ASCOLI PICENO – Ceci arriva su una Caballero 700 rossa, con i bermuda e la maglia nera. Ha smontato dal turno nel supercarcere di Marino del Tronto e dopo un rapido passaggio da casa, ha accettato l’invito per un caffè. La città è calda, anche se negli ultimi giorni, qualche scroscio di pioggia ha provato a rinfrescare l’aria.
«Complimenti a Davide e Lorenzo – dice Ceci prima di ogni altra cosa – sono stati grandissimi. Erano andati per una medaglia e ci sono riusciti al primo assalto. Si sono meritati ogni applauso!».
Due giorni fa, il 28 agosto, sono iniziate le Paralimpiadi di Parigi, che andranno avanti fino all’8 settembre. E ieri Davide Plebani e Lorenzo Bernard hanno centrato la medaglia di bronzo nell’inseguimento. Nel commentare il risultato, il cittì Perusini ha usato parole molto chiare. Ha lodato i due azzurri pr la rapidità dei loro progressi. Poi ha fatto notare il gap tecnologico a livello di biciclette. Infine ha dedicato il bronzo a tutti i ragazzi che nell’ultimo anno hanno fatto pista e hanno ottenuto risultati ai mondiali di Rio, ma non sono a Parigi per il ridotto numero di slot.
Gli esclusi più illustri per l’esiguità dei posti sono Francesco Ceci e Stefano Meroni, oltre a Elena Bissolati e Chiara Colombo che proprio ai mondiali brasiliani hanno conquistato un oro storico nel Mixed tandem team sprint. E anche se questo è il momento di tifare per i compagni di nazionale, si può capire che l’esclusione abbia bruciato. E proprio per questo, probabilmente, Silvano Perusini si è sentito di fare quella dedica. Non c’è voglia di piangersi addosso né di attaccare: certe cose non si possono cambiare. Quel che sta a cuore al velocista marchigiano è semmai la possibilità di riprendere presto la preparazione. Di fatto i tandem veloci non gareggiano dai mondiali di Rio. A Montichiari c’è stato tempo solo per un ritiro a maggio, in occasione del quale sono stati anche comunicati i nomi di chi sarebbe andato a Parigi. Da allora è tutto fermo.
Puntavi a Parigi?
A livello personale, ci puntavamo tanto e sapevamo di avere l’età giusta e la possibilità per puntare a una medaglia. Abbiamo iniziato a lavorare insieme da un anno e la cosa positiva è che sono arrivati subito dei buoni risultati. Siamo entrambi due atleti lavoratori, quindi ci prepariamo dopo aver finito i nostri turni. Potete immaginare cosa abbia significato prepararsi d’inverno sui rulli e in palestra. Magari fai un paio d’ore su strada, sapendo che i lavori sono completamente diversi rispetto alla pista.
Eppure i risultati sono arrivati lo stesso…
Oltre alla vittoria nella velocità olimpica, nel chilometro abbiamo fatto la qualifica con il quarto tempo a due decimi e mezzo dall’argento. E poi in finale siamo arrivati quinti, a 7 decimi dalla medaglia. Abbiamo avuto un problema con la bicicletta in partenza, ma non potevamo fermarci per effettuare una seconda partenza. Quindi abbiamo tirato dritto abbassando il nostro tempo di 7 decimi rispetto all’anno prima. Quindi, pensando a Parigi, secondo me ci sarebbe stata la possibilità di fare bene.
Quando ti alleni con Meroni?
Quando ci sono collegiali in pista. Lui vive a Lurago d’Erba, siamo a sei ore di macchina l’uno dall’altro. Dopo il mondiale, abbiamo continuato ad allenarci forte, finché non ci hanno dato la notizia che non saremmo andati. Ovviamente si accettano le scelte, quelle non si discutono. E siccome ci è stato detto che il nostro progetto dovrà dare i frutti migliori a Los Angeles 2028, speriamo che effettivamente si possa continuare a lavorare per allora. Spostiamo gli obiettivi a lungo termine.
Si fa il tifo per gli altri azzurri?
Ho scritto un messaggio nel gruppo Whatsapp facendo gli bocca al lupo a tutti. In pista purtroppo siamo pochi, perché abbiamo solo Claudia Cretti, oltre a Davide e Lorenzo che hanno già preso la medaglia. E ripeto: sono stati strepitosi! Speriamo che il bilancio finale sia ottimo, per dare slancio al settore. Se iniziamo a creare una storicità anche nel settore pista, automaticamente cresce tutto il movimento. Mi auguro che si possa continuare in questo lavoro, in modo che al prossimo mondiale possiamo pensare di andare per vincere un titolo. In un anno tutto il movimento è cresciuto. Abbiamo riportato ottimi risultati, il nostro titolo mondiale ha avuto un bel risalto. Peccato non si sappia ancora quando e dove si faranno i prossimi.
Perusini ha parlato di margini enormi per noi su pista.
E ha ragione. Ovviamente Nazioni come Gran Bretagna, Francia, Germania e Olanda sono molto avanti. I paralimpici usano le stesse bici dei “normo” e fa tanto. Noi siamo partiti da un anno e mezzo e corriamo con il tandem di alluminio. Abbiamo lavorato per migliorarlo, abbiamo ottenuto dei miglioramenti, ma i tandem in carbonio di altre squadre restano più performanti.
In che modo procede ora la vostra attività?
Siamo in attesa di conoscere i calendari, perché non ci sono gare per noi. L’importante sarebbe dare continuità al lavoro per poter crescere. Non è sfuggito il fatto che in tutti i Paesi stiano cercando atleti di elite per dare forza ai loro tandem. Ai mondiali mi sono ritrovato con altri velocisti con cui anni fa facevo i tornei della velocità. Per cui a un certo punto diventa decisiva anche l’affinità nella coppia. Con Stefano ci si sente spesso al telefono. Ha 37 anni ed è partito da zero. Non aveva mai fatto certi lavori in palestra, per cui per arrivare a certi livelli ha messo costanza e impegno. Sappiamo anche cosa ci servirebbe per migliorare nel chilometro.
Che cosa?
Abbiamo visto che perdiamo tanto nel primo giro e mezzo. Dobbiamo lavorare su forza massima, forza esplosiva e tecnica di partenza. Però bisogna farlo insieme. Al momento ognuno di noi lavora su se stesso, in modo che quando ci ritroveremo, partiremo da un livello più alto. Ci sentiamo spesso, a volte discutiamo. Io sono molto duro e a volte lo richiamo sul lavoro da fare. Sono contento, perché secondo me è la maniera giusta. Gli ho detto sin dal principio, che quando siamo in nazionale siamo due atleti che gareggiano per un obiettivo. Quindi, a prescindere dalle condizioni in cui lavoriamo, dobbiamo dare il massimo. Lo sappiamo entrambi e riusciamo a farlo.
Tu hai fatto parte del gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre: credi che se lo fossi ancora, quei 7 decimi che vi hanno diviso dalla medaglia ai mondiali di Rio sareste riusciti a limarli?
Io penso con la massima serenità che la medaglia fosse alla portata, se si fosse investito sul mezzo meccanico come in ogni disciplina e se avessimo avuto il tempo di prepararci al meglio. Con più ritiri e investendo su noi stessi, avendo davanti la possibilità di andare a un’Olimpiade. Se fossi rientrato nel gruppo sportivo subito dopo i mondiali di Glasgow, forse in Brasile la medaglia sarebbe arrivata, dato che in qualifica eravamo a due decimi e mezzo dall’argento. Il tempo c’è, il valore è quello. Ci manca solo la rifinitura finale, considerando che ci sono grandissimi step e grandissimi margini di crescita dati da aspetti oggettivi, che possono essere modificati con un minimo di sforzo da parte di tutti.
Quindi cosa ti auguri quando le Paralimpiadi saranno concluse?
Che l’UCI vari subito i nuovi calendari e si possa riprendere a lavorare, avendo davanti un quadriennio per arrivare a Los Angeles nel modo migliore. Allenarsi nelle pause del lavoro non è facile, considerando che altri fanno solo gli atleti. Se la domenica gareggi e il giorno dopo vai in ufficio, non riesci a recuperare. E se ti alleni la sera dopo il lavoro, ci arrivi già stanco. Nonostante tutto, devo ringraziare il mio Istituto che mi permette di farlo. Lo fai quando sai che ne vale la pena, con la consapevolezza che significa togliere dalla propria vita ogni altra cosa. Per un’Olimpiade ha senso. Ma noi non siamo come gli altri atleti che se non corrono su pista hanno la strada. Noi abbiamo solo la pista. E in questo momento quello che fa paura è il vuoto che vediamo davanti.