Vingegaard, Almeida e Pidcock: i racconti della Bola

13.09.2025
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E’ stato il grande giorno della Bola del Mundo alla Vuelta. La tappa del verdetto, quella che avrebbe decretato il re della maglia roja. La frazione è di nuovo di quelle toste, ma si sapeva già che a decidere tutto sarebbero stati gli ultimi 3.700 metri. Quelli in cemento, quelli con pendenze da MTB. Lassù avrebbe dominato la legge del più forte. E il più forte è stato Jonas Vingegaard. Per il corridore della Visma-Lease a Bike tappa e appunto… Vuelta.

Tra una fitta schiera di poliziotti e corse per contenere il pubblico più in basso, il già spoglio monte madrileno era ancora più vuoto nel suo chilometro finale. Si è sempre sul chi va là riguardo alle ormai note proteste pro Palestina.
In questo contesto vanno in scena 153 storie, tante quante i corridori rimasti in gara. Ogni scalata così estrema si trasforma per ognuno in qualcosa di strettamente personale. C’è chi vuole semplicemente arrivare al traguardo, chi vuole vincere, chi deve difendersi, chi dimostrare il suo valore, chi vuole la tappa. Ognuno ha il suo obiettivo.
Noi ve ne raccontiamo tre di queste storie e lo anche con l’aiuto di uno scalatore che sulla Bola del Mundo ci sarebbe stato alla grande: Domenico Pozzovivo.

Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca
Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca

Vingegaard campione vero

La prima storia, e non poteva essere diversamente, è quella di Jonas Vingegaard. Oggi il danese ha vinto. Ma la sua è una vittoria di chi era chiamato, e forse voleva dimostrare al mondo intero e prima di tutto a sé stesso, che è ancora forte. Che sa vincere anche senza Tadej Pogacar.
Anzi, a dire il vero era quasi obbligato a farlo.

Eppure in queste tappe è sì stato il più forte, ma non quello schiacciasassi che era lecito attendersi. Il Tour, e lo diciamo da tempo, si è fatto sentire. Jonas ha centellinato energie fisiche e mentali giorno dopo giorno.
«Dopo il Tour così duro – ha detto Pozzovivo – sinceramente mi aspettavo una Vuelta così di conserva, ma forse un po’ meno di come è stata realmente. Mi aspettavo che avrebbe cercato di addormentare la corsa e che non avrebbe corso come fa quando è contro Tadej o come fa lui stesso quando non c’è Pogacar. Penso per esempio alla Tirreno dell’anno scorso».

L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma
L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma

Jonas il chirurgo

«Anche oggi ha fatto di mille metri (è partito ai -1,3 chilometri e ha mollato ai 300 metri, ndr). Ha calcolato più la durata dello sforzo che la distanza. Sono stati 5 minuti di attacco, 5′ di fuorigiri ad una media di 13 all’ora o poco più. E’ stato un attacco chirurgico, preparato. Credo sapesse che non avrebbe aperto grandi margini e così ha fatto al massimo quello che poteva. Se fosse partito prima lo avrebbero ripreso, non avrebbe avuto la possibilità di portare un attacco simile più a lungo».

Le nostre sensazioni dunque erano giuste. Non ha sprecato nulla più del dovuto. Ha corso con grande consapevolezza dei suoi limiti. E che dire? Chapeau. Le corse si vincono anche così.
«Uno come lui – aggiunge Domenico – se fosse stato meglio avrebbe messo la firma sull’Angliru, per esempio».

Oggi Vingegaard doveva dimostrare che era comunque il miglior corridore di questa Vuelta e ci è riuscito. Onore a lui.

Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui
Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui

Almeida: sostanza e personalità

L’altra storia ci porta dal grande rivale di questa corsa spagnola, Joao Almeida. Chissà cosa, e se, gli ha detto Pogacar, il suo capitano, quando si è trovato a battagliare con il rivale storico del suo leader. Se gli ha svelato qualche punto debole.

Il portoghese della UAE Team Emirates si è ritrovato capitano. Sarebbe dovuto essere lo stesso Pogacar a guidare la corazzata in Spagna. Invece…
«Invece – ha detto Pozzovivo – si è ritrovato leader in modo inatteso. Ma è sbagliato dire che la sua stagione è venuta fuori in modo inaspettato. Andava già forte al Giro di Svizzera (anche prima al Romandia, ndr) e poi doveva fare bene il Tour. E invece ecco che si ritrova a fare la Vuelta e anche da capitano».

Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa
Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa

Joao leader

E proprio sull’essere leader, sulla pressione, sulla convivenza con Juan Ayuso, Pozzovivo esalta il portoghese: «Per me è stato fortissimo e questo lo consacra sia a livello internazionale che nella sua squadra. Credo che Joao si sia gestito benissimo, anche dal punto di vista della personalità, dell’essere leader appunto. E non ha avuto un inizio di Vuelta facile, con quei problemi di “spogliatoio”. Nella tappa in cui ha accumulato il maggior distacco da Vingegaard, lui stesso al termine della frazione ha detto che la squadra non aveva lavorato al 100 per cento per lui. Credo riferendosi non solo ad Ayuso, ma anche a Vine. E se dici una cosa del genere è perché ti prendi poi pressioni e responsabilità e lui ci ha convissuto benissimo. Idem quel che ha fatto sull’Angliru. Si è messo al massimo del suo limite. Di solito quando hai avversari così forti ti lasci un minimo di margine per rispondere a uno scatto. Lui no… e ha avuto ragione».

Anche oggi sulla Bola del Mundo ha perso qualche secondo, Almeida e la UAE con corridori che gli sono diventati fedeli quali Grosschartner e Vine, non si è fatto intimorire. La mancanza del riferimento Pogacar non si è fatta sentire.
«Non credo che Almeida senta questa cosa. Anche lo scorso anno al Tour era gregario di lusso, ma Tadej spesso partiva così tanto presto che anche lui poteva correre per sé stesso. E poi ha avuto altre occasioni di essere leader. Non ha perso insomma attitudine. Discorso diverso se si fosse trasformato nel leadout che si sposta e prende 10 minuti».

Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?
Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?

Pidcock: ora è nel posto giusto

La terza storia ci porta a Tom Pidcock. Il folletto della Q36.5 finalmente sale sul podio di un Grande Giro. In tanti, dopo la vittoria al Giro U23, lo aspettavano al varco, ma l’inglese aveva sempre mostrato altre preferenze, sia dal punto di vista personale che tecnico.

Domani a Madrid salirà sul gradino del podio e sempre domani Van der Poel sarà al mondiale di MTB. Per Pidcock è di certo un colpo al cuore. «Io sono un biker», ha sempre detto. Oggi all’arrivo quasi non riusciva a parlare tanto era stanco.

La domanda delle domande pertanto è: da oggi possiamo dire che Pidcock è uomo da corse a tappe? Mai come stavolta l’opinione di Pozzovivo, anche lui piccolo, scalatore e persino un po’ biker, è calzante.
«La Vuelta è sempre particolare quando si parla di Grandi Giri e questa lo è stata ancora di più. C’è una dichiarazione di Tom che mi ha colpito nel post Giro d’Italia e cioè: “Ho sofferto molto il caldo”. Per uno che soffre il caldo la Vuelta non è la miglior gara, ma in questo caso si è partiti con il maltempo in Italia, si è sempre restati al Nord dove le temperature non sono mai state torride e niente Andalucia. Questo ha giocato a suo favore».

«Rispetto alle tre settimane possiamo dire che ha dimostrato di esserci. Però mancava almeno un tappone da oltre 5.000 metri. Al Giro d’Italia ce ne sono sempre almeno due se non tre. Se ci fosse stato quello gli avremmo potuto dargli definitivamente la “patente” per corridore da Grandi Giri. Però questo podio è incoraggiante per lui. Resta il fatto che è un corridore che ama la corsa secca, che ama alzare le braccia e credo che correre per la classifica sia stato un grande sforzo mentale per Tom».

Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale
Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale

Chissà in casa Ineos…

Le analisi di Pozzovivo sono davvero eccellenti, ficcanti come solo chi è stato in gruppo per tanto tempo ad alti livelli può fare. E così gli chiediamo anche se domani, mentre metterà il piede sul podio, lui, ma soprattutto la Ineos Grenadiers, cosa penserà. Gli inglesi si mangeranno le mani?

«Assolutamente sì – dice secco il “Pozzo” – A loro manca un punto di riferimento per i Grandi Giri e in Ineos Grenadiers lo hanno fatto fuori con troppa fretta».

Però è anche vero che in quella squadra c’è una certa mentalità, una certa disciplina, di certo uno che vuole fare MTB non è il massimo per il team. E viceversa. Pidcock aveva perso il sorriso. In Q36.5 qualche comparsata in più offroad la può fare…
«E infatti – conclude Pozzovivo – per Tom stare in una squadra più piccola come la Q36.5 è meglio, può avere questo approccio. Alla fine è un po’ il faro, la maggior parte dei punti dipendono da lui e può permettersi di avere più spazi, di gestire un po’ di più i suoi impegni. Penso anche all’eccezione che, non essendo in una WorldTour, abbia comunque potuto disputare due Grandi Giri. Di certo è una situazione a suo vantaggio».

Almeida si prende l’Angliru: Vingegaard sfinito

05.09.2025
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Purtroppo per lui, Jonas Vingegaard dovrà attendere ancora prima di regalare l’orsacchiotto al figlio. L’Alto de Angliru resta un tabù e, dopo il secondo posto nel 2023 dietro Primoz Roglic, stavolta deve inchinarsi a Joao Almeida.

Sul gigante asturiano trionfa il portoghese della UAE Emirates che forse mette nel sacco la vittoria più importante della sua carriera, per come è arrivata e per chi ha battuto. Una vittoria che lo consacra, semmai ce ne fosse stato bisogno, tra i grandissimi.

Bravo Garofoli (in coda) che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta
Bravo Garofoli che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta

La consacrazione di Almeida

La tappa scorre via secondo copione: fuga da lontano, dentro c’è anche Gianmarco Garofoli e un tentativo lo fa anche di Antonio Tiberi. Dietro Red Bull-Bora e UAE che chiudono. Poco ha contato il breve stop per la protesta pro Palestina: in gruppo andavano troppo più forte.

La scalata dell’Angliru si trasforma presto in una cronoscalata: Almeida contro tutti. Uno dopo l’altro li fa saltare. L’unico ad averlo messo in difficoltà, anche solo per qualche metro, è stato paradossalmente il compagno Felix Grossschartner. Dopo il grande lavoro di Vine, l’austriaco aveva cambiato ritmo e saggiamente Joao non lo ha seguito. Poteva essere un campanello d’allarme, tanto che in casa Visma-Lease a Bike, cioè lo stesso Vingegaard e Sepp Kuss, che su queste rampe si rigenera, si è subito confabulato. Magari l’americano aveva consigliato al suo leader di attaccare.

Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio
Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio

Vuelta riaperta

Jonas però non lo ha fatto. La domanda è perché. Troppo presto? Non ne aveva? Alla fine lo scatto che tutti si aspettavano non è arrivato. Nel chilometro finale di salita anche lui dava le spalle e allo sprint, nonostante fosse rimasto sempre a ruota, non è riuscito a sopravanzare il portoghese, abile anche a prendersi la posizione nelle curve conclusive.

Ma un aspetto ha colpito più di tutti: la faccia di Jonas dopo il traguardo. Quando è salito sulla bici da crono per i rulli defaticanti ha fatto un’espressione eloquente. Sollevare la gamba per montare in sella deve essere stato uno sforzo ulteriore e tremendo per il danese. Quella smorfia di dolore potrebbe dire molto.

In fondo il danese è l’unico dei big in classifica (assieme a Gall) ad aver corso il Tour de France a tutta. E le energie, lo abbiamo visto anche con Tadej Pogacar, in questo ciclismo si pagano eccome. Anche se sei un supereroe. In tal senso la tappa di domani, ancora in salita, dirà molto.

Ora i due sono separati da 46”, ma il morale di Almeida è in crescita e quello di Vingegaard forse scricchiola…

Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo
Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo

Quel chilometro finale…

Sembra strano dirlo dopo quanto accaduto con Juan Ayuso in settimana, ma la squadra di Matxin e Gianetti si è mostrata davvero unita. Ayuso escluso, tutti hanno fatto la loro parte. Come si lavora per Pogacar, lo stesso è stato fatto per Almeida.

«La squadra ha lavorato in modo perfetto – ha detto Joao – sono super felice di come sia andata. E’ una vittoria incredibile. Se sia la più importante della mia carriera? Io ho pensato solo a spingere, a fare il mio passo e nell’ultimo chilometro sono andato oltre il limite».

«Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra – ha sottolineato Matxin a Eurosport – i ragazzi hanno corso al meglio e con la fuga non era facile controllare il distacco. La vittoria di Joao è speciale, questo è un traguardo prestigioso. Oggi volevamo vincere la tappa e ci siamo riusciti. Per radio gli dicevamo di spingere, di restare concentrato, che stava andando forte».

Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire
Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire

Marcato se la gode

Intanto i corridori arrivano alla spicciolata. L’Angliru è un giudice micidiale e spacca la corsa come poche salite al mondo. Marco Marcato, direttore sportivo della UAE, si gode il momento: «Questa vittoria vale per tre. L’Angliru è un’icona e un successo così dà tantissimo morale. Ancora di più perché hai battuto Vingegaard, il migliore al mondo su certi arrivi dopo Tadej. Siamo davvero soddisfatti. Joao l’ha presa di petto e chapeau a lui».

Con Marcato si parla anche di tattica. Durante la scalata ci si chiedeva se quel ritmo regolare impostato da Almeida non favorisse Vingegaard. Ma a quanto pare era tutto studiato.
«La tattica era questa – spiega Marcato – Joao è un regolarista e bisognava evitare che uno scalatore puro come Jonas potesse scattare, così abbiamo deciso di impostare un passo forte. Poco importava se l’altro restava a ruota, perché su quelle pendenze e con quelle velocità la scia conta poco. E’ stata una scelta che alla fine ha pagato.


«Vuelta riaperta? Per noi non era mai stata chiusa. Ora il distacco tra i due è di 46” e restano molte tappe dure fino a Madrid. Ci proveremo ancora, ma bisogna fare i conti con le energie rimaste».

Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale
Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale

Il bilancio delle energie

E con questa frase Marcato apre un altro capitolo: quello delle energie, che già avevamo accennato. In teoria il bilancio dovrebbe pendere a favore del portoghese, che ha lasciato il Tour quasi subito. Un dato però non va perso nell’analisi della scalata: il recupero di Hindley e Kuss nel finale, segno che davanti erano stanchi.

«Eh – sospira Marcato – l’idea è quella, ma finora non si è visto questo calo da parte di Vingegaard. E’ vero però che oggi anche lui ha faticato, altrimenti avrebbe attaccato. Bisogna stare attenti, perché una salita finale come quella di domani è più adatta a uno come Jonas.

«Noi andiamo avanti per la nostra strada. Voglio sottolineare il lavoro dei ragazzi, da Novak a Grossschartner, da Vine a Oliveira… tutti. Stamattina eravamo tutti per Joao. Pressione non ne avevamo: in classifica eravamo messi bene e avevamo già vinto cinque tappe. Però abbiamo fatto bene quel che dovevamo, in particolare prima dell’Angliru, quando abbiamo preso davanti la tecnica discesa del Cordal per portarlo al meglio ai piedi della salita. Poi il resto lo ha fatto Almeida, che ci ha messo gambe e cuore».

Bilbao, la Vuelta ferita. Ma l’indifferenza non risolve

04.09.2025
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«Oggi è il compleanno di mio figlio – ha detto Vingegaard dopo la tappa della Vuelta annullata a Bilbaoha un anno e volevo davvero alzare le braccia al traguardo per lui. Abbiamo lavorato tutto il giorno per questo e non avere la possibilità di vincere è stato piuttosto deludente. Avevo davvero questa ambizione di vincere la tappa ed ero in una buona posizione per provarci. Sono comunque riuscito a tagliare per primo il nuovo traguardo, a 3 chilometri da quello vero. E’ un peccato non portare a casa un orsacchiotto per mio figlio oggi, ma spero di averne due domani».

Kiko Garcia ha gestito al meglio delle sue possibilità la situazione della tappa di ieri
Kiko Garcia ha gestito al meglio delle sue possibilità la situazione della tappa di ieri

Il senso della protesta

Nessun vincitore. L’undicesima tappa della Vuelta è stata fermata a 3 chilometri dall’arrivo di Bilbao. L’attacco di Pidcock sulla salita di Pike aveva permesso al britannico di fare il vuoto, con il solo Vingegaard nella sua scia. Gli altri invece avevano pagato con 12 secondi di ritardo. Poco dopo le cinque del pomeriggio invece, gli organizzatori hanno deciso di ridurla per evitare i rischi connessi alle proteste pro Palestina inscenate al traguardo da un folto gruppo di manifestanti. Nei Paesi Baschi hanno la rabbia dentro, gente di sangue forte. E se nella cronosquadre di Figueres le proteste avevano portato al rallentamento della Israel-Premier Tech, ieri si è preferito non correre rischi (in apertura immagine ANP/EPA).

Lo scrivemmo dopo il Giro d’Italia. Il ciclismo si corre sulle strade in mezzo alla gente e può diventare la cassa di risonanza per manifestazioni di ogni tipo, a patto che non si mettano a rischio i corridori. Ricordiamo quando gli operai della Piaggio fermarono la Sanremo o quando i sindaci dei paesi alluvionati del Piemonte rallentarono la partenza di tappa del Giro dal Santuario di Vicoforte. Ma adesso in ballo ci sono una guerra. Oltre 40 mila morti. Un primo ministro che teorizza invasioni e attua massacri senza che al mondo nessuno gliene chieda ragione. Che cosa volete che possa fare la gente se non protestare? E a cosa serve una protesta se nessuno se ne accorge?

La polizia ha respinto i manifestanti, ma le condizioni dell’arrivo non erano sicure (foto EFE)
La polizia ha respinto i manifestanti, ma le condizioni dell’arrivo non erano sicure (foto EFE)

La posizione del CPA

Avvisaglie purtroppo c’erano già state. Nella cronosquadre di Figueres, quando la Israel-Premier Tech è stata rallentata e la giuria ha poi bilanciato il distacco. E poi nella tappa di martedì con arrivo a El Ferial Larra Belagua, quando i manifestanti hanno tentato di attraversare la strada al passaggio del gruppo, provocando la caduta di Petilli, che corre con la Intermarché-Wanty. Dall’inizio della Vuelta, come già fatto al Tour de France, attorno alla Israel-Premier Tech sono state rinforzate le misure di sicurezza. L’imprenditore israeliano-canadese Sylvan Adams è ritenuto uno stretto collaboratore del primo ministro Netanyahu e un sostenitore delle sue politiche. Per questo il pullman e i mezzi della squadra viaggiano senza la dicitura Israel.

Va bene protestare, tuttavia, ma non danneggiare o colpire i corridori. Mercoledì pomeriggio, il CPA ha rilasciato una dichiarazione. Vi si esprime «la sua profonda preoccupazione e la ferma condanna per le azioni che hanno messo in pericolo i corridori della Vuelta a Espana. E’ inaccettabile che le associazioni, qualunque sia la loro natura o le loro motivazioni, si permettano di compromettere la sicurezza e l’integrità fisica degli atleti sulla strada. Chiediamo inoltre ai servizi di sicurezza spagnoli di fare tutto il possibile per garantire il regolare svolgimento dell’evento e proteggere i corridori. Tutti hanno il diritto di protestare, ma non può essere a spese degli atleti che stanno facendo il loro lavoro».

Prima della neutralizzazione della tappa, Pidcock e Vingegaard avevano infiammato la corsa
Prima della neutralizzazione della tappa, Pidcock e Vingegaard avevano infiammato la corsa

Chi deve decidere

La tappa di Bilbao sarebbe stata forse la più spettacolare della Vuelta e si è trasformata in una ferita. L’organizzazione si è vista costretta alla neutralizzazione delle classifiche, a capo di una giornata a dir poco impegnativa. Dopo gli esiti della giornata, il direttore della Vuelta Kiko Garcia ha spiegato la scelta di ieri e risposto a fatica alle domande sulla possibilità di ritiro della squadra israeliana.

«E’ stata una giornata difficile per tutti – ha spiegato – come potete immaginare. Sapevamo che ci sarebbero potute essere delle proteste, ma la verità è che la portata del movimento ci ha colti di sorpresa al primo passaggio del traguardo. Abbiamo visto che la situazione era tesa e che dovevamo prendere una decisione in fretta. C’erano due opzioni: annullare tutto o almeno provare a offrire uno spettacolo al grande pubblico ciclistico dei Paesi Baschi. E’ quello che abbiamo fatto. Ho parlato un po’ con le squadre e tutti hanno capito che era la decisione migliore.

«Sapevamo che se non avessimo reagito, le proteste sarebbero continuate. Dobbiamo seguire le regole. La partecipazione della Israel-Premier Tech è obbligatoria, non possiamo decidere diversamente. Fermarla compete semmai a un organismo internazionale. Il nostro compito è cercare di proteggere i corridori, le squadre e la corsa, ovviamente. Ed è qui che siamo. Abbiamo parlato con la squadra per ore ieri sera, esponendogli la situazione, vedendo se anche loro sentivano la pressione aumentare. Non c’è molto altro che io possa fare».

Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili, come ci ha raccontato Marco Frigo qualche giorno fa
Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili, come ci ha raccontato Marco Frigo qualche giorno fa

La posizione dell’UCI

Perché il CIO dispose lo stop delle società e degli atleti russi dopo l’invasione dell’Ucraina e non dice nulla contro Israele? Tirata per la manica, l’UCI ha pubblicato un comunicato di facciata.

“Condanniamo fermamente queste azioni. Sottolineiamo l’importanza fondamentale della neutralità politica delle organizzazioni sportive unite nel Movimento Olimpico, nonché il ruolo unificante e pacificatore dello sport. I grandi eventi sportivi internazionali incarnano uno spirito di unità e dialogo, al di là delle differenze e delle divisioni. Lo sport, il ciclismo in particolare, ha lo scopo di unire le persone e superare le barriere tra loro e non deve in nessun caso essere utilizzato come strumento di punizione. L’UCI esprime la sua piena solidarietà e il suo sostegno alle squadre e al loro staff, nonché ai corridori, che devono poter esercitare la loro professione e la loro passione in condizioni ottimali di sicurezza e tranquillità“.

La Israel-Premier Tech non molla: «Creeremmo un precedente pericoloso»
La Israel-Premier Tech non molla: «Creeremmo un precedente pericoloso»

La Israel rimane

Chiedere il ritiro spontaneo della Israel-Premier Tech sarebbe pretendere che siano loro a togliere le castagne dal fuoco all’UCI. Ieri in serata una dichiarazione della squadra spiega la sua posizione e il perché rimarrà in corsa.

“Israel-Premier Tech – si legge – è una squadra ciclistica professionistica. In quanto tale, la squadra rimane impegnata a partecipare alla Vuelta a Espana. Qualsiasi altra linea d’azione costituisce un pericoloso precedente nel ciclismo, non solo per Israel-Premier Tech, ma per tutte le squadre.

“Israel-Premier Tech ha ripetutamente espresso il suo rispetto per il diritto di tutti a protestare, purché tali proteste rimangano pacifiche e non compromettano la sicurezza del gruppo. L’organizzazione della Vuelta a Espana e la polizia stanno facendo tutto il possibile per creare un ambiente sicuro e, per questo, la squadra è particolarmente grata. Tuttavia, il comportamento dei manifestanti oggi a Bilbao non è stato solo pericoloso, ma anche controproducente per la loro causa. E ha privato i tifosi baschi, tra i migliori al mondo, del traguardo di tappa che meritavano.

“Ringraziamo gli organizzatori della gara e l’UCI per il loro continuo supporto e la loro collaborazione. Così come le squadre e i corridori che hanno espresso il loro sostegno sia pubblicamente che privatamente e, naturalmente, i nostri tifosi”.

Anche al Tour, nella tappa di Tolosa, un tifoso ha invaso il rettilineo di arrivo manifestando per la Palestina
Anche al Tour, nella tappa di Tolosa, un tifoso ha invaso il rettilineo di arrivo manifestando per la Palestina

C’è da capire se gli esiti di ieri fomenteranno altre proteste o se l’aumento delle misure di sicurezza basterà a mettere in sicurezza la Vuelta e i suoi attori. Nel prendere posizione di ciascuna parte in campo, rileviamo con malinconia che non una sola parola è stata pronunciata dallo sport su quanto sta accadendo a Gaza. Dispiace anche a noi che Vingegaard non abbia potuto donare quell’orsacchiotto a suo figlio. Dispiace ancora di più che dall’inizio della guerra siano stati uccisi 13 mila bambini. Da quelle parti avere o non avere un orsacchiotto è l’ultimo dei problemi. Laggiù muoiono a colpi di fucile, sotto le bombe oppure di fame. Dirlo e manifestare empatia potrebbe forse rasserenare in qualche modo gli animi.

Vingegaard si diverte, Ciccone salta, Almeida rimugina

31.08.2025
4 min
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Era prevedibile che qualcosa in casa UAE Emirates non andasse. Ayuso s’è tappato le orecchie e forse anche questa volta preferirà non ascoltare. Dopo l’arrivo e il secondo posto alle spalle di Vingegaard, Almeida non ha fatto nomi. Tuttavia il fatto che all’inizio della salita (pedalabile) di Estación de Esquí de Valdezcaray lo spagnolo si sia staccato resta un comportamento da decifrare. Da uno che due giorni fa ha dominato sul traguardo di Cerler, dopo 4.203 metri di dislivello, ci si poteva aspettare di più.

«Siamo stati colti di sorpresa – ha detto Almeida parlando dell’attacco di Vingegaard a 11 chilometri dall’arrivo – non me l’aspettavo. Ero ben posizionato, ma loro hanno attaccato molto forte e per questo non sono riuscito a recuperare. E’ andata così… Ho visto che i ragazzi erano al limite e non potevano fare molto, oggi mi sono mancati particolarmente i miei compagni di squadra. Alla fine non avevo accanto nessuno… Non era molto ripido, quindi penso che avrei potuto seguire Jonas diversamente. Ma non lo sapremo mai».

Almeida ha inseguito Vingegaard andando quasi alla sua stessa velocità: a 27 anni, Joao è nella piena maturità
Almeida ha inseguito Vingegaard andando quasi alla sua stessa velocità: a 27 anni, Joao è nella piena maturità

Il fuori giri di Ciccone

E’ stato così che Jonas Vingegaard ha deciso di affondare i denti, dopo che fino a inizio salita i più attivi erano stati gli uomini della Lidl-Trek. Jorgenson ha tirato e di colpo il danese è andato via da solo. L’ha seguito Ciccone, con un gesto più spavaldo che bello: quello è Vingegaard, per fare classifica contro di lui, bisogna usare la testa e non i muscoli. Ma certe prove vanno fatte e Ciccone a un certo punto ha detto basta.

«Penso che Jonas sia andato troppo veloce per me – ha commentato Giulio, laconico – e ho fatto del mio meglio. Forse seguirlo è stato un errore, era meglio tenere un po’ il passo. Eravamo ancora ai piedi della salita, ma le sensazioni erano buone ed eravamo davvero fiduciosi di provare a vincere questa tappa. Lui a volte è forte e a volte meno. Oggi è stato fortissimo, ma sicuramente ci riproveremo».

Il linguaggio del corpo: bocca chiusa, bocca aperta, il destino di Ciccone era segnato
Il linguaggio del corpo: bocca chiusa, bocca aperta, il destino di Ciccone era segnato

Lo stupore di Vingegaard

Vingegaard non l’ha fatto da super cattivo, anzi alla fine ha scherzato sull’imprudenza di attaccare da tanto lontano. Si è anche voltato spesso, senza scavare solchi profondi. Del resto, fra i rivali davanti è il solo ad aver corso il Tour lottando sino alla fine con Pogacar e a non essersi preparato in altura.

«Oggi mi sentivo benissimo – ha detto Vingegaard – quindi ho chiesto alla squadra di accelerare e hanno fatto un lavoro fantastico. Sono entusiasta di essere riuscito a concludere. A dire il vero, non sapevo che fossi così lontano quando ho attaccato. Non ho fatto i compiti molto bene e sono rimasto sorpreso quando ho visto il cartello dei 10 chilometri. Una volta che ho guadagnato un po’ di vantaggio, ho continuato. Non cercavo la maglia rossa. Il mio obiettivo principale era vincere la tappa e guadagnare tempo sui miei rivali».

La tappa di oggi misurava 195,5 chilometri, attraverso la provincia autonoma di La Rioja
La tappa di oggi misurava 195,5 chilometri, attraverso la provincia autonoma di La Rioja

La promessa di Pidcock

Per una singolare coincidenza del calendario, si è visto oggi sugli scudi anche Tom Pidcock. Il britannico della Q36.5 ha scalato la salita finale assieme ad Almeida. E’ parso troppo a lungo a rimorchio e solo nel finale ha dato il suo contributo, limando una decina di secondi al margine di Vingegaard.

«Mi sentivo davvero bene – ha detto il campione olimpico della moutain bike – ma quando Jonas parte è sempre difficile seguirlo. Ha sempre tanti compagni con sé. Ho creduto che Almeida fosse la ruota perfetta da seguire, ho pensato che saremmo potuti rientrare insieme. Chapeau a lui, non sono proprio riuscito a dargli il cambio. Mi ha urlato contro, ma nel tratto più veloce della salita, sembrava un trattore. E’ ripartito nell’ultimo chilometro ed è stato impressionante, sono riuscito a superarlo solo all’arrivo. Sono contento, a essere sincero. So che è difficile conoscere appieno le mie capacità, ma ci stiamo divertendo».

Dopo un Giro a dir poco anonimo, il Pidcock della Vuelta è molto più propositivo
Dopo un Giro a dir poco anonimo, il Pidcock della Vuelta è molto più propositivo

La singolare coincidenza del calendario sta nel fatto che proprio oggi Van der Poel è tornato a correre in mountain bike, centrando un buon sesto posto a Les Gets, in Francia. Mathieu ha nel mirino il mondiale che si correrà nel Vallese il 14 settembre, proprio nel giorno finale della Vuelta a Madrid. Magari l’olandese si starà già fregando le mani sapendo che nel gruppo non ci sarà la vera star attuale del movimento. Anche se Pidcock dopo la Vuelta volerà in Africa e si giocherà da par suo il mondiale di Kigali.

Vingegaard strozza l’urlo di Ciccone: Vuelta subito esplosiva

24.08.2025
6 min
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LIMONE PIEMONTE – A un respiro dalla gloria rossa. Per qualche istante, la sagoma di Giulio Ciccone aveva fatto capolino nella nebbia e sembrava quella destinata a tagliare per prima il traguardo di Limone Piemonte, quassù dove di solito d’inverno si scia ed è di casa Marta Bassino. E, invece, con tutta la sua freddezza da killer, Jonas Vingegaard ha strozzato in gola l’urlo dell’abruzzese della Lidl-Trek, sfoderando il colpo di reni che in un sol colpo gli ha regalato tappa e maglia, la prima di leader della Vuelta della sua carriera.

Sul traguardo, Giulio è senza fiato, ma trova le parole per spiegare quanto lui davvero ci abbia sperato fino all’ultimo millimetro di asfalto: «Gli ultimi 500 metri c’è stato un po’ di casino e sono rimasto chiuso con Ayuso. Poi, sono partito con un rapporto troppo duro e infatti gli ultimi 50 metri ero troppo, troppo duro. Peccato perché oggi volevamo prendere la maglia e regalare una bella gioia a questo pubblico che mi spinge, ma ci riproveremo».

Ciccone si volta, Vingegaard vede che c’è ancora il margine per passarlo: si decide tutto in questi pochi metri
Ciccone si volta, Vingegaard vede che c’è ancora il margine per passarlo: si decide tutto in questi pochi metri

I dubbi di Vingegaard

E dire, che lo stesso Vingegaard non pensava più di ricucire sullo scatenato italiano: «A 100 metri dal traguardo – dice – non pensavo più di riuscire a vincere perché Giulio è andato fortissimo. Subito dopo la curva, credevo che lui fosse già vicino al traguardo, ma poi mi sono accorto che mancava più di quanto pensassi e così ho deciso di lanciarmi con tutte le forze e ce l’ho fatta».

Nonostante, il finale concitato, il danese della Visma-Lease a Bike si è subito reso conto di avercela fatta, alzando il braccio destro e baciando la fede nuziale. L’altro, sanguinante, non sembra preoccuparlo, così come il ginocchio sinistro, dopo la caduta occorsa per l’asfalto bagnato a una rotonda ai -25 chilometri dall’arrivo.

«Ho preso una bella botta, poi in realtà sono solo scivolato per parecchi metri. Il colpo più forte l’ha preso il ginocchio, ma subito mi sono reso conto che andata bene e per ora non sento particolare fastidio», ha aggiunto commentando il terzo successo di tappa nella Corsa spagnola dopo i due del 2023.

Ladri di biciclette

Peggio è andata al suo compagno Axel Zingle che, oltre a lussarsi la spalla sinistra e ad arrivare a più di 24 minuti, è rimasto anche a piedi per colpa di un ladro maldestro: «Mi sono slogato la spalla e ho dovuto rimettermela a posto da solo. Poi mi è successo una seconda volta mentre prendevo un gel, così mi sono dovuto fermare. Ho lasciato la bici a una persona che non parlava molto l’inglese, per tenerla quei 5/10 minuti mentre ero in ambulanza a farmi sistemare la spalla e questo tizio se n’è andato via. Per fortuna, sono arrivati con la bici di scorta dopo qualche minuto».

In realtà la versione di Zingle, evidentemente scosso, è stata più smentita dai fatti, dato che il suddetto tifoso aveva passato la bici agli addetti del camion scopa (tuttavia nella notte la Visma Lease a Bike avrebbe subito un furto ben più consistente in hotel).

In serata, come spiega anche Grisha Niermann, si valuterà se potrà ripartire domani da San Maurizio Canavese, in attesa che si sveli il mistero sulla bici sottratta: «Sono caduti sei su otto dei nostri e questo ha scombussolato un po’ i piani, ma per fortuna Jonas è rimasto concentrato e ce l’ha fatta. Devo dire che c’è stato anche grande fairplay in gruppo, al netto della situazione caotica che si era creata. La squadra si è comportata alla grande, ma sapremo solo dopo alcuni accertamenti se Axel potrà continuare la Vuelta».

Botte e risposte

Dunque, Vingegaard ha fatto centro al primo arrivo in salita, ma sottolinea subito che «se ci sarà una fuga, non sarà un problema perdere la maglia nei prossimi giorni». Niermann conferma: «A noi interessa che Jonas la indossi sul podio di Madrid, null’altro».

Fatto sta che le altre squadre dovranno inventarsi qualcosa per ribaltare tutto. La Uae Emirates ci aveva provato oggi, lanciando in avanscoperta Marc Soler ai 600 metri (subito dopo il forcing di Giulio Pellizzari). Almeida (5°) e Ayuso (8°) non hanno avuto però le gambe per seguire Ciccone e Vingegaard.

Lo spagnolo, comunque, è fiducioso: «Penso di aver superato questo primo test – dice Ayuso – e sono convinto di migliorare già verso Andorra, che sarà il momento chiave della settimana iniziale della Vuelta. Jonas e Ciccone erano favoriti, ma sia io e Joao abbiamo ancora tanta strada per dimostrare quanto valiamo».

Almeida gli fa eco: «E’ stata una giornata un po’ caotica, con la pioggia arrivata nei chilometri finali, le cadute e il nervosismo in gruppo. Per fortuna è andato tutto bene. Io, Juan e anche Marc siamo andati molto forte, gli altri sono stati più forti di noi, ma dobbiamo solo continuare a spingere. Il finale di domani presenta alcune curve insidiose, per cui cercheremo di stare davanti».

Il quarto posto di Bernal fa il pari con il sorriso del colombiano, che sembra molto in forma
Il quarto posto di Bernal fa il pari con il sorriso del colombiano, che sembra molto in forma

E la terza, breve frazione (134,6 chilometri) da San Maurizio Canavese a Ceres, sarà speciale per Egan Bernal, che tornerà sulle strade su cui è cresciuto agli ordini di Gianni Savio. Il quarto posto di oggi ha sorpreso lo stesso colombiano: «Non mi aspettavo di riuscire a lottare per il successo. Mi sono trovato là davanti e ci ho provato. E’ una bella iniezione di fiducia per il mio morale questo risultato e ringrazio Ben, Pippo e Kwiato (rispettivamente Turner, Ganna e Kwiatkowski, ndr) per avermi tenuto fuori dai guai».

La vita è bella (anche senza Pogacar): Vingegaard vuole vincere

23.08.2025
6 min
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TORINO – «Sono qui per vincere la Vuelta, direi che è abbastanza chiaro». Lo sanno tutti i suoi avversari che lo indicano come favorito numero uno nelle dichiarazioni della vigilia e ne è ben consapevole Jonas Vingegaard, da quando Tadej Pogacar ha cambiato i suoi piani. Ma il dualismo che ha accompagnato gli ultimi quattro Tour de France non si ferma neanche quando uno dei due contendenti è assente, perché il danese replica così sul fantasma che aleggia.

«E’ sempre bello correre contro Tadej – dice – ma al tempo stesso, qualche volta non è male anche non doverlo affrontare. Senza dubbio, è più bello vincere quando lui è al via però, in fin dei conti, la cosa più importante è vincere, al netto di chi c’è e chi no». Stuzzicato a chiarire meglio la stilettata un po’ ambigua, ecco che Jonas diventa di ghiaccio: «Penso di aver già detto abbastanza».

Le sfide contro Pogacar sono ricorrenti: non averlo intorno dopo le ultime sconfitte non è un male a detta di Vingegaard
Le sfide contro Pogacar sono ricorrenti: non averlo intorno dopo le ultime sconfitte non è un male a detta di Vingegaard

Favorito d’obbligo

A chi lo incalza sul fatto che, senza nemmeno Evenepoel, l’obbligo di vincere a tutti i costi possa diventare un peso, risponde sicuro.

«A dire la verità, non penso di avere più pressione in questa Vuelta, perché al Tour ci sono più media e più pressione, per cui non è la stessa cosa e sono abituato a ben di peggio. Certo, sono uno dei grandi favoriti, ma sono contento di essere qui e di poter puntare al successo finale. Possono sempre capitare delle brutte giornate, come al Tour, ma faremo di tutto per evitarlo. Abbiamo capito in parte cosa è successo in quelle circostanze, ma lo terremo come nostro segreto». 

Tutti per uno

La conferenza virtuale pre-Vuelta organizzata dalla Visma Lease a Bike è un attestato di fiducia al campione della scuderia, perché vicino al leader designato c’è il suo angelo custode, ovvero Grisha Niermann. Il diesse tedesco, reso una celebrità dalla serie di Netflix, mette in chiaro le cose rispetto alla Vuelta trionfale del 2023, in cui la squadra decise di premiare il gregario di lusso Sepp Kuss. Primoz Roglic e lo stesso Vingegaard dovettero così accontentarsi di far da scudieri sul podio. Lo scenario predefinito questa volta non ammette altre interpretazioni.

«Siamo qui per vincere con Jonas – spiega – e il fatto che al mio fianco sia seduto solo lui ne è la testimonianza. Per supportarlo abbiamo scelto ragazzi di grande valore come Sepp Kuss e Matteo Jorgenson, ma non solo».

Ci sono infatti anche le due novità Alex Zingle e Ben Tulett, che non avevano mai disputato un Grande Giro con la maglia giallonera né tantomeno la Vuelta in carriera. Il francese aveva corso due Tour con la Cofidis (2023 e 2024) e il britannico un solo Giro con la Ineos (2022). «Ognuno di loro sarà una pedina fondamentale per inseguire il successo con Jonas. Se li abbiamo selezionati è perché ci crediamo molto», ripete come un mantra Niermann, che stavolta non sarà in ammiraglia a supportare il suo pupillo come sempre avvenuto al Tour, ma avrà un ruolo più strategico e meno operativo. 

Il diesse Niermann, qui durante un allenamento con Van Aert nello scorso febbraio, è stato pro’ dal 1999 al 2012
Il diesse Niermann, qui durante un allenamento con Van Aert nello scorso febbraio, è stato pro’ dal 1999 al 2012

Morkov, diesse e… interprete

In corsa, infatti, ci saranno il danese Jesper Morkov e il belga Maarten Wynants. «Jesper – prosegue Niermann – mi ha fatto un’ottima impressione. Insieme a Maarten, si occuperà delle fasi di corsa, mentre io lavorerò più dietro le quinte: abbiamo molta fiducia in entrambi. Jesper è un ottimo allenatore, specializzato nello sprint, perché di solito lavora con Olav Kooij. E’ giovane, ma ha molta esperienza ed è anche bello che Jonas possa parlare danese con lui di tanto in tanto. E magari esprimersi senza filtri e senza che noi capiamo ogni sfumatura per forza». 

Il calendario all’osso

Vingegaard non ha paura che la Vuelta gli sfugga dalle mani, al punto da rivelare che, di fatto, rimane l’ultimo grosso obiettivo stagionale, fatto salvo per la corsa in linea degli europei in Francia. In un solo colpo conferma infatti l’intenzione di rinunciare sia alla sfida iridata sia ad altre importanti di fine stagione. Due appuntamenti che l’avrebbero messo quasi certamente ancora contro Pogacar.

«Non andrò al mondiale – spiega – perché quest’anno richiede davvero molto dal punto di vista fisico e ad oggi non so ancora dire come uscirò dalla Vuelta. Per questa ragione, punterò all’europeo, concentrandomi solo sulla corsa in linea e non sulla cronometro. Per il momento, l’idea è di non prendere parte nemmeno al Lombardia».

La moglie Trine e i bambini hanno seguito Vingegaard per tutto il Tour: questa volta non ci saranno
La moglie Trine e i bambini hanno seguito Vingegaard per tutto il Tour: questa volta non ci saranno

La famiglia resta a casa

Per le prossime tre settimane, invece, l’imperturbabile danese si sente al top: «Tra il Tour e la Vuelta ho potuto trascorrere un po’ di tempo con la mia famiglia. Al tempo stesso mi sono allenato ad Annecy, una bella zona, che mi piace e con delle salite stimolanti. Ho fatto tutto quello che volevo e credo sia stato il miglior avvicinamento possibile, al netto delle poche settimane a disposizione e di un piccolo stop perché non stavo bene, ma nulla di grave. Penso che la forma sia buona e sono pronto».

A chi gli chiede se la famiglia, suo grande caposaldo, lo seguirà nella cavalcata verso la roja, Jonas aggiunge: «Stavolta si riposeranno un po’ e mi tiferanno da casa».

Un ciclismo che logora

Sul tema burn-out causato dai ritmi eccessivi del ciclismo attuale, tirato fuori da Pogacar a fine Tour, Vingegaard è d’accordo.

«Il nostro sport è cambiato negli ultimi anni – dice – si arriva al top molto prima rispetto al passato. Io quest’anno compirò 29 anni e una volta questa era l’età in cui si cominciava a fare risultati nei Grandi Giri. In qualche senso è vero che è anche più logorante, per cui non si arriva più quasi fino alla quarantina come succedeva in precedenza. Si passa tanto tempo lontano da casa con i ritiri in altura e gli allenamenti in generale, ma fa parte del gioco».

Vuelta 2023: Kuss vince, Vingegaard e Roglic sono costretti a frenare. Anche per questo lo sloveno lascerà la squadra
Vuelta 2023: Kuss vince, Vingegaard e Roglic sono costretti a frenare. Anche per questo lo sloveno lascerà la squadra

Visma contro UAE?

C’è chi prova a scucire qualcosa sulle tattiche di squadra, ma Niermann fa catenaccio: «Ho una strategia ben chiara in mente, ma sarei uno stupido se vi rivelassi qualcosa. Dovremmo essere sempre pronti perché ci sono tanti arrivi interessanti, già dalla seconda tappa di domenica, fino ad arrivare alla penultima».

La sfida al tandem Uae è lanciata e a chi gli dice che nei Grandi Giri i sigilli per i rivali hanno portato tutti la firma di Pogacar, non si fa ingannare: «E’ vero che siamo stati bravi a vincere con corridori diversi di recente e siamo convinti di poter confermarci sul gradino più alto del podio, ma non penso che Ayuso e Almeida non siano in grado di vincere un Grande Giro. E lo stesso vale anche per Del Toro».

Una risposta che fa sorridere Vingegaard e invertire i ruoli, visto che è lui a complimentarsi con il suo diesse con una battuta: «Bravo, ti sei salvato!». Anche se non saranno fianco a fianco in corsa, il feeling si sentirà pure a distanza: il gruppo è avvisato.

I giorni spagnoli a Torino: gli onori di casa li fa Javier Guillen

22.08.2025
6 min
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TORINO – Una sessione di spinning a cielo aperto guidata da Fabio Aru, musica a palla dalle 5 del pomeriggio e poi la parata dei campioni nel cuore di Torino. Nemmeno qualche scroscio di pioggia in Piazzetta Reale è riuscito a rovinare la festa della prima Vuelta italiana e il sorriso sulle labbra di Javier Guillén è la conferma che l’atto della Gran Salida è stato un successo.

Con il direttore della corsa spagnola abbiamo parlato della storica partenza dal Piemonte, che completa così il “triplete” dei Grandi Giri, e delle peculiarità dell’edizione che celebra i 90 anni dalla prima volta. Vingegaard contro il tandem Uae per la maglia roja. I tanti arrivi in salita che sorridono ai nostri Ciccone e Tiberi. Le poche chances in volata che i velocisti sono pronti a non lasciarsi sfuggire. Viviani ne ha contate quattro e già sabato a Novara vuole dare del filo da torcere ai fulmini Philipsen e Pedersen.

Guillén non ci ha negato nemmeno un’assaggio di futuro: se nel 2026 si partirà dal Principato di Monaco (questo pomeriggio c’è stata la presentazione informale alla stampa presente a Torino), nel 2027 ci ha anticipato che si tornerà a partire dalla Spagna.

Javier Guillen, organizzatore della Vuelta, ha fatto con noi a Torino il punto sulla sua corsa
Javier Guillen, organizzatore della Vuelta, ha fatto con noi a Torino il punto sulla sua corsa
I corridori sono pronti per il terzo e ultimo grande giro della stagione e voi? Che cosa dobbiamo aspettarci dalla prima Vuelta in Italia?

Tutto è cominciato circa tre anni fa, quando abbiamo incontrato l’allora assessore allo sport regionale Fabrizio Ricca a margine della Vuelta femminile. Abbiamo cominciato a parlare della possibilità di portare la nostra corsa in Italia nel futuro prossimo. In passato c’erano state alcune ipotesi di partenza dall’Italia, ma mai con la serietà e la fermezza che ci ha mostrato sin da subito la Regione Piemonte.

Come avete costruito questa Gran Salida?

Abbiamo cominciato a lavorare, partendo dalla riunione col presidente Alberto Cirio. Partire dall’Italia per noi è qualcosa di speciale, per la vicinanza a tutti i livelli con la Spagna. E anche perché qui si vive il ciclismo con più passione rispetto a qualunque altro Paese del mondo. Il 2025 era perfetto perché volevamo festeggiare il novantesimo anniversario della Vuelta e così abbiamo deciso di premiare i nostri “fratelli” italiani e i tanti appassionati che ci sono qui. La Regione ha accettato la nostra proposta ed eccoci qui oggi. 

Che cosa ti ha colpito del Piemonte?

L’interesse e l’entusiasmo in primis, non solo del suo presidente, ma da parte di tutti. Il Giro d’Italia è partito da qui tante volte, l’anno scorso c’è stata anche la tappa del Tour de France. Mancava soltanto la Vuelta per completare la trilogia dei Grandi Giri. Mi è piaciuto anche come le due culture si siano intrecciate ed ho trovato molto interessante i piatti rivisitati dagli chef locali che mischiassero la cucina piemontese con le specialità spagnole. Per quanto riguarda i luoghi, Torino è una città dalla storia impressionante e la zona prealpina è altrettanto fantastica. Questa combinazione verrà valorizzata in tutto il mondo grazie alla grande copertura televisiva e mediatica in generale che la Vuelta garantisce. 

Vingegaard sarà il favorito numero uno, visti il palmares e le sue motivazioni: qui in attesa della presentazione a Torino
Vingegaard sarà il favorito numero uno, visti il palmares e le sue motivazioni: qui in attesa della presentazione a Torino
In Italia sarà trasmessa da Eurosport, ma non dalla Rai: pensieri?

Ovviamente a noi avrebbe fatto piacere che la nostra corsa fosse trasmessa anche dalla Rai come accade su Eurosport, che garantisce sempre una grandissima copertura, ma non è stato trovato l’accordo. Comunque, ce ne facciamo una ragione, perché davvero la copertura in Spagna e in 190 Paesi di tutto il mondo è qualcosa di grandioso.

Pensi che le prime tappe italiane possano già muovere la classifica in maniera interessante?

Visto come si corre al giorno d’oggi e il nervosismo che serpeggia nel gruppo, credo che non si debba sottovalutare nemmeno la prima tappa di un Grande Giro perché tutto può succedere. Di solito, la Vuelta inizia con una cronometro individuale, come lo scorso anno a Lisbona oppure a squadre come due anni fa a Barcellona. In questo caso però, abbiamo deciso di cambiare per avere a disposizione il maggior numero di chilometri possibile in Piemonte, così da valorizzare questo bellissimo territorio. Il secondo giorno a Limone si arriva già in salita e si potrà avere qualche verdetto o quantomeno capire chi è in forma e chi no. Il lunedì poi c’è una tappa corta, come piacciono a noi organizzatori della Vuelta, ma dura e intensa. Poi c’è la quarta, che parte dall’Italia e finisce in Francia e ci dà la possibilità per la prima volta di attraversare le Alpi.

Vingegaard contro tutti, la Uae con due capitani come Almeida e Ayuso: che Vuelta sarà?

Speriamo che sia una corsa aperta come negli ultimi anni. Sono d’accordo che Vingegaard sia il favorito numero uno visto il palmares con cui si presenta al via e da quello che ha mostrato al Tour quest’anno. Ma anche lo scorso dopo quel tremendo incidente che l’ha visto protagonista ai Paesi Baschi. Non credo però che Ayuso gli renderà facile la vita. Attenzione anche a Bernal o a corridori esplosivi come Pidcock che renderanno più divertente la corsa. Senza dubbio, la sana rivalità Visma-Uae sarà molto interessante. Non sarà soltanto una lotta di corridori, ma una sfida tra le due corazzate. Per quest’anno sono 1 a 1 nei Grandi Giri e tutti vogliono vedere chi delle due vincerà il secondo e se ci riuscirà. 

Fra gli italiani sfilati ieri a Torino, occhi su Giulio Pellizzari, che correrà accanto a Jai Hindley
Fra gli italiani sfilati ieri a Torino, occhi su Giulio Pellizzari, che correrà accanto a Jai Hindley
Quali saranno le peculiarità di questa Vuelta?

Credo che la prima settimana sarà molto importante, già dalla seconda tappa con l’arrivo in salita a Limone. Poi la cronosquadre come prima frazione spagnola e ancora gli arrivi in salita di Andorra e a Valdezcaray. A questi si sommano due colossi, che arriveranno più avanti. L’Angliru (13ª tappa del 5 settembre; ndr) che, con Zoncolan e Mortirolo, è una delle salite più difficili in Europa, e poi la penultima tappa con l’arrivo alla Bola del Mundo (20ª frazione del 13 settembre,ndr), dove Nibali vinse nel 2010. Poi ancora salite come El Morredero: abbiamo voluto costruire una Vuelta che fosse un compendio di questi 90 anni, un misto tra tradizione, innovazione e internazionalizzazione. 

In Italia o in Francia sempre c’è qualche polemica per chi rimane escluso dal percorso, come è accaduto alla parte meridionale della Spagna in quest’occasione. È successo anche da voi?

Certo, come sempre (sorride, ndr). Però, l’anno scorso abbiamo avuto molte tappe al sud della Spagna, per cui abbiamo spiegato che nel giro di tre anni cerchiamo sempre di coprire tutto il territorio iberico. Non è semplice perché la Spagna, come l’Italia e la Francia, offrono davvero moltissime possibilità differenti.

In generale, come sta la Vuelta e come guarda al futuro oltre alla già annunciata partenza dal Principato di Monaco per il 2026?

La Vuelta sta bene ed è una corsa che è cresciuta molto negli ultimi anni. Ha una sua propria personalità, ha un’identità ben precisa. Non abbiamo tante tappe di alta montagna come il Giro o il Tour, ma tanti arrivi in saliti e molti finali insidiosi che la rendono unica e imprevedibile. Dopo Lisbona, il Piemonte e il Principato di Monaco, possiamo già anticipare che per il 2027 l’idea è di partire dalla Spagna. Però è anche vero che dal 2028 torneremo di nuovo a puntare a una partenza all’estero, perché fa crescere il nostro brand ed esporta il nostro prodotto in altri mercati, dandogli un tocco di novità, come accade con Giro e Tour.

Facce, quote e nomi della Vuelta: Ciccone tira il gruppo azzurro

15.08.2025
6 min
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Dopo la partenza del Giro d’Italia e un pezzetto della Grande Depart del Tour 2024, Torino darà il via anche alla Vuelta. Dal 23 agosto, la corsa spagnola partirà dal capoluogo piemontese e sarà il consueto esame di fine anno per chi ha risultati da confermare e chi deve invece recuperare una stagione balbettante. La statistica racconta che il primo vincitore italiano della Vuelta, Angelo Conterno nel 1956, era proprio di Torino. Se ne andò nel 2007 a 82 anni, dopo aver vinto un Giro del Piemonte e tre tappe al Giro d’Italia.

Sono appena sei i vincitori italiani della Vuelta Espana. Ci fu Conterno nel 1956, poi Gimondi nel 1968, Battaglin nel 1981, Giovanetti nel 1990, Nibali nel 2010 e Aru nel 2015. Sono sei: uno in meno dei vincitori italiani del Tour che sono sette. Significa che non c’è niente di facile a vincere la Vuelta, ma questo crediamo lo abbiate capito da un pezzo.

Angelo Conterno, vincitore della Vuelta 1956: foto tratta dalla mostra allestita dalla Città Metropolitana di Torino
Angelo Conterno, vincitore della Vuelta 1956: foto tratta dalla mostra allestita dalla Città Metropolitana di Torino

L’assenza di Pogacar, nell’aria dopo le tante energie spese al Tour de France, sarà compensata da alcuni nomi di primissima grandezza, dando vita si spera a uno spettacolo come quello che ha reso davvero indimenticabile il Giro d’Italia di Yates. Il percorso si snoderà nella parte superiore di Spagna, con l’arrivo di Madrid che ne costituisce anche il punto più a sud. Quattro le tappe pianeggianti (una con arrivo in altitudine). Sei di media montagna, cinque di alta montagna, con tre arrivi in alta quota. Una cronometro e due giorni di riposo.

Vingegaard e il mondiale

Il favorito numero uno è Jonas Vingegaard, per nome e palmares. Il danese, che al Tour le ha provate tutte per staccare Pogacar, lo aveva detto già alla fine della sfida francese: «Prima mi prenderò una settimana di riposo e poi comincerò ad allenarmi di nuovo. E’ andata bene nel 2023, spero che funzioni ugualmente». La sua preparazione si è svolta ad Annecy, dove vive con la famiglia. Non ha svolto lavori di preparazione in altura, avendone accumulata parecchia per il Tour. A quanto risulta, nelle due settimane e mezza di allenamento, il suo unico obiettivo è stato recuperare freschezza. Come è chiaro, per averlo dichiarato da tempo, che il suo grande appuntamento di fine stagione sia il mondiale di Kigali.

«E’ stato il piano fin dall’inizio – ha spiegato il tecnico danese Michael Morkov – quando ho parlato con Jonas durante l’inverno e mi ha detto chiaramente di essere motivato per i campionati del mondo. E’ ad un punto della carriera in cui punta ai grandi appuntamenti».

Proprio per questo, in Danimarca si respira un po’ di apprensione perché Jonas non avrà abbastanza tempo per preparare i mondiali, che si correranno appena due settimane dopo la fine della Vuelta.

Vingegaard sarà il favorito numero uno della Vuelta con il supporto di Matteo Jorgenson
Vingegaard sarà il favorito numero uno della Vuelta con il supporto di Matteo Jorgenson

Ciccone alla prova

Dato il meritato spazio al più blasonato dei concorrenti, torniamo volentieri in Italia per Giulio Ciccone, che al rientro dalla preparazione in altura ha vinto a San Sebastian e alla Vuelta Burgos (foto di apertura). Il suo obiettivo 2025 sarebbe stato il Giro d’Italia, ma la caduta di Gorizia ha vanificato i suoi piani e quelli di altri corridori del gruppo. L’abruzzese ha detto chiaramente che vivrà la Vuelta giorno per giorno, ma sappiamo che per il Giro aveva lavorato tanto e bene in ottica classifica.

A chi gli contesta si aver sempre sofferto di un giorno di blackout nell’arco della tre settimane, lui per primo e la sua squadra rispondono che l’atleta è molto maturato. Vivrà alla giornata, ma non avendo mai chiuso un Grande Giro nei primi 10, è legittimo pensare che voglia mettersi alla prova.

«Mi piace confrontarmi con corridori forti – ha detto dopo aver battuto Del Toro a Lagunas de Neila, tappa più dura della Vuelta Burgos – preferisco gare così. Questa volta sapevo di avere il vantaggio di non essere in classifica e che lui avrebbe spinto a tutta. Ho approfittato della situazione e poi ho preferito non aspettare la volata. In questa corsa ci sono state diverse belle tappe, che sono state anche un’ottima preparazione per la Vuelta. Ci vado molto motivato, con l’intenzione di far bene».

Almeida e Ayuso sul Galibier al Tour 2024: i due non hanno avuto molte occasioni di correre insieme
Almeida e Ayuso sul Galibier al Tour 2024: i due non hanno avuto molte occasioni di correre insieme

Fra Almeida e Ayuso

La voglia di riscatto si respira anche in casa UAE Team Emirates. Il forfait di Pogacar è stato favorevole al ripescaggio di Ayuso: dopo il ritiro del Giro, altrimenti, lo spagnolo non avrebbe avuto un programma degno di interesse. Purtroppo per lui o per sua fortuna, dovrà fare i conti con l’identica sete di rivincita di Joao Almeida. Dopo la vittoria al Giro di Svizzera, il portoghese si è ritirato dal Tour con svariate abrasioni e una costola fratturata ed ha trascorso la convalescenza a casa. I due leader non sono mai stati grandi amici, si vedrà in che modo riusciranno a convivere.

«E’ una sensazione speciale iniziare la Vuelta da leader della squadra – ha detto Almeida – soprattutto con la forma che ho mostrato in questa stagione. Il recupero dall’incidente del Tour è stato fluido e le mie sensazioni in allenamento sono migliorate. Spero di continuare a progredire e di essere vicino al mio miglior livello all’inizio di questa Vuelta. Abbiamo un gruppo forte intorno a noi e credo che possiamo lottare per qualcosa di grande».

Dopo il passo a vuoto del Giro, Tiberi ha conquistato il secondo posto al Polonia
Dopo il passo a vuoto del Giro, Tiberi ha conquistato il secondo posto al Polonia

Tiberi per la generale

In casa Italia annotiamo anche altri nomi di sicuro interesse. Quello di Filippo Ganna, ritirato dal Tour, che avrà una cronometro in cui farsi valere. Lorenzo Fortunato, re degli scalatori al Giro d’Italia. In casa Red Bull-Bora, i nomi di Giovanni Aleotti, Matteo Sobrero e Pellizzari: pare che il marchigiano vada forte come e più che al Giro d’Italia. E’ la prima volta che Giulio affronta il secondo Grande Giro nella stessa stagione, ma non è da escludere che possa trovare il suo spazio accanto a due leader come Hindley e Vlasov.

Chi invece partirà con i gradi cuciti sulle spalle è Antonio Tiberi, affiancato da Damiano Caruso e Andrea Pasqualon. Uscito male dal Giro d’Italia, il laziale della Bahrain Victorious ha lavorato sodo in altura sul Passo Pordoi e al rientro ha centrato il secondo posto finale al Tour de Pologne.

«Dopo il Polonia – ha detto – una settimana di altura a Sestriere mi permetterà di arrivare direttamente a Torino per la Vuelta. Cercherò di rifarmi della sfortuna patita al Giro, sperando che possa andare meglio. La voglia è di fare bene, cercando di curare la generale».

Affini, gigante buono: i lavori forzati e la famiglia in arrivo

01.08.2025
6 min
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Le classiche. Il Giro. Il Tour. E ora Edoardo Affini si sta godendo un paio di giorni in un b&b in Olanda, per avere la sensazione di essere in vacanza, ma senza allontanarsi troppo da casa. La sua compagna Lisa sta per mettere al mondo il loro primo figlio e tutto sommato, dopo tanto viaggiare, anche passare del buon tempo in due è un ottimo modo per ricaricare le batterie. Edoardo è una brava persona, ligio al dovere, serio e insieme spiritoso di quell’umorismo di poche parole cui è difficile resistere.

«La prima parte di stagione era ben definita – dice in questo primo pomeriggio di fine luglio – ma a un certo punto è venuto fuori che probabilmente Laporte non sarebbe riuscito a rientrare per il Tour e hanno cominciato a prospettarmi l’idea di fare la doppietta. E’ stato bello impegnativo, questo è fuori discussione. Infatti sono abbastanza contento che adesso ci sia un momento di relax, perché ne avevo bisogno, sia a livello di gambe sia di testa. Mi serviva staccare, perché è stata lunga…».

A metà ottobre, Edoardo e Lisa avranno il primo figlio (foto Bram Berkien)
A metà ottobre, Edoardo e Lisa avranno il primo figlio (foto Bram Berkien)
Ci siamo sentiti una settimana dopo il Giro ed eri già in altura: quando hai saputo effettivamente che saresti andato al Tour?

Era nell’aria, ma ho detto chiaramente che avrei voluto sapere definitivamente se fossi nella rosa per il Tour prima che il Giro partisse. Poi ovviamente sarebbe dipeso da come ne fossi uscito, perché se fossi stato finito, sarei stato il primo a dire di lasciar stare. Invece quando durante la corsa e poi alla fine ci siamo confrontati, è bastato un paio di telefonate per capire che stessi bene e abbiamo deciso il da farsi tra Giro e Tour. Quindi sono andato in altura a Tignes, abbiamo pianificato tutto abbastanza bene e penso di aver reso come ci si aspettava.

Quali differenze hai trovato fra Giro e Tour?

A livello di esposizione mediatica, di gente, di… circus, la cassa di risonanza del Tour è parecchio più grande. Sarà il periodo, perché è luglio e sono tutti in vacanza. Oppure perché sono bravi a raccontarla. Sarà per quello che volete, però c’è più attenzione, da parte della stampa e degli addetti ai lavori. Se nelle corse normali ci sono testate che seguono sempre il ciclismo, al Tour ci sono anche quelle che durante l’anno il ciclismo non sanno neppure che cosa sia.

Forse per voi l’impatto è stato più pesante perché al Giro siete partiti per fare bene e lo avete vinto all’ultima tappa di montagna, mentre al Tour avevate lo sfidante principale a Pogacar?

E’ chiaro che siamo partiti in due maniere diverse. Al Giro avevamo l’idea di fare una bella classifica, però era un work in progress. Non sapevamo bene che cosa volesse dire fare una buona classifica e l’abbiamo costruita pian piano. E poi c’è stato il botto finale con Simon (Yates, ndr), che ha fatto quel tappone sul Finestre ed è andato a prendersi la rosa. Al Tour invece sapevamo dall’inizio che Tadej e Jonas se la sarebbero giocata. Erano loro due, potevi metterci in mezzo anche Remco e Roglic, però sapevi che bene o male i due più importanti erano loro.

Le classiche del Nord, poi il Giro e il Tour: per Affini il 2025 è stato finora a dir poco ricco
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Una pressione superiore?

Indubbiamente, ma anche con delle ricadute positive. Non è stato solo come stress, ma sapere di lavorare per uno che si gioca il Tour ti dà anche una certa spinta. Per questo sicuramente già in partenza c’era molta più attenzione a stare davanti e proteggere Vingegaard, tenendo gli occhi aperti.

E adesso ci spieghi per favore quale fosse il famoso piano della Visma?

E’ difficile da dire, non è che ci fosse un piano vero e proprio, però lo sapete come sono le interviste: quello che si dice è anche un gioco psicologico. Noi sicuramente abbiamo sempre cercato di fare la nostra corsa con le idee che avevamo e che discutevamo ogni giorno sul pullman. Abbiamo cercato di metterlo e metterli tutti in difficoltà il più possibile, sperando a un certo punto ci fosse un’apertura, che però alla fine non c’è mai stata. Sia Tadej sia la sua squadra sono stati molto solidi. A un certo punto, quando in certe tappe si ritrovavano l’uno contro l’altro, la squadra contava fino a un certo punto.

Lo scopo era fiaccare la UAE e portare Pogacar sempre più stanco al testa a testa?

Erano loro due che dovevano giocarsela e alla fine Jonas ci ha provato diverse volte, però non è mai riuscito a scalfirlo. Mentre al contrario, purtroppo, anche lui ha avuto un paio di giornate storte. Soprattutto la prima cronometro e poi Hautacam sono state le due tappe che hanno dato a Pogacar il suo vantaggio. Se sommate i due distacchi (1’28” persi nella crono di Caen e 2’10” persi ad Hautacam, ndr), arrivate quasi allo svantaggio di Vingegaard da Tadej.

Il Mont Ventoux ha rafforzato in Vingegaard la convinzione di poter attaccare Pogacar
Il Mont Ventoux ha rafforzato in Vingegaard la convinzione di poter attaccare Pogacar
Secondo te, Jonas ha mai avuto la sensazione di aver visto una crepa durante il Tour? Ad esempio nel giorno del Mont Ventoux, Pogacar non è parso imbattibile…

Quella è stata una giornata particolare. Mi ricordo che quando siamo tornati sul bus, ero abbastanza soddisfatto. Quel giorno Jonas ha visto che poteva attaccarlo, che poteva metterlo alle corde, se si può dire, perché alla fine alle corde non c’è mai stato. Però poteva dargli del filo da torcere e Tadej avrebbe dovuto spendere un po’ per rispondere. Quella è stata una giornata che gli ha dato un po’ di fiducia, specialmente pensando alle tappe alpine.

Anche se poi sulle Alpi non è successo molto…

Sul Col de la Loze, come squadra non si poteva fare di più. A La Plagne invece non è venuto fuori nulla di utile, ma è stato chiaro che non si siano giocati la tappa e che anzi il discorso sia stato: se non posso vincere io, non puoi vincere neanche tu. E allora ci sta bene che vinca un altro (Arensman, ndr).

La sensazione è che il piano fosse stancare Pogacar, ma forse ha stancato di più Vingegaard.

Alla fine erano tutti e due abbastanza al limite. Del resto, è stato il Tour più veloce della storia e penso che anche questo voglia dire qualcosa. Andavamo ogni giorno alla partenza e ci dicevamo: «Vabbè dai, oggi saranno tutti stanchi, non si partirà come ieri!». Invece ogni giorno si partiva più forte. Abbiamo coniugato il verbo “specorare” in ogni forma possibile: dalla prima all’ultima lettera, tutte maiuscole e in neretto (ride, ndr).

Nella crono di Caen, Affini ha centrato il terzo posto, a 33″ da Evenepoel
Nella crono di Caen, Affini ha centrato il terzo posto, a 33″ da Evenepoel
Che cosa prevede ora il tuo programma: non si fa più nulla sino a Natale?

No, no, dai, non così tanto. Non c’è ancora un programma ben definito, ma c’è da far quadrare la squadra fra chi è disponibile, chi è ammalato, chi è infortunato. Potrei fare il Renewi Tour o il Great Britain oppure entrambi. Poi magari un paio di corse di un giorno in Belgio, ma lì mi fermo. I mondiali sono troppo duri, gli europei magari sono più abbordabili, ma ho già detto al cittì Villa che non sarò disponibile. Un po’ mi dispiace, ma preferisco essere a casa con la mia compagna. Potrei essere ancora in tempo, perché il tempo finisce a metà ottobre, però metti il caso che nasca un po’ in anticipo? Certe esperienze è bello viverle di persona, non in videochiamata. Per cui in quei giorni sarò a casa. Mi sa tanto che se non ci incrociamo nelle poche corse che mancano, la prossima volta ci vedremo in Spagna nel ritiro di dicembre. A ottobre ho qualcosa di molto importante da fare.