La stagione del ciclocross è entrata nel vivo e la vittoria di Sara Casasola nel Superprestige ce lo ricorda alla grande. Ma come sempre, questa specialità così di settore porta con sé una grande quantità di spunti tecnici, sia per quanto riguarda la bici che la guida. E proprio di questi vogliamo parlare con Jakob Dorigoni(in apertura foto Guazzapix).
L’altoatesino del Team Torpado Kenda Factory, quest’anno ha deciso di dedicarsi solo alla MTB, ma ricordiamo che è stato uno degli atleti di vertice della nazionale di ciclocross, nonché due volte tricolore elite. A lui, fresco vincitore tra l’altro della Roc d’Azur, una delle prove di MTB più prestigiose del pianeta, abbiamo chiesto in cosa la mountain bike possa essere propedeutica al cross. Di solito infatti facciamo sempre il contrario, perché è il ciclocross a essere considerato propedeutico alla strada.
“Una bici che lavora”, la MTB con le sue sospensioni… (foto Instagram)E una che invece lavora molto meno, la bici da cross (foto Paletti)Una bici che lavora, la MTB con le sue sospensioni… (foto Instagram)E una che invece lavora molto meno, la bici da cross (foto Paletti)
E quindi Jakob, partiamo proprio da qui: perché la MTB può essere propedeutica al cross?
Sicuramente dal punto di vista tecnico la mountain bike ci permette di giocare un po’ di più con la bici, cosa che poi torna molto utile nel cross. Nel fuoristrada, in generale, bisogna avere piacere di giocare con la bici. E nel cross questo vale ancora di più.
Perché?
Perché se una bici non lavora diventa poi difficile guidarla quando i terreni si fanno estremi. Però, viceversa, se uno è bravo a usare la bici da cross nel fango, cosa che richiede tanta sensibilità, impara davvero a gestire ogni mezzo: MTB, cross e strada. E’ utile avere quelle skill, quelle doti, per usare la mountain bike o la bici da cross nel fango. Chi fa cross guida in modo diverso nel fango… e a mio avviso migliore.
Insomma, per te è quasi il contrario? E’ il cross che è funzionale alla MTB?
In un certo senso sì, almeno su certi terreni.
Tipo?
Sull’asciutto non lo direi proprio. Lì le due cose sono abbastanza diverse. La mountain bike è un mezzo diverso da tutte le altre bici. Ma sul bagnato e in particolare nel fango ci sono molte similitudini nella guida tra cross e MTB.
Su fango e bagnato MTB e cross si avvicinano molto secondo DorigoniSu fango e bagnato MTB e cross si avvicinano molto secondo Dorigoni
Hai detto tantissimo e messo parecchia carne al fuoco, Jakob. Proviamo a rallentare e partiamo da quella frase interessantissima: “se la bici non lavora”. Spiegaci meglio, cosa intendi?
La mountain bike ha sospensioni, ruote e gomme che lavorano tanto. Sono più mobili, devono rispondere alla tenuta meccanica e chimica (le gomme, ndr). Si gioca molto con la pressione, sia delle gomme che delle sospensioni. Nella forcella e nell’ammortizzatore puoi mettere più o meno aria, regolare l’affondo e il ritorno, che può essere più veloce o più lento. Puoi scegliere una forcella progressiva, lineare… Insomma, la bici ha tanti assetti e più la imposti sulla tua guida, più vantaggi hai.
Invece la bici da cross?
L’unica cosa su cui puoi intervenire e in modo minore è la pressione delle gomme. E devi stare attento: se è troppo alta, la bici da cross, che già lavora poco, finisce per non lavorare affatto. Non ammortizza, non dà risposte.
Le abilità del cross, come scendere e salire dalla bici, sono diverse da quelle richieste per la MTB (foto Billiani)Le abilità del cross, come scendere e salire dalla bici, sono diverse da quelle richieste per la MTB (foto Billiani)
Però possiamo supporre che la MTB ti dia un certo colpo d’occhio nell’approccio a curve e ostacoli?
Quello sì. E’ il grande vantaggio, soprattutto quando bisogna guidare sul bagnato. Bisogna saper trovare il grip in generale: nei sentieri sempre nuovi della MTB, ma anche sull’erba o sullo sterrato di un circuito di ciclocross. Per il resto, sono due discipline talmente diverse che è quasi difficile fare un paragone tecnico. Nella MTB ci sono più salti, percorsi sempre più artificiali e serve un mezzo adeguato. Nel ciclocross invece è l’aspetto della curva che conta: l’ingresso e la percorrenza. Ma per quello c’è la sensibilità dell’atleta.
Che affina con l’allenamento con la bici da cross?
Esatto. La sua bravura. Poi c’è l’ottimizzazione nel salire e scendere dalla bici. Sono i famosi automatismi del corpo. Che però non servono in MTB.
Sono altre peculiarità insomma…
Sì. Come ripeto, peculiarità diverse che diventano molto simili sul bagnato. La ricerca del feeling in quel caso è quasi identica, con la differenza che nel cross sei solo tu ciclista a lavorare sulla curva, sull’ostacolo, nel fango o nella sabbia. Mentre nella MTB sei tu, ma anche la bici, che deve fare la sua parte. Per me quindi è più il cross a dare qualcosa al biker. Il fango del cross ti insegna davvero a muoverti sulla bici. E i biker che hanno fatto cross li vedi (tipo Tom Pidcock, ndr)
Grande. Nell’accezione più totale e completa che questa parola può assumere. E’ la prima che viene in mente nel parlare di Vito Di Tano, nel raccontare la sua figura nel giorno della sua scomparsa, dopo che una terribile quanto veloce malattia se lo è portato via a 70 anni. Grande intanto nella sua figura fisica, quasi imponente ed era così quando correva, che quasi ti chiedevi se nell’affrontare il ciclocross non potesse essere un handicap. E infatti su certi percorsi lo era. Grande nel suo curriculum di ciclocrossista, illuminato da ben due titoli mondiali a distanza di 7 anni l’uno dall’altro, con l’aggiunta di 6 maglie tricolori. Grande anche per la sua statura morale, che lo ha accompagnato per tutta la sua vita e che contraddistingue i ricordi di ogni persona che lo ha conosciuto.
Vito Di Tano era nato a Monopoli (BR) il 23 settembre 1954. Due volte iridato, non passò mai professionistaVito Di Tano era nato a Monopoli (BR) il 23 settembre 1954. Due volte iridato, non passò mai professionista
Con Pontoni, suo erede in tutto
Daniele Pontoni ha condiviso con lui moltissime esperienze, da corridore prima, da dirigente poi fino a confrontarsi con lui in veste di commissario tecnico, carica che Vito aveva rivestito anni prima di lui, con il pugliese di Fasano che da parte sua è stato per anni diesse della Guerciotti.
«Ma prima di questo io ricordo le nostre esperienze in nazionale. Con lui ho vissuto esperienze mondiali bellissime da corridore, lui era cittì azzurro quando conquistai il bronzo a Corva da dilettante nel 1993, il suo primo anno nella carica e soprattutto quando vinsi nel ’97 a Monaco di Baviera. Eppure il ricordo che mi viene subito in mente è legato a una gara lussemburghese a Petange, il GP du Nouvel An. Due giorni prima pensavo di essermi rotto una gamba, invece era stata solo una grande botta, ma lui insistette per farmi correre, mi mise letteralmente in bici. In gara ricordo un cambio bici, su questo terreno tutto bianco, con lui che mi incitava “Vai Daniele, battili tutti”. E così fu».
Da sinistra Martinelli, Di Tano, Bertolini, Pontoni, Paolo Guerciotti, Dorigoni, Alessandro GuerciottiMartinelli, Di Tano, Bertolini, Pontoni, Paolo Guerciotti, Dorigoni
L’ultima volta che si sono visti è stato all’ultima edizione del Guerciotti, nella serata del 60° anno che vedeva presenti tanti campioni del mondo passati per le mani del team, lombardo. «Abbiamo ricordato tanti episodi, si vedeva già che il male lo stata logorando. Da lui ho imparato tanto, come corridore e anche come cittì, come vivere l’ambiente della nazionale. Diciamo che per me è stato l’anello di congiunzione tra corridore e dirigente».
Il pugliese aveva corso anche su strada, vincendo una tappa al Giro del Messico e finendo 3° in classifica in quello della JugoslaviaVincitore del mondiale a Lembeek, sui belgi Messelis e De Rey, padroni di casaDi Tano era un amante del fango e delle condizioni estreme, quelle tipiche del Nord EuropaIl pugliese aveva corso anche su strada, vincendo una tappa al Giro del Messico e finendo 3° in classifica in quello della JugoslaviaVincitore del mondiale a Lembeek, sui belgi Messelis e De Rey, padroni di casaDi Tano era un amante del fango e delle condizioni estreme, quelle tipiche del Nord Europa
Arzuffi e una giornata speciale
E’ difficile per Alice Maria Arzuffi (con lui nella foto di apertura) trattenere le lacrime, trasparse anche virtualmente attraverso un sentito post su Instagram. «Vito l’ho conosciuto approdando alla Guerciotti, da 2° anno junior – racconta dagli Emirati Arabi, in procinto di prendere parte all’Uae Tour – In quei 6 anni insieme sono cresciuta, non solo come ciclista e il nostro legame è sempre rimasto saldo. Tanto che quando avevo un problema, un dubbio, mi sono sempre confrontata con lui che aveva ogni volta una parola di aiuto per capire. Mi ha insegnato a vivere badando alle cose semplici, mantenendosi umile, lui che era un campione del mondo.
«Quando arrivai ero la più piccola e io lo vedevo quasi come un nonno – ricorda – lui da parte sua mi coccolava e mi insegnava tutto quel che serviva in questo mondo. Ricordo in particolare nel 2022 come, durante un pranzo con la mia famiglia, lo abbia incontrato per caso a Gallipoli. Da lì decidemmo di passare la giornata insieme e ci portò ad Alberobello, facendoci vedere il trullo dov’era nato. Una giornata che esprimeva la semplicità di cui dicevo prima».
Insieme ad Alice Arzuffi e alle rispettive famiglie, una giornata che le è rimasta nel cuoreInsieme ad Alice Arzuffi e alle rispettive famiglie, una giornata che le è rimasta nel cuore
Imparare dai propri errori
«A me ha preso sotto la sua ala a 17 anni – la parola passa a Gioele Bertolini – e sotto di lui mi sono evoluto come corridore. Ho sempre apprezzato la sua fierezza di come interpretava il suo ruolo di direttore sportivo. Nell’ambiente era circondato da rispetto e simpatia, credo nessuno l’abbia mai visto litigare, affrontava tutto con calma, senza per questo non essere fermo nelle sue intenzioni, nei suoi insegnamenti e questo vale molto come insegnamento.
«Una cosa che mi resta in mente era il suo modo di confrontarsi con i giovani. Lui lasciava mano libera, voleva che imparassimo dai nostri errori e questo è un aspetto fondamentale nell’evoluzione di un corridore. Poi con calma ci si confrontava e capivo dove avevo sbagliato. Miglior modo d’insegnare non c’è».
L’ultima volta che lo aveva sentito era stata dopo la conquista del suo ennesimo titolo italiano: «Durante tutta la telefonata c’era questo sottofondo di non detto: sapevamo entrambi che non ci saremmo più sentiti e questo mi fa particolarmente male, ora a ripensarci».
Insieme a Bertolini dopo la conquista del titolo italiano. Per Gioele è stato un maestroInsieme a Bertolini dopo la conquista del titolo italiano. Per Gioele è stato un maestro
Il risultato non è tutto
Un po’ gli stessi pensieri attraversano la mente di Jakob Dorigoni, grande rivale di Bertolini e suo pupillo negli anni alla Guerciotti. L’altoatesino sente profondamente il dolore della sua scomparsa e si limita a poche parole: «Vito era più come il papa nella famiglia Guerciotti, quando c’era un problema si andava da lui. Quel che contava era l’impegno delle persone e per questo mi stimava molto. E proprio questo apprezzavo di Vito. Il risultato non era la priorità più grande. Naturalmente erano tutti contenti se si vinceva e si festeggiava perché era una vera famiglia. Penso che anche per questo con lui ho ottenuto molte vittorie. Riusciva a toglierci la pressione e così noi corridori potevamo concentrarci al meglio sui nostri doveri».
Con Gaia Realini un legame indissolubile, rimasto anche quando la marchigiana ha lasciato il ciclocrossCon Gaia Realini un legame indissolubile, rimasto anche quando la marchigiana ha lasciato il ciclocross
Realini e quella telefonata…
Chi gli deve molto è anche Gaia Realini: «E’ lui che mi ha svezzata, ciclisticamente parlando. Io venivo da un team piccolo, non pensavo neanche di arrivare al team principale in Italia nel ciclocross. Lui mi ha fatto fare il salto di qualità, facendomi crescere attraverso le gare più importanti. Ma quel legame andava al di là, perché Vito era un esempio, ci si poteva parlare di tutto. Mi ha fatto crescere anche come carattere, al di fuori del mondo ciclistico».
Il confronto non è mancato anche dopo che Gaia ha deciso di dedicarsi totalmente alla strada: «Anzi, abbiamo continuato a sentirci e anch’io quando avevo un momento difficile lo chiamavo, ai ritiri del team o anche dopo una gara. Ad esempio, sentendo le critiche per il mio modo di andare in discesa, mi sono confrontata con lui, mi spiegava che cosa fare e ricordo che dopo una tappa al Giro dove avevo ottenuto un risultato importante mi ha chiamato e senza neanche salutarmi mi ha detto “allora, lo vedi che sai andare in discesa…”».
Di Tano con la famiglia Guerciotti tra cui Alessandro ancora piccoloDi Tano con la famiglia Guerciotti tra cui Alessandro ancora piccolo
Per Guerciotti un uomo di famiglia
L’ultima parola spetta ad Alessandro Guerciotti. Con Di Tano se ne va un pezzo importante della sua vita: «Per me era parte della famiglia, l’ho conosciuto che ero un bambino piccolo e tutta la mia vita lo ha visto presente, fino a quando abbiamo condiviso la responsabilità del team nelle nostre rispettive vesti. Ero stato da lui una settimana prima del mondiale, sapevo che non ci saremmo più rivisti e anche lui sapeva che si stava spegnendo, ma dovevo salutarlo.
«C’è un lato che tutti, indistintamente, mettono in evidenza parlandone ed è la sua grande bontà d’animo. Una persona seria, disponibile con tutti, che ci metteva il cuore e sul quale potevi davvero contare. Soprattutto capace nel lavorare con i giovani e non è un caso se tanti talenti sono sbocciati sotto le sue grandi e sapienti mani».
Grande. Torna questa parola, che tutti hanno espresso. Legata al suo carattere, alla sua persona. Una parola forse spesso abusata. Sicuramente non nel suo caso.
Il podio di Luca Paletti fra gli juniores alle spalle di Dockx premia l'Italia negli europei di cross. Van der Haar beffa i levrieri belgi. Cresce Realini
Quello che si è da poco concluso è forse il tricolore della nuova generazione. La gara che ha segnato il passaggio di potere ai millennial. Dal vincitore, Filippo Fontana, al secondo Davide Toneatti, a Federico Ceolinche è stato uno dei protagonisti. E anche Jakob Dorigoni (terzo) di anni ne ha 25, non è un matusalemme.
Il sole spunta e al tempo stesso allunga le ombre sulla pineta di Castel Fusano e sul Camping Roma Capitol. Per assurdo è più fresco col sole, che la mattina con le nuvole. Ma nell’aria c’è il calore delle gara più attesa. E anche la più incerta.
Nel corso della seconda tornata si forma in testa un gruppo di 4 atleti: Toneatti, Ceolin, Fontana e DorigoniPoco più indietro Bertolini, che ha ripreso il quartetto a tre giri dal termine dopo circa 40′ d’inseguimento solitarioNel corso della seconda tornata si forma in testa un gruppo di 4 atleti: Toneatti, Ceolin, Fontana e DorigoniPoco più indietro Bertolini, che ha ripreso il quartetto a tre giri dal termine dopo circa 40′ d’inseguimento solitario
Oracolo Fruet!
Alla fine aveva ragione Martino Fruet. Sia a predire una gara tattica, sia a inserire Filippo Fontana tra i favoriti. Soprattutto in caso di fettucciato stretto. In pratica: “passa l’angelo e dice amen”!
Vanno via in quattro: Fontana, Ceolin, Dorigoni e Toneatti. Menano, tirano, mollano, riaccelerano, ma lentamente rientraGioele Bertolini, “il vecchio” con i suoi 28 anni. I vincitori degli ultimi quattro titoli, Gioele appunto e Jakob, c’erano. Come Fruet diceva!
Però sono i giovani a dare le menate più feroci. E forse Ceolin spreca troppo. La fila si allunga. Sono tutti con le spalle oltre la ruota anteriore: spingono anche col collo…
La guida ottima di Fontana gli ha permesso di risparmiare energie quando non si sentiva al top nella prima parte di garaLa guida ottima di Fontana gli ha permesso di risparmiare energie quando non si sentiva al top nella prima parte di gara
Fontana di classe
Filippo Fontana soffre, anche se da fuori non sembra.
«Eppure – racconta il neo campione italiano – è così. Nella parte centrale non stavo affatto bene e non credevo neanche che avrei tenuto le ruote. Poi, non so perché, ad un giro e mezzo dalla fine ho sentito che la gamba è tornata a girare come volevo io. A quel punto ho pensato a come giocarmi le carte.
«Avrei dovuto prendere in testa il tratto tecnico, quello del fettucciato più stretto. Sapevo che se fossi entrato in testa lì poi sarebbe stato difficile passarmi di nuovo. E così ho fatto. Mi sono buttato dentro deciso, ho spinto forte e ho preso un piccolo margine.
«Paura del ponte finale? Più che altro del lungo rettilineo prima. Ma tutto sommato voltandomi ho visto che il distacco era “rassicurante”».
Il trevigiano dei Carabinieri è la gioia fatta persona. Tra mtb (da qui le sue doti di guida) e cross, veniva da quattro secondi posti. Era ora di vestire il tricolore.
«Questo ha tutto un altro sapore. Dedico questa maglia a chi c’è dietro e fa tanto per supportaci. Il mio futuro in questa specialità? Vedremo, ma voglio continuare… In quanto appartenente ad un gruppo sportivo militare, diamo priorità alla mtb che è sport olimpico. Per adesso penso ad onorare al meglio questo maglia».
L’arrivo di Toneatti che precede DorigoniIl podio finale con Fontana (classe 2000), Toneatti (classe 2001) e Dorigoni (classe 1998). Quarto, non in foto, Ceolin (classe 2000)L’arrivo di Toneatti che precede DorigoniIl podio finale con Fontana (classe 2000), Toneatti (classe 2001) e Dorigoni (classe 1998). Quarto, non in foto, Ceolin (classe 2000)
Toneatti ride
Chi è felice e ha fatto un po’ il Fontana del 2022 è stato Davide Toneatti. Il corridore dell’Astana Qazaqstan Development Team poteva correre con gli U23, ma visti i valori in campo, ha deciso di alzare l’asticella in anticipo. E come Fontana l’anno scorso, quando anche lui appunto era un under 23, ha fatto secondo.
«Sono contento che siamo tutti giovani. Magari questo darà una scossa al movimento – spiega Toneatti dopo l’arrivo – ho deciso di correre con gli elite dopo la gara di Torino. Ho visto che i valori c’erano. Poi però dopo la trasferta in Belgio che non è andata benissimo, un po’ sono tornato ad avere qualche dubbio, ma alla fine ho fatto questa scelta».
«E’ stata una bella gara. Non era facile la differenza su questo percorso e infatti è emersa una gara anche tattica. Non a caso nell’ultimo giro abbiamo fatto un po’ a sportellate!
«Adesso penso ai mondiali, poi vediamo. Io vorrei continuare a fare il cross. Magari anche un po’ meno, ma credo che alla fine serva anche questo. Cosa mi ha dato invece la strada per il cross? Di certo mi ha dato qualcosa nei tratti dove c’è da spingere e rilanciare. Sento proprio che la gamba risponde diversamente. E cosa ho perso? Un po’ la guida… almeno inizialmente».
Concluso il Giro d'Italia, il cross fa rotta verso i tricolori di Lecce. Il tecnico azzurro passa in rassegna i più forti e segna la rotta verso i mondiali
C’è un nome che fino alla scorsa settimana era assente dagli ordini d’arrivo del ciclocross italiano e non era un nome di poco conto, trattandosi del campione italiano. Jakob Dorigoni ha iniziato la sua stagione con molto ritardo, volutamente, pensando al futuro. Rispetto agli altri, l’altoatesino ha chiuso dopo la sua stagione “extraciclocross” dedicata alle marathon mtb e ha avuto bisogno di tempo per poter ripartire. Finora ha preso parte a tre gare e i lavori procedono, in attesa di ritrovare la forma dei momenti migliori.
La sosta si è resa necessaria per ricaricare le batterie e l’altoatesino non è per nulla dispiaciuto della scelta: «Mi sono fermato il 23 ottobre e ho ripreso a gareggiare il 4 dicembre: in questo frattempo sono rimasto senza bici non più di 10 giorni, perché altrimenti la ripresa sarebbe stata più difficile e lunga. Avevo bisogno di staccare sia di testa che fisicamente. Noi atleti non ci rendiamo conto di quanto siamo stressati a fine stagione e di quanto la testa influisca sulle prestazioni».
Conferma del tedesco Meisen a Vittorio Veneto, ma Dorigoni è stato 3° a 1’32” (foto Billiani)Conferma del tedesco Meisen a Vittorio Veneto, ma Dorigoni è stato 3° a 1’32” (foto Billiani)
La tua stagione di mtb com’era andata?
Diciamo che mi ha fatto riflettere: nel finale di stagione non mi sono praticamente allenato, andavo avanti quasi per forza d’inerzia, eppure sono state le mie migliori gare in assoluto. Questo significa che era la testa a influire maggiormente e riposare non faceva che accrescere le mie possibilità. Avrei anche potuto tirare dritto con la condizione che avevo, ma mi sarei portato dietro una grande stanchezza. Inoltre bisogna anche sapersi dosare e prendersi le pause dovute per avere dei buoni picchi di forma.
Come ti sei trovato nelle tue prime uscite di ciclocross?
Sono stato contento non per i risultati, quanto per la mia resa in bici. Ho affrontato subito gare difficili, con molto fango e che necessitavano di corsa a piedi. Erano più sfide contro se stessi che per la classifica, almeno per me e nel complesso mi sono trovato bene. Si vedeva che gli altri avevano un altro ritmo, soprattutto nelle prime fasi, ma sono sempre riuscito a chiudere in crescendo rimontando posizioni e questo mi fa ben sperare.
Fontana è rientrato anche lui in ritardo, ma aveva già più esplosività (foto Billiani) Fontana è rientrato anche lui in ritardo, ma aveva già più esplosività (foto Billiani)
Con te ha ripreso anche Filippo Fontana, che a differenza tua viene dal cross country di mtb. Considerando le differenze delle vostre due discipline alternative, la ripresa è diversa, nel tuo caso sei penalizzato rispetto a lui?
Non direi, io penso che ogni disciplina ti dà e ti toglie. Anche chi viene dalla strada ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Quel che conta è l’allenamento specifico e il ritmo gara, dove convogliare le proprie caratteristiche. Forse all’inizio io sono più lento a carburare rispetto a chi fa cross country ed è più esplosivo, ma nel finale la situazione può cambiare e la mia resistenza mi permette di recuperare.
Tu hai scelto di esordire subito con gare internazionali…
E’ stata la scelta migliore. Il ritmo gara in allenamento non lo acquisisci, devi per forza metterti alla prova confrontandoti al massimo livello. Una gara ideale ad esempio è quella di Vittorio Veneto, dove davvero ognuno deve correre per sé.
A Faé di Oderzo la gara più difficile: l’altoatesino ha chiuso 6° a 50″ da Bertolini (foto Billiani)A Faé di Oderzo la gara più difficile: l’altoatesino ha chiuso 6° a 50″ da Bertolini (foto Billiani)
Quali obiettivi ti poni a questo punto?
Io guardo alle gare di gennaio, alla difesa della maglia tricolore al campionato italiano, l’importante sarà essere in forma per allora. Poi nel frattempo voglio dare il massimo e cogliere più risultati possibili con il passare delle settimane e il miglioramento della mia condizione.
Non hai parlato di maglia azzurra…
La maglia azzurra bisogna meritarsela e si può fare solo con i risultati. In nazionale ci va chi merita, il pedigree passato non serve a molto. Se farò i risultati giusti bene, altrimenti sarò il primo a fare il tifo per chi ci sarà.
Dorigoni impegnato a Jesolo, dove è finito quarto a 32″ da Fontana (foto Billiani)Dorigoni impegnato a Jesolo, dove è finito quarto a 32″ da Fontana (foto Billiani)
Con Pontoni ti sei sentito?
Finora no, ma sa che iniziavo più tardi e sa bene come la penso, quando sarà il momento avremo modo di confrontarci, ma come detto voglio farlo con qualcosa di concreto in mano.
Nella prossima stagione di mtb cambierà qualcosa?
Direttamente no, continuerò ad affrontare le marathon sperando di andare sempre più forte, rimanendo alla Torpado che è un top team. Quel che cambia è il contorno: da quest’anno sto studiando scienze motorie a Innsbruck, questo intanto mi ha costretto a spostarmi in Austria come base operativa, dove sono durante tutta la settimana per studiare e seguire le lezioni per poi essere in trasferta nei weekend. Poi un po’ influisce anche sulla gestione quotidiana che è un po’ cambiata, ma ci si può adattare senza penalizzare il rendimento in gara.
Dopo aver sentito Franzoi, questa volta abbiamo chiesto ad Alessandro Guerciotti di raccontarci le evoluzioni tecniche delle bici per questa specialità
Il ghiaccio si è trasformato in fango. E nel fango i corridori fanno fatica a stare in piedi. Anche ieri le gare del pomeriggio si erano corse in insidiosi toboga, ma oggi per gli elite sembra che la melma sia persino più scivolosa.
La maglia tricolore se la portano a casa Silvia Persico e Jakob Dorigoni, entrambi con gare dominate dall’inizio alla fine, complice un po’ di sfortuna dei rivali, che però fa da sempre parte del pacchetto.
Sul podio delle elite, prima Persico, davanti a Eva Lechner e Sara Casasola
Sul podio degli elite uomini, Dorigoni ha preceduto Fontana e Samparisi
Sul podio delle elite, prima Persico, davanti a Eva Lechner e Sara Casasola
Sul podio degli elite uomini, Dorigoni ha preceduto Fontana e Samparisi
Podio e abbraccio
Fra le donne certi gesti sono più ricorrenti. E così, mentre Silvia Persico sta per scendere dal podio con la medaglia al collo e il tricolore indosso, dal cancello irrompe sotto al palco Alice Maria Arzuffi, che ha appena concluso la gara. Lascia la bici sull’asfalto e si protende verso il palco, mentre Persico e Lechner si chinano per abbracciarla. E’ un gesto di forte intensità.
«E’ stato un momento importante – conferma Silvia Persico – l’anno scorso glielo avevo dato io perché a me le cose non erano andate bene. Quest’anno ci siamo scambiate. Sapevo che sarebbe stata un’avversaria importante, però non so cosa le sia successo. Siamo amiche anche fuori dal ciclismo».
Eva Lechner è una sua compagna di squadra alla FAS Airport Services, anche se oggi correva con la maglia dell’Esercito. Dopo l’arrivo si sono scambiate battute e abbracci.
Arzuffi arriva sotto al podio, Lechner e Persico si chinano per abbracciarlaArzuffi arriva sotto al podio, Lechner e Persico si chinano per abbracciarla
Lechner, soprattutto amica
«Sapevo che Eva sarebbe stata un’avversaria importante – dice Silvia – nonostante fossimo compagne di squadra. Con lei mi trovo molto bene, proviamo sempre insieme i percorsi. Quando mi è tornata sotto, sono ripartita di nuovo, riprendevo margine, ma sbagliavo. Così ho capito di dover fare le cose con calma e mantenere la tranquillità, perché stavo molto bene. Ho voluto dimostrare che Silvia Persico c’è e speriamo di continuare sino a fine stagione. Questa squadra mi dà serenità. Siamo quattro ragazze molto unite, con un’amicizia che va oltre il ciclismo. Quando c’è bisogno, ci siamo l’una per l’altra. Sono alla Valcar da quando avevo 12 anni, devo ringraziare Valentino Villa per questo. E la maglia tricolore vale davvero tanto, è un punto di partenza. Spero di continuare così e di portarla in giro per il mondo».
Sara Casasola ha preso il terzo posto: per la ragazza di casa, grande prova e grande tifo
Gaia Realini ha fatto una corsa accorta e ha conquistato il titolo delle U23
Dopo l’arrivo fra Persico e Lechner prima un timido scambio di cortesie…
… poi un abbraccio: le due sono compagne e amiche. Solo per oggi, avversarie
Sara Casasola ha preso il terzo posto: per la ragazza di casa, grande prova e grande tifo
Gaia Realini ha fatto una corsa accorta e ha conquistato il titolo delle U23
Dopo l’arrivo fra Persico e Lechner prima un timido scambio di cortesie…
… poi un abbraccio: le due sono compagne e amiche. Solo per oggi, avversarie
Tecnica e sfortuna
Fra gli uomini si va di pugni e strette di mano. La corsa la stava guidando Filippo Fontana, autore del giro più veloce del campionato italiano, ma a causa di un salto di catena e di una foratura, il ventunenne veneto si è ritrovato a inseguire senza riuscire più a ripetere i tempi di inizio corsa. E così Dorigoni, che ha avuto i suoi problemini in avvio di gara, ha preso il largo e non si è più voltato.
«La maglia tricolore è un simbolo molto importante – dice l’altoatesino della Guerciotti – in tutto il mondo si conoscono le tre strisce. E’ molto bello vincere, soprattutto il campionato italiano che è una delle gare cruciali della stagione. Al mattino il fondo era ghiacciato e man mano che usciva il sole, si scioglieva, ma sotto c’era ghiaccio. E’ stato davvero insidioso, in più Pontoni ha disegnato un percorso molto duro. C’era da scegliere se andare in bici e correre a piedi, bisognava stare attenti alla guida. Era molto completo».
Dorigoni ha fatto la differenza soprattutto guidando in modo pulito
FIlippo Fontana ha subìto nello stesso giro un salto di catena e una foratura
Per Jakob Dorigoni, secondo tricolore da elite: grande corsa la sua
Nicolas Samparisi ha conquistato il terzo posto. Dopo l’arrivo era davvero intirizzito
Sull’arrivo per Dorigoni l’abbraccio di Paolo Guerciotti, suo patron
Dorigoni ha fatto la differenza soprattutto guidando in modo pulito
FIlippo Fontana ha subìto nello stesso giro un salto di catena e una foratura
Per Jakob Dorigoni, secondo tricolore da elite: grande corsa la sua
Nicolas Samparisi ha conquistato il terzo posto. Dopo l’arrivo era davvero intirizzito
Sull’arrivo per Dorigoni l’abbraccio di Paolo Guerciotti, suo patron
Menare, scattare, correre…
«Secondo me oggi ho guidato molto bene, ma anche Filippo (Fontana, ndr) guida molto pulito. Per vincere, bisognava essere completi, menare, scattare, correre, però anche saper guidare. Ed è stato importante anche andare sul sicuro. Gomme da fango e su certi pezzi scendere a piedi e correre. Ho avuto anche io i miei problemi, ma sono riuscito a superarli».
Terzo fra gli elite è stato Nicolas Samparisi, fratello di quel Simone con cui ieri avevamo parlato della bicicletta KTM di Francesca Baroni, che ha chiuso all’ottavo posto. I camper si allontanano, presto Variano sprofonderà nel gelido silenzio dell’inverno. Il baccano delle motoseghe che salutavano il passaggio dei corridori si è spento. Da stasera i tricolori hanno cambiato padrone.
In Val di Sole ancora una volta abbiamo assistito alla netta supremazia dei crossisti del Nord Europa. E non ci riferiamo solo ai noti fenomeni, ma parliamo piuttosto della “massa” che gravita nelle prime posizioni. I nostri migliori interpreti, GioeleBertolini e JakobDorigoni (foto apertura durante una marathon), sono molto bravi, guidano in maniera eccellente però alla fine il gap di “motore”, e di classifica, è sensibile.
E come nel nostro stile queste riflessioni le facciamo con gli esperti. Abbiamo chiamato in causa chi ha esperienza sia sulla strada che nella mtb: Paolo Alberati, Massimo Ghirotto e Claudio Cucinotta.
Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italianiJakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani
Alberati: forza assoluta
«Il divario che si è visto in Val di Sole è molto ampio – dice Alberati – si parla sempre di rapporto potenza/peso, ma questo nel cross conta zero. Tanto più che in Val di Sole l’unico tratto di salita si faceva a piedi e in quel caso contano le lunghe leve. Nel cross si è quasi sempre in pianura.
«Facciamo due conti. Prendiamo due corridori che hanno la stessa potenza alla soglia, 6 watt per chilo, ma uno pesa 60 chili e uno 75. Quando quello di 60 chili è a soglia, viaggia a 360 watt, quello di 75 chili ne tocca 450, il che significa 90 watt di differenza! I nostri pagano non meno di 50 watt dai crossisti di vertice. Dunque parliamo di potenza pura.
«Pertanto affidarsi alle marathon come sistema di allenamento non ha senso per il cross. Nelle marathon lavori sul glicogeno, in un cross country o in un ciclcross si fa quasi tutto lavoro anaerobico, due sistemi metabolici differenti. In una marathon hai due (forse) picchi di forza esplosiva: uno in partenza e uno all’arrivo nel caso di volata. Sarebbe molto meglio semmai che Dorigoni partecipasse a gare di cross country, sia per tipologia di sforzo che per tipologia di fibre muscolari chiamate in causa.
«Di certo, rispetto alle marathon, meglio la strada, se non altro perché nelle gare a tappe aiuti ad aumentare la cilindrata del tuo motore ripartendo ogni giorno con il fisico che non ha recuperato al meglio. Sei costretto a spingere.
«E infatti – aggiunge Alberati – io non mi stupirei se Pontoni portasse i suoi crossisti a correre una Coppi e Bartali o un “Giro di Sardegna”. Così come non mi sorprende quando sento che vuole puntare sui più giovani».
Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsiSpesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi
Ghirotto: qualità e percorsi
E poi c’è Massimo Ghirotto. Il Ghiro di strada e di fuoristrada ne sa come pochi altri in Italia, visto il suo passato come corridore e tecnico.
«In effetti – dice Ghirotto – anche io mi sono posto qualche domanda sui nostri e su Dorigoni domenica scorsa. Siamo sempre lì. Ricordo un quinto posto ai mondiali di Bertolini qualche anno fa e in prospettiva mi dicevo: vedrai che può fare bene. Invece un salto di qualità definitivo non è arrivato. E su Dorigoni più o meno è la stessa cosa.
«In generale servirebbe più qualità. Servono più “cavalli”, perché se facciamo un confronto siamo a minuti. Cosa si dovrebbe fare? Non avrei una risposta, se non quella che bisogna lavorare sui giovani, il che richiede tempo. E vedo che Pontoni si sta allargando al settore giovanile».
«Se le Marathon aiutano nel cross? Non sono un preparatore, ma io non ho mai visto un Absalon preparare uno dei suoi cross country, che durano un’ora e mezza, con un allenamento di resistenza pur facendo lui parecchia strada in allenamento. Più di tanto non serve, serve qualità.
«E servono atleti di peso, nel vero senso della parola. Noi il bestione da 75 chili non ce lo abbiamo. In Val di Sole guardavo Fontana, che ha fatto 15º. Lui è forte, guida davvero bene, ma gli mancano i chili, quelli della vera forza. Ma non è facile, perché Van Aert pesa 75 chili ma poi ti regge i top 10-20 in salita. E che gli fai?
«Mi ricordo della Teocchi. Con quei due europei vinti da juniores dava fiducia, poi come si è approcciata ai grandi livelli internazionale si è ritrovata staccata di minuti. E come lo recuperiamo un gap così? Lavoriamo sul peso, okay. Curiamo la forza, okay… ma si tratta di limare qua e là. E alla fine torniamo a discorso della qualità dell’atleta.
«E poi una cosa che per me deve cambiare in Italia sono i percorsi, servono campi gara con altimetrie differenti e non percorsi stile gimkana. Servono spazi più aperti dove spingere. Perché nei cross internazionali del Nord Europa le prendi sui denti».
Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima GravelDorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel
Cucinotta: questioni (anche) economiche
Claudio Cucinotta, coach dell’Astana, riprende sia quanto detto da Alberati, soprattutto, che da Ghirotto.
«Se facciamo riferimento ai soliti big – spiega Cucinotta – Van Aert e Van der Poel andrebbero forte anche se facessero bmx! Il problema non è solo la marathon, ma dipende anche dalle qualità degli atleti stessi. Poi chiaramente c’è un discorso tecnico, un disorso di intensità. Un conto è fare forte una salita nelle marathon, e un conto nei cross country o in un Giro delle Fiandre. Nelle marathon imposti un ritmo massimale ma pensando che la salita dura un’ora, in un Fiandre uno strappo dura molto meno. Dico dei numeri: un corridore di 63-64 chili in un’ora di salita si attesta sui 350 watt, su uno strappo delle Fiandre ne esprime 500».
«Il modello prestativo più vicino al ciclocross è quello del cross country. Si sviluppano intensità molto più alte. Si fa più esplosività. Di contro non so neanche se effettivamente il cross country serva ad aumentare il motore. Senza parlare dei soliti noti, penso alla squadra di Sven Nys (Baloise-Trek Lions, ndr): loro fanno delle gare a tappe, magari di livello basso, le 2.2: ne fanno tre o quattro in un anno di 4-5 giorni ciascuna, e alla fine mettono insieme un buon volume di lavoro».
«Il discorso – riprende Cucinotta – è molto ampio. Bertolini e Dorigoni anche recentemente hanno dimostrato che possono arrivare tra i primi dieci in Coppa se tutto fila perfettamente, ma certo se cerchiamo il campione del mondo non lo avremo a breve. E’ un lavoro di lungo termine».
«I nostri atleti migliori non fanno cross. Sembrerà un po’ brutto da dire, ma è anche una questione economica. Quando arrivi a 19-20 anni chiaramente sei portato ad andare dove ci sono maggiori risorse economiche, tanto più pensando che la vita dell’atleta è abbastanza corta. Cerchi di massimizzare. Noi abbiamo atleti che potenzialmente possono essere adatti al cross, penso ad un Colbrelli, ad un Bettiol, ad un Trentin, ma chi glielo fa fare? Quanto guadagnerebbero nel cross? Mentre su strada ottengono contratti importanti. Non puoi chiedere a Colbrelli, a 31 anni, di iniziare a fare ciclocross.
«Quello che mi auguro è che le nuove generazioni possono essere più coinvolte e stimolate a fare questa disciplina. Ecco, se dovesse diventare una specialità olimpica magari le cose potrebbero cambiare. Io seguo i fratelli Braidot e Nadir Colledani (biker che hanno fatto le Olimpiadi, ndr), loro ormai il cross quasi non lo fanno più se non per allenarsi e puntano tutto sul cross country che è disciplina olimpica».
Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)
Gap tecnico-culturale
Infine consentiteci di aggiungere una nostra valutazione. Va detto che c’è anche un gap “culturale”, nell’approccio al ciclocross in Italia, che poi di fatto si lega a quanto ha detto Cucinotta. Da noi il crossista è il “biker prestato” alla disciplina, all’estero è quasi il contrario: è il crossista che è “prestato” alla strada. E se non è così tra pro’, lo è di sicuro nelle categorie giovanili.
E questo presuppone una formazione atletica e tecnica ben diversa, una formazione che va ad incidere anche sul motore stesso del corridore. Bertolini e Dorigoni sono pertanto più che giustificati se oggi si ritrovano in queste acque. E nonostante tutto mostrano un impegno eccezionale. Questo articolo non è un processo su di loro, ma uno spunto di riflessione. Se in Val di Sole gli azzurri arrivano: 15°, 16°, 17° e 18° nell’arco di 62″ una domanda bisogna porsela.
Jakob Dorigoni è uno degli atleti azzurri che domenica si è cimentato nella prova di coppa del mondo in Val di Sole, appuntamento stravinto da Van Aert. Questo è stato lo spunto per il nostro editoriale del lunedì. I corridori che dominano le corse di ciclocross sono gli stessi che troviamo poi a giocarsi la vittoria tutto l’anno su strada. E’ ormai chiaro come praticare due discipline ad alto livello aumenti lo stress e la fatica, ma una volta che si gestiscono i periodi di corsa, i risultati parlano da soli. L’Italia ha perso ottimi crossisti passati su strada e più tornati, ma è il modo giusto per gestire questi ragazzi? Non sarebbe meglio dare loro la possibilità di correre ad alto livello anche su strada per potersela giocare nel cross? Cambierebbe qualcosa nella carriera di Dorigoni se durante l’estate potesse disputare delle corse a tappe?
Bene, mi sono divertito molto, è stata una prima volta speciale sulla neve. Il percorso era bello anche se tanto tecnico.
Correre sulla neve è tanto diverso?
No, la formazione del percorso è simile a quando c’è il fango. Si creano le canaline e bisogna stare attenti a quale prendere per non finire al di fuori della traiettoria ideale e perdere così troppo tempo.
L’insidia più grande?
Essendo il percorso per lo più all’ombra, le basse temperature si facevano sentire. Anche durante il riscaldamento avevo freddo nonostante fossi al sole, quindi pensate che temperatura c’era… Una delle maggiori insidie era dovuta proprio all’ombra sul percorso perché la neve andava via via ghiacciandosi e mantenere l’equilibrio era fondamentale.
Ha vinto Van Aert con quasi un minuto sul secondo…
Lui è un fenomeno, domenica è atterrato un alieno in Val di Sole.
Jakob Dorigoni ha corso il Giro d’Italia under 23 nel 2018, 2019 e 2020 Jakob Dorigoni ha corso il Giro d’Italia under 23 nel 2018, 2019 e 2020
Doppia attività sì, ma quale?
I primi 5 della classifica di ieri alternano una buona, se non ottima, attività su strada a quella invernale di ciclocross. Anche Jakob fino al 2020 ha corso su strada in estate, ha partecipato al Giro d’Italia under 23 con la Work Service Dynatec Vega. Nella stagione appena conclusa però non lo ha fatto.
Che disciplina hai praticato quest’estate?
Ho corso in mountain bike, ho deciso di cambiare attività.
Come mai?
Ho sempre praticato questa disciplina e mi piace molto. Mi diverte e mi mantiene attivo nella stagione estiva.
Non pensi che l’attività agonistica su strada porti dei vantaggi maggiori in termini di preparazione?
Anche la mountain bike permette di fare molto fondo, non serve correre per forza su strada. Ho partecipato a gare marathon, che sono più lunghe di quelle classiche, e questo comunque fornisce molti vantaggi e comunque mi alleno spesso con la bici da strada.
Jako Dorigoni ha corso anche la prima edizione della Serenissima Gravel con la maglia della nazionale Jako Dorigoni ha corso anche la prima edizione della Serenissima Gravel
Come ti alleni quindi in estate?
Per 4-5 i giorni della settimana uso la bici da strada, i restanti allenamenti li faccio con la mountain bike, poi ovviamente c’è il giorno della gara. Uso la bici da corsa perché mi permette di fare meglio determinati lavori come quelli ad alta intensità. Sui sentieri incontri spesso degli ostacoli che ti tolgono ritmo, mentre se vado su una salita posso fare lavori dai 5 ai 20 minuti senza interruzioni.
Per lo stesso motivo allora fare gare su strada ti permetterebbe di fare sforzi più prolungati mentre in mountain bike questo diventa più complicato…
Per questo faccio anche le marathon dove i percorsi presentano lunghi tratti senza curve ed ostacoli. Correre d’estate in mountain bike è tanto diverso rispetto al ciclocross. Intanto il clima rende il terreno più secco, di conseguenza hai una maggiore scorrevolezza del mezzo e ti alleni a condurre la bici anche a velocità più elevate.
Dopo un periodo di lavoro in Spagna, Van Aert è pronto per la Coppa del mondo di Tabor. Non sa in quali condizioni sarà. Il suo obiettivo sono i mondiali
Aaron Dockx è l’unico corridore non olandese ad aver conquistato un titolo nella domenica dei campionati europei di ciclocross: di lui e della sfida fra gli juniores parleremo a breve. Anche l’ultima gara, quella degli uomini elite che sembrava saldamente nelle mani dei belgi, si è risolta con la più colossale delle beffe ai danni dei conquistatori fiamminghi. La rimonta di Van der Haar, tradito da un cambio bici mal pianificato, è stata così coinvolgente che in parecchi si sono ritrovati a fare il tifo per lui.
«Mi sentivo davvero forte – ha detto l’olandese – ma anche quando ero in seconda posizione, mi sono accorto che i belgi mi stavano controllando. Dovevo escogitare qualcosa, così ho pensato che se avessi cambiato bici, mi sarei ritrovato a centro gruppo, ma ho perso un po’ troppe posizioni. Una cosa che non mi aspettavo».
Hermans ha provato da lontano come Dockx al mattino, ma Van der Haar lo ha beffatoHermans ha provato da lontano come Dockx al mattino, ma Van der Haar lo ha beffato
Errore di valutazione
Infatti di colpo è sparito, salvo riapparire a ruota di Iserbyt, atteso al bis non avendo tuttavia le gambe per farlo. Nel frattempo in testa alla corsa tre belgi come tre levrieri da corsa si sono scatenati. Finché, giunti a metà percorso e approfittando della salita più lunga del percorso, Hermans ha preso il largo con un allungo apparentemente impossibile da rintuzzare.
«E’ stato un lungo e costante inseguimento – spiega ancora Van der Haar – ma il fatto che davanti sapessero che stavo arrivando li ha costretti a dare tutto troppo presto. Questo ha reso la gara davvero dura e per me è stato un vantaggio. Era pianificato che venissi fuori alla distanza, ma ho rischiato grosso. Mi sentivo forte, ma riprendere Hermans non era scontato. Sapevo solo che sarebbe stata una gara lunga e difficile, quindi ho continuato a provarci».
Per Van der Haar una rimonta strepitosa e vittoria che per molti era ormai impossibilePer Van der Haar una rimonta strepitosa e vittoria che per molti era ormai impossibile
Nys gongola
Dal suo box è giunta in tempo quasi reale la soddisfazione di Sven Nys, belga di passaporto, ma manager del Baloise Trek Lions in cui corre Van der Haar.
«Lars ha corso quasi la gara perfetta – ha sorriso il vincitore di 4 mondiali, 3 Coppe del mondo e 13 Superprestige – si sentiva bene, ha ricevuto supporto dal pubblico e ha guidato alla grande su un percorso adatto a lui. E’ fantastico che sia riuscito a vincere, malgrado il suo errore al cambio bici. Soltanto per quello la gara non si può definire perfetta. Ora possiamo continuare a lavorare su questo flusso positivo, sono certo che questo titolo metterà le ali a Lars».
Il nono posto di Dorigoni alle spalle dei più forti dice che l’altoatesino continua a crescereIl nono posto di Dorigoni alle spalle dei più forti dice che l’altoatesino continua a crescere
Il vuoto subito
Dicevamo di Dockx, solo belga nella domenica degli olandesi, che ha battuto per 47 secondi l’olandese Haverdings e il nostro Paletti.
«Il mio piano era di partire molto velocemente – ha detto il belga – perché sapevo che Haverdings era molto forte nella seconda parte. Volevo fare prima possibile il vuoto e consolidarlo fino alla fine. Quando a ogni giro senti che il margine sta diventando un po’ più grande, il morale fa il resto. E’ stato un fatto di potenza, avevo buone gambe. Dopo il secondo giro ho guardato il tabellone e ho visto che mancavano ancora cinque giri. “Wow – ho pensato – è ancora molto”. Ero già abbastanza a tutta, ma sentivo di poter tenere quel ritmo fino alla fine».
Nella gara degli juniores uomini, Dockx ha preso subito il largo e non l’hanno più vidto
Sul podio, l’azzurro Paletti dopo Aaron Dockx e David Haverdings
Nella gara degli juniores uomini, Dockx ha preso subito il largo e non l’hanno più vidto
Sul podio, l’azzurro Paletti dopo Aaron Dockx e David Haverdings
Fra cross e strada
Per Dockx si tratta della quinta vittoria stagionale. E’ stato il migliore anche lo scorso fine settimana al Koppenberg.
«Haverdings era in realtà il favorito in assoluto all’inizio – ha proseguito – ma sapevo di non essere troppo lontano. E’ stato fantastico vincere, davvero fantastico. Cross e strada sono tutto il mio mondo. Continuerò ad abbinarli il più possibile, perché si riescono a integrare, ma il mio primo amore per ora è proprio il ciclocross».
Paletti sul podio
Il podio di Paletti (in apertura il suo arrivo) ha probabilmente radici precedenti a queste settimane del 2021. Il cittì Scotti lo scorso anno si rammaricò che a causa del Covid lo spazio per gli juniores fosse stato compresso, avendo fiutato aria di talento proprio nella categoria più giovane. Aveva ragione e Pontoni è stato bravissimo a raccogliere il testimone e scalare il podio degli europei.
Nella gara delle donne U23, successo ovviamente olandese, con Shirin Van AnrooijNella gara delle donne U23, successo ovviamente olandese, con Shirin Van Anrooij
«Esordire così ad un europeo e portare a casa una medaglia non è cosa da poco – ha ammesso il cittì friulano – sono veramente emozionato. Paletti ha fatto una gara esemplare, partendo dalla terza fila e portandosi sempre più avanti. Il belga era ormai inarrivabile, perciò abbiamo impostato il resto della gara puntando al podio. Un risultato voluto, che incorona il grande lavoro di Luca e di un intero gruppo: quello di staff, meccanici, massaggiatori… Tutte persone che lavorano dietro le quinte e senza le quali noi oggi non saremmo qui a festeggiare».
Per Gaia Realini un sesto posto che soddisfa, soprattutto dopo l’episodio dell’arcoPer Gaia Realini un sesto posto che soddisfa, soprattutto dopo l’episodio dell’arco
Il bilancio di Pontoni
Il bilancio degli azzurri è l’ultimo racconto di Pontoni, che va avanti nella sua disamina, prima dei meritati festeggiamenti e del brindisi.
«Mi vorrei soffermare sul 9° posto di Dorigoni fra gli elite, un gran bel risultato. Sono contento di come ha corso pur partendo dalla quarta fila. Fra le donne under 23 invece torniamo a casa con il 6° posto di Gaia Realini. A un certo punto c’è stata quasi una tromba d’aria che ha danneggiato tutte le ragazze. Gaia era 7ª quando un arco ha divelto le transenne ed è finito nel percorso. Ha dovuto uscirne e poi rientrare e ha perso il tempo che magari le avrebbe consentito di guadagnare un’altra posizione. Comunque un bel piazzamento.
«In pratica chiudiamo con un piazzamento nei primi 10 in tutte le categorie e ci teniamo stretti la medaglia di Paletti perché il futuro passa per gli juniores. Da domani perciò penseremo alla Coppa del mondo di Tabor del prossimo weekend, cui parteciperemo con gli U23 e per la prima volta con gli juniores, passando per un mini ritiro in Friuli, come ce ne saranno tanti, che ci permetterà di conoscerci bene. Ma prima si brinda, non mi dimenticherò tanto facilmente questa prima medaglia».
Il 3° posto al Romandia dà ottime indicazioni su Gaia realini, sempre più vicina al vertice. E la Teutenberg si toglie qualche sassolino dalle scarpe...
Freddo, nebbia e pioggia. Tantissima, incessante. Terra, erba e fogliame che diventano fango. Insomma il clima ideale del ciclocross. E non poteva essere altrimenti per il battesimo nel Parco del Po a Cremona – per un giorno, con condizioni del genere, enclave del Belgio – del 42° Gran Premio Mamma e Papà Guerciotti.
Dopo tante edizioni all’Idroscalo di Milano, gli argini del grande fiume hanno fatto da cornice ad un evento atteso e che, nella nuova location, sperava di diventare ancora più importante. Ad anticipare le gare del pomeriggio – junior, donne e uomini elite – si è disputato al mattino il Memorial Baccin e Baraldi, riservato ai più giovani e agli amatori.
Ora la palla passa a Pontoni che dovrà fare le convocazioni per gli europei del prossimo weekend (foto Billiani)Ora la palla passa a Pontoni che dovrà fare le convocazioni per gli europei del prossimo weekend (foto Billiani)
Paletti cresce
Tra gli junior si è imposto Luca Paletti (Team Paletti), figlio d’arte di Michele (ex pro’ di Ariostea e Mapei) che ha colto la sua quinta vittoria consecutiva in questo inizio di stagione di ciclocross, mentre tra le donne Silvia Persico (Fas Airport Service) ha superato Sara Casasola (Dp66 Giant Smp) e Gaia Realini (Selle Italia Guerciotti). Nella gara elite maschile doppietta della Selle Italia Guerciotti con Jakob Dorigoni ed il tricolore Gioele Bertolini (davanti a Filippo Fontana del CS Carabinieri) che così si riscattano dopo il loro patatrac del giorno prima a Brugherio (si erano ostacolati nel finale) che aveva favorito la vittoria di Davide Toneatti, oggi giunto quarto.
Gaia Realini, terza al Guerciotti dietro Silvia Persico e Sara Casasola, parla del cross, della strada e del suo futuro
Soddisfazione Persico
Al termine delle premiazioni abbiamo avvicinato Silvia Persico, reduce dal nono posto ottenuto sabato scorso in Belgio ad Overijse nella prova di Coppa del mondo (vinta dalla ungherese Blanka Vas).
«Sono soddisfatta – dice – perchè è la prima vittoria nel ciclocross. Volevo fare bene perché arrivo da un periodo con un buon colpo di pedale. Sono partita un po’ malino, ho cercato di prendere le prime posizioni fino a raggiungere la ruota di Sara Casasola, che nel frattempo aveva preso un po’ di margine. Quando l’ho recuperata ci siamo date dei cambi a tirare. A due giri dalla fine ho provato ad allungare da sola, ma sono rimasta bloccata da un problema meccanico. Sara mi ha ripassato e sono arrivata ai box correndo per cambiare bici. Mi sono rimessa al suo inseguimento fino a riprenderla nuovamente.
Il cross di Brugherio è stata una parentesi sfortunata per gli atleti del team Selle Italia-Guerciotti (foto Billiani)Il cross di Brugherio è stata una parentesi sfortunata per gli atleti del team Selle Italia-Guerciotti (foto Billiani)
«Nelle ultime curve l’ho passata prima di fare lo sprint, anche se ero tranquilla perché sapevo che forse sarei stata un po’ più veloce di lei. Con il fango che si è creato, l’argine è diventato molto selettivo però io avevo già corso in questo parco in passato in una tappa del Trofeo Lombardia-Piemonte. E’ un circuito misto che richiama uno belga e anche quello dell’Idroscalo. Ora aspetto la convocazione ufficiale per l’europeo però spero di essermela guadagnata con la vittoria di oggi. Vorrei fare bene anche qui in Italia, in Val di Sole, il 12 dicembre nella prova di Coppa del mondo. Poi guarderò per un eventuale mondiale prima di iniziare a pensare alla strada».
Persico è rientrata sulla Casasola in vantaggio e ha respirato dando cambi regolari
In volata, la sua forza maggiore (ottima la sua stagione su strada) ha fatto il resto
Silvia Persico è arrivata al Guerciotti dopo il 9° posto in Copa a Overijse
Persico è rientrata sulla Casasola in vantaggio e ha respirato dando cambi regolari
In volata, la sua forza maggiore (ottima la sua stagione su strada) ha fatto il resto
Silvia Persico è arrivata al Guerciotti dopo il 9° posto in Copa a Overijse
Surplace Guerciotti
La doppietta della Selle Italia Guerciotti è figlia di ciò che era accaduto ventiquattro ore prima. Jakob Dorigoni negli ultimi cento metri rallenta, si volta indietro per vedere dov’è Gioele Bertolini e quasi fa surplace prima della linea per attenderlo. Il campione italiano arriva e trova la mano tesa del suo compagno per tagliare il traguardo assieme, mettendo a tacere i malumori del giorno prima.
«A Brugherio – spiega Dorigoni – è stata una giornata sfortunata, con errori, non positiva. Noi cerchiamo sempre di dare spettacolo ed il meglio per la squadra, però non è andata bene. Qui a Cremona invece abbiamo cercato di aiutarci e quando Filippo Fontana ha commesso l’errore, io ho provato ad allungare un po’ per tirare il collo a tutti gli altri. Nel finale poi Gioele è partito e l’ho aspettato proprio negli ultimissimi metri per conquistare la vittoria a braccia alzate assieme. L’avrei lasciata molto volentieri a lui visto l’errore di ieri, ma l’importante che abbiamo vinto come squadra.
Sara Casasola si è arresa soltanto alla maggior potenza di Silvia Persico in volataSara Casasola si è arresa soltanto alla maggior potenza di Silvia Persico in volata
«Il percorso era piuttosto simile a quello tradizionale dell’Idroscalo, ci siamo divertiti sotto la pioggia. Certo, durante le prove e nel riscaldamento diventa tutto più difficile. Però facendo un’ora a tutta ci scaldiamo. Un meteo così fa la differenza nel pre-gara. Credo che sia io che Bertolini ci siamo guadagnati la convocazione per l’europeo ma è importante fare un passo alla volta e fare bene in campo internazionale».