Lo ha detto ieri Lorenzo Carera: prima l’unico procuratore fra le donne era Perego. Poi è nato il WorldTour e sono arrivati anche loro. Perego è lo stesso che seguiva Nizzolo e la Paternoster e che lo scorso inverno, più per ripicca che convinzione, decise di candidarsi alle elezioni federali. Di mestiere fa il promotore finanziario e fra le sue più recenti operazioni di ciclomercato c’è la firma di Vittoria Guazzini con la Fdj-Nouvelle Aquitaine (foto di apertura).
Se è vero che lui c’era anche prima, perché non chiedergli di disegnare il suo punto della situazione?
«Lavoro con le donne dal 2018 – dice – ed è vero che l’Italia è un’eccezione. Le straniere hanno gli stessi manager degli uomini e ci sta che con il WorldTour anche la mia categoria inizi a metterci il naso, lo stanno già facendo. Ma in Italia con le donne è molto più difficile. Non puoi prenderne 60 e sperare che qualcuna venga fuori, quei numeri non ci sono e perché il mercato non assorbe così tanto. La Movistar ha un’italiana. La Sd Worx idem. La Bike Exchange ne ha una. La Fdj ne ha due…».
Com’è fatto l’ambiente delle squadre?
Nelle grandi trovi gli stessi manager degli uomini, per cui ad esempio alla Movistar c’è Unzue e alla Bike Exchange c’è Copeland, mentre altrove ci sono nomi diversi. Nelle squadre più piccole, sono spesso abituati a trattare con le ragazze. Un po’ come i team manager di alcune professional italiane, che quando trova il procuratore vede rosso. E’ un mondo più chiuso.
Hai detto che i numeri non ci sono.
Devi prendere le forti, ma si contano sulle dita di una mano. Poi vai a pescare fra le giovani, che però hanno 18 anni e non danno garanzie. Ci può essere la Barale che va al Team Dsm, altrimenti la loro destinazione sono la Valcar, la Fassa Bortolo, la BePink, le continental italiane. E serve il procuratore per portarle lì? Che cosa vai a chiedergli in termini di soldi?
Non stai parlando di squadre tanto piccole…
Hanno un ruolo importantissimo, ma anche un periodo da capire. L’arrivo di team come la Cofidis e le altre che cominciano passerà per un anno da continental, a meno che non trovino una licenza WorldTour da comprare. Di conseguenza si riducono i posti per le continental alle corse, perché è chiaro che certi squadroni avranno la precedenza e così per avere gli inviti si dovranno comprare ragazze con i punti. Ma potrebbe succedere che a questo punto in Belgio inviteranno le squadre belghe e in Francia le francesi, che non hanno bisogno magari di hotel e rimborsi. Per cui se le squadre italiane non entrano nell’ottica di trasformarsi in vivai, altrimenti avranno vita complicata.
Lo stesso problema che hanno le continental fra gli uomini.
Lo stesso problema, che a volte investe anche le professional.
Quindi?
Quindi il lavoro eccezionale della Valcar di questi anni, ad esempio, rischia di perdersi. La ragazzina migliore dopo un po’ va via, soprattutto se c’è il procuratore che la offre allo squadrone.
E poi c’è la questione dei corpi militari.
Un problema che si aggiunge. Nel momento in cui verrà riconosciuto il vero professionismo alle ragazze, alcune di loro saranno chiamate a fare una scelta importante. E in quei frangenti io farò un passo indietro e spero lo facciano tutti i miei colleghi. Perché è vero che la vita agonistica di una ragazza è potenzialmente più lunga di quella di un uomo, ma è anche vero che si tratta di una scelta di vita. E poi c’è l’aspetto formale.
Che sarebbe?
L’atleta è del Corpo Militare per cui è tesserata, per cui con loro bisogna parlare, trattare, discutere. Se provi a escluderli, possono benissimo mettersi di traverso e non puoi farci niente. Stabilire che l’atleta farà le 5-6 corse all’anno con loro e poi metterla in servizio. E’ chiaro che anche loro hanno a cuore il successo sportivo, ma ricordiamoci che le migliori sono con loro.
Che tipo di concorrenza c’è fra voi del ramo?
C’è chi parla del suo lavoro e chi spiega il modo in cui agisce e perché lo fa. E poi c’è chi parla male del lavoro degli altri. Ci saranno certamente degli sgambetti. Anzi, ci sono già stati…
Con Silvia Persico e il suo diesse Arzeni, scopriamo il campionato italiano donne di domenica. La loro Valcar infatti questo inverno era stata in ritiro da quelle parti
Una pausa dopo il cross e Alice Maria Arzuffi ha riattaccato il numero sulla schiena. Debutto mercoledì al Brabante, domani Amstel, poi Freccia e Liegi
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C’è da capire, usando il linguaggio crudo della strada, se la grande attenzione dei 4 candidati alla Presidenza Fci verso cicloturisti e amatori nasca da un nobile fine o non sia piuttosto il modo di arrivare alle loro quote associative. In ciascuna delle interviste pubblicate nei giorni scorsi a Dagnoni, Isetti, Martinello e Perego (in ordine alfabetico) la battuta comune di ognuno era: «Vanno proposte attività vere e non considerarli dei bancomat».
Dato che continua a sembrarci insolito, se non per ambiti ristretti, che una Federazione affiliata al Comitato Olimpico debba destinare risorse agli amatori, ci siamo rivolti a chi con loro lavora da anni e lo fa anche bene, per capire se ci siano margini di manovra. E così abbiamo suonato nuovamente alla porta di Emiliano Borgna, responsabile nazionale di Acsi Ciclismo (in apertura sulla sinistra, alla presentazione della Marcialonga). Nel 2019, l’Acsi aveva 53.000 tesserati, 1.900 società affiliate, 1.200 eventi organizzati, 80 Gran Fondo. Abbiamo parlato con lui per capire se ci siano margini di collaborazione con la Fci, lasciando a ciascuno il proprio ruolo e ottimizzando le risorse.
Buongiorno Emiliano, ci dicesti di aver parlato con Martinello durante l’estate, ci sono stati altri contatti?
Con nessuno, nulla. Probabilmente si sentono di un’altra dimensione, che poi da un punto di vista normativo è vero. Vediamo quando entrerà in vigore la riforma dell’ordinamento sportivo, se ci saranno compiti più definiti. Sul fronte degli amatori, la situazione degli ultimi anni è a favore nostro e di altri Enti, perché loro hanno poca attività.
Perché siete così forti e perché per la Fci sembra tutto così difficile?
Abbiamo snellito molto la macchina organizzativa, cerchiamo di aiutare le società ad organizzare i loro eventi. Di là questo non c’è e per contro hai delle tasse gara parecchio elevate, anche perché per tanti anni non c’è stata attenzione verso il mondo amatoriale e sono rimasti indietro, avendo però probabilmente degli altri obiettivi. Ci sono stati anni ibridi, in cui si poteva credere all’agonismo amatoriale, quando si erano raggiunti degli estremi di esasperazione. Ma ora, anche grazie al Covid, le cose si sono normalizzate. Gli eventi sono fermi oppure parteciparvi è difficilissimo. La gente però ha continuato a fare sport, lo dicono anche i dati sui sinistri. E qui è nata la nostra idea di Kom You.
Che cos’è?
Lo spunto per dare un obiettivo alle persone, perché la situazione sarà ancora questa per alcuni mesi, speriamo pochi, e poi la ripresa avrà comunque incertezze e criticità. Così abbiamo ideato una challenge che dia ai praticanti lo stimolo per allenarsi, anche perché gli ultimi eventi virtuali, potendo comunque uscire in strada, hanno avuto un bel calo di partecipanti. Si affrontano le più belle salite italiane, seguendo due filoni. Puoi farne il maggior numero oppure ricercare la prestazione, con la classifica che viene stilata tramite condivisione della propria attività su Strava. Possono partecipare tutti, non solo i nostri tesserati. C’è tanta gente che ha cominciato, vestiti come capita, con bici inizialmente improvvisate. Sono nuovi tesserati per allargare il bacino e non restringerlo ai Veterani over 40, che hanno la stabilità economica per comprare le bici e pagare le iscrizioni.
La caccia ai neofiti è anche nei programmi dei quattro candidati…
Quando nacque il discorso delle convenzioni, per cui lo sport si faceva tramite gli Enti di promozione in collaborazione con le Federazioni, noi fummo i primi a firmare, non per soggezione, ma perché credevamo in una possibile collaborazione e ci crediamo ancora. Poi hanno raffrontato i numeri dei tesserati e i discorsi sono finiti. Non vedo nella Fci un competitor, lo sono semmai gli Enti che non organizzano eventi e non hanno costi che fanno campagna di tesseramento fra le mie società a prezzi stracciati. Con Fci siamo mondi diversi, si potrebbe trovare benissimo un punto di incontro.
Si parla di gare di giovanissimi legate alle Gran Fondo.
Si potrebbe sfruttare la logistica dell’evento amatoriale e abbattere i costi per gli organizzatori che da quando le gare regionali sono diventate nazionali, sono aumentati. Ma potremmo collaborare anche al di fuori delle gare.
In cosa?
La realizzazione di ciclodromi in cui fare tutti attività. Gestire l’attività di base, ad esempio nelle scuole o con i disabili. Queste cose le fanno gli Enti, non le Federazioni. Loro hanno tutto codificato con i riferimenti normativi del Coni, specialità per specialità, ma un modo per portare le persone in bici si trova. Se fai attività di giovanissimi ed esordienti alle Gran Fondo, eviti anche di far andare i ragazzini sui furgoni malmessi di certe società. Vanno alle gare con la famiglia, il papà fa la sua Gran Fondo e i bambini la loro corsa. E’ anche il modo di condividere lo sport in famiglia.
Lo fate già?
In alcuni eventi come la Marcialonga, il sabato si fa l’evento dei bambini ed ha una partecipazione eccezionale. La Gran Fondo dovrebbe essere l’atto finale di una festa di famiglia.
E se la Fci viene a prendersi i bambini, proponendo loro la tessera?
Benvenga. Noi non possiamo fare agonismo con i bambini fino ai 13 anni, prima si fanno attività ludico-promozionali. E’ giusto che i piccoli facciano attività federali. Se diventano Nibali, siamo tutti contenti. Se non lo diventano, magari vengono da noi come amatori.
Cordiano Dagnoni è il terzo candidato alla presidenza Fci. La sua idea è gestire la federazione come un'azienda. Ci cono vantaggi e sponsor da agganciare
Fabio Perego è il quarto candidato, quello che nessuno si aspettava, se non altro perché è stato impegnato fino all’ultimo nelle elezioni per il Comitato regionale lombardo. Poi, sconfitto, ha scritto il secondo programma: questa volta per la Presidenza federale.
Se i candidati vanno pesati per il curriculum, di sicuro Martinello è il primo della classe come atleta, ma Perego lo è indubbiamente per i ruoli ricoperti. Atleta e tecnico. Organizzatore e politico. Forse per questo, a detta dei delegati che nelle ultime settimane si stanno concedendo interminabili call su piattaforma digitale, Fabio è quello capace di dare risposte nello specifico.
Il Direttore Generale
Il programma è stringato: 11 pagine condensate, che fanno trapelare le idee chiare e assieme il poco tempo avuto per stilarlo. Per leggerlo è sufficiente cliccare al link precedente, mentre vogliamo soffermarci su un paio di punti che hanno richiamato la nostra attenzione. Primo fra tutti il fatto che Perego sia l’unico a proporre la figura del Direttore Generale. A sgombrare il campo, la battuta che circolava era che Di Rocco avrebbe appoggiato chiunque gli avesse garantito quel ruolo. Perego ride e comincia.
«Sono l’unico che l’ha tirato fuori – dice – perché sono convinto che sia necessario. Il Direttore Generale può anche essere la stessa figura del Segretario Generale, perché alla fine sono molto vicini, però deve avere determinate caratteristiche. E’ una figura di coordinamento che per il raggiungimento degli obiettivi è fondamentale. Non può fare tutto il Presidente. Il Direttore Generale è una figura più completa, è quello che verifica il raggiungimento degli obiettivi, le varie commissioni, le varie componenti del Consiglio Federale. Se si tornasse a quando ognuno dei componenti del Consiglio aveva una propria competenza e un budget da gestire, sarebbe giusto anche che ci fosse una figura di coordinamento che verifichi l’andamento delle cose e riferisca al Presidente. Un direttore generale d’azienda è una figura di coordinamento ma anche di controllo.
Giudici di gara
Un aspetto su cui puntano sia lui sia Martinello è quello della riqualificazione dei Giudici di gara e dei Direttori di corsa.
«Se la Commissione dei giudici di gara e il suo Presidente non fossero nominati dal Consiglio Federale – dice Perego – ma all’interno della categoria, già avremmo un problema in meno. Si parla di autonomia, i giudici devono lavorare in autonomia perché non devono subite alcun tipo di influenza. Troviamo un sistema di elezione, ma nessuno potrà dire che il tale giudice è lì perché è amico di qualcuno. Tenete presente che i giudici non votano e tenete presente che la meritocrazia non sempre vince. La prima cosa è ridargli autonomia e poi forse alcune norme vanno riviste. Una è quella sul limite massimo di età: a 70 anni vai in pensione. Conosco persone che a 70 anni che sono meglio di quelle di 50. Per cui porterei il limite a 75 anni, valutando i singoli casi, in modo che i più esperti diventino una risorsa per i giovani, soprattutto all’interno delle Commissioni regionali. E poi c’è il limite dei 50 anni per prendere parte ai corsi di formazione. Io ho 54 anni e non potrei fare il giudice? Quel limite non va bene. Se anche recluti ragazzi giovani di 18-19 anni, dopo un po’ te li portano via e ti trovi senza giudici».
Direttori di corsa
I Direttori di corsa portano sulle spalle la responsabilità (anche penale) della carovana. E’ vero che è prevista un’assicurazione, ma è vero che un conto è dirigere una gara in pista, altrsa cosa portare in giro nei paesi gruppi di ragazzini.
«Queste persone vanno assolutamente formate – dice Perego – devono essere consapevoli di quello che stanno facendo, del loro ruolo. E quando in questo ruolo si raggiunge una certa professionalità, è giusto che in qualche modo si venga retribuiti, perché hanno delle responsabilità davvero importanti. Hanno bisogno di una tutela legale. Dovrebbero partecipare agli incontri con i Prefetti, col capo della Polizia. Per sicurezza e gestione della gara è il Direttore che comanda. E lui che dice fermiamo la gara o attraversiamo un fiume».
I tricolori
Un capitolo a parte del suo programma verte sugli standard organizzativi delle gare titolate: i campionati italiani su tutti. E’ possibile si chiede Perego che ciascuna prova tricolore, nello stesso anno, abbia standard differenti?
«Io farei come in altre federazioni, in Francia e in Belgio – dice – con una commissione (anche solo di 3 persone) che ha un capitolato tecnico a garanzia di uno standard organizzativo omogeneo almeno alle gare titolate. Ogni anno si organizzano decine di gare di campionato italiano, facciamo che i backdrop per le interviste siano omogenei? Che i palchi siano fatti allo stesso modo per montare pannelli pubblicitari di dimensioni concordate? Non è possibile avere un’organizzazione a Usmate e una a Trento. Agli sponsor devi vendere pacchetti uniformi. Ai tricolori di cross a Lecce hanno fatto tutto quello che potevano e anche di più. Potevano gestire meglio la zona box, sicuramente potevano fare meglio e ci sarebbero riusciti se la Federazione gli avesse mandato la sua commissione per dargli le linee guida. Diventa anche più facile perché alla fine la Federazione può mettere di mezzo i suoi fornitori e offrire le professionalità con cui lavorerà in modo continuativo».
Il fuoristrada
Il fuoristrada rappresenta più del 50 per cento dei praticanti. E come Martinello si sta circondando di personaggi che ne sono l’espressione, anche Perego drizza le antenne.
«Il fuoristrada secondo me – dice – occupa il 70 per cento dell’attività, insieme al Bmx. Il bimbo di 6 anni non lo porto in pista, lo porto con la Mtb regalata dal nonno al bike park di Usmate. Dobbiamo ripartire da qua, da questo progetto e far crescere i ciclisti di domani. Dobbiamo riprendere tutta l’attività e riportarla dove si può farla. Dove ci si può muovere. Ormai anche le stradine secondarie sono delle tangenziali. Mia moglie, che ha sposato uno che va in bici e che vive quasi di ciclismo, quando passa una volta all’anno una gara davanti casa e la fermano per 10 minuti mentre vuole andare al bar per fare colazione, perde la pazienza e dovreste sentire come sbotta. E qui entra in ballo il tema della sicurezza.
«Se andate sul sito della Federazione c’è una tessera, creata per la gente che usa la bici per andare al lavoro, messa lì come mille progetti buttati senza esser seguiti. Quelli che usano la bici per spostarsi in città possono diventare tesserati. Se noi diamo loro in primis una garanzia assicurativa, poi delle convenzioni con il meccanico, sconti sui vestiti, sconti su vacanze in bike hotel… Sono dati che nessuno sta guardando, ma si traducono in numeri che si possono vendere. La Federazione sul territorio c’è, ma devi lasciar lavorare i singoli Comitati».
Enti di promozione
Infine il movimento cicloturistico e quello amatoriale. Le Gran Fondo come volano per l’attività giovanile, i grandi al servizio dei piccoli. Secondo una strategia comune anche agli altri candidati. Con la differenza che Perego valta anche la collaborazione con gli Enti di promozione turistica.
«Si può fare la guerra che vuoi – dice – ma gli Enti sono emanazioni dirette di Confindustria e altri colossi. Di fatto devi trovare un sistema per collaborare e lavorare insieme. Il primo è uno standard di sicurezza e già quest’anno mi pare che abbiano obbligati ad avere il direttore di corsa. Dobbiamo sederci a un tavolo e trovare la quadra. Se gli dai appeal e gli dimostri qual è la differenza, allora riesci a portare a te i loro tesserati. Ma se continui a pensare che gli amatori siano dei bancomat, non funziona. Devi dare i servizi. Anche i Comitati provinciali ti aiutano ad organizzare, ma certo abbiamo costi di affiliazione molto superiori. Probabilmente perché loro non hanno nemmeno un carrozzone come il nostro da portarsi in giro».
Marketing e comunicazione
I dipendenti servono, ma bisogna che rendano per quello per cui sono pagati.
«Non è possibile che agli europei o ai mondiali della pista – dice Perego – la foto dell’azzurro che vince la medaglia venga dal cellulare di un addetto stampa. Non è possibile che la Fci non abbia un contratto con un fotografo che dopo 8 minuti ti mandi la foto di Ganna campione del mondo. La comunicazione e il marketing devono essere esterni, per bando, ma devono funzionare. E se non funzionano, si cambia. A noi serve uno standard di un certo tipo. La Uec è una società piccola, ha il suo fotografo, il suo operatore. Bisogna uscire dalla dimensione del volontariato…».
Cordiano Dagnoni è il terzo candidato alla presidenza Fci. La sua idea è gestire la federazione come un'azienda. Ci cono vantaggi e sponsor da agganciare
La Lombardia è spaccata e dall’assemblea regionale che ha portato all’elezione di Stefano Pedrinazzi salta fuori a sorpresa la candidatura di Fabio Perego, il candidato sconfitto, alla Presidenza nazionale della Fci. Abbiamo sentito diversi commenti sul gesto del tecnico brianzolo , ma siccome è troppo facile ricondurlo alla ripicca per la mancata elezione, abbiamo provato a vederci chiaro, nel momento in cui si registrano in tutte le regioni repentini cambi di corrente, maglia e ideologia.
«Non è una ripicca – dice Perego – mi sono accorto proprio all’assemblea regionale che di fatto ci sono poche idee vere. Chi ha vinto ad oggi non ha una squadra, non ha ancora formato le commissioni, siamo fermi. Ha prevalso ancora una volta la politica del voto di scambio e io ci ho lasciato le penne. Dagnoni sa che come Lombardia non avrei sposato a prescindere la sua candidatura. E così si è spostato di là, con l’idea di continuare a guidare il Comitato regionale con un Presidente senza grande esperienza e con il comprensibile contributo di suo fratello, diventato vicepresidente vicario».
Classe 1966, promotore finanziario, Perego è sposato e ha un figlio di 21 anni. Dopo aver corso in bici essendo stato anche per cinque anni azzurro su pista, è diventato direttore sportivo di 3° livello. Ha guidato team femminili e juniores, fino a diventare tecnico regionale della pista e poi anche della strada. E’ stato Vicepresidente Vicario del Comitato regionale ed è Presidente dimissionario del Consorzio Velodromo Dalmine. La sua candidatura si aggiunge appunto a quelle di Cordiano Dagnoni, Silvio Martinello e Daniela Isetti.
Perché non avresti sostenuto Dagnoni? Era il presidente uscente, avete lavorato insieme negli ultimi 10 anni…
Per questo gli avevo chiesto di sostenermi. Se avessimo fatto una campagna con Cordiano a Roma e io in Lombardia, avremmo fatto male a tanti. Quando non lo ha fatto, gli dissi che avrà pure avuto i suoi motivi, ma io a quel punto mi sarei sentito libero di fare la mia gara, puntando a fare grande la Lombardia e senza sposare la sua candidatura prima di conoscerne i contenuti (a tutt’oggi ancora riservati). Forse proprio questa chiarezza mi si è ritorta contro. Adesso però di fatto la Lombardia è spaccata.
Hai sentito dire che dietro Dagnoni probabilmente ci sarebbe la regia dell’attuale Vicepresidente federale Rocco Marchegiano?
So che sta lavorando per lui, dicono in giro che voglia fare il presidente ombra. Se Silvio Martinello ci mette la faccia e va avanti diritto, se Daniela Isetti ci mette la faccia e va avanti diritta, perché non dovrebbe essere così per tutti?
Fino a un mese fa avresti immaginato uno scenario come questo?
Nemmeno per sogno. Ero convinto di avere un supporto importante in Lombardia per fare quello che avevo in mente. Ma ora la regione è spaccata. So che fra i 39 grandi elettori che votano per il Presidente, molti sono con me, non avendo gradito la manovra che mi ha privato all’ultimo momento dei voti necessari per la Presidenza del Comitato regionale lombardo. Chiaro che se li chiamo, tutti mi diranno di andare avanti, ma lo so che non è così. Sto correndo da solo e sono partito per ultimo, quindi è una gara a handicap. Devo capire se effettivamente potrò dire la mia. Oppure, parlando con i candidati, se sarà più opportuno appoggiare uno di loro.
Non era meglio avere una Lombardia compatta per indirizzare il voto nazionale?
Non ho ancora parlato con gli altri candidati, ma se succederà, parlerò come fossi il presidente della Lombardia. Perché vederla così smembrata è un dispiacere. Una regione che ha il 25-30 per cento del movimento nazionale poteva incidere molto di più. Mi fa sorridere il presidente di Bergamo che nella sua assemblea, rivolto al sottoscritto, ha detto: «Auspico che fra 4 anni ci sarà una Lombardia unita, perché quest’anno non siete stati capaci». Non siamo? E’ il presidente che comanda, spetta a lui la gestione politica del Comitato non ai vice o ai consiglieri (ma era comunque l’avvisaglia di come si sarebbe comportato al momento di votare): è questa la sua gestione? Con 39 voti nostri, più quelli che saremmo andati in giro a negoziare, Cordiano avrebbe vinto con un grande vantaggio.
E così ti sei candidato…
Mancano quasi due mesi, mi sto dando da fare. Entro il 10 gennaio si dovranno presentare i programmi. Se devo spendere un grazie, lo faccio per Di Rocco, per quello che ha fatto. Ma se oggi vuoi cambiare qualche cosa, non puoi farlo con chi di fatto ha lavorato per anni direttamente o indirettamente con l’amministrazione uscente. Io corro per me, voglio vedere dove posso arrivare. Non voglio assolutamente che sembri una ripicca. Sono uno del fare, più che uno della politica. E qua da fare c’è veramente tanto.
Silvio Martinello di nuovo in lizza per la presidenza FCI. I suoi concetti. L'analisi degli errori. Lo statuto da rifare. Obiettivo competenza e trasparenza
Giacomo Fantoni difenderà i colori azzurri della Bmx a Tokyo: unico qualificato. Poi smetterà di correre. Perché la fatica è uguale per tutti, il resto no
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