Il domani di Viviani è partito… dalla Ducati

Il domani di Viviani è partito… dalla Ducati

08.12.2025
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Il domani per Elia Viviani è già oggi. Tanti progetti in cantiere, dal ruolo in federazione all’impegno come diesse della Ineos, ma intanto qualcosa è già parte del presente ed è il suo impegno nella Ducati, bandiera azzurra degli sport motoristici quanto la Ferrari, che ha lanciato la sua nuova alta gamma di bici affidando all’olimpionico, a Vincenzo Nibali e all’ex campione di downhill Lorenzo Suding non solo il ruolo di testimonial, ma coinvolgendoli direttamente in tutta la fase di realizzazione di ogni singolo modello, dalla progettazione fino ai test sul campo.

Il podio finale della 6 Giorni di Gand con Viviani a destra. Ultima gara, ultimo alloro...
Il podio finale della 6 Giorni di Gand con Viviani a destra. Ultima gara, ultimo alloro…
Il podio finale della 6 Giorni di Gand con Viviani a destra. Ultima gara, ultimo alloro...
Il podio finale della 6 Giorni di Gand con Viviani a destra. Ultima gara, ultimo alloro…

Viviani è entusiasta di questa iniziativa, ritrovando per strada anche vecchie conoscenze: «Tutto è partito dal rapporto che ho con la famiglia Zecchetto, proprietaria della Diamant Srl coinvolta nel progetto al pari di Alé Cycling e DMT. Li conosco da quando avevo 15 anni, Federico Zecchetto mi dava le scarpe già da ragazzino, negli anni ho testato scarpe nuove, prototipi, dato feedback. La parte tecnica mi è sempre piaciuta. Qualche mese fa hanno avuto questa opportunità e mi hanno reso partecipe di questo. Ovviamente è un progetto che mi ha subito preso. Combaciava anche con il fatto che avrei chiuso la mia carriera a fine stagione. Ed era una sfida su cui mi sono voluto buttare subito, con delle idee. Prima il design poi i primi prototipi, la prova, i primi prototipi degli studi sulle laminazioni, su tutto quello che si fa dietro le quinte per fare una bici di alta gamma, con montaggi moderni e di super qualità».

Quanto c’è di Ducati in tutto ciò?

Molto. Ducati è coinvolta al 100 per cento, non è una delega a occhi bendati al gruppo Zecchetto. Il brand Ducati è coinvolto nelle scelte e nell’approvazione di tutto, dal design alle colorazioni di tutto insomma, quindi è una cosa che è partita bene. E’ un primo passo e chissà cosa potrà riservare il futuro.

Il ringraziamento ai tifosi. Ora Viviani è coinvolto dai suoi impegni in FCI, Ineos e Ducati
Il ringraziamento ai tifosi. Ora Viviani è coinvolto dai suoi impegni in FCI, Ineos e Ducati
Il ringraziamento ai tifosi. Ora Viviani è coinvolto dai suoi impegni in FCI, Ineos e Ducati
Il ringraziamento ai tifosi. Ora Viviani è coinvolto dai suoi impegni in FCI, Ineos e Ducati
Che tipo di mercato potranno avere, solo per la vendita o potrebbero avere anche uno sbocco nel ciclismo agonistico?

Ovviamente in azienda se ne parla, ma il primo step è quello di fare delle bici che abbiano mercato e che siano comunque di qualità. Vediamo come andranno i prossimi anni, è una visione a lungo termine. Diciamo però che per la mentalità con cui Ducati approccia lo sport, quella è un’opzione importante. Ma bisogna avere i giusti tempi perché il mondo del professionismo è molto esigente e non richiede una bici da strada punto e basta, ma anche la bici da cronometro, quella aerodinamica, quella super light e quindi siamo ancora lontani.

Quando tu hai iniziato a correre, le aziende produttrici italiane erano quasi un monopolio nel mondo del ciclismo professionistico. Poi sono emerse tante altre realtà da tante nazioni. Questo restituisce anche un’immagine tricolore, considerando anche il peso specifico che la Ducati ha nel mondo del motociclismo?

Sì, assolutamente. Già il fatto che loro abbiano visto nel ciclismo un grande potenziale è una grande notizia. Questa è la parte che a me ha subito entusiasmato, perché se un grande gruppo così ha visto qualcosa vuol dire che il ciclismo ha qualcosa da dare. Questa è la parte su cui ovviamente dobbiamo lavorare. Ducati ha il pieno controllo di quello che viene prodotto in termini di qualità e di progetto. La bici da strada arriverà probabilmente intorno a marzo 2026, poi ci sarà un’e-mtb e la gravel è già avanti nella progettazione, queste saranno diciamo le tre bici che vedremo nel 2026, con ovviamente la volontà di ampliare la gamma.

Il veronese non si è fermato dopo lo stop alla carriera, continua anzi a mantenersi in esercizio compatibilmente con il lavoro
Il veronese non si è fermato dopo lo stop alla carriera, continua anzi a mantenersi in esercizio compatibilmente con il lavoro
Il veronese non si è fermato dopo lo stop alla carriera, continua anzi a mantenersi in esercizio compatibilmente con il lavoro
Il veronese non si è fermato dopo lo stop alla carriera, continua anzi a mantenersi in esercizio compatibilmente con il lavoro
Si dice sempre che mancano i grandi sponsor, le grandi aziende italiane al mondo del ciclismo tricolore. Potrebbe essere un primo passo questo per coinvolgere grandi nomi?

Perché no? Se aspettiamo che lo sponsor arrivi, che cada dal cielo, possiamo aspettare all’infinito… Secondo me il ciclismo è un ottimo mondo che può dare tanto in termini di visibilità ma che deve sapersi vendere. Se Ducati si è avvicinato significa che c’è qualcosa di interessante e noi dobbiamo lavorare su questo, saper vendere questo qualcosa per far sì che grandi aziende si avvicinino. E’ un importante brand che può fare da trascinatore, visto che stiamo soffrendo da anni e anni senza squadre nel WorldTour. Ci vorrà qualche anno, c’è da lavorarci dietro bene perché poi il sogno si avveri.

Come stai vivendo queste prime giornate extra bicicletta?

La gran differenza è che ti alzi al mattino e la priorità non è prendere la bici e chiedersi “che allenamento devo fare?”. La colazione è più libera, l’approccio alla giornata è molto più rilassante. Ovvio che cerco sempre di ritagliarmi uno spazio per fare sport e questa cosa qua da una parte mi piace perché alla fine vuol dire che non starò lì seduto al computer o sul divano tutto il giorno, dall’altra stempero l’impegno fra meeting, email e tutto il resto di una giornata lavorativa da costruire. Sai la cosa che mi piace di più?

Elia con sua moglie Elena Cecchini, che nel 2026 affronterà la sua ultima stagione agonistica (foto Vanity Fair)
Elia con sua moglie Elena Cecchini, che nel 2026 affronterà la sua ultima stagione agonistica (foto Vanity Fair)
Elia con sua moglie Elena Cecchini, che nel 2026 affronterà la sua ultima stagione agonistica (foto Vanity Fair)
Elia con sua moglie Elena Cecchini, che nel 2026 affronterà la sua ultima stagione agonistica (foto Vanity Fair)
Cosa?

Mangiare diversamente da quello mangiavi da atleta, quindi tipo la mattina mi sveglio e mi faccio una fetta di pane con la nocciolata invece dell’omelette… Vedo che i pasti nella vita normale sono un po’ meno “importanti” della vita da atleta.

A prescindere dagli impegni, avrai comunque qualche possibilità in più anche per uscire in bicicletta con tua moglie, accompagnarla nei suoi allenamenti…

E’ una delle cose che amo di più. L’altra mia priorità era non fermarmi, non sentivo la necessità di “staccare” 3-4 mesi per poi ripartire, il mio obiettivo era comunque rimanere all’ambiente e cercare di fare il meglio possibile in vari rami. Ma gran parte del tempo restante è dedicato a mia moglie, agli allenamenti insieme a lei, quindi diciamo che avrò delle tabelle di allenamento basate su quello che farà Elena per passare il tempo insieme. E ovviamente sarò più presente anche nella sua ultima stagione alle gare che a cui potrò esserci.

Tour de France 2018, Geraint Thomas, Chris Froome, David Brailsford

Brailsford, Thomas e devo team: la Ineos ci riprova

28.11.2025
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Il Team Ineos Grenadiers ha scelto di affidarsi allo schema che lo rese grande in passato. A partire dallo scorso Tour, ha rimesso al centro di tutto sir David Brailsford e al suo fianco ha collocato Geraint Thomas – è notizia fresca di ieri – nel ruolo di Race Director. Inutile sottolineare che proprio la presenza del suo vecchio mentore ha spinto Thomas ad accettare l’incarico. Assieme a lui, ha conquistato due ori olimpici e persino il Tour de France.

«Era molto più semplice con “Dave” al vertice – aveva detto il gallese durante il Tour del 2024 – c’era chiarezza su tutto. Prima era un processo semplice, mentre ora è diventato molto più complicato. Sembra di essere guidati da un governo di coalizione».

Il Tour del 2019 è stato l'ultimo della Ineos, vinto da Bernal davanti a Thomas
Il Tour del 2019 è stato l’ultimo della Ineos, vinto da Bernal davanti a Thomas. Al centro c’era Brailsford
Il Tour del 2019 è stato l'ultimo della Ineos, vinto da Bernal davanti a Thomas
Il Tour del 2019 è stato l’ultimo della Ineos, vinto da Bernal davanti a Thomas. Al centro c’era Brailsford

Il ritorno del mastermind

Brailsford è stato per anni il cervello pensante del ciclismo britannico. Era lui a prendere le decisioni cruciali e fu lui a guidare la nazionale ai suoi ori olimpici e poi il Team Sky all’incetta di Tour dal 2012 al 2019, che sarebbe stata ininterrotta se Nibali non li avesse fatti deragliare nel 2014.

Seguiva le corse con il suo truck extra lusso e se ne andò solo quando capo Ratcliffe decise di investire forte nella vela e di entrare nell’azionariato del Manchester United. Vista l’importanza dello sforzo, volle a capo delle operazioni l’uomo che aveva fatto del ciclismo britannico il centro del mondo. In qualche modo questo segnò la fine del dominio e l’incapacità di rispondere al crescere vertiginoso di UAE Emirates e Visma Lease a Bike.

«E’ come un bambino in un negozio di dolciumi – ha detto John Allert, CEO del team al momento di accoglierlo allo scorso Tour – parla di salite e di ritorno in montagna. Il ciclismo è il campo di battaglia che conosce e ama, lo abbiamo accolto di nuovo in squadra a braccia aperte. Non è un’arma segreta per noi, ma abbiamo intenzione di sfruttarlo al massimo. E fantastico averlo di nuovo».

Thymen Arensman ha vinto due tappe all’ultimo Tour ed è stato il primo della Ineos in classifica: “solo” 12°
Thymen Arensman ha vinto due tappe all’ultimo Tour ed è stato il primo della Ineos in classifica: “solo” 12°

Lo slancio di Thomas

Oltre ad essere intervenuto (pare) in modo diretto sulla selezione degli uomini per il Tour (al punto che il Team Ineos è stato l’ultimo ad annunciare l’organico), Brailsford ha fermato gran parte delle trattative di mercato giunte quasi a conclusione. Ha preteso di valutare il valore economico delle trattative e il corrispettivo tecnico, cancellando alcune operazioni a suo dire troppo costose.

Di tutto questo Brailsford non parla, non lo ha fatto per tutta la durata del Tour e poi si è nuovamente eclissato, dedicandosi alla rifondazione. La Ineos Grenadiers ha vinto per l’ultima volta il Tour nel 2019 con Bernal e poi il Giro del 2020 con Tao Geoghegan Hart e quello del 2021 ancora con il colombiano, quindi si è… fermata. 

«Questa squadra è stata la mia casa fin dal primo giorno – ha detto Geraint Thomas – e assumere questo ruolo mi sembra un passo naturale. Ho imparato tantissimo dalle persone che mi circondano, dai miei colleghi ciclisti e dallo staff, e ora voglio continuare a costruire sui nostri incredibili successi passati, anche in futuro. Sono entusiasta di aiutare la prossima generazione a crescere, a trasmettere quell’esperienza e a continuare a spingere la squadra verso la nostra missione: vincere di nuovo i Grandi Giri. I Grenadiers continueranno a gareggiare con determinazione, umiltà e impegno per l’eccellenza, e sono entusiasta di contribuire a plasmare questo futuro».

Il Tour del 2025 è stato l'ultimo per Geraint Thomas, che vise quello del 2018 guidato proprio da Brailsford
Il Tour 2025 è stato l’ultimo per Thomas, che vinse quello del 2018 (foto di apertura) guidato proprio da Brailsford
Il Tour del 2025 è stato l'ultimo per Geraint Thomas, che vise quello del 2018 guidato proprio da Brailsford
Il Tour 2025 è stato l’ultimo per Thomas, che vinse quello del 2018 (foto di apertura) guidato proprio da Brailsford

Si riparte da umiltà e umorismo

E’ un fatto che il vecchio Team Sky avesse così tanta ricchezza di mezzi, uomini, tecnologia e scienza, che poteva permettersi di trascurare alcuni fronti e nel farlo ha probabilmente peccato di superbia. Ha puntato su corridori che non sono mai venuti fuori in modo compiuto: Carlos Rodriguez, ad esempio, e per certi versi anche Tom Pidcock. Il nuovo corso prevede ad esempio la nascita del devo team, che mancava fortemente, con la possibilità di far crescere in casa i corridori utili al rilancio del team. E forse anche aver proposto a Elia Viviani di diventare direttore sportivo, dopo che la precedente gestione lo aveva accantonato, relegandolo a un’attività di livello inferiore, serve a far percepire il cambio di direzione.

«Geraint incarna perfettamente cosa significhi essere un Grenadier – ha spiegato Brailsford in una nota ufficiale – ha vissuto e respirato prestazioni d’elite per tutta la sua carriera. Si è posto obiettivi molto ambiziosi e li ha sempre raggiunti. Sa cosa comporta il processo, come affrontare gli alti e bassi dello sport. La sua disponibilità a condividere tutto questo e a fare da mentore ad altri perché riescano a fare lo stesso è una grande risorsa per la squadra. Il fatto che sia rimasto così umile e abbia sempre mantenuto un grande senso dell’umorismo sono altre ottime qualità da portare nel suo nuovo ruolo».

Nicolas Milesi, Arkea B&B Hotels devo team (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)

Milesi dopo due anni in Francia, un’altra grande chance all’estero

25.10.2025
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La seconda stagione di Nicolas Milesi con il devo team dell’Arkea B&B Hotels si è conclusa leggermente in anticipo rispetto al previsto (in apertura foto Alexis Dancerelle/DirectVelo). Infatti il bergamasco dopo il campionato europeo a cronometro, non è più tornato in corsa. Fondamentalmente il calendario prevedeva altre due gare nelle quali il team francese ha preferito dare spazio agli atleti di casa. Non correndo da inizio settembre, quando al Giro del Friuli ha trovato la prima vittoria tra gli under 23, Nicolas Milesi ha deciso di sfogare la sua voglia di pedalare con un maxi giro di 300 chilometri sulle strade di casa. Al suo fianco c’era Alessandro Romele, che lo ha seguito in macchina visto che è alle prese con il recupero da un infortunio alla mano. 

«Avevo voglia di pedalare – ci dice Nicolas Milesi mentre è a casa alle prese con il riposo di fine stagione – per divertirmi e per passare del tempo con Romele. Alla fine stavo bene, nelle ultime gare fatte su strada andavo forte. Sono felice di come sono cresciuto ancora, in estate ho fatto un bel passo in avanti tra le corse in Francia e il Giro del Friuli».

Nicolas Milesi ha fatto la sua ultima corsa in maglia Arkea il Giro del Friuli
Nicolas Milesi ha fatto la sua ultima corsa in maglia Arkea il Giro del Friuli

Le ore contate

Il team Arkea a fine stagione ha chiuso, l’anno prossimo la squadra francese non sarà più in gruppo. Una situazione che si sapeva da qualche mese e per la quale i corridori hanno avuto il via libera di cercare nuove sistemazioni e accordi. Correre con i giorni contati non è semplice, ogni gara conta e il rischio è non raccogliere quanto seminato. 

«Se avessi fatto un’annata del genere in un altro devo team – prosegue ad analizzare Nicolas Milesi – probabilmente non avrei avuto problemi nel passare alla formazione superiore. In particolare se consideriamo che da luglio in poi ho sempre corso con la formazione WorldTour, fatta eccezione per il Giro del Friuli. Alla fine ho trovato una sistemazione per il prossimo anno, quindi sono felice di questo».

Nicolas Milesi, Arkea B&B Hotels devo team
Nicolas Milesi ha corso per due stagioni nel devo team della formazione francese
Nicolas Milesi, Arkea B&B Hotels devo team
Nicolas Milesi ha corso per due stagioni nel devo team della formazione francese
Dove correrai?

Sarò parte della Ineos. E’ un progetto nuovo che parte quest’anno, credo sia un ambiente ancora migliore per le mie caratteristiche e che mi permetterà di fare un altro passo in avanti. Il 2025 è stato un anno buono, ad eccezione della caduta alla Roubaix dove ho rotto la clavicola. Però questi due anni in Arkea mi hanno aiutato a capire che corridore sono.

Ce lo dici?

Penso di essere un buon profilo per le corse del Nord, la Roubaix e le gare in Belgio mi piacciono molto. So di essere un passista e un cronoman di alto livello. Questo mi permette di potermi giocare le mie chance nelle corse a tappe dove c’è una prova contro il tempo. Le ultime due stagioni mi sono servite per specializzarmi, in futuro vorrei migliorare per essere più performante anche su percorsi più impegnativi. 

Lorenzo Milesi, Italia, nazionale, cronometro europeo U23
Alla cronometro dell’europeo under 23 ha chiuso la prova al sesto posto a 29″ da Jonathan Vervenne
Lorenzo Milesi, Italia, nazionale, cronometro europeo U23
Alla cronometro dell’europeo under 23 ha chiuso la prova al sesto posto a 29″ da Jonathan Vervenne
Com’è arrivata l’offerta dalla Ineos?

Tramite il mio procuratore Acquadro. Dopo i buoni risultati al Tour Poitou si era avvicinata la Groupama, mentre i giorni successivi erano arrivate anche altre offerte. Nello stesso periodo si era interessata anche la Ineos, ho sentito Dario Cioni e l’offerta si è concretizzata a ottobre. Lui è il responsabile del team e della cronometro. 

Da cronoman che effetto fa pensare di entrare nel team Ineos con Ganna e Cioni

E’ incredibile. Non ci sono solamente loro perché anche Joshua Tarling è un cronoman davvero forte. Ho una voglia incredibile di iniziare ed entrare in questo nuovo ambiente. Posso dire che indosserò la divisa che ho sempre sognato e ammirato, vista anche la mia propensione per le prove contro il tempo. 

Nicolas Milesi, Arkea B&B Hotels devo team (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
Nicolas Milesi ha corso la sua terza Roubaix U23, dimostrando di essere un corridore da pavé (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
Nicolas Milesi, Arkea B&B Hotels devo team (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
Nicolas Milesi ha corso la sua terza Roubaix U23, dimostrando di essere un corridore da pavé (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
Hai incrociato Ganna agli europei?

Sì, abbiamo parlato un po’ ma non gli ho detto che avrei fatto parte del team. Ho trovato però una bravissima persona, disponibile e gentile. Quando ho messo la storia su Instagram del mio allenamento di 300 chilometri mi ha scritto ridendo: «Perché?». La risposta non c’era, avevo voglia e basta.

Tymen Arensman

Arensman guarda ai Grandi Giri. Cioni però non si sbilancia

25.09.2025
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«Stiamo cercando di integrare un po’ di più le cronometro nella nostra classifica generale per il prossimo anno», sono le parole di Thymen Arensman dopo la crono iridata di domenica scorsa, quando l’olandese ha chiuso con un più che buono nono posto.

Arensman è un classe 1999, di dicembre, deve perciò ancora compiere 26 anni. Noi italiani lo abbiamo visto già quattro volte al Giro d’Italia e soprattutto quest’anno ha colpito per i due successi al Tour de France. Fatto questo quadro, abbiamo voluto chiedere a Dario David Cioni, tecnico della Ineos Grenadiers, con cui corre Arensman, se davvero Thymen potrà essere un uomo su cui puntare per la generale dei Grandi Giri, tanto più che la squadra britannica sta vivendo una fase di rinnovamento e non ci sono al momento i Froome o i Wiggins di un tempo. E neanche più Pidcock.

Dario David Cioni (classe 1974) è diesse e responsabile della performance della Ineos Grenadiers
Dario David Cioni (classe 1974) è diesse e responsabile della performance della Ineos Grenadiers
Dario, dunque, partiamo dalla crono iridata in Rwanda. Ti aspettavi una prestazione simile?

Alla fine Tymen ha fatto una buona prova, però va detto anche che lui a crono è sempre andato bene. Anche lo scorso anno, se ben ricordo, chiuse le prove contro il tempo del Giro sempre nei primi cinque (quarto e terzo, ndr). E poi c’è da dire anche un’altra cosa.

Cosa?

Che in Rwanda tolti i primi 5-6 specialisti, la qualità scemava. Per me ai prossimi Europei il livello sarà più alto. E poi era anche una crono adatta a lui, ad un uomo da classifica, essendo così dura. Se andiamo a vedere solo Remco Evenepoel ha abbattuto il muro dei 49 di media. Gli altri sono rimasti tutti sotto o molto sotto, segno che era una crono lenta. Mentre oggi si fanno tutte sui 53-54 all’ora.

Parliamo della sua stagione. Spiccano senza dubbio le due tappe al Tour de France…

Il suo obiettivo era quello di fare classifica al Giro e non è andato bene. Tuttavia il lavoro fatto nella corsa rosa ha gettato una buona base per il Tour, dove non solo ha vinto due tappe, ma una di queste l’ha conquistata dal drappello dei migliori e non con una fuga da lontano. E poi ha ottenuto anche altri piazzamenti come sul Mont Ventoux e il secondo posto a Mont-Dore Puy de Sancy. Se al Giro ha reso meno, di certo in Francia è andato oltre le aspettative.

Tymen Arensman impegnato nella crono iridata, chiusa al 9° posto a 3'39" da Evenepoel, Rwanda
Thymen Arensman impegnato nella crono iridata, chiusa al 9° posto a 3’39” da Evenepoel
Tymen Arensman impegnato nella crono iridata, chiusa al 9° posto a 3'39" da Evenepoel, Rwanda 2025
Thymen Arensman impegnato nella crono iridata, chiusa al 9° posto a 3’39” da Evenepoel
Come abbiamo scritto all’inizio, Arensman vorrebbe fare bene nelle classifiche generali. Secondo te possono essere nelle sue corde?

Vediamo le decisioni che prenderemo. Lui è un giovane e quando ha provato a far classifica non ha centrato del tutto l’obiettivo, mentre ha mostrato di più quando si è trattato di puntare alle tappe dei Grandi Giri.

Quindi è la squadra che decide o si tiene in considerazione la volontà dell’atleta?

Sicuramente in passato, anche con lui, ci è piaciuto fare classifica, ma poi vanno combinati gli obiettivi della squadra e quelli dell’atleta e quando è possibile si allineano.

Magari questo però è stato l’anno della maturazione. Come lo si capisce?

Lo capisci quando succede… direi che è difficile prevederlo. Ognuno ha percorsi diversi. Diciamo che dagli errori s’impara e dai successi inaspettati si prende spunto. In generale possiamo dire che Arensman i numeri ce li ha, altrimenti non vinci stando con il gruppetto dei migliori.

L’olandese è uno scalatore atipico: è alto 1,90 m per 68 kg. Eccolo alzare le braccia a Superbagnères, primo dei suoi due successi all’ultimo Tour
L’olandese è uno scalatore atipico: è alto 1,90 m per 68 kg. Eccolo alzare le braccia a Superbagnères, primo dei suoi due successi all’ultimo Tour
Perché secondo te, Dario, al Giro Thymen non è andato bene? Eppure veniva da un buon Tour of the Alps dove aveva anche vinto…

Eh se lo avessimo saputo, avremmo già corretto il tiro. La stagione in tal senso va ancora analizzata.

In cosa deve crescere secondo te?

Nella costanza di rendimento, ma in particolare direi che perde tempo nella prima settimana e più precisamente nelle prime due o tre tappe, specie in questi Grandi Giri che ormai propongono frazioni impegnative sin dall’inizio. Non a caso perse subito parecchio nella prima tappa in Albania quest’anno.

Perché? E’ una questione di posizione, di stress in gruppo che è alto nelle prime fasi o una questione fisica, o è più una questione di “motore” che non è ancora rodato?

Direi più una questione legata al ritmo: Thymen non riesce a trovarlo subito. E bisogna capire come mai. Poi, anche da un punto di vista del posizionamento possiamo dire che non è male, ma altrettanto che ha dei margini di miglioramento.

Tymen Arensman , Giro d'Italia 2025, Egan Bernal
Senza più i grandi e con Bernal che non dà più le garanzie di un tempo, potrebbe essere Arensman l’uomo della Ineos per i Grandi Giri?
Tymen Arensman , Giro d'Italia 2025, Egan Bernal
Senza più i grandi e con Bernal che non dà più le garanzie di un tempo, potrebbe essere Arensman l’uomo della Ineos per i Grandi Giri?
Prima hai parlato di obiettivi che devono allinearsi fra atleta e squadra: questo quando avviene?

Di solito prima i tecnici fanno il debriefing stagionale, analizzano il tutto e poi, tra novembre e dicembre, anche aspettando i percorsi dei Grandi Giri, si stilano i programmi. Prima però, ripeto, sono necessarie le informazioni dell’anno precedente.

Quali sono adesso gli impegni di Arensman?

Domenica farà il mondiale su strada e poi finirà con le gare italiane.

Ganna e quei 9 decimi su Vine: la lettura di Malori e Cioni

12.09.2025
6 min
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Nove decimi. Due battiti di ciglia, un niente, meno di un secondo. Ma tanto è bastato a Filippo Ganna per aggiudicarsi la cronometro individuale di Valladolid, atto numero 18 della Vuelta. Un finale da urlo, che ha tenuto tutti sul filo a cominciare da Pippo stesso. «Credo di aver sofferto più a stare tre ore sulla hot seat (il posto dove siede colui che è primo in classifica, ndr) che sulla bici», ha detto Ganna.

Alle sue spalle si è piazzato Jay Vine, che in maglia a pois e in lotta ogni giorno per se stesso e per il capitano Joao Almeida si conferma formidabile contro il tempo. Nella generale invece l’accorciamento della crono (da 27 a 12 chilometri) ha di fatto congelato quasi tutto. Alla fine Almeida ha strappato una decina di secondi a Jonas Vingegaard. Mentre Giulio Pellizzari, che ieri ci aveva confidato di attendere questa tappa con grande attenzione, si è ben difeso: 36° a 45″ da Ganna e a 5″-10″ dai rivali diretti.

Jay Vine è stato un missile, ma nulla ha potuto contro il finale travolgente di Ganna: 2° a 0,9″
Jay Vine è stato un missile, ma nulla ha potuto contro il finale travolgente di Ganna: 2° a 0,9″

Oltre i 60 all’ora

Pippo parte in sordina. O meglio, sembra gestire. Ma certo una crono di 12 chilometri deve essere terribilmente complicata da gestire. Si deve andare a tutta dall’inizio alla fine, ma per fare questo i 12 chilometri diventano tanti. Il tracciato però invita a spingere.

Al primo intermedio, dopo 4 chilometri, Pippo non era neanche tra i primi dieci. Al secondo intertempo, dopo 8 chilometri, era sesto a 9” proprio da Vine. Ganna si è sciroppato gli ultimi 4.200 metri a una media di 57 all’ora. Deve essersi messo in modalità pista, come nell’inseguimento. Il tachimetro indicava costantemente 61-63 all’ora. Qualcosa di incredibile.

«Nella prima parte del percorso – ha detto il piemontese – non sono riuscito a trovare un giusto ritmo. Nella seconda metà invece ho provato a spingere il più possibile, senza guardare ai numeri. Sono molto felice, questa settimana sta andando molto bene per noi (il riferimento è alla vittoria di Bernal, ndr).
Dopo la caduta al Tour non è stato facile ritrovare la condizione, sono arrivato qui dopo tante fatiche (e tanta altura, ndr). La Vuelta non è una corsa facile per un ragazzone come me, ci sono tantissime salite. Ma sono felicissimo, ci voleva dopo tanta sofferenza e tante malattie».

Vingegaard si è detto soddisfatto della sua prova, andata secondo le aspettative
Vingegaard si è detto soddisfatto della sua prova, andata secondo le aspettative

Il pensiero di Malori

Come da nostra abitudine abbiamo voluto commentare la tappa con l’esperto, che in questo caso è stato Adriano Malori, un gigante della crono. E come sempre il Malo ci ha visto lungo.

Adriano: finalmente Ganna! Come lo hai visto?

Il solito Pippo Ganna che va forte e fa un gran finale, ma con appena 1” di vantaggio su Vine. Lo dico in modo un po’ brusco: vedo in generale una piccola debacle dei grandi cronoman ultimamente. Per esempio non pensavo che oggi Kung, in una crono così veloce, perdesse così tanto. E anche altri specialisti in questi ultimi periodi non brillano.

E perché secondo te?

In generale non saprei, nel caso di Pippo perché ha fatto un po’ più di strada del solito e magari è un filo più magro. Ma attenzione, non voglio criticarlo, magari ci sta provare anche altre cose. Ci sta che uno come lui, che ha già vinto tanto, si ponga altri obiettivi. E comunque è andato fortissimo, perché ha fatto 56 di media! Voglio dire che la figura del cronoman puro sia stata un po’ cancellata. Anche Remco Evenepoel è più di un cronoman. Pogacar, e penso alla crono spaziale che ha fatto al Tour, non è solo un cronoman. Sono corridori completi che vanno. Questo, posso ipotizzare, perché tutti curano di più la specialità.

Cioè?

Prima solo gli uomini di classifica e i cronoman curavano con attenzione la posizione, i materiali e tutto il resto. Ora lo fanno tutti. Tutti hanno materiali top, escono con la bici da crono. I livelli cambiano e i distacchi si riducono.

Ieri nel finale Ganna è stato strepitoso. Come ti spieghi questa rimonta su Vine, Adriano?

Di certo Pippo ne aveva, bisogna vedere che l’altro non si sia gestito male e sia rimasto senza gambe. Spesso le crono così corte sono difficili da gestire, sono queste quelle in cui si resta senza gambe e non quelle da 50 minuti. Perché lì sai che non puoi andare a tutta sin da subito. In prove così veloci e intense imposti il pacing, i watt, ma sei comunque portato a spingere troppo.

Almeida ha rifilato 10″ a Vingegaard ed ora è a 40″ dal danese
Almeida ha rifilato 10″ a Vingegaard ed ora è a 40″ dal danese
Domanda all’ex corridore: ma quando vedi che il computerino segna 62-63 all’ora ti gasi?

Personalmente non guardavo la velocità, ma osservavo i watt. Ho sentito di un mio ex tecnico alla Movistar e poi vicino alla Visma-Lease a Bike che diceva come nel famoso giorno di Vingegaard nella crono di Combloux al Tour 2023, avesse il potenziometro leggermente sfasato, che segnava di più. Ebbene lui non se ne è curato, si sentiva bene e ha continuato a spingere secondo le sue sensazioni, anche se i dati che vedeva erano già alti. Bravo Jonas. Ma quando tu hai una FTP di 450 watt e vedi che tieni bene i 470-480 allora in quel caso ti gasi davvero e a livello psicofisico decolli.

A proposito di Vingegaard, l’accorciamento della crono secondo te ha danneggiato Almeida?

No, non credo. Anche se Vingegaard è meno forte del 2023, è comunque solido. Non spreca un’energia più del previsto. E poi un giorno uno guadagna qualche secondo e un giorno li recupera l’altro. La crono di Valladolid pertanto non avrebbe influito a mio avviso anche se fosse stata lunga i 27 chilometri previsti. Insomma non ce lo vedo Almeida che sulla Bola del Mundo gli rifila un minuto.

Ma alla fine dunque, Adriano, Ganna è più felice perché ha vinto o sta lì a pensare che ha dato solo 1” a Vine?

No, no… è felice perché ha vinto. Tra l’altro Vine è un ottimo cronoman. Anche a me è capitato di vincere per un secondo contro corridori meno specialisti di me. Poi alla fine analizzi la gara e rivedi tante cose. E comunque, come dicevano in Fast and Furious: non è importante che tu vinca per un miglio o per un centimetro, ma che tu arrivi primo!

Ed ecco TopGanna. Anche a Valladolid ha optato per il setup che più ama con il 64×11 come massimo rapporto
Ed ecco TopGanna. Anche a Valladolid ha optato per il setup che più ama con il 64×11 come massimo rapporto

Parla Cioni

E partendo proprio da quest’ultima risposta di Adriano Malori, circa l’analisi della gara a posteriori, ci pensa subito Dario David Cioni, tecnico della Ineos Grenadiers, a dare una chiara visione dell’andamento della corsa.

«Pippo è andato forte – ha spiegato il toscano – ma è anche vero che Vine ha beneficiato di un paio di scie di corridori partiti prima di lui che ha ripreso. In più è partito tra i primi e si sa che col tempo le condizioni possono cambiare.

«Se guardo alla sua prestazione questa è ottima. Togliamo Vine che è così vicino, gli altri, Almeida, Vingegaard, sono tutti più staccati. No, oggi su un percorso così veloce era difficile poter fare più distacchi. In più all’inizio Ganna era un po’ bloccato. Siamo nella terza settimana di un grande Giro, non in una corsa di un giorno, e può succedere, tanto più se pensiamo che ieri c’era stata una tappa in salita. Non certo il massimo per lui che non è uno scalatore».

Cioni spiega poi un altro fatto. Partendo presto, Ganna aveva di fatto solo un’ora e mezza tra la ricognizione e il via. Di fatto la sua recon si è trasformata in una sorta di pre-riscaldamento.
«Pippo – conclude Cioni – ha fatto due giri del percorso. Il primo piano, il secondo un po’ più allegro soprattutto per visionare le curve. Da lì è stato un’ora e mezzo tranquillo e poi ha iniziato la trafila del riscaldamento. Alla fine la cosa più stressante per lui è stata attendere tre ore il verdetto! Cosa mi è piaciuto di questa sua crono? Il gran finale. E’ letteralmente volato. In certi tratti andava a 64 all’ora».

Ultime corse di Puccio: grande professionista e uomo perbene

07.09.2025
8 min
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MISANO ADRIATICO – Il 31 agosto, nel giorno in cui alla Vuelta Vingegaard batteva Pidcock alla Estación de Esquí de Valdezcaray, Salvatore Puccio impegnato a Plouay annunciava il suo ritiro dopo 14 stagioni di professionismo. Il siciliano cresciuto in Umbria e padre di un bimbo di due anni e mezzo, è stato per anni la bandiera solida e discreta del Team Ineos Grenadiers, che quando ci entrò si chiamava semplicemente Team Sky. Quando lo incontriamo nei viali dell’Italian Bike Festival ha l’espressione rilassata di uno studente alla fine di maggio. Il suo percorso sta per finire, i compiti li ha fatti e nelle sue parole si percepisce la curiosità per la nuova vita che lo attende. Trentasei anni sono tanti per un corridore, molti meno per tutti gli altri.

Salvatore è abbronzato e tirato, pronto per correre. Occhiali da sole con le lenti tonde e grandi che gli danno l’aspetto più sbarazzino. La tuta nera e accanto Omar Fraile e l’addetta stampa della squadra che lo segue e scandisce i tempi tra un impegno e il successivo. Lo conosciamo dal 2010 e non c’è stato un solo giorno in cui non si sia dimostrato una persona perbene.

Giro d’Italia 2013, il primo di Puccio: il Team Sky vince la cronosquadre a Ischia e Salvatore veste la maglia rosa
Giro d’Italia 2013, il primo di Puccio: il Team Sky vince la cronosquadre a Ischia e Salvatore veste la maglia rosa
Quando hai cominciato a pensare di fermarti?

Gli ultimi due anni hanno avuto alti e bassi. L’età si fa sentire, i giovani vanno fortissimo quindi è stata una decisione naturale. Dopo le difficoltà del 2024, mi ero detto che in ogni caso questo sarebbe stato un anno di prova. Mi sono messo in testa di ripartire bene. Infatti quest’inverno mi sono allenato più che in tutti i quattordici anni da professionista. Purtroppo però già alla Tirreno non avevo delle buone sensazioni, per cui l’obiettivo è diventato fare il Giro e vedere cosa sarebbe venuto fuori nella prima settimana. Mi sono allenato al massimo, facendo il professionista al 110 per cento. Magari un altro anno potevo continuare, poi ho avuto l’infortunio al Tour of the Alps e lì ho pensato che fosse un segnale (sorride, ndr). Ho recuperato. Sono tornato alle gare e sto continuando ad allenarmi al 100 per cento, ma ho capito che è tempo di smettere.

Perché?

L’età è quella giusta. Ho sempre visto maluccio chi continuava dopo una certa età, trascinandosi. Non mi piaceva lasciare il ciclismo pensando che mi avrebbero visto come un… cadavere. Ci sta che negli ultimi anni di contratto non rendi più, non puoi sapere come starai l’anno dopo. Per cui ho fatto una scelta decisa. Sono contento, non ho nessun rimpianto, rifarei tutto allo stesso modo. Forse mi sarebbe piaciuto andare una volta al Tour, ma ho fatto per tanti anni il Giro in cui sono stato sempre molto rispettato.

Colle delle Finestre al Giro del 2018: Puccio tira nel tratto asfaltato. Dietro Froome prepara l’attacco che gli darà la maglia rosa
Colle delle Finestre al Giro del 2018: Puccio tira nel tratto asfaltato. Dietro Froome prepara l’attacco che gli darà la maglia rosa
Tanti fanno fatica a smettere, tu sembri molto deciso.

Quanto potrei fare ancora? Uno o due anni per allungare l’agonia? Gli anni importanti, quelli in cui molti corridori fanno un po’ “i vagabondi” perché tanto hanno il contratto, io li ho fatti al 100 per cento. Fortunatamente nella mia carriera non ho mai avuto tanti infortuni, quindi ho corso sempre. Alcuni colleghi restano attaccati all’ultimo contratto per mettere via ancora qualche soldino, perché prima si sono presi degli anni sabbatici. Io sono stato professionale al 100 per cento. Quando era necessario ho lavorato e adesso ho tutto il tempo per andare alle feste. Ho 36 anni, per la vita normale sono giovanissimo.

La prima svolta c’è stata quando hai lasciato Monaco per tornare a Petrignano?

Quello era stato più per la famiglia. Era nato mio figlio e con mia moglie c’era un accordo iniziale. Anche a lei piaceva vivere lì, ma sempre con un occhio al paese. Quando è nato il bambino avremmo comunque dovuto cambiare casa anche a Monaco e poi sinceramente avrei voluto che mio figlio Tommaso crescesse con i nonni, dargli una famiglia vera. Noi corridori viaggiamo 200 giorni l’anno e il bambino sarebbe cresciuto solo con sua madre. Invece così è a casa, i suoceri abitano sotto, i miei genitori sono a 6 chilometri. Ci sono gli zii, è tutta un’altra vita. E’ una famiglia e a me piaceva che crescesse con una famiglia. Monaco è una piccola città, ma è anche grande. Non conosci neanche quello che ti abita accanto.

Puccio ha chiesto di conservare una sola bici: la Pinarello celeste del mondiale 2017 a Bergen
Puccio ha chiesto di conservare una sola bici: la Pinarello celeste del mondiale 2017 a Bergen
Quando tuo figlio ti chiederà che corridore è stato suo padre Salvatore Puccio, che cosa gli racconterai?

Che è stato un professionista. Nel suo ruolo, ma un professionista. Non mi sono mai lamentato, non sono mai stato male. Ho visto molte volte corridori, anche miei compagni, non presentarsi alle corse dicendo che stavano male. Mi sembra di essermi ritirato solo una volta in Australia, perché stavo male. Non ho mai chiamato il giorno prima perché avevo la febbre o un virus. A 36 anni inizi a valutare anche queste cose. Questo è il periodo dell’anno in cui ci si ammala, a me non è mai successo.

Hai detto che quest’inverno ti sei allenato tantissimo: adesso che lo hai annunciato hai ancora voglia di allenarti?

E’ duro partire, però ieri ho fatto distanza, visto che per venire qui a Misano non sarei andato in bicicletta. Due giorni fa ho fatto una doppia uscita, perché queste sono le nuove tipologie di allenamento. A 20 giorni dalla fine carriera potevo anche scrivere all’allenatore e dirgli che non avevo voglia, oppure la mattina potevo inventarmi che stavo male. Invece mi sono fatto due giorni pieni di lavoro. La mattina con blocchi di un’ora e mezza e 40 minuti al medio. E la seconda uscita fuori soglia. E’ roba da pazzi per uno che tra due settimane smette. Mancano tre gare, ci posso andare in scioltezza, ma voglio essere serio sino all’ultimo. Ho chiesto solo di fare le ultime corse in Italia, è la sola cosa che ho chiesto.

Per gli italiani del Team Ineos Grenadiers, Puccio è stato per anni un riferimento. Qui con Ganna all’Etoile de Besseges 2021
Per gli italiani del Team Ineos Grenadiers, Puccio è stato per anni un riferimento. Qui con Ganna all’Etoile de Besseges 2021
Quanto è cambiato l’allenamento da quando sei passato?

Quello che fa impressione sono gli allenamenti sui rulli tutti vestiti. Quest’anno l’ho fatto anche io. All’ultimo anno da professionista, mi sono dovuto vestire dentro il garage col termico, la cuffia e sudare per avere vantaggio dall’heat training. Quest’anno mi sono iscritto anche in palestra, andavo due volte a settimana alle sei me mezza del mattino. Un’ora e mezzo di palestra e poi andavo in bici.

Sei passato professionista dopo aver vinto il Giro delle Fiandre U23, ma non hai mai avanzato pretese…

Quando sono arrivato qui, la squadra era forte. C’erano Cavendish e Wiggins, in tutte le gare in cui andavo c’era un capitano. Non è come oggi, che arriva il diciottenne, gli dici di andare a tirare e ti risponde di mandarci un altro, perché lui fa classifica. Poi ho visto che facendo quel tipo di lavoro, ero rispettato in squadra. Ho guadagnato bene, almeno per il mio ruolo. Quando fai il capitano c’è molto più stress, devi rimanere ad alto livello. Quindi ho detto che andava bene così.

Puccio ha lavorato con tanti leader. Qui è con Carapaz, che nel 2022 perderà la rosa nel finale sul Fedaia
Puccio ha lavorato con tanti leader. Qui è con Carapaz, che nel 2022 perderà la rosa nel finale sul Fedaia
Qual è il capitano più in gamba per cui hai lavorato?

Capitani ne ho avuti diversi, ma il più maniacale era Froome. In gara faceva da corridore, allenatore, direttore. Lui vedeva tantissimo la gara. Poi ce ne sono stati tanti. Thomas poteva partire anche con un’altra bici, perché non se se sarebbe accorto. C’è stato Bernal, c’è stato Tao. Ho vinto il Giro con Froome, Bernal e Tao, poi la Vuelta con Froome. E devo dire che in quella Vuelta del 2017 stavo bene. E’ stata una delle gare in cui sono stato meglio. Ero stato in altura, avevo fatto una settimana a Livigno e una sullo Stelvio. Avevo uno stato di forma pazzesco, in confronto alle altre gare, dove soffri sempre. Lì soffrii, ma il giusto. Adesso invece ho solo tanto mal di gambe.

Ci sarà ancora la bicicletta nella vita di Salvatore Puccio?

Per fare passeggiate da caffè. Tutt’ora quando vengono con me gli amici che fanno quattro ore con me, io poi mi ritrovo morto sul divano il pomeriggio e mi chiedo come facciano.

Salvatore Puccio, classe 1989, è pro’ dal 2012. Ha sempre corso nel gruppo Ineos Grenadiers, prima Team Sky
Salvatore Puccio, classe 1989, è pro’ dal 2012. Ha sempre corso nel gruppo Ineos Grenadiers, prima Team Sky
Hai deciso insieme a tua moglie che avresti smesso?

No, l’ho deciso da solo. Mia moglie mi diceva di smettere già da diversi anni (ride, ndr). E adesso c’è da organizzarsi una vita. Sono ancora giovane, stare tutto il giorno in casa è anche negativo. Mi sono iscritto al corso di direttore sportivo, mi piacerebbe rimanere in questo sport. Ho fatto la prima corsa che avevo sette anni. Ho fatto gli ultimi allenamenti, anche ieri, facendo strade che forse poi non vedrò più. Addirittura mi sono lanciato su una strada sterrata e ho pensato che se avessi bucato, mia moglie non sarebbe venuta a prendermi.

Cosa terrai della tua carriera?

Una maglia per ogni stagione e la bici azzurra dei mondiali di Bergen del 2017. Ho conservato anche tutti i dorsali dei Grandi Giri. Dieci Giri e sette Vuelta. Sono stato per 14 anni nella stessa squadra perché mi hanno valorizzato. Non ho vinto nemmeno una corsa, ma ho due secondi posti: una al Giro e una alla Vuelta. Ho avuto poche possibilità e ho perso da Cummings e De Marchi, due esperti delle lunghe fughe. Si vede che era destino che non vincessi.

Gavazzi: il Bernal “piemontese” e quel sorriso ritrovato

27.08.2025
5 min
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Sorridente, disponibile, disteso, con la battuta sempre pronta, in una sola parola: felice. Egan Bernal ha messo piede in Italia per la partenza della Vuelta Espana con un piglio che sembrava aver quasi perso. Si era assaporato un po’ di quel buon umore al Giro d’Italia, ma si vedeva che l’animo del corridore colombiano era differente. Sulle terre piemontesi, che lo hanno visto sbocciare nel suo grande talento, Bernal sembra essersi totalmente ritrovato. Su queste strade ci ha vissuto per tanti anni, sono state loro ad accoglierlo quando era arrivato in Italia alla corte dell’Androni Giocattoli di Gianni Savio. 

Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale
Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale

Un sorriso per tutti

Egan Bernal era approdato nella professional italiana da perfetto sconosciuto, ad accoglierlo aveva però trovato la figura di Francesco Gavazzi. Il valtellinese, ritiratosi nel 2023, ora sta studiando per ottenere l’abilitazione UCI e diventare direttore sportivo. Nel frattempo lavora come gommista nell’azienda che prima era del nonno e ora è in mano ai suoi cugini. L’obiettivo è di salire in ammiraglia a partire dalla prossima stagione, ma questo è un’altra storia che ci auguriamo di avere modo e piacere di raccontare più avanti. 

«Anche dopo aver vinto il Tour de France – racconta Gavazzi nella sua pausa pranzo – Bernal non è mai cambiato di una virgola. E’ sempre stato un ragazzo umile e aperto, forse troppo. Ha sempre concesso un sorriso e un autografo a tutti, e in alcuni casi eravamo noi a dovergli dire di muoversi perché la gara stava per iniziare. Adesso non lo vedo più dal vivo, ma quello che si vede in televisione o nelle poche gare alle quali assisto, è un ragazzo professionale e disponibile».

La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
Com’è stato il tuo primo incontro con Bernal?

Eravamo in ritiro a Padova, nel novembre del 2015. Stavamo facendo un po’ di prove per i materiali e avevamo programmato un’uscita in bici. Gianni (Savio, ndr) era venuto da noi presentandoci questo ragazzo colombiano di diciotto anni. Ci aveva detto che arrivava dalla mountain bike e che era davvero molto forte. Poi siamo partiti con la pedalata.

Che è successo?

Ci ripetevamo di andare piano, dovevamo fare un giro sui Monti Berici e tornare indietro. Appena abbiamo approcciato una discesa, dopo tre curve, ci troviamo Bernal a terra. Lui si era rialzato subito, però dentro di noi abbiamo pensato: «Chissà che fine fa questo». Gli sono bastate poche settimane per farci capire che aveva doti fuori dal comune. 

A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
Ha “rimediato” subito…

Non una presentazione in grande stile, ma in gruppo ci ha fatto vedere che sapeva stare. Seguiva i corridori più esperti e quando c’era da limare non si tirava indietro. Inoltre, fin da giovane, ha dimostrato un carattere solare e deciso. Non ha mai avuto paura di parlare ed esporsi. 

Sicuro di sé?

E delle sue idee. A quel tempo c’erano tanti corridori esperti in squadra, compresi Frapporti e io, lui non aveva paura a dire la sua. Ha sempre avuto le caratteristiche del leader, senza sovrastare gli altri. Sono doti che ho riscontrato anche in altri grandi campioni come Nibali e Pogacar. Questi corridori in bici si divertono, non li vedi mai stressati o rabbuiati. 

Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Hai notato questa cosa anche nel momento più difficile, dopo l’incidente del 2022?

Sinceramente sì. Non l’ho vissuto molto, anche perché l’anno successivo mi sono ritirato, ma non ha mai dato l’impressione di aver perso quelle sue caratteristiche umane che lo contraddistinguono. Magari ha perso serenità in bici, però con se stesso no. 

In questi primi giorni in Piemonte sembra ancora più sorridente, se possibile.

Ci sono luoghi che ti danno delle sensazioni positive, una scarica di energia unica, e improvvisamente ti senti ancora più forte e sicuro. Il Piemonte per Bernal è una seconda casa. La sua stella è nata lì, in tanti anni ha costruito amicizie e ha trovato tanti tifosi intorno a lui. 

Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Un qualcosa che può spingerlo per tutta la Vuelta?

Credo che Bernal potrà andare forte anche una volta arrivati in Spagna, è partito bene e questa cosa gli ha dato morale. Lui è un corridore che nella terza settimana migliora, serviva partire con il piede giusto. Gli ho sentito dire in un’intervista che si augurava potesse andare tutto bene, di non cadere o avere problemi. Evitare queste complicazioni lo farà sentire ancora più sicuro. Credo che il podio sia alla portata di Bernal. 

E domani iniziano le salite…

La testa è importante, ma come ho detto prima ha dimostrato di essere forte da questo punto di vista. Atleticamente Egan ha dalla sua ottime qualità sulla distanza e in salita.  

Thomas è pronto a dire basta. Storia di un’icona del Galles

17.08.2025
5 min
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«Non so che cosa farò, dal prossimo inverno – afferma Geraint Thomas – potrei restare alla Ineos Grenardiers, mi hanno già illustrato alcuni ruoli che potrei ricoprire, oppure potrei trovare spazio fra i media, ma ci penserò a tempo debito. Quel che conta è non perdermi più compleanni, matrimoni, feste… Voglio esserci per la mia famiglia, ho perso troppo in questi anni».

Il campione gallese ha le idee chiare a proposito della sua intenzione di ritirarsi a fine stagione. Lo aveva preannunciato all’inizio, anzi già nel 2023 aveva fissato l’appuntamento per quest’anno, in fin dei conti quasi 20 anni in sella nel mondo del ciclismo sono sufficienti. Anni passati fra grandi vittorie e numerose avventure: due volte campione olimpico e tre volte campione del mondo con il quartetto dell’inseguimento e soprattutto il Tour de France conquistato nel 2018: «Fin da bambino sognavo di partecipare al Tour e alle Olimpiadi e di vincere. Ma averlo fatto è stata una follia».

Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente
Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente

Lasciare o non lasciare?

E’ anche questo che rende il suo addio dalle due facce. E’ chiaro, la voglia di staccare ci sia e Geraint non lo ha mai negato, ma sotto sotto quella scintilla ancora arde: «Lasciare è bello e brutto allo stesso tempo. Ci pensi, dici di sì, non vedi l’ora che arrivi quel fatidico ultimo metro. Ma poi quel metro diventa sempre più vicino e ti chiedi se non potevi tirare ancora un pochino avanti. Io mi trovo su quest’altalena da inizio stagione, passano nella mia testa infinite sensazioni, ma non cambio idea…».

Non è solamente una questione di età (Thomas ha 39 anni), ma influiscono anche altri fattori. Innanzitutto gli equilibri familiari e uno sport che giorno dopo giorno diventa più pericoloso. Poco tempo fa, in un programma televisivo nel suo Galles, Geraint raccontava proprio insieme a Sara Elen un episodio risalente al Tour 2015: «Tappa numero 16. In discesa dal Col de Mause Barguil sterza all’improvviso e m’investe. Io vado contro un palo del telegrafo, sterzo e finisco oltre la ringhiera, sparendo dalla vista sul ciglio della strada».

Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)
Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)

La paura di un grave incidente

«Io all’epoca lavoravo per S4C, un’emittente locale in lingua celtica. Ero in diretta, ma avevo visto quelle immagini, ero sconvolta. Ho iniziato a piangere in diretta perché nessuno sapeva dirmi che cosa gli fosse successo. Sinceramente non voglio vivere più nella paura di simili incidenti».

E’ tutto? No, probabilmente c’è anche la cruda analisi di un ciclismo che si evolve sempre più e che per Thomas è diventato ormai troppo pesante. A tal proposito è curioso un episodio, sempre raccontato dal campione gallese, che risale all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi.

Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)
Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)

«Ma deve parlarmene proprio ora?…»

«Andavamo già fortissimo, leggevo 400 watt di media quando da dietro sento: “Ciao G.Thomas”. Mi volto ed era Pogacar. Si mette al mio fianco e inizia a parlarmi, a raccontarmi di un orologio che ha visto e che vuole assolutamente comprarsi il giorno dopo. Io lo guardo e poi guardo il computerino: andavamo a 420 watt! Ho pensato: “Ma vuoi parlarne proprio ora? Io devo rimanere concentrato sulla respirazione se non voglio perdere il ritmo e farmi staccare…”. Ecco perché Tadej è proprio di un’altra categoria».

Di incidenti Geraint ne ha vissuti tanti, sin dal febbraio 2005 quando durante un allenamento su pista a Sydney, per la Coppa del Mondo, vide un pezzo di metallo della bici di chi gli era davanti staccarsi, farlo cadere e penetrare nel suo addome, causandogli un’emorragia interna e la rottura della milza, poi asportatagli. Oppure come al Tour del 2013, quando nella prima tappa una caduta gli costa la frattura del bacino, eppure Geraint tira avanti e quel Tour lo porta a termine. Chiude 140°, nella squadra che scorta Froome alla maglia gialla, ma tutti lo festeggiano come se avesse vinto lui.

Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)
Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)

Il trionfo giallo del 2018

D’altro canto la sua carriera resta legata strettamente al Tour, soprattutto a quell’edizione del 2018 dov’era partito come luogotenente di Froome, reduce dal trionfo al Giro d’Italia. Che il gallese fosse in forma si era ben capito con la vittoria al Delfinato e la conquista del titolo nazionale a cronometro, infatti lo staff del Team Sky vedeva in lui l’alternativa, il piano B. E la caduta di Froome nelle prime fasi costa a quest’ultimo un cospicuo distacco. Thomas a quel punto prende in mano le redini della squadra, nella tappa di La Rosiere va a prendere i fuggitivi e rivali Nieve e Dumoulin e si aggiudica la frazione vestendo la maglia gialla, ripetendosi il giorno dopo sull’Alpe d’Huez.

«Di quanto fosse importante quel che avevo fatto – raccontò in seguito Thomas – ne ho avuta l’esatta percezione qualche tempo dopo, quand’ero in vacanza in America ed ero andato con la famiglia a visitare il carcere di Alcatraz. Un tizio mi ha riconosciuto e lo ha detto agli altri, ho capito allora come quel simbolo della maglia gialla sia davvero iconico e riconosciuto a qualsiasi latitudine».

L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018
L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018

L’ultima pedalata nella sua Cardiff

Geraint è pronto. Resta da scrivere solo l’ultima pagina e il gallese sa anche dove farlo: al Tour of Britain, che si concluderà nella sua Cardiff: «Chiudere la mia carriera tornando a casa, davanti alla mia gente, sarà il più bello degli addii possibili. Vent’anni con gli occhi fissi davanti, guardando la strada, credo siano più che sufficienti. Ora voglio guardare il mondo da un’altra prospettiva».

Ganna riparte con la Vuelta, dopo tre settimane complicate

03.08.2025
5 min
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Nel breve reel pubblicato su Instagram il 6 luglio, all’indomani della caduta nella prima tappa del Tour, Filippo Ganna appariva deluso ma soprattutto frastornato. Il piemontese della Ineos Grenadiers ha provato a ripartire, ma quando a 79 chilometri dall’arrivo di Lille si è reso conto di non tenere le ruote del gruppo, ha capito anche che l’unica cosa da fare fosse fermarsi. Da quel momento, fatto salvo quel video, Filippo è sparito.

Nel secondo giorno di riposo del Tour a Montpellier, chiacchierando con lo staff del team britannico, alcuni sprazzi di frasi ci hanno fatto capire che la ripresa dall’infortunio non è stata indolore. Le conseguenze della concussion – la commozione cerebrale per la quale l’UCI ha previsto un protocollo specifico – si sono manifestate con vari dolori e la difficoltà nel prendere sonno. La ripresa degli allenamenti è stata ritardata più di una volta, così l’atleta che vedremo alla partenza della Vuelta sarà il miglior Ganna possibile, ma non il migliore di sempre.

In tutto questo, si fa largo la sensazione che aver saltato il Giro per il Tour non sia stata la scelta più condivisa (come pure aver limitato la presenza al Nord ad Harelbeke, Fiandre e Roubaix). Per capire come stiano le cose e soprattutto come stia Ganna, ci rivolgiamo a Dario Cioni, suo preparatore per le cronometro. Lo intercettiamo durante una giornata di lavoro in campagna, in cui ha lavorato sodo per piazzare le reti che dovrebbero impedire l’accesso ai cinghiali.

Torniamo indietro al Tour, che cosa è successo quel giorno?

Appena è rimontato in bici, dopo qualche chilometro è stato chiaro che avesse i sintomi della concussion e a quel punto il ritiro dalla corsa è stato automatico. Dopo un po’, ci si è resi conto che non c’era solo il discorso della commozione cerebrale, ma anche qualcosa di molto simile al colpo della strega. Aveva male al collo e sono servite quasi tre settimane per riavere una situazione normale.

In pratica è rimasto fermo per tutto il tempo del Tour?

Più o meno è così. Ha ripreso da poco a lavorare a pieno ritmo, quando abbiamo avuto la certezza che i problemi fossero ormai superati.

Cioni ha spiegato che il primo piano di rientro per Ganna prevedesse il Polonia, ma la lenta ripresa degli allenamenti lo ha sconsigliato
Cioni ha spiegato che il primo piano di rientro per Ganna prevedesse il Polonia, ma la lenta ripresa degli allenamenti lo ha sconsigliato
In che modo avete riprogrammato la stagione?

La Vuelta era già nei programmi. C’è stato un momento in cui si era pensato di fare il Polonia, ma alla fine, con quei sintomi che non si risolvevano, la scelta è stata obbligata. Non c’erano le condizioni e nemmeno il tempo per rientrare prima alle corse. Non puoi mandare un corridore appena rimontato in sella a fare una corsa di alto livello.

Uno stop così lungo ha fatto sì che la condizione costruita per il Tour sia andata a farsi benedire?

Difficile da valutare quanto abbia perso, però c’è di buono che stava bene. Se avesse fatto 4-5 tappe, sarebbe stato meglio perché avrebbe lavorato e avrebbe avuto modo di smaltire meglio la caduta. Fermarsi invece subito, dopo alcuni giorni in cui non aveva lavorato tanto, è stato negativo. In ogni caso, se ti fermi che stai bene, perdi meno rispetto a una sosta forzata quando sei finito.

Si va alla Vuelta con quali certezze?

Sapendo che di non averla preparata al 100 per cento. Però è la soluzione migliore, perché in caso contrario sarebbe uscito dal 2025 senza aver fatto un Grande Giro.

Si era detto che il mondiale crono sia troppo duro: cambia qualcosa a questo punto?

No, nel senso che comunque il mondiale resta troppo duro. Penso che l’europeo sia più alla sua portata, ma prima di fare certi ragionamenti è meglio correre la Vuelta e fare poi il punto della situazione.

Prima di partire per il Tour, Ganna aveva vinto il tricolore crono, battendo Baroncini di 46″ e Cattaneo di 57″
Prima di partire per il Tour, Ganna aveva vinto il tricolore crono, battendo Baroncini di 46″ e Cattaneo di 57″
Dal punto di vista della motivazione, è stato difficile gestire la situazione?

Non è stato ideale, perché Filippo aveva messo tanto lavoro verso il Tour e andarsene senza aver corso sicuramente dispiace. Però fa parte del gioco e bisogna guardare avanti.

L’avvicinamento alla Vuelta prevede il ritorno in quota a Macugnaga?

Sì, per cui lo seguirò io per una parte e poi andrà su anche Dajo (Sanders, l’head coach del Team Ineos Grenadiers, ndr). Poi sarò con Filippo alla Vuelta per la cronosquadre del quinto giorno e per la crono individuale di Valladolid del diciottesimo. Vedremo come andrà e poi si potrà parlare eventualmente con Villa per la partecipazione agli europei.

Si può vincere la crono di Valladolid?

Dipende dagli avversari. Dipende se c’è Remco Evenepoel oppure no. Però intanto pensiamo a lavorare, di avversari e futuro ci sarà il tempo giusto per parlare.