NSN Cycling

Frassi: dai giorni bui con Israel alla rinascita con NSN Cycling

05.12.2025
5 min
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ROMA – Sulla sua maglia c’è già la scritta NSN. Vederlo entrare all’Auditorium fa piacere. Parliamo di Francesco Frassi, direttore sportivo in forza alla Israel – Premier Tech fino a pochi giorni fa e ora alla NSN Cycling, la nuova squadra che si è distaccata dai vessilli dello Stato mediorientale. Lo incontriamo a pochi minuti dalla presentazione del Giro d’Italia. Sta degustando un prosecco assieme a suo padre, Roberto, colui che gli ha trasmesso la passione per il ciclismo: quella da corridore prima, e quella direttore sportivo poi.

La mente vola subito alle proteste di qualche mese fa, specie quelle avvenute in Spagna durante la Vuelta. Ma non solo: anche in Italia e in Francia i gruppi “ProPal” si sono fatti sentire. Da Frassi ci facciamo raccontare quei giorni, il crescendo di ostilità nei loro confronti e come li hanno vissuti dall’interno (in apertura foto CAuldPhoto).

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Francesco Frassi insieme a suo papà Roberto alla presentazione del Giro d’Italia 2026
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Francesco Frassi insieme a suo papà Roberto alla presentazione del Giro d’Italia 2026
Finalmente Francesco, il periodaccio è alle spalle. La fine dell’estate è stata più che tosta per voi…

Sì, molto. Io non ero alla Vuelta: i miei colleghi mi hanno raccontato la parte più intensa della protesta e gran parte l’ho vissuta da remoto. Però tra di noi ci si sentiva di continuo.

E cosa ti dicevano?

Che c’era parecchio stress. Non essendo lì, non capivo fino in fondo com’era la situazione, anche se in televisione si vedeva chiaramente cosa succedeva. Io ero in Italia e per me il “bello” è iniziato dopo, con le classiche italiane.

Raccontaci, cosa è successo?

Ho avuto il mio bel da fare. Essendo un direttore sportivo italiano all’interno del team, ovviamente gli organizzatori telefonavano a me. Il primo è stato Adriano Amici, perché il problema vero è nato con le gare del GS Emilia. E poi, a catena, tutte le altre corse. Di nuovo altro stress, anche se meno rispetto alla Vuelta: alla fine io l’ho vissuta per telefono. Percepivo soprattutto la paura degli organizzatori di non poter far disputare la gara, perché quelle proteste avrebbero potuto fermare tutto.

Alla Vuelta le proteste maggiori: avevano capito che il ciclismo era un’ottima vetrina mediatica (foto EFE)
Alla Vuelta le proteste maggiori: avevano capito che il ciclismo era un’ottima vetrina mediatica (foto EFE)
E tu?

Facevo da tramite tra l’organizzazione e il management della squadra. Alla fine anche il team ha deciso che non era il caso di presentarci alla partenza. Fortunatamente eravamo tranquilli a livello di punteggio per tornare nel WorldTour.

Giusto, c’era anche questa sfida in atto…

Esatto. Perdere 6, 7, 8 gare di un giorno in Italia, gare ProSeries, poteva essere davvero rischioso. In quel caso non so cosa avremmo fatto.

Come l’hanno presa i ragazzi quando avete dovuto fare questo passo indietro?

Quelli con cui ho parlato l’hanno presa bene. Hanno iniziato il riposo un po’ prima! Anche se per qualcuno c’è stato un piccolo cambio di calendario: chi è andato alla Parigi-Tours, chi ha corso in Belgio, chi è andato al Guangxi. Hanno chiuso prima quelli che avevano il programma italiano. Ma l’hanno presa con professionalità, senza lamentele particolari.

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Giusto ieri è stata resa nota la partnership fra Scott e NSN Cycling. La nuova squadra è affiliata in Svizzera (foto CAuldPhoto)
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Giusto ieri è stata resa nota la partnership fra Scott e NSN Cycling. La nuova squadra è affiliata in Svizzera (foto CAuldPhoto)
E invece Francesco, raccontaci com’è stato essere nell’occhio del ciclone dal lato negativo? Essere additati?

Non è stato bello. Alcune volte mi sono trovato, e ci siamo trovati, di fronte a brutti gesti nelle varie gare in cui andavamo. Anche in una corsa in Francia, il Grand Prix d’Isbergues, a settembre, e non solo alla Vuelta. Si passava sotto l’arrivo e ci facevano il dito medio, ci urlavano contro. Non era una bella situazione: ti dipingevano come una persona indecente quando non lo sei.

E aggiungeva stress, immaginiamo…

Più che stress dava fastidio. Anche perché noi cosa c’entravamo? Eravamo una squadra ciclistica. Sì, portavamo il nome Israel, ma dal punto di vista sportivo il proprietario ha una grande passione per il ciclismo. E’ grazie a lui se in questi anni si sono raggiunti ottimi risultati, se siamo diventati WorldTour, se c’è stata la Grande Partenza del Giro d’Italia. Alla fine, per una questione politica, ci rimettevamo noi. Si è capito che il ciclismo è più facile da colpire: mentre magari in una partita di qualificazione ai mondiali di calcio, come Italia-Israele, nessuno ha fatto nulla.

Il ciclismo non si fa a porte chiuse… Torniamo invece a voi. C’è stata paura per il futuro? Voglia di lasciare, come ha fatto Gee?

Quello no. Siamo sempre stati tranquilli riguardo al futuro. Devo essere sincero: il nostro manager Kjell Carlstrom ci ha parlato con chiarezza e ci ha sempre dato sicurezza. Ci ha sempre informato su tutto. Qualsiasi cosa ci fosse, poteva essere un problema o semplicemente un cambiamento, lui a tutti, dal primo corridore all’ultimo dello staff, ci teneva sempre aggiornati. Ed è sempre stato chiaro. Questo suo modo di comunicare ha contribuito a renderci tranquilli molto. Anche in chiave futura ci dava sicurezza e tranquillità.

Il momento forse più teso in assoluto per la Israel-Premier Tech: i manifestanti si gettano in mezzo alla strada durante la cronosquadre (screenshot a video)
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Il momento forse più teso in assoluto per la Israel-Premier Tech: i manifestanti si gettano in mezzo alla strada durante la cronosquadre (screenshot a video)
E com’è stato questo passaggio verso NSN?

Ci ha spiegato l’idea della nuova squadra, ci ha mostrato il progetto della NSN Cycling e abbiamo capito che c’era una strada chiara, solida e pronta per il 2026. E’ stato dunque un passaggio naturale. Finalmente si usciva dall’occhio del ciclone politico e si tornava a parlare solo di ciclismo, che è quello che volevamo.

E si vede, indossi già i nuovi vestiti griffati NSN. Si sente già questa atmosfera di cambiamento?

Devo essere sincero, c’è tanto entusiasmo. Sono arrivato ora a Roma direttamente dal ritiro a Denia in Spagna. In squadra si lavora bene. Eravamo oltre 150 persone in ritiro, questo per far capire a quale livello di performance, management, staff, direttori sportivi e corridori possiamo essere. Siamo veramente attrezzatissimi e motivatisismi. E decisamente più rilassati di prima. Siamo approntati già sulla stagione, vogliamo fare i programmi e fissare gli obiettivi. In una parola: siamo felici.

Kjell Carsltrom, Israel Premier Tech, NSN Cycling Team

Carlstrom saluta Israel e riparte da NSN Cycling Team

21.11.2025
4 min
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«Siamo orgogliosi di dare il benvenuto a NSN e Stoneweg nel nostro team – ha dichiarato Kjell Carlstrom – e di annunciare il nostro nuovo nome e la nostra nuova identità».

Non è bastato per trattenere Premier Tech, ma la metamorfosi della Israel Cycling Academy è ora avvenuta davvero. L’obiettivo di distaccarsi dalla bandiera israeliana è stato raggiunto e il gruppo sportivo guidato da Kjell Carlstrom proseguirà l’attività con un altro nome e una nuova affiliazione. Dopo le manifestazioni della Vuelta nei giorni più atroci del massacro di Gaza e la rinuncia (non si sa quanto spontanea) alle corse italiane di inizio autunno, la squadra ha deciso di svoltare. 

«La società internazionale di sport e intrattenimento NSN (Never Say Never) e Stoneweg, una piattaforma di investimento globale con sede a Ginevra, in Svizzera – si legge nel comunicato – hanno stipulato una joint venture nel ciclismo professionistico su strada per rilevare la struttura dei team WorldTour e Development per la stagione 2026 (in realtà la Israel-Premier Tech era una professional, ndr). Di conseguenza, il nome della nuova squadra World Tour è NSN Cycling Team. Questo è un nuovo capitolo incredibilmente entusiasmante per il team e non vediamo l’ora di debuttare come NSN Cycling Team».

Fra Svizzera e Spagna

La nuova squadra sarà affiliata in Svizzera, al pari della Tudor Pro Cycling e del Team Pinarello-Q36.5. La struttura sarà invece spagnola, con sedi a Barcellona e a Girona, vero hub del professionismo internazionale. Il perché dell’anima catalana si spiega anche col fatto che tra i fondatori di NSN c’è Andres Iniesta, leggenda del Barcellona e della nazionale spagnola.

La presenza in gruppo del vecchio team, nata come veicolo di propaganda per Israele, ha causato diverse contestazioni, al punto che lo sponsor canadese Premier Tech ha annunciato l’immediato ritiro dalla squadra, ritenendo “insostenibile” continuare a sponsorizzarla. I canadesi si sono accontentati di diventare per i prossimi due anni il primo nome della continental francese St Michel-Preference Home-Auber93.

«Questa opportunità – ha spiegato Jean Bélanger, Presidente e CEO di Premier Tech – si sposa perfettamente con le ragioni per cui siamo impegnati nel ciclismo da oltre 30 anni. Costruire ponti a tutti i livelli dello sport e contribuire allo sviluppo dei ciclisti del Quebec e del Canada».

Durante la Vuelta le proteste contro la presenza del team israeliano hanno più volte fermato il gruppo (foto Marta Brea)
Durante la Vuelta le proteste contro la presenza del team israeliano hanno più volte fermato il gruppo (foto Marta Brea)

Il Tour de France sotto casa

La squadra ha cambiato nome, dalla prossima settimana dovrebbe essere in ritiro, mentre l’organico, i nuovi colori, i materiali (si parla di separazione da Factor Bikes con l’ingresso di Scott, rimasta fuori dalla Q36.5) e il programma delle gare saranno annunciati in seguito.

«E’ una sfida enorme per NSN immergersi nel mondo del ciclismo – ha detto Joel Borràs, Presidente e Fondatore di NSN – uno sport di portata così globale. E’ una fantastica opportunità per esplorare nuovi modi di comunicare e di entrare in contatto con uno sport in linea con i valori della nostra azienda».

«Il lancio del NSN Cycling Team – ha dichiarato invece Jaume Sabater, CEO di Stoneweg Group – è un momento di orgoglio per tutti noi e siamo incredibilmente entusiasti di lavorare con Kjell e l’intero team per garantire che possiamo raggiungere i massimi livelli nel ciclismo nei prossimi anni. Il ciclismo è uno sport che incarna valori in cui crediamo fermamente, dall’ambizione e dalla resilienza al lavoro di squadra e all’integrità. Il nostro nuovo team mira a incarnare questi principi e a ispirare la prossima generazione di ciclisti e tifosi».

Con il Tour de France 2026 che partirà da Barcellona, sede di NSN, è facile immaginare che per il nuovo gruppo si prospetta la ghiotta occasione di celebrare il fresco investimento.

Tour de France 2024, Pascal Ackermann

Firma con la Jayco e Ackermann cambia (finalmente) vita

05.11.2025
4 min
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E’ l’ultimo arrivato in casa Jayco-AlUla. Dopo un 2024 da dimenticare con un solo successo e troppe cadute, Pascal Ackermann va a caccia di una seconda giovinezza nel team australiano. Per raccogliere qualche successo negli sprint, Brent Copeland e il suo staff hanno deciso di puntare sull’esperto trentunenne tedesco, già campione nazionale e capace di conquistare la maglia ciclamino al Giro 2019. 

Pascal ringrazia e, mentre si prepara a diventare papà, comincia a pensare come sarà la nuova avventura che l’aspetta. E sta volutamente alla larga dagli ultimi mesi difficili alla Israel per la situazione extra ciclismo che ha costretto la vecchia proprietà del team a fare un passo indietro e spinto molti corridori a cercare fortuna altrove.

Tirreno Adriatico 2025, Pascal Ackermann
La firma con la Jayco-AlUla solleva Ackermann da problemi di ordine sportivo ed extra sportivo
Tirreno Adriatico 2025, Pascal Ackermann
La firma con la Jayco-AlUla solleva Ackermann da problemi di ordine sportivo ed extra sportivo
Cosa ti aspetti da questa nuova sfida?

Sono super, super felice di essere qui. Quando in estate ho saputo che avrei potuto entrare a far parte di questa squadra, ci sono stati altri incontri e mi sono incuriosito sempre di più. Quando ero ragazzino, infatti, la Mitchelton-Scott era uno squadrone e un grande progetto, che ho sempre seguito. Per cui, non vedo l’ora di cominciare.

Che cosa ti ha colpito al primo impatto?

Penso di essere nella squadra giusta per me e sono convinto di avere grandi compagni di squadra. Siamo un bel mix di corridori, tra esperti e giovani e combatteremo insieme. Sono davvero su di giri e abbiamo un sogno comune che ci piacerebbe centrare: vincere una tappa al Tour de France per completare la mia personale tripla corona, così da regalare una gioia al team.

Ritroverai Michael Matthews: come sarà?

Quando ero giovane, Michael era un avversario ostico per me, ma poi lui ha puntato corse un po’ più dure, mentre io ho optato per quelle pianeggianti. Formiamo una bella coppia e credo che correndo insieme possiamo essere competitivi su tutti i terreni. Spero di imparare qualcosa da lui, perché è davvero un modello da seguire

Che ne pensi dei tuoi nuovi compagni?

Essendo l’ultimo arrivato, non ho parlato molto coi miei nuovi compagni, anche se conosco qualcuno di loro. Ad esempio, Covi era con me alla UAE. Il ciclismo alla fine è un po’ come una grande famiglia ed è sempre bello ritrovare qualcuno con cui hai già corso.

Quanto è stato duro per te il 2025?

Non voglio parlare della parte non sportiva, ma potete immaginare quanto sia stato difficile anche quell’aspetto. In generale, la mia stagione non è stata un granché perché sono caduto male subito ad inizio stagione in Provenza. Ci sono voluti due mesi per tornare in forma, poi mi sono fatto male, sono rientrato e sono caduto di nuovo: insomma, un calvario. Sono riuscito ad essere al via del Tour, ma le tre cadute nelle otto settimane di preparazione diciamo che non sono state il massimo, per cui non sono riuscito a ritornare a un buon livello. A quel punto, ho rallentato il ritmo e ho cominciato a pensare al 2026.

Obiettivi?

Con la squadra non abbiamo ancora fatto programmi specifici, anche se abbiamo parlato di quali potrebbero essere gli obiettivi plausibili e le corse che mi piacerebbe fare. Mi auguro di essere al via del Tour e poi chissà. Sinceramente, mi sento più da Grandi Giri, anche perché oramai nelle classiche ci sono anche gli scalatori o fenomeni alla Pogacar, che rendono la corsa difficilissima. Al massimo potrei puntare a qualche corsa di un giorno in Belgio, come la Gent-Wevelgem.

Giro d'Italia 2019, Pascal Ackermann
Al Giro 2019, Ackermann vince a Fucecchio e Terracina e porta a casa la maglia ciclamino
Giro d'Italia 2019, Pascal Ackermann
Al Giro 2019, Ackermann vince a Fucecchio e Terracina e porta a casa la maglia ciclamino
Il tuo augurio?

Già non avere infortuni e non cadere tutte le volte come quest’anno sarebbe un buon inizio. Voglio tornare ad alzare le braccia al cielo. Aver conquistato la maglia ciclamino al Giro d’Italia rimane il ricordo più bello della mia carriera, insieme alle singole vittorie di tappa nei Grandi Giri. Così come essere stato campione nazionale. Ogni vittoria però è speciale di per sé perché ha dietro una storia.

Il programma per le prossime settimane?

Starò a casa in Austria, dove vivo da 7 anni. Lì è bello perché mi trovo ai piedi delle montagne, per cui ogni giorno posso decidere se fare pianura o cimentarmi in qualche salita. Poi, quando non pedalo, adoro pescare. Viviamo molto vicino a un lago e quando riesco vado. Quest’autunno però mi sa che sarà un po’ più difficile, perché sta per nascere nostra figlia, dunque, preferisco stare vicino a mia moglie. 

Ayuso contro Frigo, scontro fra due rabbie diverse

29.08.2025
6 min
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Sul traguardo di Cerler, Ayuso si tappa le orecchie. Dite pure tutto quello che vi pare, io non voglio starvi a sentire. Lo spagnolo è arrivato alla Vuelta con i favori del pronostico, messo dentro al posto di Pogacar, quasi a sottolineare che con Tadej non avrà più a che fare. Leader con Almeida, difficile dire se con qualche diritto di prelazione. Sta di fatto che ieri ad Andorra, sul primo arrivo in salita nemmeno troppo crudele, Juan è tornato in hotel con quasi 12 minuti di passivo. Poche gambe o la voglia di prendere le distanze dalla coppia e fare la sua corsa nonostante tutto?

Nella fuga con Ayuso viaggiava anche Marco Frigo, alla Vuelta per puntare alle tappe
Nella fuga con Ayuso viaggiava anche Marco Frigo, alla Vuelta per puntare alle tappe

La Bahrain rinunciataria

Non parlate, non vi sento. Così Ayuso ha attaccato sulla prima salita e ha fatto un’ora da solo, prima che lo raggiungessero gli altri fuggitivi. Ha pedalato con loro, girato con loro, condiviso con loro la fatica. Ma quando mancavano 9 chilometri all’arrivo e al suo fianco c’era soltanto Marco Frigo, Ayuso si è scosso e l’ha lasciato lì.

«Ho trovato il peggiore con cui andare in fuga – ammette Frigo – sappiamo tutti che corridore sia Ayuso. Quando ho visto attaccare lui e Vine, ho capito che saremmo potuti arrivare. Dietro era chiaro che la Bahrain Victorious non avrebbe tirato fino all’ultima salita, per poi mettere la vittoria in palio, sapendo che il suo uomo in maglia è vulnerabile. Questo ci ha dato fiducia sul fatto di arrivare. Bisognava essere in fuga e penso che sia stata una delle giornate più dure per esserci. Detto in gergo ciclistico, la salita iniziale l’abbiamo ben spianata».

Il gruppo ha lasciato andare: la Bahrain non aveva interesse a cucire sulla fuga
Il gruppo ha lasciato andare: la Bahrain non aveva interesse a cucire sulla fuga

500 metri di sforzo inutile

Nel gruppetto all’attacco, quando sulla penultima salita Jay Vine ha provato l’allungo, Frigo deve aver pensato che l’australiano avrebbe rifatto quel che gli era riuscito ieri ad Andorra. Attacco in cima alla salita, discesa da kamikaze e scalata finale in testa fino al traguardo.

«In realtà poteva essere pericoloso – conferma il vicentino della Israel Premiertech – che lui andasse avanti e dietro rimanesse un gruppetto con Ayuso che non collaborava. Per questo ho deciso di andargli dietro e in un attimo in discesa e poi nella valle avremmo potuto guadagnare un minuto. Ovviamente poi abbiamo capito che lavorava per Ayuso e in quel momento m’è venuta anche la frustrazione di aver fatto 500 metri a tutta per prenderlo e non è servito a niente».

Quando la vittoria di Ayuso era al sicuro, Almeida ha fatto il forcing: con lui Vingegaard e Ciccone
Quando la vittoria di Ayuso era al sicuro, Almeida ha fatto il forcing: con lui Vingegaard e Ciccone

Cinque chili di differenza

Ayuso ha attaccato e Frigo l’ha seguito. La salita finale andava avanti a gradoni su cui i cinque chili di differenza fra Ayuso e Frigo (65 lo spagnolo, 70 l’italiano) rischiavano di trasformarsi in un altro step difficile da sormontare.

«Sono sincero – spiega Frigo – quando ha attaccato ai piedi della salita, io stavo bene e per questo sono riuscito a tornare sotto. Anche quando tiravamo, mi sono messo a collaborare perché credevo di stare bene e avevo buone sensazioni. Però alla fine, forse lui un po’ ha bleffato, non lo so. Sta di fatto che quando ha fatto il secondo attacco, mi ha lasciato lì. Ho cercato di prendere il mio ritmo e per un po’ sono riuscito a tenerlo a tiro, però pian piano mi stavo spegnendo. Ho visto che stava entrando García e sapevo che poteva darmi una mano, però intanto Ayuso è diventato imprendibile. C’è da dire che probabilmente lì davanti, dopo Pedersen, io ero quello più pesante. Nella salita c’erano dei punti in cui si poteva respirare, ma quando tirava in su, diventava bella ripida e ovviamente il mio peso e la mia altezza non mi hanno aiutato…».

L’amarezza di Frigo

Dice e sottolinea di voler tenere la testa sulla Vuelta, senza nulla che porti via la concentrazione. Anche il mondiale e l’europeo, se ci saranno, si affronteranno dopo la corsa spagnola. Dopo la cronosquadre in cui per una protesta pro Palestina la squadra è stata rallentata, la sera Marco avrebbe avuto voglia di mollare. Lo ha detto ai microfoni di Andrea Berton e lo ripete ora qui con noi.

«Superare quello che è successo nella cronosquadre – dice – è stato pesante, sono sincero che la pietra sopra non ce l’ho ancora messa. Proprio perché forse è stata l’escalation di una situazione che forse mi portavo avanti da un po’ e mi ha messo davanti alla realtà com’è. Per metterci la pietra sopra ci vorrà del tempo oppure bisognerà prendere altre decisioni. Però intanto devo concentrarmi ed è quello che sto provando a fare e che probabilmente oggi sono riuscito a fare meglio di ieri. Pensare che sono qui alla Vuelta e concentrarmi su me stesso, sui sacrifici che ho fatto per avere questa gamba e non sprecarla solo perché ci sono persone che ignorano la situazione e il fatto che la nostra squadra sia una realtà privata».

Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili per Frigo, che spiega perché
Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili per Frigo, che spiega perché

Domenica si riprova

E se di Vuelta si deve parlare, l’analisi riparte brevemente dal secondo posto dietro Ayuso. Per capire se un secondo posto è la più grande delle beffe o comunque va bene.

«Ho già fatto secondo anche l’anno scorso – ricorda Frigo – dietro a Ben O’Connor in forma strabiliante. Io conosco bene le mie potenzialità e fare secondo dietro Ayuso è comunque un buon risultato, segno che la gamba c’è. Magari bisogna giocarla in un modo diverso, su una salita finale meno ripida in cui la pendenza non mi sfavorisca. Oggi tanti scalatori che erano in fuga me li sono messi dietro, quindi su un finale un po’ meno pendente o con un arrivo in pianura, avrei potuto giocarmela diversamente».

Ha appena… disegnato la tappa di domenica a Estación de Esquí de Valdezcaray e c’è da scommettere che lo troveremo davanti ancora una volta. Per stasera intanto è arrivato il momento di rispondere ai messaggi da casa, dopo che per quasi un’ora il telefono in questa valle che conduce all’hotel è rimasto isolato dal mondo.

Il Pordoi, i pro’ e Marco Frigo: «Il mio parco giochi»

21.08.2025
7 min
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Non solo Teide, Sierra Nevada o Livigno… I pro’ per i ritiri in altura stanno tornando anche sul Passo Pordoi. La Bahrain Victorious lo ha scelto come base per gli allenamenti estivi. Ma c’è un atleta che del Pordoi in qualche modo ne ha fatto la sua “seconda casa”: si tratta di Marco Frigo.

Lo abbiamo sentito a pochi giorni dall’imminente Vuelta, ma con il corridore della Israel-Premier Tech c’è stato tempo anche per parlare del mitico passo dolomitico. Lassù c’è una stele dedicata a Fausto Coppi e ogni giorno, nel pieno dell’estate, centinaia di ciclisti da tutto il mondo lo affrontano, sudano, soffrono, gioiscono e si innamorano delle sue bellezze.
E questo vale anche per i professionisti: se pensate che questi ragazzi siano sempre e solo numeri e dati, vi sbagliate. E il Pordoi ne è testimone.

Marco, tanti tuoi colleghi vanno in ritiro in altura sul Teide, oppure nella gettonatissima Livigno. Ora anche Andorra, dove tra l’altro molti vivono. Perché tu scegli il Pordoi?

Nel mio caso anche per una questione di vicinanza a casa. Io sono veneto e il Pordoi è in provincia di Belluno (un versante, l’altro è trentino, ndr). Ma in generale direi perché sei sulle Dolomiti e pedalare lassù non ha eguali. Non c’è un altro posto al mondo come le Dolomiti, secondo me. Già questo lo definirei il miglior motivo per scegliere il Pordoi. E poi è anche bello alto.

Siamo a 2.239 metri…

Una quota molto buona per l’ossigenazione. Ci sono un paio di hotel in cima, io mi sono sempre affidato all’Hotel Savoia. Ci si sta bene, tranquilli e i servizi sono ideali. Io poi vado in un periodo dell’anno che di solito è quello estivo (in qualche caso anche aprile inoltrato, ndr) perché già a settembre fai fatica. Alla fine è davvero disponibile per tre mesi all’anno.

La sua posizione è buona per cosa?

Perché puoi anche scegliere di allenarti un po’ più in basso, ci sono tanti percorsi. Per esempio dal Pordoi in 25 chilometri sei ad Alleghe, a quota mille metri o anche meno. Quindi praticamente non sei al livello del mare ma puoi svolgere determinati lavori. In più c’è anche un po’ di pianura. Oppure fai la stessa cosa scendendo in Val di Fassa, dall’altro versante: lì sei a 1.300-1.400 metri e appena vuoi hai subito qualche salita che ti riporta in quota.

A te perché piace?

A me piace molto il Pordoi, perché sei al centro di tutto. Mi verrebbe da definirlo un parco giochi. Sì, proprio così: il Pordoi è al centro di quel parco giochi che sono le Dolomiti. Da lì puoi scendere verso la Val di Fassa o la Valle di Livinallongo e si apre tutta una diramazione di altri passi. Penso al Fedaia, al Campolongo, al San Pellegrino, al Valles… potrei continuare per ore.

La bellezza del Pordoi e delle sue vedute (sullo sfondo i bastioni del Boè e il Sassolungo. Nel mezzo il Passo Sella (foto Dolomiti Review)
La bellezza del Pordoi e delle sue vedute (sullo sfondo i bastioni del Boè e il Sassolungo. Nel mezzo il Passo Sella (foto Dolomiti Review)
Una scelta vastissima in effetti…

Io sono stato in altri posti, in altre alture ed è tutta un’altra cosa. Magari hai 2-3 salite che puoi fare, mentre sul Pordoi hai una scelta immensa. Per questo dico che è un parco giochi.

Da un punto di vista tecnico, stare a 2.200 metri è utile ai fini dell’aumento dell’ossigenazione. Rispetto ai 1.800 metri di Livigno, che differenza c’è?

Sinceramente le percentuali non le so. Sicuramente è risaputo scientificamente che più in alto vai e meno ossigeno trovi, quindi è una cosa fisica. Ed è anche una cosa che aumenta in maniera esponenziale, quindi anche solo un piccolo aumento di altitudine può darti un più grosso decremento di ossigeno e quindi qualcosa in termini di miglioramento della forma. Non a caso molti atleti dicono di andare a Livigno poi in realtà risiedono al Passo Trepalle o all’Eira proprio per questo motivo. Io mi sono sempre trovato bene al Pordoi e quando sono sceso ho avuto buone sensazioni e un buon riscontro a livello di prestazioni. Anche quest’anno, prima del Giro, sono stato lassù 10 giorni in solitaria con un mio amico.

Ecco, da un punto di vista delle distrazioni com’è?

Sicuramente non è un ambiente familiare o friendly, di svago. Non è come Livigno insomma. Personalmente mi trovo bene in cima al Pordoi perché so che posso anche investire del tempo su me stesso e non solo in bici. Il non avere troppe distrazioni mi aiuta. Detto ciò in 15 minuti di macchina sei a Canazei o ad Arabba.

Investire del tempo per se stessi è una bella cosa. Cosa fai nel dopo-bici lassù?

Almeno una volta salgo in funivia al Sass Pordoi. Al pomeriggio si va lassù, sul filo dei 3.000 metri. Godi di un panorama unico, il silenzio, la maestosità delle montagne. Vedi cime su cime. Hai la Marmolada di fronte. Poi c’è anche un bellissimo sentiero semi-pianeggiante che conduce a Porta Vescovo, altra cima unica. Sei sul tetto del mondo, nel cuore delle Dolomiti.

Prima hai parlato di passi e diramazioni a non finire. Qual è il tuo giro preferito?

La mia salita preferita è proprio quella che porta al Pordoi, sono sincero. Mi piacciono entrambi i versanti, ma forse un filo di più quello che sale da Canazei. Mentre uno dei giri preferiti è quello con Colle Santa Lucia, Giau, la discesa verso Cortina e, prima di arrivarci, la svolta per il Falzarego e poi ancora più su sul Valparola. Quindi scendi a La Villa, Corvara, ti arrampichi sul Gardena, fai il Sella e rientri sul Pordoi dal lato di Canazei.

Un giro da oltre 4.000 metri di dislivello (per la precisione 121 km e 4.183 m di dislisvello)!

Sì, ma unico. Tocchi tutte le valli più belle. Io poi non sono uno che ama troppo la sosta al bar, ma ho un paio di punti fissi. Uno di questi è la Dolciaria Fassana: lì prendo quella torta al grano saraceno con i mirtilli che è una bontà.

Che rapporti utilizzi normalmente? Ci sono tante differenze tra passo e passo?

Le pendenze dei passi dolomitici sono abbastanza eterogenee. Puoi trovare veramente pendenze toste, penso al San Pellegrino dal Valles o al Fedaia. E puoi trovare salite ben più abbordabili, proprio come il Pordoi da entrambi i versanti che ha pendenze più fattibili. Anche il Campolongo e il Gardena sono abbordabili. Dai, ce n’è per tutti i gusti. Chi vuole una certa pendenza… la trova! Si trova persino la pianura.

Cioè?

Spesso nei giorni di scarico scendo in auto a Predazzo, in Val di Fiemme, e giro lì. In quel caso hai veramente poco dislivello.

Il bivio tra il Sella (a sinistra) e il Pordoi (a destra): siamo sul versante fassano, quello preferito da Frigo
Il bivio tra il Sella (a sinistra) e il Pordoi (a destra): siamo sul versante fassano, quello preferito da Frigo
Riguardo ai lavori come ti regoli? Magari fai le SFR sul Pordoi e gli scatti sul Giau?

Sì, esatto. Più o meno è così. Ormai essendoci stato parecchie volte ho i miei riferimenti, i miei tempi. Ad esempio il VO2 Max mi piace farlo sul Colle Santa Lucia partendo da Caprile, proprio dal basso.

Come mai?

Anche per una questione di quota. Certi lavori è meglio farli non troppo alti. Lì siamo poco sopra i mille metri. Mentre mi trovo bene a fare le SFR sul San Pellegrino perché ha una pendenza un po’ più alta. Quando invece c’è da fare i lavori di endurance allora una salita vale l’altra… più o meno. Gli sprint invece li faccio sempre in Val di Fassa, nella valle.

Che rapporti utilizzi maggiormente quando fai endurance, quindi Z2?

Avendo come moltiplica più piccola un 40, di solito dietro utilizzo un 40×23 o un 40×25, dipende anche dalla salita. Diciamo che mi attesto tra le 80 e le 90 rpm.

Una chiacchierata con Froome, tra tifosi, consigli e futuro

14.08.2025
5 min
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RYBNIK (Polonia) – Riveste sempre un’aura particolare Chris Froome quando lo incontri. Non è più quello di qualche anno fa, la brutta caduta nella ricognizione della crono del Delfinato del 2019 lo ha introdotto in una parte di carriera che meritava di non arrivare in quel modo. Nonostante tutto, non è mancato per lui il calore della gente al Tour de Pologne (in apertura autografa un libro dedicato a Marco Pantani).

Ogni mattina al bus della Israel-Premier Tech c’erano sempre tante persone, bambini compresi, che aspettavano di poter chiedere una foto, un selfie, un autografo o anche un semplice saluto al 40enne keniano d’Inghilterra. E lui sempre disponibile nel concedersi e poi gentile nel ringraziare del loro interessamento. Anche al podio-firma era tanto acclamato. Per contro quando Froome si portava in linea di partenza tendeva a restare più per conto proprio, magari per dare un’ultima occhiata alla bici, che scambiare due battute di compagni e colleghi. Forse per qualcuno incute una certa soggezione o forse i suoi pensieri sono già rivolti altrove. Notando tutto ciò da vicino, abbiamo voluto fare una chiacchierata con Chris su alcuni temi.

Froome è in scadenza di contratto a fine 2025. Nel prossimo futuro vuole aprire una scuola di ciclismo in Africa
Froome è in scadenza di contratto a fine 2025. Nel prossimo futuro vuole aprire una scuola di ciclismo in Africa

Pogacar come Froome

Lo scorso 27 luglio Pogacar ha conquistato il suo quarto Tour de France, proprio come lui. Froome sa come si vivono quei momenti a partire da ogni piccolo dettaglio. Ad esempio nel 2013 iniziò a vincere con una certa regolarità le gare a tappe, anche le più brevi. Volle farlo anche per capire soprattutto quanto tempo gli avrebbe portato via il protocollo delle cerimonie dal recupero per il giorno dopo.

Un paio d’ore circa che avrebbe dovuto imparare a gestire nelle stagioni successive, specialmente al Tour. Prendere una maglia comporta certi obblighi e infatti non c’è da stupirsi se Pogacar in Francia abbia “lasciato” quella a pois a Wellens nei primi giorni o non si sia dannato più di tanto per difendere la gialla in alcune frazioni, per non spendere troppe energie psicofisiche. La stanchezza apparsa addosso allo sloveno è lo spunto per le considerazioni di Froome.

Per Froome è normale che Pogacar apparisse stanco a fine Tour. L’inglese sa come si vivono e gestiscono stagioni al top
Per Froome è normale che Pogacar apparisse stanco a fine Tour. L’inglese sa come si vivono e gestiscono stagioni al top

«Devo essere sincero – ci risponde – che non ho fatto caso più di tanto a come appariva Pogacar, però credo che fosse normale che sembrasse stanco. Lui sta correndo ad alto livello da sempre ed ogni anno di più. Anzi, ogni anno gli viene richiesto qualcosa in più. In un certo senso mi ci rivedo un po’. Ricordo che quando ho vinto di seguito Tour de France, Vuelta e Giro d’Italia tra 2017 e 2018, ero poi arrivato in Francia stanco e scarico psicofisicamente, nonostante avessi ancora una buona condizione (chiuderà terzo al Tour dietro Thomas e Dumoulin, ndr).

«In quel momento – prosegue Froome nel suo ragionamento – capisci che devi iniziare a dire “no” a qualcosa o comunque pianificare in maniera diversa la tua stagione rispetto a prima. Questo chiaramente è il mio punto di vista. Per me, per quella che è la mia esperienza, l’unica maniera per restare lucidi e attenti in tanti anni di lavoro schematico è la motivazione. Avere stimoli nuovi ti aiuta a non perdere di vista i tuoi obiettivi, però attenzione a quello che dicevo prima. Non bisogna forzare troppo dal punto di vista mentale, perché è molto dispendioso e diventa tutto più difficile.

In carriera Froome ha vinto 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta e un totale di una cinquantina di gare. Dal 2020 è alla Israel
In carriera Froome ha vinto 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta e un totale di una cinquantina di gare. Dal 2020 è alla Israel

Ciclismo in evoluzione

Che il ciclismo stia cambiando lo si vede ad ogni gara ogni anno e lo si dice da tempo. Froome è stato uno dei primi interpreti di un certo tipo di evoluzione metodologica, anche se è curioso vederlo sempre indossare pantaloncini e maglia anziché gli ormai tradizionali body da gara.

«E’ un ciclismo – sottolinea facendo un confronto generazionale – che è cambiato molto da almeno 5/6 anni. Adesso è estremamente programmato su tutto, molto calcolato al millesimo, specie su allenamenti, dati in corsa e alimentazione. Direi senza dubbio molto più dei miei tempi. Ora ci sono davvero tanti ragazzi giovani che vanno forte, ma è tutto il ciclismo moderno che va forte. Per me non è semplice, la differenza di età si sente, però finora mi è piaciuto correre in mezzo a loro e per il momento continuo».

Africa e futuro

Gli assist per le ultime domande ce le fornisce lui direttamente. A fine 2025 scade il contratto e ancora non si sa se l’anno prossimo lo vedremo ancora col numero sulla schiena. I giornalisti britannici presenti al Tour de Pologne dicono che questa sarà la sua ultima stagione, salvo ripensamenti. Chris glissa sull’argomento. L’impressione non è tanto perché non voglia dirlo, ma perché sa che alcune situazioni non bisogna mai darle per scontate. Tuttavia è già convinto di quello che farà quando non sarà più un corridore.

«Sono in scadenza di contratto – ci dice serenamente prima di salutarci – e non so se continuerò o meno, di sicuro quando smetterò, come avevo detto già da tempo, voglio aprire una scuola di ciclismo in Africa. Voglio permettere a tanti ragazzi di pedalare e poter inseguire una carriera. Credo che sia un Continente in crescita, soprattutto in quella parte di Africa. Penso ai maratoneti e mezzofondisti etiopi o keniani. Secondo me ci sono talenti del genere anche adatti al ciclismo, solo che non avevano la possibilità di poter correre in bici prima. Non correrò il mondiale in Rwanda ed è chiaro che mi sarebbe piaciuto essere al via, però non è un grosso problema perché non cambia i miei programmi. Il mio vero obiettivo è quello di sviluppare un bel progetto che sono convinto porterà nuovi corridori interessanti».

EDITORIALE / Il Papa, le voci di Gaza e il ciclismo che tace

04.08.2025
5 min
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Quando il pullman della Israel-Premier Tech entrava nel parcheggio al raduno di partenza del Tour, accanto gli camminavano diversi gendarmi ben armati. Assistevano alle operazioni di parcheggio e poi, anche se disinteressati alle cose del ciclismo, sostavano nei dintorni perché nulla turbasse i preparativi della squadra israeliana. Ugualmente dopo la tappa, così raccontano gli autisti degli altri mezzi, quello della Israel era l’unico bus a poter infrangere i limiti di velocità fino a raggiungere l’hotel assegnato. Già da un anno, dalle sue fiancate come da quelle di tutti gli altri mezzi del team, per motivi di sicurezza è stata cancellata la scritta Israel.

Quello che succede a Gaza è sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno nel mondo dello sport ha pensato di fermare la squadra israeliana, come venne fatto nel 2022 per la Gazprom al tempo dell’invasione russa dell’Ucraina. Perché?

La Israel Premier Tech appartiene Ron Baron e a Sylvan Adams, presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele
La Israel Premier Tech appartiene Ron Baron e a Sylvan Adams, presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele

Le parole di Sylvan Adams

Non si può chiedere al ciclismo e allo sport in genere di risolvere questioni politiche di immensa tragicità, ma neppure si può rimanere indifferenti quando si muove con diversi pesi e diverse misure e ci si comporta come se nulla fosse.

La Israel-Premier Tech appartiene a Ron Baron e Sylvan Adams, miliardario canadese-israeliano e presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele. Adams era presente all’insediamento di Donald Trump e in una lettera al neo rieletto presidente americano lo aveva invitato a schierarsi apertamente a favore dell’intervento contro il “flagello” iraniano.

A febbraio invece, recatosi in visita in un’area confinante con il territorio di Gaza, annunciò investimenti per costruire infrastrutture ciclabili e sportive nella regione devastata dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023.

«Questi mostri – dichiarò all’agenzia JNS, Jewish News Syndicate – sono venuti qui con l’intento malvagio e premeditato di torturare, stuprare, mutilare, profanare, prendere in ostaggio il nostro popolo e distruggere il più possibile. Ma hanno fatto male i calcoli: i terroristi sono riusciti a unirci, non solo in Israele, ma tutti gli ebrei ovunque. Manterremo i nostri valori ebraici e continueremo a essere una forza positiva nel mondo. Siamo resilienti, abbiamo attraversato terribili tragedie in passato, nel corso della nostra storia».

«Sono stati uccisi 18 mila bambini a Gaza – scrive Iacomini, portavoce Unicef – non è una questione di definizioni. Sono MORTI» (@unicef)
Hanno ucciso 18 mila bambini a Gaza – scrive il portavoce Unicef Andrea Iacomini – non è una questione di definizioni. Sono MORTI (@unicef)

Le parole di De Marchi

Ora che invece la tragedia sta dilaniando Gaza e nell’indifferenza sta portando alla morte per fame dei suoi abitanti, con un bilancio provvisorio di oltre 40.000 vittime (nell’attentato al rave del 7 ottobre ne furono uccisi 1.200 e 250 vennero rapiti dai terroristi di Hamas: una risposta era necessaria, ma si è decisamente passato il segno), il mondo del ciclismo tace e va avanti. E’ il periodo dei rinnovi dei contratti, il Tour è appena finito e si va verso Vuelta, mondiali ed europei. Alcuni tifosi lungo la strada hanno sventolato bandiere palestinesi, mentre al Tour nel giorno di Tolosa (foto di apertura) un ragazzo ha corso con una maglietta che inneggiava all’espulsione della squadra. Ma ovviamente nulla è accaduto a livello ufficiale.

«Farei molta fatica ora – ha dichiarato invece Alessandro De Marchi al britannico The Observer – a indossare quella maglia. Non voglio criticare nessuno perché ognuno è libero di decidere per chi correre, ma in questo momento non firmerei un contratto con la Israel. Non sarei in grado di gestire i sentimenti che provo. Nel 2021 mi diedero la possibilità di continuare a correre ai massimi livelli, mi diedero un buon contratto e un buono stipendio e io guardavo alla casa che dovevo costruire e alla mia famiglia. Anche per altri colleghi è lo stesso. Ora mi rendo conto che nella vita ci sono momenti in cui, anche se può essere difficile, è meglio seguire la propria morale. Adesso farei le cose in modo diverso. E forse come mondo del ciclismo dobbiamo dimostrare che ci preoccupiamo dei diritti umani e delle violazioni del diritto internazionale».

Alessandro De Marchi ha corso con la Israel-Premier Tech nel 2021 e 2022, indossando anche la maglia rosa
Alessandro De Marchi ha corso con la Israel-Premier Tech nel 2021 e 2022, indossando anche la maglia rosa

Le parole del Papa

Ieri a Roma più di un milione di ragazzi da tutto il mondo ha pregato per Gaza e per l’Ucraina con il nuovo Papa americano. Difficile immaginare che qualcosa cambierà. Difficile anche decidere di scrivere questo editoriale in un magazine che si occupa di ciclismo. Eppure qualcosa bisognava dire, un segnale è necessario. Gino Bartali, che salvò così tanti ebrei dalla deportazione, sarebbe rimasto in silenzio davanti a questo scempio delle vita umana?

«Noi siamo con i ragazzi di Gaza – ha detto il Papa al termine della messa – dell’Ucraina e di ogni terra insanguinata dalla guerra. Voi siete il segno che un altro mondo è possibile, un mondo di amicizia in cui i conflitti non vengono risolti con le armi ma con il dialogo».

Un mondo che esiste soltanto nei raduni religiosi? Alcuni dei politici che ieri ci hanno riempito di parole sulla grandiosità del raduno e la sua spiritualità sono gli stessi che assecondano le teorie di Trump, accolgono a braccia aperte Netanyahu e offrirebbero ristoro ai soldati israeliani stremati dalla guerra, mentre a Gaza si continua a morire per i cecchini, le bombe e la fame. Non è certo colpa dei corridori della Israel, come non era colpa di quelli della Gazprom. La colpa è come sempre del potere dei soldi. Di chi lo ha e di chi non ce l’ha: non è antisemitismo è pietà. E se è abbastanza evidente che il denaro basti spesso per comprare la felicità, di certo non è servito (finora) per comprare l’umanità. Fermare la Israel-Premier Tech sarebbe servito e probabilmente ancora servirebbe a far capire che noi non siamo d’accordo.

Ma che strano effetto Lutsenko con la maglia della Israel

29.04.2025
4 min
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LIEGI (Belgio) – Fa un certo effetto vedere Alexey Lutsenko con una maglia diversa da quella dell’Astana Qazaqstan Team. Lui davvero era tutt’uno con la squadra. Quella era la sua famiglia, il suo nido.
Lutsenko era l’erede naturale di Alexandre Vinokourov, il più forte atleta kazako di tutti i tempi. Le Olimpiadi, la Liegi, le tappe al Tour: Lutsenko, anche se quel palmarès non era suo, si era trovato in qualche modo ad ereditarlo.

Ora eccolo con la maglia della Israel-Premier Tech. A 32 anni ha scelto una nuova sfida e tutto sommato questa “contesa” sembra essere partita col piede giusto. Lui ci è parso sereno, brillante… e non solo in corsa.

«Cerco nuovi stimoli dopo tanto tempo, sento che posso dare e crescere ancora in un nuovo team», aveva detto Lutsenko quando fu annunciato il suo approdo alla Israel-Premier Tech. La campagna delle Ardenne è stata una buona occasione per incontrarlo e lui, con la sua gentilezza e il suo ottimo italiano, ci ha raccontato…

Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Alex, come stai?

Bene, in Belgio per la prima volta con la nuova squadra. La condizione è buona in questo periodo. Al Brabante ho faticato un po’, ma venivo dall’altura e spero di stare meglio per le prossime gare. Ogni giorno sento di crescere un po’. Le gare delle Ardenne, ma non solo, sono importanti per noi.

Fa effetto vederti senza la maglia della Astana. E’ un nuovo inizio per te. Come è stato ritrovarsi con uno staff nuovo? Nuovi corridori? Nuovi direttori?

Vero, all’Astana ci sono stato per 12 anni e anche prima, in qualche modo, c’era quella squadra per un giovane kazako come me. Quindi ci ho fatto tutta la mia carriera ed è stata l’unico team per me. Ammetto che è una vera esperienza quella che sto vivendo. Il primo mese è stato duro, ero un po’ nervoso, specie al primo raduno.

Perché?

Perché è stato tutto nuovo. Tutto diverso all’improvviso, non solo staff e compagni, ma anche vestiario, materiali, bici… Però già adesso vi dico la verità, mi trovo benissimo, mi sono abituato. Tutti sono simpatici e l’atmosfera è buona.

In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
All’Astana eri il leader e avevi moltissime pressioni, forse qui alla Israel è un po’ diverso. O almeno c’è un altro tipo di pressione per te. E’ così?

Sì, ma io vedo che la squadra si fida di me. Anche per la Liegi potevo fare la mia corsa, essere leader. Poi è vero che sento un po’ meno pressione, ma credo dipenda dal fatto che la squadra in generale ne ha meno perché non siamo messi male con i punti. Tutto è un po’ più rilassato. L’anno prossimo siamo quasi al 100 per cento nel WorldTour. E poi è anche un po’ diverso il modo di lavorare. Loro preferiscono non fare pressione sull’atleta e magari senza pressione il corridore arriva al risultato.

Prima, Andrey, hai parlato del passaggio alla Israel, un nuovo team… Qual è stata la cosa più difficile da imparare?

E’ stato tutto diverso, anche la lingua. Come quando un bambino cambia scuola… prima andavo in quella vicino casa e all’improvviso è stato tutto diverso. Magari per un corridore che in carriera avesse già cambiato squadra 3-4 volte sarebbe stata una cosa normale, ma io in Astana avevo iniziato da piccolo. Altro approccio, altri modi di fare…

Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Però è anche uno stimolo, no?

Sì, sì: mi piace. E mi sto trovando bene.

Chi ti ha aiutato di più ad inserirti? Ammesso ci sia stato qualcuno… Pensiamo a Jakob Fuglsang, che è stato diversi anni con te in Astana…

No, non c’è stato qualcuno in particolare, davvero tutti mi hanno accolto bene. Poi, sì, Jakob è un corridore che conosco tanto bene. Ma non era l’unico, sapete. C’è anche un meccanico, un massaggiatore che conoscevo. Siamo “amicissimi” proprio…

Qual è il tuo programma stagionale?

Dopo queste Ardenne stacco per qualche giorno. Poi inizierò un lungo camp ad Andorra per preparare il Tour de France. Prima farò anche il Delfinato.

E invece cosa ci dici dei tuoi compagni che puntano al Giro d’Italia? Sono andati bene al Tour of the Alps…

Davvero bravi. E Derek Gee è un grande. Abbiamo fatto insieme l’ultimo training camp a Tenerife e ho visto proprio un bravo professionista. Ho visto come si è preparato sin da dicembre. Mi sembra pronto. La squadra spera molto in lui. L’obiettivo è fare una top cinque al Giro, ma anche il podio non è impossibile.

Hofstetter, il cacciatore di punti, è pronto per vincere

29.03.2025
6 min
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Dall’inizio di stagione, Hugo Hofstetter ha accumulato finora 10 giorni di corsa: dopo un anonimo Tour des Alpes Maritimes, ha messo insieme 5 presenze consecutive nella top 10, con i podi alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e al GP Criquielion, finendo fra Moschetti e Nizzolo. Per il francese della Israel Premier Tech non è una novità: se si va a guardare il resoconto degli ultimi anni, nessuno fra WorldTour e professional è riuscito a mantenere una costanza di rendimento come la sua. Hofstetter è una garanzia di punti, è forse l’archetipo ideale del professionista odierno, che va contro la tradizione, per il quale vincere conta, ma non è tutto.

Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo
Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo

In attesa di ricominciare la sua caccia ai piazzamenti, già domani con la Gand-Wevelgem, Hofstetter si è prestato volentieri a un fuoco di fila di domande per conoscere meglio da che cosa nasce questa sua attitudine, che ne fa un elemento preziosissimo per la sua squadra a caccia di un difficile ritorno nel WorldTour.

Quest’anno festeggi i tuoi 10 anni fra i professionisti, com’è cambiato il mondo del ciclismo secondo te in questi anni?

Molto rispetto a quando ho iniziato, ora è più complicato, devi rendere conto ad esempio al nutrizionista pesando il cibo, la tecnologia ha fatto passi avanti. Certe volte penso che siamo un po’ come la Formula Uno o anche le moto GP, dove si investe molto nell’equipaggiamento. Ora la bici è diversa da guidare e stare in gruppo è cambiato perché si va molto più veloci e con molta più facilità.

Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Come giudichi questa tua prima parte di stagione?

Per il momento, ho avuto davvero dei buoni risultati. Ho iniziato aiutando Joseph Blackmore, del mio team. Poi in Belgio sono andato con molta motivazione e molto ben preparato. Ho avuto una prima settimana davvero molto buona, 3° a Kuurne con i migliori velocisti del mondo alla partenza, quindi è stato davvero un podio super bello, poi è stata una settimana molto redditizia, dove mi è spiaciuto solo non aver potuto vincere al Criquielion perché l’occasione era buona. L’occasione persa è stata però mercoledì a De Panne perché sono rimasto coinvolto nella caduta agli 800 metri, quando ero in un’ottima posizione.

Tu sei il corridore con più costanza di risultati e quindi di punti, è un po’ una tua specializzazione quella di cercare sempre il piazzamento?

Sono una persona che ama esserci sempre. Penso che vado in bicicletta per ottenere grandi risultati, dopodiché bisogna essere in ottime condizioni per farlo. Ed è anche abbastanza difficile essere costanti. Diciamo che, sì, mi sono un po’ specializzato in questo, in particolare le gare in Belgio sono qualcosa che conosco davvero molto, molto bene e questo è molto importante. E poi anche essere in buone condizioni per restare davanti, evitare cadute e così via. E’ qualcosa che mi caratterizza, l’essere sempre presente, l’essere sempre lì sul pezzo e penso che sia anche importante per una squadra poter sempre contare su qualcuno che alla fine porta qualcosa a casa. Poi è una cosa che mi piace, essere regolare nelle classifiche ed è questo che mi motiva sempre di più ad allenarmi meglio e a dare il massimo per la prossima gara.

Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Quali sono le corse dove ti trovi più a tuo agio?

E’ complicato dirlo. Alla fine ce ne sono molte, queste sono gare che conosco molto bene e che ho fatto un sacco di volte. Le Samyn ad esempio, l’ho vinta una volta e ho fatto podio in altre due occasioni. Mi si addice. Ma anche la Gand fa per me. Sono arrivato spesso in finale ma non sono mai riuscito a ottenere un risultato molto molto buono, un anno ho corso per Christophe Laporte e un altro anno sono arrivato davvero tra i primi 10, ma avevo perso un po’ lo sprint. Quindi per domenica sono super motivato.

Tu hai corso molto in Francia e Belgio, eppure sei al quarto anno all’Israel, cambiando quindi anche lingua. Che cos’ha la squadra che ti piace di più?

Quello che mi piace davvero è la mentalità, perché è vero che ci sono tante nazionalità nella squadra e questo ci aiuta a formare un gruppo composito, a metterci a confronto con tutto il nostro background. Rende un gruppo più coeso, non è facile da spiegare come: in Francia avevamo tutti la stessa visione delle cose, ma quando sei in una realtà multinazionale ognuno la vede in modo diverso, ti confronti, cresci. Questo significa essere una buona squadra e c’è sempre una buona mentalità qui. Anche prima ero stato bene, non dimentico i miei primi anni con la Cofidis, ho anche fatto il Tour de France per la prima volta in questa squadra. Quindi nutro anche molto rispetto per loro, per avermi dato delle possibilità.

Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Come hai iniziato a correre e come sei arrivato al professionismo?

Un po’ presto, all’età di 3 anni… Era mia sorella ad andare in bici, quindi all’improvviso ho iniziato così, lei andava in bici e ci andavo anche io. L’anno dopo già facevo le prime gare per bambini e non mi sono più fermato, d’altronde non sono mai stufo…

Domenica c’è la Gand-Wevelgem, è una corsa che si adatta a te e chi vedi come favoriti?

E’ complicato dirlo, sì, è una gara che mi si addice, è lunga, è dura, trovi tanto pavé. Spero davvero di fare una prestazione molto molto buona domenica. Per quanto riguarda i favoriti non si esce da quello schema che contraddistingue le ultime gare, io vedo bene Pedersen che è sempre lì e il suo compagno di squadra Milan che su questo percorso può fare molto bene, hanno una squadra molto forte. Ma penso che sia ancora una gara un po’ più aperta delle altre perché manca gente come Van der Poel che fa la differenza.

Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Qual è stata la corsa che ti ha lasciato più emozioni nel tuo passato?

Beh, non è facile rispondere. E’ chiaro che quando vinci ha tutto un sapore particolare, quando è accaduto alla Tro Bro Leon ero molto felice, ma poi ci sono le emozioni che solo le grandi classiche possono regalarti, come la Roubaix che per me è una gara speciale. L’ho sempre guardata in TV quando ero piccolo e sono già arrivato tra i primi 20. Quindi penso che anche questo sia qualcosa, al mio primo anno quando sono entrato nel Velodromo. E’ stato molto emozionante anche solo concludere questa gara che vedevo sempre in TV. Poi chiaramente il Tour de France che per uno di casa è qualcosa di unico. Quando sono arrivato sugli Champs-Élysées. Il primo Tour de France sugli Champs-Élysées, è stato uno dei miei momenti più belli in bici, diciamo, tra l’orgoglio di aver potuto fare il grande giro, di essere lì. Di essere uno di quelli che l’aveva finito.