Una piscina, Pantani e il giorno che conoscemmo Borra

15.05.2025
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Iniziava il lockdown, l’Italia si stava chiudendo e Matteo Moschetti era ancora nel piccolo appartamento che un amico di Fabrizio Borra gli aveva messo a disposizione per la riabilitazione dal secondo incidente.

«Mio figlio e mia moglie lo accompagnavano avanti e indietro – raccontò Fabrizio – e anche a fare la spesa. E’ un peccato non essere riusciti a finire il lavoro perché a un certo punto è dovuto andare a casa, ma credo che anche quel poco gli abbia permesso di abbreviare la ripresa».

Eccome se glielo permise! Il Moschetti che quest’anno ha già vinto quattro corse e sta lottando al Giro è figlio di quel lavoro. Tanti corridori sono passati dal suo centro e tanti hanno continuato a farlo, trovando in lui la chiave per rieducazioni anche estreme e un amico capace di immensa empatia. Fabrizio aveva gli occhi buoni, spesso stanchi per il tanto lavoro, con lo stesso guizzo sul fondo quando trovava la via migliore. E allora diventava un vulcano. Un’intelligenza inquieta, di quelle che servono per fare la differenza.

Pantani e la piscina

La prima volta fu nel vecchio centro, quello in città, al piano terra di un palazzo con il parcheggio alle spalle. Ci aveva invitato Marco, perché eravamo curiosi di seguire il suo recupero. Lo trovammo che nuotava contro una corrente piuttosto energica, con la smorfia di quando in salita metteva in croce gli avversari.

Fabrizio Borra, così si chiamava il suo rieducatore, lo conoscemmo in quel giorno di fine 1995. Spiegò le fasi del lavoro e solo dopo che Pantani ebbe terminato la seduta, ci accolse nel suo ufficio. La nostra storia con lui iniziò quel giorno e non si è più fermata. Anche quando si parlò di offrire a Marco un ultimo appiglio, il viaggio in una sperduta comunità sudamericana, al tavolo di don Gelmini era seduto anche lui.

Trent’anni di chiamate e incontri. Certamente con un diverso grado di intimità rispetto a quello che di volta in volta riusciva a stabilire con i suoi atleti, ma sempre con presenza e voglia di aiutare. Perché questo faceva Fabrizio: aiutava e trasmetteva la sensazione che nessun risultato fosse impossibile. Era una persona buona: non puoi fare quel mestiere se non lo sei.

Da anni, Borra era l’anima gemella di Fernando Alonso. Con lui e Bettini tentò anche di costruire un team (immagine Instagram)
Da anni, Borra era l’anima gemella di Fernando Alonso. Con lui e Bettini tentò anche di costruire un team (immagine Instagram)

Un precursore assoluto

«Ci sei?». Non c’era discorso di Fabrizio Borra, soprattutto quando spiegava qualche concetto legato al suo mestiere, che non fosse frammentato da quell’intercalare. Voleva essere certo che capissimo e in certi giorni effettivamente la seconda domanda era necessaria. E anche la terza.

Si era formato alla scuola dello sport americano e aveva portato in Italia la concezione del corpo come un sistema unico e l’uso dell’acqua per la rieducazione, che inizialmente sparigliò le carte. Non ha mai smesso di studiare Fabrizio, né di rimboccarsi le maniche. Anche quando l’alluvione entrò nel suo nuovo studio e fece marcire anni di ricordi e impegno. Ripartì anche quella volta.

Per chi come noi visse la vicenda di Pantani, resterà sempre un eroe. Lo guardò. Lo guardò impegnarsi. E disse: «Può tornare quello di prima, non ho dubbi». C’era lui quando Marco entrò nella clinica del professor Terragnoli a Ome, in provincia di Brescia, e tolse i ferri dalla gamba. Era già risalito in bici senza dirlo a nessuno, anche con quel fissatore esterno. Il miracolo si era già compiuto.

«Avevamo già provato a mettere la cyclette in acqua – raccontò un giorno Borra, ridendo – ma desistemmo perché il grasso sporcava l’acqua. Allora nuotava, ma bisognava stare attenti che non entrasse acqua. Una volta trovammo la protezione piena fino all’orlo, ma al medico non dicemmo nulla…».

L’idea di Bernal

Una delle ultime situazioni di cui parlammo con lui in modo approfondito fu l’incidente di Bernal. Eravamo certi che se Egan fosse passato fra le sue mani, il recupero sarebbe stato ben più rapido e incisivo. Invece la Ineos decise di seguire la strada colombiana e di fatto sono passati tre anni prima di poter rivedere Egan vicino ai suoi livelli.

«Non è tanto il fatto di rimetterlo prima o dopo sulla bici – disse Borra nell’interessante intervistace lo puoi mettere anche dopo 30 giorni, l’accortezza è che sia dritto. Quando hai tante fratture e così tanti traumi di quel tipo, che coinvolgono anche gli organi interni, bisogna guardare l’equilibrio muscolo-funzionale. Non so come stiano lavorando in Colombia, mi auguro che non abbiano guardato solamente l’aspetto osseo o l’aspetto della medicina interna, ma che abbiano misurato e valutato gli equilibri muscolo-funzionali. Cioè che la muscolatura abbia ripreso a lavorare in modo corretto. Penso che la Ineos Grenadiers, avendo creato un nuovo modello del ciclismo, sia attenta a questo aspetto».

Fabrizio Borra se ne è andato a 64 anni. Ha collaborato con un numero immenso di atleti, il mondo dello sport lo ricorderà a lungo
Fabrizio Borra se ne è andato a 64 anni. Ha collaborato con un numero immenso di atleti, il mondo dello sport lo ricorderà a lungo

Che fortuna averti incontrato

Lo avrete già letto e sentito. Fabrizio Borra non c’è più, portato via da un tumore scoperto un anno fa. La notizia è caduta dall’alto e si è propagata attraverso il mondo del ciclismo come uno tsunami per il quale nessuno era preparato. E siccome Fabrizio non era uno che chiamasse e preferiva starsene in disparte, soltanto ora tanti guardano l’ultimo messaggio senza risposta e ne capiscono il perché.

Sono decine gli atleti che gli hanno detto grazie e continueranno a farlo. Campioni, personaggi e persone comuni che hanno perso un punto di riferimento. Non conosciamo direttamente la sua famiglia, come i corridori che in questi giorni lo hanno ricordato. Ma nell’esprimere ovviamente vicinanza, perché il vero riferimento l’hanno perso soprattutto loro, ci teniamo stretta una frase pronunciata da suo figlio Daniele.

«Ci hai insegnato la lealtà, l’onestà e l’amicizia e in famiglia c’eri sempre anche quando non c’eri. Alla mamma penseremo noi e l’ameremo come tu ci hai insegnato a fare. Che fortuna averti avuto, papà».

Che fortuna, Fabrizio, averti incontrato sulla nostra strada.

Bergamo, incontro esclusivo con Cataldo che riparte

20.04.2023
5 min
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Dario Cataldo scende dall’auto, lato passeggero, con un busto che gli sostiene il tronco e una stampella che lo aiuta a reggersi in piedi. Poggia sul braccio destro e i pochi metri che percorre per entrare nel negozio Trek di Lallio (Bergamo) paiono un Mortirolo. Lo avevamo lasciato riverso sul fianco sinistro, tronco e capo su un marciapiedi, dal bacino in giù sulla carreggiata di Sant Feliu de Guíxols, sede d’arrivo della prima tappa del Giro di Catalogna. Era appena volato a terra a quelle velocità che i corridori tengono per preparare una volata.

Oggi, a un mese esatto di distanza, cammina e accenna a qualche sorriso rispolverato grazie ad una di quelle sette vite di cui sono dotati i ciclisti.

Dario, come stai?

Bene, considerando tutto quello che ho passato e per il fatto che questa caduta non dovrebbe lasciarmi postumi permanenti per il futuro.

La diagnosi esatta quale è stata all’ospedale di Girona dove sei stato portato dopo la caduta?

Ho fratturato femore, clavicola sinistra e setto nasale. Poi: schiacciamento di sei vertebre, di cui tre operate con iniezioni di cemento. Ho perso il conto delle costole rotte: sicuramente tre nella parte posteriore e una davanti. Ma la cosa più pericolosa è stata il doppio versamento nei polmoni, in ospedale mi è stato detto che ho rischiato la vita.

Riavvolgiamo il rullino, cosa ti ricordi della caduta?

Stavamo viaggiando fortissimo. Un gruppetto di corridori si è spostato sulla destra, io ero dalla parte opposta per cui pensavo di essere al sicuro e invece li ho visti venire verso di me. Uno me lo sono trovato sotto le ruote e ho avuto solo quella frazione di secondo per capire che stavo cadendo.

L’incontro con Cataldo si è svolto presso il Trek Store di Lallio, a Bergamo
L’incontro con Cataldo si è svolto presso il Trek Store di Lallio, a Bergamo
E poi?

Ho in testa ogni istante, sono sempre stato lucido. Vedevo sangue colarmi sul viso, ma non capivo da dove venisse. Sono rimasto diversi secondi senza respirare e a quel punto mi sono spaventato davvero, ma ho cercato di stabilizzarmi. Sono riuscito, sollevandomi un poco, a riprendere respiri corti, ma è stato uno sforzo che mi ha causato un dolore lancinante. Mi sono mosso col bacino e ho capito di essermi rotto il femore. Mi sono mosso con le braccia e ho capito che anche la clavicola era andata. Non riuscivo a togliermi un macigno che sentivo nel petto, poi mi hanno spiegato che era appunto il versamento nei polmoni. La lucidità mi ha consentito però di evitare guai peggiori. Al primo medico che mi ha soccorso ho tracciato il mio quadro clinico ed è rimasto colpito, pensava che fossi già più di là che di qua. 

Poi, la degenza. Quanto è stato complicato non essere in Italia ad affrontarla?

Non molto. Parlo molto bene lo spagnolo per cui le conversazioni erano semplici e lo staff medico è stato sempre gentile e disponibile. Sono rimasto lì 10 giorni, poi mi hanno trasferito al Niguarda di Milano per altri interventi e anche lì sono restato ricoverato 10 giorni.

E adesso, cosa prevede il piano di recupero?

Andrò a Forlì una decina di giorni dove inizierò la riabilitazione con Fabrizio Borra. Inizieremo a fare la conta dei danni più “atletici” e quindi a stabilire le tappe per recuperare fisicamente. Spero, entro maggio, di recuperare tutte le funzioni motorie e potermi rimettere in sella per poi allenarmi tra giugno e luglio e tornare in gara magari a settembre. Questa è la mia visione più ottimistica, ma bisognerà pensare giorno dopo giorno.

I colpi che hai preso ti costringeranno a rivedere la tua messa in sella?

Spero tanto di non doverla modificare, conto sul fatto che sarà il corpo a rimettersi in sesto per stare bene con l’assetto mio. La cosa complicata di un nuovo assetto, sarebbe ritrovare il mio equilibrio, il che allungherebbe il pieno recupero.

E mentalmente? Quanto è difficile rimanere lontano dalle corse?

La prendo con filosofia perché poteva andare peggio. E’ obbligatorio essere ottimisti.

Guardando alle corse, quali sono gli obiettivi di Trek-Segafredo quest’anno? 

Uno degli obiettivi top è il Giro. Pedersen punta alla maglia a punti, sta andando fortissimo e il team ci tiene particolarmente. Anche Ciccone sta dimostrando di essere in forma. Ho sempre sostenuto sia un corridore da classifica generale nelle grandi corse a tappe e quest’anno ha avuto uno step di miglioramento molto importante che passa da una maturità maggiore. Legge meglio la corsa, sa gestirla con più consapevolezza e ha meno stress. Io penso debba crederci.

Al suo primo anno in Trek, nel 2022, Cataldo ha scortato Ciccone al Giro d’Italia
Al suo primo anno in Trek, nel 2022, Cataldo ha scortato Ciccone al Giro d’Italia
In generale è un’epoca d’oro per il ciclismo, zeppa di campioni. Quanto è bello e quanto difficile correrci insieme e contro?

E’ difficile, le corse ormai le vincono sempre gli stessi. Si va talmente forte che non c’è più margine per gli outsider, la giornata buona e la fortuna non servono più. E’ anche bellissimo correre e guardare questo ciclismo, vedere da vicino i vari Van der Poel, Ganna, Van Aert, Pogacar è incredibile perché sono atleticamente fenomenali. La cosa che più colpisce però non è tanto vederli come sono strutturati, quanto lo stile e la facilità con cui pedalano: danno un senso proprio estetico di strapotere.

Bernal in bici è davvero un miracolo? Per Borra no…

30.03.2022
8 min
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Ci sarà davvero da stupirsi del ritorno di Bernal in bicicletta? Non sarà che il sensazionalismo a mezzo social rende tutto eccessivo, per cui il fatto che Egan abbia rischiato la vita rende miracoloso un ritorno che in realtà di miracoloso non ha niente? Alla fine di questo articolo sarà evidente la differenza nell’approccio tra chi legge le notizie, noi compresi, con quel pizzico di dovuta paura e compassione e chi sugli atleti infortunati e apparentemente spacciati opera da anni.

Ne abbiamo parlato con Fabrizio Borra, uno che nel 1995 rifiutò si parlasse di miracolo quando rimise in bici Marco Pantani e che da allora ha lavorato con decine di corridori, piloti di Formula Uno, quelli della Moto Gp e da stasera, per non farsi mancare nulla, è con Fiorello per un concerto a Padova. Del siciliano e di Jovanotti è amico e ne segue spesso le performance.

Fabrizio, il ritorno di Bernal in bici è così sorprendente?

Se non sbaglio dall’incidente sono passati due mesi e rotti, no? Quindi siamo nei tempi giusti. Se guardiamo alla guarigione ossea, la forchetta è di 6-8 settimane. Quelli sono i tempi standard, che tu abbia una frattura oppure 20. Per cui in bicicletta vai a metterlo anche prima. Non aspetti le 8 settimane, addirittura lo metti in 5-6. Se guardo tutte le mie casistiche, una volta che l’osso ha fatto il primo strato di callo, la bicicletta aiuta a vascolarizzare meglio, per cui diventa una parte rieducativa. Per questo aspetto è nei tempi.

C’è un però?

Se oltre a quelle fratture ha avuto anche delle problematiche su qualche articolazione, questo chiaramente non lo sappiamo. Però se va in bicicletta, credo che il problema non ci sia. Ho visto un paio di immagini su internet, lui ha il vantaggio che la sua struttura è molto snella, non ha un fisico tanto importante muscolarmente. Questo sicuramente è a suo favore. Il punto non è tanto rimetterlo in bicicletta…

E qual è?

Ce lo puoi mettere anche dopo 30 giorni, l’accortezza è che sia dritto. Quando hai tante fratture e così tanti traumi di quel tipo, che coinvolgono anche gli organi interni, bisogna guardare l’equilibrio muscolo-funzionale. Non so come stiano lavorando in Colombia, mi auguro che non abbiano guardato solamente l’aspetto osseo o l’aspetto della medicina interna, ma che abbiano misurato e valutato gli equilibri muscolo-funzionali. Cioè che la muscolatura abbia ripreso a lavorare in modo corretto. Penso che la Ineos Grenadiers, avendo creato un nuovo modello del ciclismo, sia attenta a questo aspetto.

Le foto di Bernal di nuovo in bici sono spuntate sul suo profilo Twitter
Le foto di Bernal di nuovo in bici sono spuntate sul suo profilo Twitter
Che impressioni hai?

Guardando quelle immagini, sembra messo abbastanza bene. Bisognerà però vedere la risposta quando comincerà ad aumentare i carichi e l’intensità. Ho un po’ seguito il suo percorso attraverso i social. Ho visto che lo hanno messo sul cicloergometro e poi subito in acqua. Da quello che ho potuto vedere, mi è sembrato un percorso moderno, idoneo. Insomma, mi stupirei se non andasse già in bici. Resto un po’ stupito dalle reazioni, la gente si fa dei viaggi sulle tempistiche.

L’impatto emotivo è stato forte…

Se le fratture vertebrali avessero compresso o creato qualche sofferenza a livello nervoso, quindi qualche area muscolare fosse limitata, allora i tempi sarebbero più lunghi. Il recupero del nervo è lento e soggettivo, ma da quello che ho percepito Egan non ha avuto delle sofferenze del genere. L’esempio più elementare è quando ha avuto una frattura al braccio Marc Marquez, quello della Moto GP. Il suo problema è che ha avuto una sofferenza al nervo radiale del braccio: con quel problema, la moto non la guidi. Ma se non hai questa problematica, una volta recuperate le fratture, poi si tratta di rimettere la muscolatura in assetto e ritrovare una condizione atletica decente. Abituare il corpo a certe sollecitazioni. Diciamo altri 2-3 mesi? Vuol dire che in 6 mesi sei di nuovo in gruppo.

La testa conta tanto?

La testa come sempre incide almeno per il 70 per cento. E’ lei che decide tutto, a patto di avere anche l’equipe giusta che ti segue e la fortuna che il trauma vada nella direzione giusta. A queste condizioni, la testa fa la differenza, allo stesso modo in cui potrebbe crearti dei problemi se non ha le giuste motivazioni. Poi è chiaro che a lui è andata bene. Se avesse impattato in modo leggermente diverso, se la frattura spinale si fosse portata dietro un pezzo di midollo, adesso sarebbe sulla sedia a rotelle. Però una volta che non è successo e la vertebra si è saldata, tu sei come prima.

Egan Bernal sui rulli, marzo 2022: si parlava già di miracolo (foto Twitter)
Egan Bernal sui rulli, marzo 2022: si parlava già di miracolo (foto Twitter)
La schiena sarà ugualmente elastica?

Il livello di elasticità della colonna lo vedi con la prova dei fatti. Ci sarà tutta una seria di adattamenti e di normalizzazioni, ma oggi su questi aspetti si lavora bene. Quando hai dei bravi terapisti, anche l’articolazione bloccata si riesce a gestire. Guardate la bruttissima frattura che ha avuto Matteo Moschetti al bacino. Non è che quel trauma non sia stato bruttissimo e non abbia coinvolto la colonna. Però è stato operato bene da un chirurgo bravo, che l’ha mosso il giorno stesso. E lui dopo 40 giorni era già sui rulli. Non è stato un miracolo, ha fatto le cose giuste.

Parve un miracolo quello con Pantani, ma perché in anticipo sui tempi…

Anche lì si trattò di fare la cosa giusta, che per i tempi sembrò abbastanza miracolosa. Era un percorso nuovo per l’Italia, ma già in uso negli Stati Uniti. Questo fa parte della medicina, che va sempre verso nuove frontiere. Io semplicemente, avendo girato, ebbi la capacità di venire a conoscenza di certe metodiche che stavano arrivando nel mondo rieducativo. Quindi in Italia su Marco sono stato forse il primo, ma non mi prendo il merito. Ho solo capito che quella strada fosse un grande step di sviluppo, come poi è stato. C’è continua evoluzione oggi nella rieducazione. Quello che abbiamo fatto su Moschetti due anni fa è stato reso possibile dalle conoscenze attuali e da una struttura con le tecnologie necessarie. Vedi il caso della Goggia…

Prima delle Olimpiadi invernali?

Esatto. La sua ripresa non è stata un miracolo. Tecnicamente è stato bravo il suo staff a fare le cose giuste nel momento giusto. Si è rotta il perone, che non è un osso portante. E ha avuto una piccola distrazione di un legamento del crociato già operato, quindi che non era il suo legamento naturale. L’entità del trauma non era così importante. Ma resta il grande lavoro che hanno fatto su di lei, perché in quei casi è più facile peggiorare la situazione. E poi è stata grande la sua testa, avendo accanto due o tre figure brave e intelligenti, che l’hanno fatta muovere subito evitando che il sistema neuromuscolare si… addormentasse. Oggi c’è un bel gruppo di rieducatori italiani, che nella medicina sportiva ha tanto da dire. Ai congressi ci sono tanti colleghi bravi.

Anche per Bernal si parlava del rischio di atrofizzazione.

Quando parliamo di inibizione neuromuscolare, intendiamo questo. Quando hai un trauma, cosa fa il corpo? Tende a proteggere quella zona e lo fa togliendo… corrente. In questo modo, usando meno la parte dolorante, la proteggi. Il muscolo però si atrofizza, per cui alla fine il segreto è di lavorare aggirando il trauma, affinché il corpo non crei queste difese e mantenga la muscolatura efficiente.

La testa, dicevi…

La Goggia è stata brava a rimettersi gli sci e tornare a fare quella curva, come in Formula Uno o Moto Gp la prima cosa che fanno è ripetere la curva in cui sono usciti. L’incidente di Bernal non dipende da una curva sbagliata o da un cedimento mentre era sotto sforzo. Lui aveva la testa bassa e ha preso un pullman, avrà meno condizionamenti mentali al momento di ripartire. Bernal non ha la memoria del trauma.

Però il suo rientro andrà seguito bene…

Guardo anche il percorso di Remco Evenepoel. Anche lui è rientrato bene, ho seguito su Instagram tutto il lavoro che hanno fatto in Belgio nel centro che lo ha rieducato. Però uno dei limiti del ciclismo è che quando torni in bicicletta, poi hai finito. Si mette in secondo piano il lavoro di riatletizzazione. Esci dal centro educativo e vai su strada, stop. Nel calcio e nel basket si fanno invece congressi su come creare questa fase di riatletizzazione e dentro c’è anche il supporto psicologico. Nel ciclismo invece il rieducatore smette di seguirti, vai in ritiro solo col massaggiatore e ricominci a inseguire la prestazione. Poi però succede che, come Remco e Froome, capiti di dover interrompere la bici e tornare in palestra.

Allenamenti con gli amici e passeggiate con la compagna Maria Fernanda Motas
Allenamenti con gli amici e passeggiate con la compagna Maria Fernanda Motas
Cosa diresti a Bernal?

A Bernal direi di non voler per forza bruciare le tappe e di tornare quando è sicuro di essere a posto, ma non in termini di watt, quanto piuttosto della vera efficienza fisica, curandosi che il corpo non metta in atto delle compensazioni che poi incideranno sulla performance.

Gilbert, Evenepoel e Froome: qualcosa su cui riflettere

01.04.2021
5 min
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In una lunga dichiarazione piena di tristezza dopo il ritiro dalla Gand-Wevelgem, Philippe Gilbert ha annunciato che si sarebbe preso un periodo di stacco per analizzare la situazione e capire per quale motivo fosse già sfinito e la sua condizione non crescesse.

«Penso che il recupero dall’infortunio al ginocchio – ha detto – mi abbia tolto un’enorme quantità di energia. Il fatto che il corpo dovesse guarire da solo ha richiesto molta più energia di quanto avremmo potuto immaginare. Ho lavorato duramente per provare a tornare e ho fatto grandi progressi dopo il ritiro di gennaio, ma forse è stato un po’ troppo veloce. Ora sto pagando per questo».

Philippe si era fratturato la rotula al Tour del 2018, volando giù da una curva nella discesa del Portet d’Aspet. Lo scorso anno, ugualmente in Francia, si è rotto lo stesso ginocchio nella maxi caduta del primo giorno a Nizza. Era il 30 agosto.

Borra ha seguito anche una bella fetta della carriera di Fernando Alonso in Formula Uno
Borra ha seguito anche una bella fetta della carriera di Alonso

Come Remco

Lo stop di Gilbert ci ha fatto pensare a quello di Remco Evenepoel. Ricordate quanta voglia di rientrare dopo la frattura del bacino? I tempi bruciati. Il ritiro di dicembre in Spagna tirato come per correre. Poi invece un altro stop, così lungo da fargli saltare l’intera primavera. E così ci siamo chiesti se sia possibile che a certi livelli non si riescano a gestire l’infortunio e la rieducazione con tempi certi. Lungi da noi prendere a esempio il mondo del calcio, ma certi campioni sono seguiti come meritano?

Per chiarirci le idee ci siamo rivolti a Fabrizio Borra: un vecchio amico e soprattutto un grande rieducatore di scuola americana, al cui fianco seguimmo passo dopo passo la rieducazione e la ripresa di Marco Pantani. Dato che il romagnolo lavora anche nel basket, nella Formula Uno e in parecchi altri sport, avremo l’occasione di valutare alcune abitudini del ciclismo.

La prima frattura della rotula Gilbert la subì al Tour del 2018
La prima frattura della rotula Gilbert la subì al Tour del 2018
Come si gestiscono la convalescenza e il recupero di un atleta infortunato come Gilbert?

Si fa fatica ovviamente a trovare delle regole generali. Ci sono tre punti. Il primo è stabilire cosa si possa fare durante la rieducazione. Quindi valutare la fase di riatletizzazione, cioè il passaggio dalla riabilitazione allo sport. Infine la ripresa della preparazione. Sono fasi di cui nel ciclismo si tiene poco conto. Mentre ad esempio nel calcio, sono codificate perché oltre alla capacità di correre, ad esempio, c’è da curare la rieducazione al gesto tecnico. Chi rieduca nel ciclismo dà per scontato che da un certo punto in poi sia sufficiente risalire in bicicletta. Come è successo probabilmente con Evenepoel.

Che cosa si dovrebbe fare invece?

Bisogna capire le caratteristiche specifiche dell’atleta e dello sport. Durante la rieducazione va preparata la base perché si possa tornare al gesto motorio corretto, affinché quando un giorno l’atleta tornerà in bici, possa pedalare correttamente. Ma se lo rimetto in sella e per vari motivi usa una gamba più dell’altra, si creano dei compensi che non ti puoi permettere.

Approfondiamo il gesto motorio corretto?

Il corpo ha memoria del trauma e magari anche dopo la rieducazione, qualche muscolo continua a lavorare in modo improprio. Per ricreare lo schema motorio corretto si comincia dalla rieducazione, poi c’è la delicata fase della riatletizzazione, che deve essere graduale. E nel frattempo cerco di capire dai numeri se il corpo mi sta seguendo nel percorso che ho disegnato per lui.

Nella caduta al Lombardia, Evenepoel ha riportato la frattura del bacino
Nella caduta al Lombardia, Evenepoel ha riportato la frattura del bacino
Quali numeri?

Si fanno valutazioni giù dalla bici, valutando la qualità del reclutamento neuro-muscolare e se ci sono inibizioni neuro-muscolari. Partendo da questa base, la ripresa del lavoro atletico deve essere bilanciata ed efficiente. E’ la fase in cui il rieducatore parla con il preparatore. Rialzarsi e montare in bici è nella natura del ciclista, ma c’è una finestra temporale, che nel ciclismo è il mondo di nessuno, in cui si deve fare il raccordo fra rieducazione e preparazione. Anche in bici ci sarebbe da curare il gesto tecnico, invece si fanno bastare i dati del potenziometro per valutare la spinta delle gambe e ad esempio smettono di osservare la risposta della parte superiore del corpo.

Per questo con Pantani si ricominciò a pedalare in acqua?

Esattamente ed è quello che nel nostro centro si fa ancora. Ti metto in acqua, elimino la forza di gravità e impedisco che ci creino dei compensi. Se invece riparti senza essere a posto e magari vai anche a correre, perdi ogni equilibrio. I compensi vengono portati all’estremo e anche se l’ortopedico ha fatto il miglior lavoro possibile, rischi che non sia servito a niente. Con Marco non fu possibile tornare alla perfezione solo perché la gamba era rimasta più corta di un centimetro e dovemmo studiare soluzioni alla luce di questo.

Quindi lo sfinimento di Gilbert?

Potrebbe essere dovuto al fatto che a un certo punto sia tornato in bici senza essere del tutto a posto. Il suo corpo ha attivato compensi che lo hanno portato a spendere troppo. Si è trasformato in una macchina che lavorava con troppi attriti. Mentre la vera cosa da fare era resettare completamente il corpo.

In California, presso il centro high-Performance di Reb Bull, Froome ha resettato il suo corpo
Per Froome in California un supplemento di rieducazione
E come si fa?

L’atleta va valutato giù dalla bici per capire se ci siano situazioni migliorabili e poi si passa a determinare la posizione più efficiente in bici. Se invece riparti, poi sposti le tacchette, aggiungi il plantare, alzi il manubrio e sposti la sella, stai sicuro che entri in un incubo. Sapete quanti corridori mi sono arrivati al termine di questo calvario?

Perché succede?

La mia percezione è che quella finestra di passaggio di cui abbiamo parlato venga sottovalutata. Gli schemi motori sono dei file preorganizzati e quando ho un infortunio, gli equilibri cambiano. Se monto in bici, sapendo che la bici ha 5 punti fissi (la sella, i 2 pedali, le due mani), costringo il corpo a raggiungerli. Ma se si lavora con un rieducatore che conosce il ciclismo, si evita di creare le memorie che provocano conseguenze difficili da superare.

In parte è successo anche a Froome, che è rimontato subito in bici, invece in California durante l’inverno alla Red Bull lo hanno resettato…

Era la cosa da fare subito. L’atleta giovane risponde più in fretta di quello meno giovane, ma il risultato si raggiunge lo stesso. E pensate che adesso la ricerca lavora sulla plasticità cerebrale proprio per valutare anche i tempi di risposta.

Fabrizio Borra, Fernando Alonso 2012 (foto Motori Online)

Borra, l’angelo custode di Moschetti

28.11.2020
4 min
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Fabrizio Borra saltò fuori nel mondo del ciclismo tra il 1995 e il 1996. Caschetto nero, slang mezzo americano sull’accento romagnolo, raffiche di mille parole al secondo. Ma soprattutto mise le mani su quello che un tempo era insieme un amico ferito e il messia del ciclismo italiano: Marco Pantani nei mesi successivi all’incidente di Torino. I pomeriggi con loro nel vecchio centro di Forlì a fare rieducazione in acqua riempivano gli occhi. E anche se quelle immagini sono rimaste negli archivi di un tempo, nulla potrà portarsi via il ricordo e il rapporto costruito negli anni.

L’uomo delle stelle

Da allora Borra è diventato una sorta di salvatore degli atleti feriti e intanto si dedicava alla preparazione fisica di Jovanotti, prima dei concerti, e allo stato di forma di Fernando Alonso, quando lo spagnolo era ancora un riferimento in Formula Uno (i due sono insieme nella foto d’apertura di Motori Online). Rimase persino… impigliato nella squadra che Alonso avrebbe voluto fare con Paolo Bettini, ma questa è un’altra storia.

Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Matteo Moschetti un caffè nel giorno di riposo della Vuelta a Vitoria
Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Moschetti, un caffè alla Vuelta nel giorno di riposo

Arriva Moschetti

Più recentemente di Borra abbiamo parlato con Matteo Moschetti, reduce a sua volta dalla frattura dell’acetabolo del femore destro rimediata il 7 febbraio all’Etoile de Besseges. E quando, riferendosi sua rieducazione, Fabrizio ha detto che non fosse niente di troppo complesso per un ciclista, ci è venuta voglia di chiamarlo.

«A livello clinico ero guarito – aveva detto Moschetti – però mi mancava la condizione per tutte quelle settimane immobile. Non ho dolori, manca un po’ di forza e ho la sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affatichi più del sinistro».

Comanda la testa

Borra va subito al sodo. Per cui dopo averci raccontato l’evoluzione nel mondo della riabilitazione, con gli europei che hanno superato i maestri americani, spiega perché a Moschetti è andata tutto sommato bene.

«Quando si subisce una frattura come quella – dice – e poi si riprende, il rischio è uno solo: che il corpo netta in atto quelle famose compensazioni che lo spingono a sostenere con la parte sana il carico di quella ferita. La sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affaticasse più dell’altra deriva proprio da questo. Non si tratta di un fatto ortopedico, perché nel frattempo la scienza è andata avanti a studiare certi fenomeni. Ed è venuto fuori, come si era sempre intuito, che il vero problema sia a livello del cervello. Banalizzando, è la testa che determina certe compensazioni. Per cui quello che si è fatto con Matteo è stato essenzialmente impedire al suo cervello di farci lo scherzetto».

Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Borra a Forlì che si chiama entro Fisiology
Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Forlì

Tempi eroici

La rilettura dell’intervista di Moschetti assume ora un altra sfumatura. Soprattutto laddove il milanese parla delle attenzioni osservate alla Vuelta, nel fare stretching per curare il bilanciamento fra destra e sinistra. Prima di finire fuori tempo massimo per pochi secondi Villanueva de Valdegovia, settima tappa.

Borra sorride, perché quel tipo di lavoro glielo ha suggerito lui, non potendo completare il lavoro in palestra.

«E’ stato però buono poterlo seguire dall’inizio – riprende – perché di fatto è arrivato che non camminava. E’ salito sui rulli e poi è tornato a pedalare sotto stretto controllo. Intanto era quasi marzo e l’Italia iniziava a chiudere. Un mio amico gli aveva prestato un piccolo appartamento vicino al Centro e mio figlio e mia moglie lo accompagnavano avanti e indietro e anche a fare la spesa. E’ un peccato non essere riusciti a finire il lavoro perché a un certo punto è dovuto andare a casa, ma credo che averlo preso prima che quegli adattamenti si verificassero ha permesso di abbreviare la sua ripresa. Quello che gli è mancato è stato semmai un problema di preparazione, ma l’attenzione al fatto che restasse simmetrico gli ha permesso di rientrare. Ormai rispetto a tante tematiche siamo super avanti. Il lavoro con Marco, la stessa attenzione a evitare posture scorrette, il lavoro in acqua… mi rendo conto che eravamo davvero dei pionieri. Oggi quello che una volta si faceva in modo quasi empirico è molto più schematizzabile. Per questo ho parlato di un infortunio serio ma non impossibile da gestire.

Dopo l’ultimo controllo di una decina di giorni fa, ci ha scritto Moschetti: Borra gli ha detto che è dritto e pronto a iniziare il lavoro invernale. E allora che l’inverno abbia inizio…

Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020

Moschetti, all’inferno e ritorno…

10.11.2020
5 min
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La strada per Villaneuva de Valdegovia è un calvario di salite e pioggia e Moschetti, staccato in fondo, sta litigando con la bicicletta. I velocisti sono già lontani. Anche Romain Siegle della Groupama-Fdj, con cui Matteo ha condiviso qualche chilometro, se ne è andato. A breve il francese deciderà di salire in ammiraglia, però Matteo non lo sa. Non gli sembra giusto mollare e così tira dritto. L’ammiraglia scandisce i tempi e stima il tempo massimo su una media di 42 orari. Sembra fatta. Ma quando il corridore della Trek-Segafredo taglia il traguardo, la media di Michael Woods che ha vinto è di 41,980. Per 20 metri dopo 159,7 chilometri, la Giuria applica una percentuale minore e i 41 minuti di ritardo mettono il lodigiano fuori tempo massimo.

Matteo Moschetti, Trofeo Playa de Palma 2020
Il 2020 di Moschetti era iniziato con due vittorie a Palma de Mallorca
Matteo Moschetti, Trofeo Playa de Palma 2020
Il 2020 iniziato con due vittorie a Mallorca

«Mancavano 100 chilometri quando mi sono staccato – racconta Moschetti – era una giornata pessima. Prima senza gambe e poi anche la testa. In quei momenti ti passano tanti pensieri. Sensazioni negative. E’ frustrante, demotivante. Ti rendi conto che sei ultimo a ore dai primi. Però quell’ultimo tifoso che ti dà una voce dopo che il gruppo è passato da un quarto d’ora ti fa amare quello che stai facendo. Fa parte del ciclismo. Ma per me questo non è stato un anno normale…»

Un anno duro

La memoria va indietro. La caduta del Giro 2019 e il ritiro. La frattura dello scafoide dopo neanche un mese. Il ritorno vincente ai primi del 2020 e le due vittorie a Mallorca sembrano aver scacciato tutti i fantasmi. Moschetti è il futuro delle volate e forse anche delle classiche. Non lo vedi alla Roubaix? Ne ha il fisico e potrebbe già essere pericoloso alla Sanremo…

L’aria di inizio stagione è frizzante, l’Europa non coglie ancora la portata del dramma in cui sta per piombare quando di colpo, nella terza tappa dell’Etoile de Besseges, ecco un’altra caduta. Più seria, questa volta. Frattura dell’acetabolo del femore destro. Un colpo durissimo per il corpo ed il morale, con il lockdown di mezzo a congelare ogni sensazione.

«Ora sto bene – racconta – ho ricominciato a correre a fine luglio come gli altri. A livello clinico ero guarito, però mi mancava la condizione per tutte quelle settimane immobile. Non ho dolori, manca un po’ di forza e ho la sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affatichi più del sinistro. I dottori dicono che serve tempo, ma inconsciamente mi sarebbe piaciuto tornare subito a un buon livello e non è stato facile per un agonista come me prendere atto del fatto che non ce la facevo. In pianura okay. Nelle corse dure dove già avrei faticato, una pena».

Arriva il lockdown

Una rieducazione semplice, accenna Fabrizio Borra che l’ha raddrizzato, niente di troppo complicato per un ciclista. Certo, se pensi a quando in quella piscina lavorava Pantani con una gamba spezzata, tutto il resto viene dopo. Eppure Matteo era lì che soffriva, stringeva i denti e intanto sperava.

«Siamo stati quasi un mese – racconta – a coordinare il bilanciamento. Non conoscevo Fabrizio e mi sono molto stupito entrando nel suo studio, nella sua… gardaland. Ma col tempo l’ho scoperto, abbiamo vissuto insieme la fase iniziale del lockdown. Iniziavano le restrizioni nella zona di Lodi, poi il Centro ha iniziato a svuotarsi e siamo rimasti in quattro, cinque. E alla fine, quando l’Italia era ormai tutta chiusa e prima che anche io scappassi verso casa, eravamo rimasti Fabrizio, la sua famiglia ed io».

Matteo Moschetti, Nokere Koerse 2019
Nel 2019, fresco di passaggio nel WorldTour, aveva debuttato al Nord
Matteo Moschetti, Nokere Koerse 2019
Nel 2019, debutto al Nord

Voglia di fatica

Si tende a dimenticare e per questo, scorrendo i risultati di Moschetti, si potrebbe essere tentati di bocciare la seconda parte della sua stagione, contandone soltanto i ritiri.

«Rianalizzando il tutto – riprende Matteo – è stato bello già solo essere tornato. Sapevo che il percorso della Vuelta era durissimo, ma l’obiettivo era terminare la stagione con più corse nelle gambe. Volevo correre, fare qualche sforzo in più, anche se sono venuto a casa a malincuore. Ogni giorno tanta fatica e poi i massaggi. Non sempre c’era con noi l’osteopata, ma andava bene essere trattato normalmente. L’unica cosa, ho fatto delle sedute leggere di stretching ogni giorno per curare il bilanciamento fra destra e sinistra. I giorni più duri sono stati quelli con l’umido e col freddo. Sarà un inverno classico, lavorando di più sui piccoli aspetti che ho tralasciato durante la chiusura della scorsa primavera. Che poi… Quello che ci è pesato è stato non poter uscire. Poterlo fare adesso sembra un lusso. In fondo la vita del corridore è semplice, bicicletta e poco altro. Vabbè, qualcuno si lamenta delle vacanze che non ha potuto fare, ma si sta bene anche a casa».

Matteo Moschetti, tricolore strada Cittadella 2020
Ai tricolori di Cittadella, stringendo i denti in salita
Matteo Moschetti, tricolore strada Cittadella 2020
Ai tricolori, stringendo i denti in salita

Venerdì il via libera

La bici tornerà intorno al 20 di novembre, per un inverno che da un lato minaccia di essere lungo e dall’altro ti fa pensare che siamo già a metà novembre.

«La prossima stagione – dice Matteo – dovrebbe iniziare a febbraio, quindi non c’è tanta ansia di bruciare le tappe. Mi hanno consigliato di restare fermo per due settimane e mezzo, ma dalla fine della prossima settimana comincerò anche a correre a piedi. E anche quello sarà un passaggio delicato. Il chirurgo me l’ha detto che l’obiettivo era sì tornare in bici, ma anche riavere una vita normale. Quindi camminare e correre. Me ne andrò per i boschi intorno casa, in questo novembre di zona rossa che però da casa mia sembra meno duro di marzo. Ci sono le restrizioni, le tocchiamo con mano, ma il fatto di accompagnare mia sorella a scuola rende tutto più normale. Venerdì sarò da Borra per l’ultima verifica e sarà un momento fondamentale. Poi potrò cominciare a recuperare il lavoro e impostare il 2021».