«Accetterei di rifare il Giro U23, a patto che qualcosa cambi», spiega Selleri. «Così com’è, non va. Come ha detto anche Pavarini – prosegue – le cose sono cambiate. La formula per club, con team dilettanti, continental e professional non va più bene. Vogliamo farlo bene? Vedo due strade: togliamo di mezzo continental e professionisti, oppure facciamo una corsa per i migliori under 23, tirando dentro anche quelli WorldTour. A queste condizioni e prevedendo la diretta nelle tappe più importanti, magari togliendo qualche ora ad altre gare che ne hanno in abbondanza, si darebbe visibilità agli sponsor. Per come stanno oggi le cose, è impensabile organizzare corse di questo livello con una società basata sul volontariato. Ma serviva accendere la luce, che scoccasse la scintilla. Se qualcuno ha capito che smettiamo per sempre, forse ha capito male».

Il gruppo del Giro U23 composto da team dilettanti, continental e anche qualche professional (foto Extra Giro)
Il gruppo del Giro U23 composto da team dilettanti, continental e anche qualche professional (foto Extra Giro)
Partiamo dalla fine, come è andato il Giro 2022?

E’ stato un parto impegnativo, anche se è durato solo sette giorni. Abbiamo sofferto per una sommatoria di problemi nell’avere le autorizzazioni che riguardassero il transito e l’impiego del personale a terra. Quando parlo di società di volontariato, mi riferisco a questo. Serve una struttura che lavori al progetto per almeno 3-4 mesi, con le attrezzature necessarie. C’è la corsa, ma ci sono altri aspetti come la sicurezza che ad ora occupa una posizione di primo piano.

Non si era mai discusso tanto di una sola tappa: la durezza del giorno di Santa Caterina infiamma ancora i dibattiti…

C’è stato un bel battibecco. Come mi piace dire, abbiamo fatto un vero processo alla tappa. Secondo me quella giornata così dura ha fatto emergere i limiti del ciclismo italiano. Di più, ha fatto emergere un problema di sedentarierà della nostra società, di fronte al quale anche noi che vorremmo fare tanto, alla fine abbiamo deciso di alzare le mani. E’ tutto bloccato su logiche superate.

Martinez, classe 2003, terzo sul podio: con più lucidità avrebbe potuto vincere?(foto Extra Giro)
Martinez, classe 2003, terzo sul podio: con più lucidità avrebbe potuto vincere?(foto Extra Giro)
Spieghi meglio?

Non si fa che pubblicizzare che il Giro dei pro’ porta decine di milioni di utile e questo danneggia chi va in giro con il saio e con i sandali a cercare le risorse per organizzare altre corse. Mangiano tutto loro. E’ chiaro che il Giro d’Italia sia più attraente del nostro. Ma se è vero, come dicono, che quest’anno i dati di ascolto sono calati, perché in Italia non c’è un corridore italiano che può vincere… Se l’italiano manca, è perché manca anche dal basso. Forse una riflessione su questo si potrebbe fare. Non mi sono vergognato di dire a Noè (Andrea Noè, ex pro’ oggi agente dei corridori, ndr) che abbiamo assistito alla disfatta del ciclismo italiano, anche se lui a quel punto ha cambiato discorso.

L’hanno fatta nuovamente da padroni gli stranieri.

E’ stato entusiasmante. I francesi hanno alzato troppo il tiro e sono crollati. La loro indole è di essere battaglieri, ma la salita è crudele. E’ stato bello vederli partire da lontano, sono contento che ci abbiano provato, ma il ciclismo dei pro’ insegna che per vincere si deve essere cinici e aspettare. Va anche detto che vederne quattro in fuga il penultimo giorno è stato spettacolare. Era chiaro che dietro si sarebbero organizzati e li avrebbero presi, loro però hanno avuto coraggio.

Con l’edizione 2022 del Giro d’Italia U23 termina il contratto di Extra Giro: sarà rinnovato? (foto Extra Giro)
Con l’edizione 2022 del Giro U23 termina il contratto di Extra Giro: sarà rinnovato? (foto Extra Giro)
Fallimento del ciclismo italiano è un po’ duro…

Le classifiche sono impietose, anche se Amadori mi dice che siamo stati sfortunati e che alcuni atleti forti sono rimasti a casa. Magari con loro in corsa, le cose sarebbero cambiate. Parlo di Frigo, ma anche di Zambanini che aveva già conquistato la maglia dei giovani nel 2020 ed è in una WorldTour, come Tiberi che ne ha 20. Riflettiamo davvero sui criteri di partecipazione.

La diretta televisiva…

Serve sostegno politico per essere certi degli orari. Nel giorno della Fauniera abbiamo avuto tre cambi di orario, non sarebbe stato bello avere la diretta? Ci manca qualcuno alle spalle che spinga perché si capisce l’importanza di questo ciclismo e di corse che mostrano un’Italia più piccola, dove il Giro dei grandi non può andare. Borghetti bellissimi, importanti per territori che meritano di avere visibilità.

Il calendario non vi ha aiutato.

Siamo stati contemporanei o quasi alla Adriatica Ionica Race, al Giro di Slovenia e a quello del Belgio. Alla Adriatica Ionica c’erano corridori italiani che potevano stare anche da noi, ma le continental non hanno organici per fare attività parallela. Si è alzata l’asticella dovunque, non è più come prima.

Francesi in fuga verso Peveragno: ripresi, ma azione super spettacolare (foto Extra Giro)
Francesi in fuga verso Peveragno: ripresi, ma azione super spettacolare (foto Extra Giro)
Dispiace più lasciare il Giro a qualcun altro o che si rischi di non farlo più?

Lo abbiamo ripreso con Cassani, per quella che Davide viveva come una missione quando era tecnico federale. Risollevare il ciclismo italiano degli U23 e credo che qualche bel nome lo abbiamo tirato fuori e lo vedremo brillare tra i pro’. Parlo di Covi, Aleotti, Colleoni. In questo confido. Se nessun altro dovesse organizzare il Giro, mi dispiacerebbe, ma non ne farei un dramma. A un certo punto sono stato costretto a chiudere il mio Giro delle Pesche Nettarine, ci sono scelte che vanno fatte. Nessuno qui, malgrado quel che si dice, ha mai messo un soldo in tasca. E’ stato bello portare il Giro a questo livello. Anche nel lavoro ho sempre cercato la perfezione, ma se non hai risorse a disposizione, difficilmente puoi raggiungerla.

Avete parlato di ritiro e qualcosa si è mosso.

Ci hanno offerto di sedere a un tavolo e parlare. A noi sta bene, molto volentieri, perché con le relazioni e i buoni contatti si potrebbe andare avanti. Ma l’obiettivo non deve essere salvare il Giro, quanto consolidare un sistema, quello del ciclismo under 23, che fa una gran fatica a trovare la sua identità. 

Bravissimo Leo, ma il capolavoro è anche di Axel Merckx

19.06.2022
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Leo Hayter  ha vinto il Giro d’Italia U23. Lo ha fatto con un’azione importante verso Santa Caterina Valfurva, ma lo ha fatto soprattutto con un grande controllo della corsa e dell’intera situazione nei giorni successivi.

Bravissimo l’inglese, ma una grossa fetta del merito è anche del suo direttore sportivo, Axel Merckx. Il belga ha saputo cogliere l’occasione con un ottimo lavoro della sua Hagen Bermans Axeon.

Axel Merckx (classe 1972) è il diesse della Hagens Berman Axeon
Axel Merckx (classe 1972) è il diesse della Hagens Berman Axeon

Antenne dritte

Anche ieri a Pinerolo la scelta di staccarsi nel chilometro finale è stata il simbolo di un Giro corso con intelligenza.

E’ vero, lo abbiamo scritto, Leo si è voluto godere il momento, ma è altrettanto vero che 150 ragazzi che affrontano a tutta una rampa strettissima, pronti a fare spallate e per di più sul terreno acciottolato è potenzialmente un rischio. E così ha unito l’utile a dilettevole. Si è defilato e ha preso zero rischi.

«Forse alla fine ero più teso io che Leo – racconta Merckx – Lui l’ho sempre visto tranquillo. Si è sempre gestito in autonomia, mi ha ascoltato. La sera prima dell’ultima tappa ho detto ai ragazzi che bisognava comunque mantenere alta la concentrazione, perché c’erano da fare ancora 120 chilometri e nulla era deciso».

Il podio finale: Leo Hayter (primo); Lennert Van Eetvelt (secondo) e Lenny Martinez (terzo)
Il podio finale: Leo Hayter (primo); Lennert Van Eetvelt (secondo) e Lenny Martinez (terzo)

Tutti per uno

Come detto, dopo Santa Caterina Valfurva la Hagens Berman Axeon ha cambiato totalmente volto. 

«Una volta che abbiamo capito che davvero potevamo fare il colpaccio abbiamo corso in altro modo. Tutti più compatti», ha detto Axel.

«Guardate che Axel sa il fatto suo – ci ha detto Orlando Maini, che di esperienza ne ha da vendere – avete visto come ha fatto correre i suoi ragazzi verso il Fauniera? Tutti davanti e come è uscita la fuga ce ne ha messi due pronti ad aiutare Hayter in caso di necessità. Poi il ragazzo, Leo, è stato bravissimo e non ce n’è stato bisogno».

E anche ieri nel circuito finale, tra i vicoli di Pinerolo, la maglia rosa era in prima o seconda posizione, con un paio di compagni vicino. Poi si lasciava “sfilare” nelle prime 10-15 posizioni nel resto del circuito. Un’attenzione massima.

Sul Fauniera un controllo magistrale per il londinese (foto Isola Press)
Sul Fauniera un controllo magistrale per il londinese (foto Isola Press)

Capolavoro Fauniera

«E’ stato anche più “facile” per noi gestire il Fauniera con un vantaggio di quasi sei minuti – riprende Merckx – un vantaggio importante. Leo mi ha ascoltato. Non è mai andato oltre il limite. Gli ho detto di stare tranquillo, di non esagerare. Di concentrarsi sul suo passo. Se poi ai 5 chilometri ne avesse avuta, doveva spingere al massimo fino alla fine».

Ma Axel sembra sin troppo umile quando continua la sua analisi.

«Non mi aspettavo di vincere il Giro – riprende Merckx – e mi rendo conto che siamo stati anche fortunati. Alcune circostanze ci sono state favorevoli. Come il giorno di Peveragno. Se in quella fuga della Equipe Continental Groupama-FDJ  ci fosse stato dentro Van Eetvelt avremmo perso il Giro. La corsa per noi sarebbe finita lì. Invece proprio la Lotto-Soudal ha tirato molto per chiudere sui francesi.

«Ma le gare sono anche queste».

Leo Hayter festeggia sull’arrivo di Pinerolo, il Giro d’Italia U23 2022 è suo (foto Isola Press)
Leo Hayter festeggia sull’arrivo di Pinerolo, il Giro d’Italia U23 2022 è suo (foto Isola Press)

Abbraccio e pizza

Axel arriva in zona premiazione un bel po’ di tempo dopo il termine della tappa. Tra la deviazione delle ammiraglie, il parcheggio nella parte bassa di Pinerolo e il ritorno in cima allo strappo dell’arrivo c’era da fare una bella scarpinata. 

Quando giunge dietro al palco va a complimentarsi con i suoi ragazzi uno ad uno. Leo Hayter sta firmando delle maglie rosa. Lui arriva da dietro. I due si guardano e Axel lo abbraccia.

«Cosa ho detto ai ragazzi in questi giorni? Nulla, cosa potevo dirgli? Siamo venuti qui per vincere una tappa, invece ne abbiamo vinte due e portato a casa il Giro».

Intanto Hayter si gode il successo e finalmente non è costretto a mangiare la solita pasta dopo l’arrivo. Sul Fauniera, scherzando, ci faceva delle smorfie davvero poco invitanti e ci diceva: «Tomorrow pizza… of course (domani una pizza, sicuro, ndr)».

«Voglio ringraziare la squadra – ha detto Hayter – i ragazzi hanno fatto un grande lavoro (cosa ribadita a caratteri cubitali anche sulle sue pagine social, ndr). Non credo che cambi molto per me, però dopo questa vittoria sono più convinto dei miei mezzi.

«Questa vittoria è stata una sorpresa. Adesso spero di fare bene al Tour d’Alsace e al Tour de l’Avenir».

All’ultimo minuto arriva lo squillo “dei francesi”. Vince Gregoire

18.06.2022
5 min
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Un urlo di rabbia, di liberazione. Un urlo di vittoria. Alla fine la Groupama-Fdj ce l’ha fatta. Ha vinto una tappa al Giro d’Italia U23. A riuscirci è stato Romain Gregoire. Il francese fa un forcing micidiale sullo strappo, in ciottoli, che porta all’arrivo e può gioire.

Questo strappo è un must per le corse ciclistiche a Pinerolo. Ce ne passano diverse, ma in poche ci arrivano. La cornice di pubblico completa lo spettacolo.

Hayter se la gode

Ma mentre Gregoire sale famelico, c’è chi se la prende comoda, molto più comoda. Tutti cercano con gli occhi la maglia rosa… che però non spunta.

«Ai 500 metri – dice Leo Hayter – mi sono spostato. Mi sono defilato e sono venuto su piano, piano. Mi sono portato in coda al gruppo. Sapevo che non avrei mai perso 2’55” in 500 metri e così mi sono goduto il finale».

Quando Leo arriva esulta. Si sbraccia e abbraccia uno dei compagni che gli è vicino. Ride. E solo quando arrivano la mamma e il papà scoppia in lacrime. Realizza l’impresa che ha fatto.

Il 45° Giro d’Italia U23 è suo. I genitori sono arrivati due giorni fa: sono increduli e commossi. Squilla il telefono: è il fratello Ethan. La festa può iniziare.

Media folle

Ma riavvolgiamo il nastro. A Cuneo il sole picchia forte sulla testa e a Pinerolo martella proprio. I ragazzi che non hanno raccolto nulla sin qui cercano di guadagnarsi una fetta di spazio in questo Giro. E per questo la fuga non riesce a partire. Tutti cercano di scappare e quando è così non scappa nessuno. Risultato: media della prima ora 49,9 chilometri.

E già qui c’è la prima notizia: i ragazzi di Jerome Gannat non tirano. Se ne stanno buoni, buoni in gruppo. 

Al primo passaggio sull’arrivo, Gregorie è nascosto. Al secondo Giro è davanti.

«Avevo visto il passaggio ai 20 chilometri dall’arrivo – racconta Gregoire – L’ho studiato. Erano 500 metri molto tecnici. Mi sono detto: al prossimo giro devo stare davanti, girare in testa all’ultima curva e appena inizia la salita devo andare “a blocco”. Era questo il piano e ha funzionato. Ho usato il 40, credo per 25, per venire su».

La Groupama-Fdj tutta insieme. hanno vinto anche la classifica a squadre
La Groupama-Fdj tutta insieme. hanno vinto anche la classifica a squadre

Vittoria di testa

E dire che ieri Gregoire aveva sofferto l’ira di Dio sul Fauniera. Aveva perso molto terreno. Non aveva recuperato bene dal giorno ormai famoso della “tattica suicida” di Peveragno.

Ma l’ultima notte ha portato consiglio.

«Ho pensato a riposare bene – dice il ragazzo di Besançon – E’ stata una vittoria di testa e non solo di gambe. Ho proprio cambiato mentalità. Un’altra testa. Sapevo che c’era un’opportunità grandissima. Volevo questa vittoria più di ogni altra cosa». Ai suoi compagni avrebbe detto: «Demain on va gagner». Domani vinciamo.

«Ieri – riprende Gregoire – ho sofferto, davvero. Sapevo che il Fauniera sarebbe stato troppo duro per me e così oggi mi sono preso la responsabilità della corsa. Con Sam Watson, l’altro leader di giornata, abbiamo parlato molto, anche ieri sera e abbiamo voluto imporre la nostra strategia. Stavolta non avremmo preso in mano la corsa. 

«Oggi la squadra era tutta unita, tutta compatta su questa linea e quando è così le cose funzionano».

Ancora una volta la “trenata” decisiva l’ha data Lorenzo Germani che, nonostante una foratura e un cambio di bici, nel finale ha chiuso sulla fuga e ha guidato Watson e Gregorie in testa all’imbocco dello strappo.

Tutti compatti dunque. Tutti per Gregoire, ma anche per Sam Watson. L’inglese è molto veloce, ma tiene benissimo su percorsi del genere.

«Abbiamo corso e sprecato tanto per tutta la settimana – conclude Gregoire – e finalmente abbiamo raccolto una vittoria di tappa. Abbiamo cercato le energie per trovarla. E adesso possiamo rientrare felici a casa».

«E comunque è stato un buon Giro per noi. Abbiamo tre maglie (quella blu, rossa e quella bianca, ndr), siamo sul podio della generale e abbiamo vinto una tappa. Non abbiamo vinto la generale perché Leo Hayter è stato più forte, gli va riconosciuto. Ma questa vittoria rende più belle tutte queste altre cose». 

Fauniera giudice spietato. Premia Van Eetvelt ma non solo

17.06.2022
6 min
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«Non credo che il Colle del Fauniera sia troppo adatto a Lennert Van Eetvelt. Sì, alla Corsa della Pace ha vinto in salita, ma quella era tutt’altra scalata. Più corta, meno dura e non in quota. Però possiamo portare a casa il podio… se corriamo bene».

Erano state queste le parole del direttore sportivo della Lotto Soudal U23, Wesley Van Speybroeck, questa mattina a Boves. La storia di oggi inizia qui.

Passano poche ore e viene da dire: per fortuna che il Fauniera non era la sua salita! Van Eetvelt ha vinto. E alla grande. E per qualche istante è sembrato quasi poter mettere in crisi la maglia rosa e portarsi a casa il Giro d’Italia U23.

Sul Fauniera procedono tre storie. Tre storie non sempre parallele.

Coraggio e gambe

Ancora una giornata di fuoco. In ogni senso. I ragazzi sono partiti a tutta, stracciando ogni tabella di marcia prevista. Una fuga corposissima parte quasi subito. Una trentina di uomini tra cui ci sono anche Van Eetvelt e due compagni.

E’ la situazione perfetta. Può stare a ruota e prendere la salita con del margine. E così va. 

«Abbiamo riscattato – dice Van Eetvelt dopo l’arrivo – la prestazione di ieri, quando per poco non siamo riusciti ad accodarci ai ragazzi della Groupama-Fdj.

«Io non avevo però grandi sensazioni. Anche per questo oggi sono andato in fuga all’inizio. Poi invece sulla salita stavo meglio. E ho cercato di concentrarmi solo sul mio passo. Pensavo al podio».

La storia del suo Fauniera parla di un ragazzo che lotta in primis con se stesso. Lennert guarda a terra impassibile. Il tempo è scandito dal countdown dei chilometri scritti con la vernice sull’asfalto. E dal respiro affannato.

Sulla sua testa l’arrivo e l’aria sempre più sottile.

Nel piccolo gazebo montato miracolosamente sul pochissimo spazio che concede il Fauniera, arrivano i suoi compagni. Sanno della vittoria e lo abbracciano. Lui ricambia. Parlottano un po’ in fiammingo. Grasse risate.

«Devo ringraziare questi ragazzi – riprende Van Eetvelt – Tra ieri e oggi hanno fatto un grandissimo lavoro. Hanno tirato tantissimo. Se adesso sono qui sul podio è merito loro.

«Ad un certo punto Martinez ha ridotto il distacco a 45”, però sono rimasto tranquillo. Non volevo saltare. Mi avevano detto che i due chilometri finali erano un po’ meno duri e ho mantenuto un po’ di energia per spingere forte lì».

Tutto istinto

Anche oggi la Groupama-Fdj si ritrova a tirare. Ieri era il topo, oggi il gatto. Appena iniziano le pendenze più dure Martinez scatta. Mancano davvero tanti chilometri, almeno undici. 

«Non ce la facevo più a stare in gruppo», ha detto Lenny Martinez dopo l’arrivo, mentre aspettava di sapere se fosse terzo nella generale oppure no.

Quando poi lo speaker annuncia la classifica, lui scuote i pugni e si lascia uscire un “Oui”, sì.

Stamattina il loro diesse Gannat parlava di podio. Era preoccupato perché i suoi ragazzi ieri avevano speso moltissimo. «Speriamo abbiano recuperato bene. Il tempo per guadagnare terreno sul Fauniera c’è anche, ma non credo che basti per prendere la maglia rosa. Martinez ha più di sette minuti. Il vento soffia alle spalle e questo può avvantaggiare chi è davanti».

«Ho visto che c’è una ciclosportiva (così si chiamano le gran fondo in Francia, ndr) la Fausto Coppi e su Strava ho notato che i primi l’hanno scalata in un’ora e 12′, magari questi ragazzi faranno in un’ora e 7′, ipotizzo. Sono pur sempre a fine Giro. Cerchiamo di vincere la tappa». 

Lanny scatta e recupera bene. Sembra possa mangiarsi il belga in quattro e quattr’otto e invece non va così. Ad un tratto qualcosa s’inceppa. Non guadagna più. E quel puntino che vedeva avvicinarsi sul costone della montagna, torna lentamente, ma inesorabilmente ad allontanarsi. 

Quell’inceppamento si chiama fastidio allo stomaco.

«Ero sul filo – spiega la maglia blu – se avessi spinto di più sarei saltato».

Come una crono

«Quanto è il distacco? Quanto ho preso?». Leo Hayter risponde con queste domande alle nostre domande.

In questo Fauniera lui è stato solo “gatto”. Doveva inseguire. La maglia rosa doveva solo guardare in su. Le sue prede erano davanti.

I suoi compagni lo hanno portato sin sotto la salita. Hanno fatto quel che potevano. Poi stava a lui. In questi casi la maglia rosa può diventare un fardello.

Ma Axel Merckx l’ha saputa lunga. Stamattina dava l’ormai consueto pugno su pugno ai suoi ragazzi. Un po’ di tensione c’era in effetti.

Aveva mentalizzato Hayter sul fatto che lo aspettasse una cronometro in salita. Non doveva pensare ad altro. E così lui ha fatto. Ad un certo momento aveva oltre 3′ dal belga. Gregoire era staccato, ma Van Eetvelt iniziava a fare paura. Mancava parecchio e nella generale virtuale ormai era a poco più di 2′.

Ma come dice Adriano Malori, le crono si vincono nel finale.

«Ai sei chilometri sono andato a tutta? No, ai cinque – spiega Hayter, stanco ma molto meno provato rispetto al giorno di Santa Caterina Valfurva – A quel punto ho cercato di dare il meglio di me stesso. Ho fatto tutta la scalata in controllo. Non dovevo saltare. Ero sempre sul limite, ma mai oltre. Non ho mai fatto salite così lunghe e a queste quote».

Lo spettacolo selvaggio del Fauniera. ExtraGiro è riuscita a portarci per la prima volta l’arrivo di una gara (al centro in alto)
Lo spettacolo selvaggio del Fauniera. ExtraGiro è riuscita a portarci per la prima volta l’arrivo di una gara (al centro in alto)

Tutti e tre si vedevano, dunque. Van Eetvelt si voltava verso il basso nelle svolte della strettissima stradina di questa splendida montagna. Martinez vedeva la sua preda allontanarsi dopo che l’aveva annusata da vicino. Mentre Hayter, sapeva che tenerli a vista era il suo traguardo.

E’ stata questa la storia del Fauniera, un giudice severo ma che ha detto chi sono davvero i migliori di questo Giro.

L’inchino di Leo. Un numero d’altri tempi che costa dolore

13.06.2022
6 min
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Qualcosa del genere non lo avevamo mai visto. A prescindere dall’impresa, dal numero assoluto d’antologia del ciclismo, quel che più colpisce di Leo Hayter (in apertura, foto Isola Press) è il suo dopo arrivo. A Santa Caterina Valfurva è il “dramma” totale. 

Devono sorreggerlo e abbassargli la bici per consentirgli di muoversi. Il Giro d’Italia U23 è stato stravolto. Adesso ci sono un padrone assoluto e distacchi d’altri tempi.

Arrivo incredibile

Leo arriva e come ieri dribbla tutti. Come trova una transenna libera si ferma e si accascia con la faccia rivolta verso l’esterno. Cerca aria e sputa bava al tempo stesso. Il massaggiatore lo raggiunge e gli dà una bottiglietta d’acqua.

L’inglese è ancora a cavalcioni della sua bici. E come prova a sfilarsela da sotto tira fuori un urlo più forte di quello di ieri sull’arrivo di Pinzolo. Ha un crampo alla gamba sinistra. Nessuno lo tocca. Alla fine è un massaggiatore della Beltrami-Tsa ad aiutarlo. 

Hayter non dice una parola. Fa fatica persino a reagire ai complimenti. Un automa. Intanto i minuti passano e nessuno taglia il traguardo. 

Dopo un po’ Leo riesce ad alzarsi. Non ride, non piange, guarda nel vuoto. Deve andare alla premiazione e gli passano la bici e solo allora strabuzza gli occhi.

Prima di ripartire però, prende il computerino e con un filo di voce lo mostra ai fotografi e ai giornalisti.

«Guardate – e punta i dati con l’indice – sei ore e passa di corsa. E’ troppo. Cosa provo adesso? Dolore». Hayter include anche il lunghissimo trasferimento: un anello dentro Pinzolo e la risalita fino a Madonna di Campiglio.

Se è troppo per il corridore della Hagens Berman Axeon, figuriamoci per gli altri. Quando lui era arrivato gli ultimi erano ancora all’inizio della Valtellina o poco più.

Illusione Martinez 

Però vale la pena, anzi è doveroso, ricordare cosa è successo.

Abbiamo parlato di antologia perché la corsa è stato un continuo ribaltamento. 

Groupama-Fdj con sicurezza iniziano a tirare forte prima del Guspessa (il Mortirolo). Germani fa un lavorone. Ricuce sulla fuga e lancia Lenny Martinez. Lui era il favorito. La sua squadra la più forte. Tutto sembrava andare secondo copione. Già c’era lo champagne nella borraccia.

Il francesino scappa. Fa il numero sul Mortirolo e fino a metà della lunga risalita della Valtellina, dove la strada è larga e la pendenza dolce, guadagna. Sembra imprendibile.

Non solo, ma il compagno Romain Gregoire, rimasto con il primo drappello, si lancia all’inseguimento. “Sinfonia” totale della squadra francese. Ma con due compagni che se le danno, come aveva pronosticato il cittì Amadori.

Che rimonta

Poi ecco che Hayter recupera. Riprende Gregoire. Lo stacca. E intanto Martinez cala. 

A Bormio lo vede. Lo punta. Lo prende e, famelico, lo stacca subito.

E qui inizia il capolavoro.

La strada torna a salire verso Santa Caterina. Di fatto c’è da fare mezzo Gavia: pendenze tra il 7 e l’11 per cento. Di quelle che se ne hai fai velocità, se non ne hai sei fritto. I 2’20” di svantaggio di Leo in fondo al Mortirolo diventano di vantaggio. E sul traguardo sono più che raddoppiati.

Hayter ha spinto come un ossesso. Gregoire, che ha speso meno, alla fine ha salvato la faccia ed è l’unico a non finire sopra i 5′ di ritardo. Il belga Van Eetveld gli arriva poco dietro. 

Sull’arrivo non sfila più nessuno. Passa un corridore ogni tanto. Al massimo drappelli di cinque persone.

La maglia rosa controlla sul Mortirolo. Al suo fianco Gregoire e Van Eetvelt (foto Isola Press)
La maglia rosa controlla sul Mortirolo. Al suo fianco Gregoire e Van Eetvelt (foto Isola Press)

Sorpreso da se stesso

Hayter resta seduto. E’ seduto persino per le interviste di rito. 

Ieri ci aveva detto: «Sono tutto da scoprire, domani avrò l’occasione di mettermi alla prova». E’ stato a dir poco di parola.

«Pensavo a seguire loro (riferendosi a Martinez e Gregoire, ndr) e a dare il massimo – dice l’inglese – Il Mortirolo è stata una sorpresa per me. In salita ho provato a seguire Lenny, ma il suo ritmo era troppo alto e così mi sono accodato al gruppo principale. Ho provato a seguire Romain in discesa e lì ho faticato molto perché è sceso molto velocemente. Era la prima volta che facevo questa discesa (i francesi l’avevano provata, ndr)».

«Se mi aspettavo di andare così? Assolutamente no! Credo sia stata la mia miglior performance di sempre. Non mi aspettavo soprattutto 6 ore di corsa. Magari i numeri non sono stati stupefacenti, ma bisognava tenersi le gambe per arrivare sulla linea d’arrivo».

Una risposta da veterano, non da un classe 2001.

Davide Piganzoli, 14° a 7’56” da Leo Hayter è stato il migliore degli italiani
Davide Piganzoli, 14° a 7’56” da Leo Hayter è stato il migliore degli italiani

La gioia può attendere

Infine Hayter, senza volerlo, ci ha dato una risposta che dà l’idea dell’entità dei distacchi che ha inflitto. Gli abbiamo chiesto che ora c’è una maglia rosa da portare a casa. Quella che fino a ieri poteva essere una leadership effimera, adesso sembra granitica. 

E lui: «Sì, adesso c’è questa maglia da difendere. Ho qualche minuto di distacco».

Capito? Qualche… neanche lui sapeva il super gap che aveva accumulato. «Adesso – conclude Leo – è importantissimo recuperare. Ho un bel team che mi aiuterà in questo».

Nel frattempo lo coprono. Il suo diesse Axel Merckx gli porta un cestino con della pasta al pomodoro e del parmigiano e un’altra giacca a vento. Questa serve per coprire le gambe. Si aspetta che arrivino i corridori per l’assegnazione delle maglie.

La gioia c’è e si vede dagli occhi di Leo, ma la forza di festeggiare ancora non è sufficiente.

Urlo, tappa e maglia. Impresa di Leo Hayter a Pinzolo

12.06.2022
5 min
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Come nelle migliori storie del ciclismo: fuga a lunga gittata, attacco nel finale, arrivo in solitaria, tappa e maglia. Pinzolo, incastonato tra l’Adamello da una parte e il Gruppo del Brenta dall’altra, sorride a Leo Hayter.

L’inglese della Hagens Berman Axeon, nonché fratello di Ethan in forza alla Ineos-Grenadiers, è la nuova maglia rosa del Giro d’Italia U23. La sfila ad Alberto Bruttomesso.

Caldo bestiale

La Rossano Veneto-Pinzolo fila via velocissima. Il caldo del mattino è opprimente. In casa Israel Academy, dove è passato Marco Frigo, a dare un saluto ai suoi compagni, si prepara persino il ghiaccio. E molti altri si spalmano di crema protettiva, tanto più con i body ultraleggeri. Che sono areati sì, ma coprono anche ben poco. Ieri più di qualcuno si è cotto le spalle. 

Gianluca Valoti, e in parte anche Andrea Fusaz, si aspettavano delle fughe. Ma più corpose.

E invece in fuga vogliono andarci tutti e, merito anche del vento a favore all’ingresso della Valsugana, la media della prima sfiora i 48 all’ora. Prima del Gpm, finalmente escono in tre: Piotr Kelemen (Tudor) Kyrylo Tsarenko (Gallina Ecotek Lucchini) e appunto Hayter. Prendono un margine subito molto ampio.

Nel finale il gruppo rimonta, ma non basta. I tre sentono il fiato sul collo e iniziano gli scatti. Hanno tenuto parecchio, molto più del previsto. L’ucraino si stacca “subito”, Kelemen sembra avere la meglio, ma Hayter contrattacca di rapportone. Pancia a terra e va via.

Man mano che arrivano, i compagni vanno ad abbracciare Hayter, super commosso
Man mano che arrivano, i compagni vanno ad abbracciare Hayter, super commosso

Urlo e pianto

Quando taglia il traguardo l’urlo di Leo è arrivato fin sulla vetta dell’Adamello, ancora timidamente imbiancata.

Hayter continua a pedalare dribblando i massaggiatori. Mentre gli organizzatori di ExtraGiro gli corrono dietro e lo chiamano per portarlo alle premiazioni.

Lui ad un certo punto si ferma. Monta sul marciapiede, sale tre gradini e si siede sulla soglia di un negozio di abbigliamento per bambini. Lì, mette la testa fra le mani e inizia a singhiozzare…

E’ un pianto di gioia, che solo l’arrivo alla spicciolata dei suoi compagni, che invece se la ridono, riesce ad interrompere.

«Non credevo di vincere – racconta Leo – non era questa la tattica del mattino. Dovevamo stare più “buoni”. Invece nel bailamme degli scatti mi sono trovato davanti. Il gap è stato subito grande. Quindi era un’opportunità e l’ho colta».

«Non conoscevo la tappa. Sì, l’avevo vista su carta come i miei compagni. Poteva essere adatta alle fughe, ma anche ad uno sprint non proprio di gruppo, ma a ranghi ridotti. Non credevamo andasse così insomma».

 

«Nel finale quando sono scattato, sono partito forte, ma all’inizio avevo paura perché sentivo un dolore qui – si tocca il fianco destro – come se mi avesse punto qualcosa. In più l’altro ragazzo (Kelemen, ndr) mi seguiva da vicino, strada saliva e le gambe mi facevano male. Poi è iniziato un tratto di discesa e sono riuscito a spingere forte. Da lì tutto è stato più facile».

«E’ andata così… e il resto è storia!».

Ma prima di salire sul podio, il britannico (classe 2001) ritrova il sorriso
Ma prima di salire sul podio, il britannico (classe 2001) ritrova il sorriso

Tutto da scoprire

Il resto è storia. Leo, come suo fratello Ethan l’hanno appena iniziata la loro storia con il ciclismo. E lo hanno fatto a colpi di pedale vincenti un po’ ovunque. Ethan vince in pista e in salita. Magari non sull’Alpe d’Huez (non ancora almeno), ma ti porta a casa il Giro di Norvegia. Oppure le volate di gruppo. 

Leo all’apparenza sembra più scalatore. Rispetto al fratello è più longilineo: stessa statura (178 centimetri) ma tre chili di differenza (69 Ethan, 66 Leo). Ciò nonostante nel finale, ha dato una “botta” da pistard.

«Non so – dice Hayter – cosa aspettarmi sono tutto da scoprire. Il Mortirolo non lo conosco: lo scoprirò domani. L’ho visto solo in tv. So che è duro e normalmente le salite dure e la salita in generale mi piacciono. Ho l’opportunità di dimostrare che sono bravo anche in salita. Adesso però voglio godermi questo momento… e la maglia rosa».

Marcellusi bravo

La fuga di oggi non è servita solo ad Hayter per conquistare la rosa, ma anche per far scoprire le carte del gruppo. Correre quando si è troppo favoriti implica delle responsabilità indirette e il gruppo di fatto, con Bruttomesso staccato, ha lasciato fare alla Groupama-Fdj. Li hanno fatto correre come se fossero già in maglia.

«Erano solo loro che tiravano – ci ha detto Martin Marcellusi, buon quarto – sono i più forti e nessuno gli ha dato una mano. Neanche i Dsm. Quindi siamo andati forte, ma non fortissimo. Infatti non abbiamo chiuso».

«Loro davanti sono stati bravi. Peccato che io non abbia potuto mettere nessun uomo a darmi una mano. Abbiamo tre ragazzi di primo anno al via ed erano dietro. L’unico che poteva aiutarmi era Nieri, ma è caduto.

«Peccato, perché questa era la tappa migliore per me. Ma non è finita. Domani, faccio gruppetto per risparmiare il più possibile e più in là ci riproveremo».