Si avvicina la settimana più importante per il ciclocross italiano, con la chiusura del Giro d’Italia il 6 gennaio a Sant’Elpidio e i tricolori del weekend successivo a Lecce, ma nell’ambiente ancora si parla della gara di San Fior, vinta da Dorigoni lo scorso 30 dicembre, e soprattutto della nuova uscita di Fabio Aru. Questa esperienza sui prati sta restituendogli il piacere di pedalare e questa è già una bellissima notizia, tanto che il sardo pensa di gareggiare anche alla rassegna tricolore pugliese, dopo l’inatteso debutto di Ancona. Tecnicamente però, queste sue prime uscite che cosa dicono?
Per Fabio Aru, a San Fior, nessun problema nei tratti pedalati (foto Billiani)Per Aru, nessun problema nei tratti pedalati (foto Billiani)
Un’opinione di peso può averla chi gli ha “pedalato contro”, chi ha condiviso con il neoacquisto della Qhubeka-Assos fango e sudore. In primis Jakob Dorigoni, che la gara trevigiana appunto l’ha vinta.
Il campione tricolore non si tira indietro. Appena terminato il quotidiano allenamento, esprime il suo parere sottolineando un punto a suo dire importante.
«Prima ancora che dal punto di vista tecnico – dice Dorigoni – la cosa che mi ha più colpito era la sua espressione. L’ho visto rilassato ma felice, come se avesse ritrovato il calore di una famiglia. Il ciclocross è così, ci dividono le squadre, ma per il resto siamo un gruppo unico e ora Aru ne fa parte. Si vede che il ciclocross per lui non è una cosa nuova, è chiaro però che 8 anni di lontananza si fanno sentire. Gli può mancare un po’ di pratica, come se fosse necessario levare la ruggine da certi meccanismi, ma è solo questione di tempo».
Dorigoni, sul podio di San Fior, un altro passo avanti verso il tricolore di Lecce (foto Billiani)Dorigoni, un altro passo verso Lecce (foto Billiani)
Hai avuto possibilità di vederlo all’opera, pur essendo tu davanti a tutti?
Certamente, mi sembra che migliori gara dopo gara. Non va dimenticato che, quando gareggiava negli anni giovanili, era anche molto bravo e non puoi certo dimenticare come si va in bicicletta… Sono convinto che gli servano solo tranquillità e tempo per ritrovare se stesso, anche nel ciclocross.
Fisicamente come lo hai visto?
Magro come sempre, nella parte superiore del corpo estremamente tirato e anche con qualche filo di muscolo in evidenza. Le gambe sono asciutte come quelle di chi ha già messo chilometri in cascina. Certamente c’è ancora molto da lavorare, ma la strada è quella giusta, almeno secondo me.
Fa bene a mettere i campionati Italiani nel mirino?
Fa benissimo, deve continuare a gareggiare, perché ogni occasione lo farà andare più forte, fa parte della crescita. Nel suo caso il risultato finale non sarà fondamentale, esserci invece sì.
Ma questo Aru, che ritrova la condizione e la coordinazione, inizia a diventare interessante (foto Billiani)Per Aru segnali di risveglio tecnico nel cross (foto Billiani)
Parliamo di Dorigoni: a che punto sei?
Mi sembra di star bene, di essere in crescita esattamente nella maniera che volevo, piano piano per essere al top quando servirà, a fine gennaio per i mondiali. So che è iniziato un mese importante e non sto lasciando nulla al caso.
Guardando le gare internazionali del periodo delle feste, ti è mancato avere l’occasione di qualche confronto diretto?
Sinceramente sì, mi avrebbe dato quel qualcosa in più, soprattutto come percezione del mio livello, mi avrebbe dato quel pizzico in più per arrivare al 100 per cento. Credo ormai che non ci sarà più occasione, conviene continuare sulla strada intrapresa, considerando anche le difficoltà negli spostamenti, e concentrare tutto sulla gara iridata.
Proviamo a esprimere un sogno: che tipo di clima e di percorso vorresti ai mondiali?
Fango o terreno secco non importa, ho solo un desiderio: che non sia freddo…
Svelato il marchio delle ruote su cui correranno i corridori del team sudafricano: HUNT. Modelli di alta gamma, marchio britannico, in vendita solo online.
Mikel Landa riparte e punta sulla Vuelta. Cercherà di dimenticare la sfortuna del Giro e di salire sul podio. Nessun dichiarazione però e i piedi per terra
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L’ultima volta, prima di oggi ad Ancona, fu il 15 gennaio del 2012 a Solbiate Olona: da allora Fabio Aru, diventato nel frattempo professionista, non era più sceso in una gara di cross. Il cittì azzurro Scotti ce lo aveva sussurrato a ottobre, incontrando qualche scetticismo che non abbiamo problemi ad ammettere. Ci disse che avremmo rivisto il sardo correre nel fango come ai vecchi tempi, così quando ieri è arrivata la conferma della sua presenza nel Cross di Ancona-Trofeo Le Velò, la prima cosa è stata chiamarli entrambi.
Fabio si stava dirigendo a Malpensa, dove si sarebbe incontrato con un suo ex compagno di squadra, Maurizio Anzalone, che ora fa il meccanico di bici a Lugano. Avrebbero noleggiato un van, caricato bici e idropulitrici, e assieme sarebbero scesi nelle Marche. Scotti invece era a casa, per il primo Santo Stefano senza cross della sua vita, pronto a partire a sua volta per Ancona.
Quarto all’arrivo, difficile immaginare per Aru un così bel ritorno nel cross (foto Passarini)Quarto all’arrivo: Aru è sfinito (foto Passarini)
«Mamma mia – dice Fabio, ritratto in apertura nella foto di Lanfranco Passarini – nel fuoristrada si fa fatica. Dura un’ora, ma quell’ora… Se vi dico i battiti medi che ho tenuto, non mi credete. Un fango mai visto. Poche volte ho corso con così tanta melma. Fino a ieri ha piovuto, oggi no. Per terra c’era argilla, buona per fare i mattoni. Ma mi sono divertito. L’accoglienza è stata super».
Numero uno
Lo hanno fatto partire con il numero uno: la gente del cross riconosce quelli con lo stesso sangue, anche se nel frattempo si sono allontanati. Al via c’erano corridori di peso, tanto che alla fine la vittoria è andata a Gioele Bertolini su Luca Pescarmona, suo compagno al Team Bramati, e su Stefano Capponi, a lungo nel mirino proprio di Aru, che ha dovuto accontentarsi del quarto posto. Risultato se vogliamo sbalorditivo, considerando che Fabio ha ricevuto le bici una settimana fa e le ha usate due volte. E che non ha fatto alcuna preparazione specifica, se non lunghe camminate nei boschi, percorsi con le ciaspole e uscite sulla gravel.
Come è andata?
Sono partito davanti – sorride – ma avendo tutto materiale nuovo, ho sbagliato ad agganciare il pedale e mi sono ritrovato subito in 15ª posizione. Il percorso era abbastanza tecnico per il rientro, però all’arrivo stavo quasi riprendendo il terzo. Mi sono divertito, è andata meglio del previsto. Alla fine, dopo tanti anni, pensavo peggio.
Vittoria ad Ancona anche per Lorenzo Masciarelli fra gli juniores (foto Passarini)Fra gli juniores, vittoria di Masciarelli (foto Passarini)
Cambiava qualcosa senza il fango?
Sarebbe stato sicuramente meglio. Vedremo martedì a San Fior. Non conta il percorso, ma il tempo. Pare ci sarà nevischio. Oggi cambiavo bici due volte a giro. Per Anzalone era la prima volta da meccanico in una gara di cross, anche se da corridore qualcuna l’ha fatta anche lui.
Anzalone, varesino classe 1985, entra nella stanza per fare il punto sulle bici, mentre Fabio ha le gambe infilate nei due grossi tubi neri del pressomassaggio con cui cerca di recuperare.
«E’ stata dura anche per me – dice Anzalone – non ero abituato. Meglio correrlo il cross. Ho il fango fino ai capelli».
Tutti per lui
Il programma prevede che restino insieme fino alla gara di San Fior. Per stasera dormiranno ad Ancona. E visto che domani qua il tempo mette bello, usciranno insieme in bici prima di fare rotta sul Veneto.
«C’erano tutti i miei mentori – sorride – c’era Cevenini da cui ho vissuto i primi tempi a Bologna. C’era Fausto Scotti e c’era pure Billo (Luigi Bielli, braccio destro di Scotti ed ex pistard azzurro, ndr). E’ venuto anche Olivano Locatelli». Quando gli diciamo che mancava soltanto Martinelli, aggiunge che in realtà Martino gli ha mandato un messaggio su Instagram. Attorno a questo ragazzo, ormai padre di famiglia, si respira tanto affetto.
Correrai altri cross?
Di sicuro San Fior e poi forse il Città di Cremona, il 2 gennaio. E’ vicino casa, vado in giornata. E poi a fine gennaio ci sarà il ritiro con la squadra, per cui magari ci sarà il tempo per altre gare. Avrei voluto iniziare il 20, ma non c’è stato il tempo. Mi è mancato qualcosa in fase di organizzazione e per avere il via libera dalle due squadre.
Ai piedi del podio, Aru con il 1° Bertolini, il 2° Pescarmona e il 3° Capponi (foto Passarini)Ai piedi del podio, Aru con il 1° Bertolini (foto Passarini)
La Uae sarà stata contenta di vederti con quella maglia, che era sparita dal ritiro del Tour…
Non lo so, ma mi scocciava finire il mio percorso in squadra con quel Tour, l’ho fatto anche per questo.
Soddisfatto di come è andata?
E’ una bella disciplina. Tutta la stagione sarebbe troppo in vista della strada, ma 6-7 gare sarebbero utili. Per come mi sono divertito oggi, ne farei ancora. Se così non fosse, non sarei andato via da casa, lasciando Valentina e Ginevra. Mi serviva qualcosa di diverso per ripartire. La routine è noiosa. Sono andato sulle ciaspole fino a pochi giorni fa, mi sono anche allenato su strada. Se oggi fosse stato troppo duro, non continuerei. Ho sempre avuto un’importante capacità di stare a tutta. E’ quella la fase in cui si fa la differenza. Queste gare sono importanti anche per certi fuorigiri.
Fabio Aru lascia capire che la parentesi del cross si chiude qui. Da questa settimana sarà in ritiro con la squadra per preparare la stagione su strada.
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Dopo aver partecipato al mondiale su rullo vinto da Osborne, il Pozzo si è messo nella macchina di sua moglie Valentina e da Lugano ha fatto rotta su Cosenza. Obiettivo: il caldo. In Svizzera nevicava da giorni e prima di andare sul Teide, qualche giorno in famiglia con tiepidi panorami italiani è quello che serviva. Gli interventi sono finiti. Gli antibiotici hanno portato via l’ultima infezione. C’è ancora tanta fisioterapia da fare per il braccio sinistro, ma la stagione può finalmente iniziare con un’impronta di normalità.
«Il fatto di recuperare il braccio al 100 per cento – sorride – è da dimenticare. Sono già fortunato ad averlo ancora qui con me. Ogni tanto mi accorgo di qualcosa che non riesco a fare o che sarebbe meglio fare con il destro, come sollevare una cassa d’acqua. Ma va bene così. In più la squadra si è salvata, anche se per l’impegno che ci stavano mettendo, speravo ce la facessero. Mi piaceva restare nel progetto di Qhubeka Charity. Mi ero mosso per cercare qualcosa, quando però era già tardi per cercare. Restare nel WorldTour era importante».
Sull’Etna, Pozzo con Fuglsang e Nibali: era una tappa alla sua portataSull’Etna, Pozzo con Fuglsang e Nibali: poteva vincere
Cambierà tanto con l’assenza di Riis?
Mi aveva voluto lui e mi aveva spinto a credere in me, sentirò la sua mancanza. Nei suoi confronti la mia stima è massima. La squadra è cambiata tanto. Alcuni se ne sono andati per scelta, altri non sono stati confermati.
Ti aspettavi di tornare così forte?
Avrei scommesso di tornare, ma a un certo punto qualche dubbio era venuto anche a me. Diciamo che cominciava ad affiorare. Quando i dottori mi dicevano che ero avviato verso un buon recupero e che avrei avuto una vita normale, io nella mia testa pensavo a quanto mi mancasse per tornare al Giro d’Italia.
Quanto è importante il gruppo di Lugano?
Tanto, soprattutto per chi come Vincenzo (Nibali, ndr) e me fa sacrifici da tanti anni. Avere stimoli nuovi ci aiuta. La fatica passa meglio, anche il tempo passa meglio. E quando non avresti voglia, il fatto che vengano a chiamarti e ti trascinino fuori è fondamentale. Ti fa superare i momenti difficili. Poi ci si trova anche al di fuori, ovviamente.
Sei contento dell’arrivo di Aru?
Sono contento innanzitutto per lui. Trova la situazione ideale per potersi rilanciare. Non avevamo tanti uomini di classifica al di fuori del sottoscritto, quindi avremo tutto lo spazio.
Non c’è rischio che vi pestiate i piedi?
Non siamo la Ineos o la Jumbo-Visma che porta cinque leader in ogni corsa a tappe, penso ci converrà dividerci per coprire tutto il calendario. Fabio è uno del gruppo di Lugano, si va d’accordo. Il gruppo in realtà è diviso fra quelli che vivono in centro come Vincenzo, Diego ed io e quelli più spostati verso il Mendrisiotto, come Fabio e Cataldo. Si parte ognuno da casa sua e ci si trova dopo una ventina di chilometri.
Allo Uae Tour di inizio stagione, per Pozzo seconda corsa dopo l’incidenteAllo Uae Tour, seconda gara del 2020 per Pozzo
Che cosa ti ha lasciato il Giro?
Grandissima soddisfazione, perché era esattamente quello che volevo. Non stavo lavorando per una vita normale, volevo di nuovo il vento in faccia e il fatto di essere lì in mezzo a lottare. Devo dire che al di là del piazzamento, è stato uno dei Giri che mi ha dato le soddisfazioni maggiori. Facendo la tara, potevo stare nei primi dieci e se a Sestriere non avessi avuto problemi meccanici, magari ci sarei riuscito. Considerando che, nei tempi normali, il Giro non avrei dovuto neanche farlo…
Vincere una tappa?
Per come si era messa alla fine, era abbastanza irrealistico. Forse sull’Etna, dove la condizione era già buona, ma la fuga ormai era imprendibile. Non ho rammarichi.
Come arrivi alla ripresa?
Lanciato e motivato. Spero non ci siano intoppi. Dopo questi giorni a Cosenza, andrò sul Teide, da solo o con i compagni fa lo stesso. Lo sai che sto bene anche da solo. E per il resto, dita incrociate e fiducia. Non mi sento vecchio, non avrei mai voluto smettere per un incidente…
C'è una polemica silenziosa attorno alla presenza di Aru al mondiale di cross. Il manager della Qhubeka ha dato via libera. I diesse no. Adesso parla Scotti
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Wahoo Fitness rafforza la propria presenza ai vertici del ciclismo. E’ stato infatti firmato un accordo triennale con il team Alé BTC Ljublijana, l’unica formazione italiana nel World Tour femminile.
Nel segno della tecnologia
La collaborazione con il con il team Alé BTC Ljublijana riguarderà in particolare i marchi Wahoo e Speedplay. Speedplay fornirà i pedali, mentre Wahoo fornirà ciclocomputer GPS, cardiofrequenzimetri e gli strumenti per lo smart training.
Gli strumenti messi a disposizione del team saranno i seguenti: Wahoo ROAM GPS Computer, Wahoo TICKR Heart Rate Monitor e Wahoo KICKR Smart Trainer.
Una Warm Up Zone, come per Ineos, che sarà allestita per il Team Alé BTC Ljubljana CipolliniAnche il Team Alé avrà la sua Warm Up Zone
Warm Up Zone dedicata
Esperienze positive sono state già sperimentate tra i professionisti con i team Ineos Grenadiers e Bora-Hansgrohe. Dal 2021, il team Alé BTC Ljubljana Cipollini sarà la prima formazione WorldTour femminile per cui Wahoo allestirà, alla partenza delle gare, una Warm Up Zone. Un’area protetta, dove le atlete potranno allenarsi e riscaldarsi in totale sicurezza con gli strumenti di smart training dati in dotazione al team dall’azienda americana.
Una sinergia completa
«Siamo molto contenti della nostra partnership con Alé BTC Ljubljana Cipollini – ha detto Mike Saturnia, CEO di Wahoo Fitness – per il 2021 siamo entusiasti di incrementare il nostro supporto. La scelta della squadra di utilizzare il nostro ecosistema completo di prodotti indoor e outdoor ci permetterà di lavorare in sinergia con le ragazze e con i tecnici sullo sviluppo delle prestazioni».
Alessia Piccolo, presidente di Alé BTC Ljubljana Cipollini sottolinea: «L’attività e i risultati del nostro team hanno sempre più rilevanza internazionale. Lavoriamo giorno dopo giorno per essere al top del nostro movimento. Ed è per noi motivo di orgoglio che dei brand americani di così grande prestigio abbiano scelto di sostenerci. Sono sicura che grazie al loro supporto, otterremo benefici sia dal punto di vista delle prestazioni e sia dal punto di vista dell’immagine. Non vediamo l’ora di iniziare insieme questa nuova avventura».
Fabio Aru lascia capire che la parentesi del cross si chiude qui. Da questa settimana sarà in ritiro con la squadra per preparare la stagione su strada.
Il tricolore di ciclocross Dorigoni parla di Aru e di come l'ha visto a San Fior, nella gara da lui vinta. «Ha lo sguardo di chi ha tritrovato la famiglia»
Un inverno di ricerche, poi il contatto con la Intermarche. La firma venerdì e da domani Pozzovivo correrà la Ruta del Sol. Ma che fatica arrivare a Malaga
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Questa notizia segna il primo e importante passo nel ristretto e ambito novero delle squadre WorldTour per HUNT. E’ ufficiale! Il brand inglese produttore di ruote di grandissima qualità (in vendita esclusivamente online) si schiera accanto al Team Qhubeka-Assos.
Le biciclette cambiano le vite: è lo slogan di Qhubeka-Assos, team WorldTour 2021Le bici cambiano le vite: lo slogan di Qhubeka-Assos
Aria di sfida
«A nome del nostro gruppo di lavoro – ha dichiarato Ollie Grey, il Brand Manager dei prodotti strada/corsa di HUNT – siamo davvero onorati di fornire un supporto tecnico così delicato ma al tempo stesso gratificante ad un team vincente come Qhubeka-Assos. La nostra azienda, che si chiama The Rider Firm, è composta da ciclisti appassionati e pertanto in modo particolare in questi giorni si respira un aria davvero entusiasmante. Con questa decisione abbiamo accettato una importante e stimolante sfida. Ossia quella di offrire il massimo livello di tecnicità e professionalità al servizio dello sport che così tanto amiamo».
Ruote veloci
«Sono davvero entusiasta di questa nostra nuova partnership con HUNT – ha dichiarato Douglas Ryder, il Team Principal Qhubeka Assos – nel loro esordio nel WorldTour. Le loro ruote hanno ricevuto ottime recensioni. E come azienda fanno tutto il possibile per cercare i migliori prodotti (date un’occhiata al modello 54 UD per disco con raggi in carbonio, per intenderci, ndr) con l’obiettivo di darci la migliore esperienza di guida possibile».
Luisa Grappone, veneta, Engineering & Product Manager di HuntLuisa Grappone, Engineering & Product Manager di Hunt
Cuore italiano
Vale la pena ricordare che nella sede centrale di The Rider Firm, nel Sussex in Inghilterra, batte anche un cuore italiano. Luisa Grappone, ingegnere (ex 3T e Campagnolo), campana e… ciclista come del resto tutto il giovane gruppo dirigente dell’azienda, ricopre oramai da qualche anno l’importante carica di Engineering & Product Manager HUNT. Complimenti!
Wahoo si affianca alla squadra di Alessia Piccolo con rulli, pedali e supporti di allenamento. Fornirà materiale e predisporrà la zona Warm Up in partenza
«Sulla strada ci sono cumuli di neve come in montagna – dice Aru – non ne ho mai vista tanta insieme. Anche Gasparotto che è qui da quasi dieci anni mi ha detto che così è la prima volta».
Felice e leggero come un bimbo per la firma con la Qhubeka-Assos, Fabio è rientrato da una ciaspolata di dieci ore. Dietro casa c’è un monte di 1.500 metri e assieme a Davide Orrico ha provato a raggiungere la vetta. Si sono arresi poco prima per le cattive condizioni del meteo e questo non gli è andato giù. Certe volte in montagna è bene non scherzare.
Con Ulissi (e dietro Nocentini) sul podio campionati italiani 2017Con Ulissi ai campionati italiani 2017
Le parole di Scinto
Mentre l’accordo era ormai in dirittura di arrivo, saputo della sua voglia di riscatto, hanno provato a conquistarlo Scinto, che per primo ha avuto l’idea, poi Reverberi e Savio. Uno con la sua storia vale l’investimento, perché poi si racconti quello che s’è fatto per rilanciarlo. La sensazione però è che Fabio non abbia mai voluto ripartire da una professional.
«Ho ascoltato tutti – dice – e le parole di Scinto mi sono piaciute. Ci sono stati amici che hanno provato a convincermi per altre soluzioni, ma l’accordo con l’attuale Ntt è arrivato prima che uscisse la notizia. Sono stati tanto in difficoltà. Lo sponsor li ha mollati senza preavviso. Tanti corridori sono stati lasciati liberi, il prossimo sarà un anno di ripartenza. Il primo step sarà l’incontro con i preparatori su Zoom. Faremo il ritiro a gennaio, ma qui in Ticino siamo un bel gruppetto, con Nizzolo, Pozzo e Simon Clarke. E l’opera di Qhubeka Charity è stata decisiva. Sono stato alcune volte in Madagascar, ho toccato con mano certi problemi e capire cosa ci sia dietro questa squadra mi rende orgoglioso».
Dieci ore in montagna con la neve al ginocchioDieci ore con la neve al ginocchio
Solo un anno
Il suo contratto ha durata di un anno e di più forse neppure sarebbe stato possibile, vista la situazione della squadra e tutto quello che Fabio dovrà dimostrare.
«Mi sta bene così – dice Aru – non è un fatto di soldi e credo che non avrei firmato per tre anni, dopo l’esperienza con la Uae. Non sai mai come ti trovi per un periodo così lungo e se va male liberarsi non è facile. Mi hanno convinto le parole di Douglas Ryder. Non quelle prima che firmassi, ma quelle dopo. Zero castelli in aria, ma grande entusiasmo per il progetto. Non lo conoscevo, sembra una persona davvero a modo. Mi ha anche detto che se volessi, sarei liberissimo di fare anche qualche gara di ciclocross. Michieletto da Scorzè mi ha già invitato. E la cosa onestamente mi stuzzica. Sarebbe un bel modo per ripartire su strada avendo già addosso qualche bello sforzo. Delle bici Bmc mi hanno detto tutti benissimo, soprattutto Pozzovivo con cui capita spesso di allenarsi. Assos ha ottimo materiale. Credo di aver fatto la scelta giusta».
Dopo i tre anni nerissimi alla Uae, si ripartirà dal fantastico 2017?Dopo i 3 anni in Uae, si ritornerà al super 2017?
Natale a casa
Fra una parola e l’altra sul ciclismo, entrano anche le battute sulla famiglia e presto si capisce il motivo per cui parli così piano.
«La bimba sta dormendo – dice Aru – stiamo cercando di darle degli orari più giusti, perché in certi giorni ci fa impazzire. Adesso si è addormentata, per questo parlo piano. Adesso c’è anche da capire cosa fare per Natale. Non riesco a scendere in Sardegna e nemmeno a Torino dai genitori di Valentina. Dovremmo andare prima del 20 dicembre e tornare dopo il 7 gennaio, ma mi sembra troppo. Spero che qua non continui a nevicare per tutto il tempo. Le strade sono pulite, ma per allenarmi ho anche la gravel. Non potrà andare avanti tanto a lungo, no? E per la palestra ho fatto un investimento. Ho quattro macchine in casa, riesco a fare tutto bene…».
Aru con Davide Orrico fin quasi alla cima del monteCon Davide Orrico quasi fino alla cime
Stima per Matxin
Non hai avuto paura di doverti accontentare? Il fatto di firmare così tardi può essere stato uno stress, certo minore tuttavia avendo la solidità economica per aspettare. Fabio ha spesso ribadito la seccatura verso chi in questo periodo gli ha fatto i conti in tasca, ma il fattore va comunque tenuto in considerazione.
«Non ho mai avuto questa paura – ribadisce Aru – anche se capisco che dicembre sia parecchio avanti. Avevo zero pensieri, perché sono stato vicino anche ad altre realtà. Lo avete visto, c’era anche l’Astana e prendo atto della nuova politica sui giovani. Per quello che so, Martinelli e anche altri sarebbero stati contenti di riavermi. Ma sono cambiate parecchie cose e va bene così. Quel che mi premeva era voltare pagina.
«Parlando della Uae Team Emirates, non posso usare la parola finalmente. E’ vero che sul piano delle prestazioni sono stati degli anni orribili, ma non ho avuto soltanto esperienza negative. Certo ho sbagliato alcuni passaggi, ma non l’ho fatto da solo. Già sono sardo, quindi chiuso. Capire di essermi fidato delle persone sbagliate, ha lasciato delle cicatrici. Per fortuna però ho incontrato anche degli uomini in gamba. Un nome su tutti è quello di Matxin, davvero una brava persona, che con me è stato eccezionale.
«Il primo anno fu un disastro per tante cose, ma rispetto ad allora l’ambiente della squadra è migliorato tanto. Da arrivare quinto al Tour con una tappa vinta e la maglia tricolore, a una stagione così brutta, qualcosa evidentemente non andava. E le ultime uscite dopo il mio ritiro dal Tour hanno confermato che non tutto è ancora ben chiaro. Perché Saronni ha usato quelle parole, che hanno messo in dubbio tutta la gestione tecnica e la scelta di portarmi al Tour?».
E’ parso anche a noi il modo di colpire altri, di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Segno di un equilibrio interno che ancora in certi momenti vacilla.
Un’ultima cosa, prima di lasciare voi alla domenica e Fabio e la sua gravel all’allenamento con Ulissi e Nibali. Stasera vedrete Aru nuovamente in diretta Instagram con Lello Ferrara. A modo suo, anche quel novello Pulcinella ha avuto un ruolo in questa storia.
Marcello Albasini entra in punta dei piedi nel ciclismo delle donne. Al UAE Team ADQ lo ha voluto Bertogliati suo allievo. Sua analisi del ciclismo femminile
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Era un giorno d’estate e nevicava… Ferrara si fa una risata dal volante dell’Eurocargo 180 e il viaggio prosegue. E’ partito alle 3,30 da Castelfranco e sta tornando indietro. Chiedeva di avere un attacco epico e un po’ assurdo come questo da almeno 15 anni e ormai non c’era più motivo di negarglielo. Perché a Lello non puoi dire di no. Per quello che s’è condiviso e quello che pensando a lui salta alla memoria. Per la sua storia sofferta di atleta, ma anche di marito e di padre. Adesso poi che s’è messo a impazzare su Instagram e chi non lo conosceva prima potrebbe pensare a un clown arrivato da chissà dove.
Così per fargli compagnia e anche un po’ giustizia, siamo saliti con lui per qualche chilometro d’autostrada.
Riserva ai mondiali di Salisburgo 2006Riserva ai mondiali di Salisburgo 2006
Come va, star del web?
Non c’è traffico, zona rossa. La gente lavora da casa.
Come va a te…
Ah, scusa. Bene. Vediamo se a gennaio si libera qualcosa. Si trova più a fare l’influencer in giro che a lavorare. Ma è un ambiente così, lo conosciamo. Finché funzioni va bene, poi tanti saluti. E quando uno come Vegni viene in diretta con me e mi dice che io sono più famoso di lui, qualche domanda su questo mondo me la faccio. Mi sono dato un anno di tempo. Poi stacco Instagram e tanti saluti.
Da dove viene questo amore per il ciclismo?
A me in realtà il ciclismo non è mai piaciuto, mi ha obbligato mio papà Domenico. Per fortuna. Avevo già preso la mia strada e so dove portava. Quelli della mia età sono tutti morti o in carcere. San Paolo sulla sua strada trovò il Signore. La mia bestia nera fu mio padre, che mise dei paletti e mi salvò la vita. Quando lui è morto nel 2009, per me è morto il ciclismo. Anche adesso, se non sono obbligato, la bici non la prendo. Ma il ciclismo mi ha permesso di imparare.
La prima gara a San Pietro a Patierno (senza audio) e la prima caduta: è il 1992
Che cosa?
Ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere dei giornalisti che mi hanno insegnato a parlare, leggendo quello che scrivevano. Ho imparato dalle persone più intelligenti di me. Dai dottori delle squadre in cui ho corso.
Perché tuo padre ti mise in bici?
Io volevo fare il calciatore e andammo a fare il provino, alla scuola del Napoli all’Albricci. Mio padre lo diceva che non ero tagliato, ma andammo e ci sentimmo dire quello che lui sapeva già. Che con il pallone non c’entravo niente, ma che mi facessero fare uno sport di resistenza, perché non mi ero mai fermato. E così venne la famosa gara di San Pietro a Patierno, il mio paese. Quella in cui caddi e da cui cominciò tutto.
Con Franco Ballerini durante la trasferta preolimpica a Pechino (foto Instagram)Con Ballerini a Pechino (foto Instagram)
Se non ti piaceva, perché fare per tanti anni il corridore?
Perché avevo sulle spalle mio padre come il grillo parlante. Il ciclismo è stato una parentesi che mi ha salvato. Grazie a quegli anni da corridore, ho trovato un lavoro e grazie al ciclismo oggi mi sono rilanciato.
Vittoria di Castelfranco al Giro dilettanti 1998. Quanto piangevi…
Era cattiveria agonistica che esplose. Ero stufo si parlasse di me come del cognato di Figueras, arrivato per questo alla Zalf. Quella tappa l’ho vinta con una fuga che mi ha permesso di emergere ed essere premiato. Da quel giorno alla Zalf impararono a chiamarmi per nome.
Che differenza c’era fra te e Figueras?
Giuliano nasce campione e il padre ne ha fatto tesoro. Il papà era il suo diesse sin da allievo, mentre il mio non si è mai messo in mezzo. Lui forse ha avuto fame di soldi e poi l’ha persa. Io mi sono dovuto salvare da una brutta situazione. Ma fisicamente, Giuliano era Maradona, io un piccolo Ciro Ferrara.
Da quella Toyota piena di firme è nato il nuovo Lello (foto Instagram)Il nuovo Lello e la sua Toyota (foto Instagram)
In una diretta hai chiesto a Basso perché ti abbia voltato le spalle.
Ci siamo conosciuti da militari, eravamo nella stessa stanza. Siamo diventati amici, perché ha capito che ero una persona che gli dava e non gli toglieva. Siamo andati insieme alla Zalf. Abbiamo creato degli obiettivi comuni. Non mi sentivo meno forte, ma Ivan è sempre stato un modello di professionismo. Nella macelleria di casa, sua madre teneva dietro alla cassa una foto di noi due. Mi ha aiutato in tanti passaggi, poi promise che mi avrebbe portato alla Liquigas e lì si interruppe tutto. Bastava mi chiamasse per dirmi che non poteva, invece sparì. Gli ho chiesto questo. Perché gli voglio bene come a un fratello.
C’è una foto molto bella di te con Franco Ballerini.
Franco mi ha lasciato a metà, come mio padre. Se ne è andato senza farsi salutare. Stavo facendo una distanza e squilla il telefono. «Pronto Lello, sono Franco Ballerini!». Ero in giro da sei ore, per cui rispondo di non prendermi in giro. Metto giù e continuo. Dopo un po’ verso Asiago torna il segnale e trovo una chiamata di Boifava. Cosa avrò combinato? Mi fermo e lo chiamo. «Cosa hai combinato? Hai chiuso il telefono in faccia a Ballerini? Vuole portarti in nazionale, richiamalo». Lo richiamo e lui rideva. Gli dissi che per la felicità avrei fatto altre 4 ore, ma mi disse di andare a casa per non finirmi. E così mi portò a Salisburgo.
Piano piano si torna a pedalare (foto Instagram)Di nuovo in bici (foto Instagram)
Quel 2006 fu magico…
Sai perché? Perché Elisa era incinta di Sonny e stava per partorire. Così era venuto su mio padre e si era messo in un residence. E io per non deluderlo in quel periodo mi sono messo ad allenarmi come un matto. Volevo che fosse fiero di me.
Però Franco ti mise di riserva.
Gli dissi che sarebbe finita così e lui rispose: «Grazie, mi hai tolto un peso». Se avessi corso, non avrei rubato il posto a nessuno. Maper me di San Pietro a Patierno essere lì era già una vittoria. Quando andammo nella preolimpica a Pechino, mi disse che dopo la nazionale avrebbe creato una squadra e ci sarebbe stato posto anche per me, da corridore o in un altro ruolo. Che mettessi la testa a posto, senza tradire quello che sono. Era il nostro patto, è la prima volta che lo racconto a qualcuno. Con Franco legai molto. Mi chiamava. Mi chiedeva cosa facessi e se mi fossi allenato…
La sua vita in bici tutta sul web (foto Instagram)Sul web il Lello ciclista (foto Instagram)
Hai vinto il Giro dei dilettanti.
Andavo forte. Venivo dalla rottura della clavicola, quindi ero fresco. Avevamo vinto il Giro del Veneto con Pellizotti e lo avevo aiutato, per cui andai per le tappe e provare a passare professionista. Finché un giorno venne in camera Giovanni (Renosto, diesse della Trevigiani, ndr) e mi disse che avrei dovuto attaccare sul Monte Grappa. Io risposi che così Franco avrebbe rischiato la classifica. Seppi dopo che qualcuno aveva chiesto che preferibilmente il Giro lo vincesse un ragazzo del Nord. Dopo il Giro del Friuli, che vinsi, Renosto ci disse che la squadra avrebbe chiuso. E io passai con la Alessio.
Quale è stata la diretta più bella di “Lello e Friends”?
Per soddisfazione personale, la diretta con gli azzurri dai mondiali, Nibali, Vegni, Di Rocco. Ho capito che sono arrivato in alto, senza guadagnare un euro. Sono tutte belle, ne avrò fatte 300.
Con il presidente federale Renato Di Rocco (foto Instagram)A Treviso con Di Rocco (foto Instagram)
Quella che ti ha deluso?
Quella con la Patenoster, perché ho capito che non avevamo argomenti e alla fine ci siamo messi a parlare delle sue vittorie. E’ diverso parlare con un uomo o una ragazza. Non sono riuscito a tirarle fuori niente. Mi sono piaciuti Brumotti e anche Paolo Kessisoglu, perché ho messo il naso in altri mondi.
Ad Aru hai chiesto come avesse fatto a farsi dare 3 milioni l’anno per non vincere mai.
L’ho paragonato a David Coperfield. E’ stato un momento forte, ma da allora siamo sempre in contatto. Ci sentiamo quasi tutti i giorni e la gente mi chiede di sapere dove correrà, ma io non lo so.
E con il lockdown arrivano le dirette di “Lello e Friends” (foto Instagram)E con il lockdown nasce “Lello e Friends” (foto Instagram)
E Bettiol?
Che figura, ero proprio fuori dal mondo. Pensavo avesse vinto la Roubaix, me l’ha detto lui che invece era il Fiandre.
E adesso?
Adesso arrivano Di Luca e poi Riccò. Ma prima devo arrivare a Castelfranco. Il camion è quello che mi dà da mangiare, bisogna che lo tratto con tutti gli onori…
Una risata, poi sparisce verso le prime brume del Veneto, in questo pomeriggio che sa di inizio inverno. Anche se era un giorno d’estate. E nevicava…
Qualche giorno in Sardegna, poi Aru tornerà a Lugano. Ha partecipato al Giro dell'isola e ora lo attendono altri impegni. «La nuova vita? Mi piace molto»
Intorno alla fine di ottobre, dopo un mese in Sardegna, durante il quale il telefono ha spesso squillato a vuoto, Fabio Aru è tornato a Lugano. Il rapporto con la Uae Emirates, che si era di fatto interrotto con il ritiro dal Tour, sta sgocciolando verso la fine. Da quel giorno in Francia, nessuno nella squadra è parso più interessato a dire qualcosa su di lui. L’ascesa di Pogacar lo ha reso quasi superfluo: nessuno ha mai messo in dubbio il suo impegno, ma è stato meglio lasciarlo alla deriva, da solo, come quel giorno a Laruns. Titoli e commenti avevano già recitato ogni genere di epitaffio. Poi, ma in modo blando, si sono lette varie ipotesi su quale sarà la prossima squadra. Ma forse, prima di capire se e dove correrà, vale la pena chiedersi come stia Fabio. Perché Aru viene dopo e ne è la diretta emanazione. E di Fabio forse si sono preoccupati forse in pochi.
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Un mese in Sardegna
La voce è di fatica e sonno. E lui infatti racconta di essere appena rientrato dopo cinque ore e mezza a piedi sui monti dietro casa. Poi aggiunge che domani (oggi per chi legge) uscirà in mountain bike con Cataldo, mentre la sensazione di una mezza quiete ritrovata permette al dialogo di prendere il largo. Si parla del più e del meno. Del primo compleanno di Ginevra con i nonni sardi. Del magone per non averla mai presentata a suo nonno Antonio, che per lui è stato come un secondo padre, scomparso a settembre. Delle dichiarazioni attribuite ai suoi datori di lavoro che forse non hanno raccontato tutto. Del periodo non certo felice. E del fatto che giovedì della scorsa settimana sia caduto di bici sotto casa e abbiano dovuto mettergli dei punti in faccia, coronamento ideale di un altro anno nero da cui nulla s’è potuto imparare.
Diciamo che è una provocazione, ma… chi te lo fa fare? Aru ha mai pensato di lasciar perdere?
Ma che domande mi fai?! No che non ci ho pensato. Entro fine mese dirò con quale squadra andrò. E certo che riparto, perché è la mia passione, la mia vita. Si riparte sempre. Ci sono situazioni che vorresti non vivere, come quel giorno al Tour. E se non accettano la spiegazione che ho dato, il fatto che non tutti reagiscano allo stesso modo… Ma ti pare che in tutto questo tempo, neanche una telefonata?
Sei stato per un mese in Sardegna e il pensiero è andato a quando Nibali, espulso dalla Vuelta, tornò ad allenarsi in Sicilia con suo padre e poi vinse il Lombardia. A casa si può rinascere?
Dovrei andarci più spesso, ma non c’è mai tempo. O forse è un alibi. In famiglia si sta bene, serve a ritrovarsi. Basterebbero anche due giorni ogni tanto. Questa volta sono stato per un mese. Sono andato in bici con le persone che conosco. Abbiamo festeggiato il primo anno di Ginny. Poi, come in tutti i posti, c’è chi ti vuole bene e chi ti giudica. E certe cose fanno male.
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Quali cose?
Ognuno di noi può avere il suo pensiero, sarebbe bello se ne parlasse di persona e poi lo tenesse per sé. Ma quando leggo sui social commenti di un certo tipo di chi magari è uscito con me in bicicletta pochi giorni prima. Poi mi dicono che sparisco…
L’avresti vissuta così senza la famiglia al tuo fianco?
Non so come l’avrei gestita, forse non così. Mi dispiace per tutti, la famiglia soffre. Ma neanche loro mi hanno mai detto di smettere. Figurati. Mio suocero è super appassionato. E poi su queste cose sono io che decido.
Poi dicono che Aru sparisce…
Il fatto del lockdown è stato una botta per tutti. Cosa pubblico? Che vado in bici? Che non vado sui rulli? Che pulisco in casa? In quel momento c’è stato un blocco. Forse avrei dovuto scrivere di più. Però onestamente, mi pesa. Il mio lavoro è un altro. Nella prima parte dell’anno, giù in Colombia, è stato divertente farlo. Mi veniva più facile perché stavo bene. Ho valutato anche io questa cosa. Finché non ho fatto la diretta con Lello Ferrara, sembrava che Fabio Aru fosse in un pozzo.
In alcuni momenti lo abbiamo pensato in tanti. Non rispondevi neanche più ai messaggi…
E tu sei uno dei pochi per cui l’ho fatto. Ma cercate di capirmi, io ho costruito la mia immagine andando in bici. Ho vinto. Ho perso. Tutto in bici. E questo mi ha portato ad avere 170 mila follower, che sono interessati alla mia carriera e magari aiutano le aziende che investono su di me. Ma io in quel mese non avevo voglia di parlare e semplicemente non ho risposto a nessuno. Quando leggi certe cavolate su internet, ti viene voglia di chiuderti.
Bisogna ringraziare Lello Ferrara…
E’ un pazzo scatenato. L’altro giorno mi ha mandato un video con i figli e li invita a salutare «zio Fabio Aru, zia Valentina e Ginevra». Mi fa troppo ridere. Ma secondo te…
Il 6 settembre, il mesto ritiro dal Tour de FranceIl 6 settembre, ritiro dal Tour
Cosa?
Secondo te io non trovo un contratto? Va bene, devo abbassare le pretese. Non posso pretendere di guadagnare gli stessi soldi. Ma è lo sport. Se hai vinto una tappa al Tour, ci sono 15 team che ti cercano. Adesso ne avrò la metà, ma ho delle richieste. Voglio solo aspettare per scegliere bene, senza pressione. Il solo problema è che se chiude anche la Ntt, ci saranno tanti corridori in cerca di un contratto. E’ il momento di fare la selezione e decidere. Siamo comunque a novembre.
Di quale tipo di ambiente ha bisogno Fabio Aru?
Un posto e persone che facciano al caso mio. Fa comodo dire che sia stata tutta colpa mia e io mi prendo le mie responsabilità, ci mancherebbe. Il giorno del Tour resta una cosa a sé, che magari andava gestito diversamente. Però sono stati fatti degli errori anche da parte di chi avevo intorno.
Si potevano fare cose diverse?
Fa parte dell’analisi che ho fatto, ma si potevano fare altre cose.
Che inverno sarà?
Novembre è sempre stato un mese abbastanza libero, in ogni caso a ottobre non ho mai smesso di andare in bici. In Sardegna facevo uscite di due, tre ore. Al massimo ho fatto 110 chilometri, anche con il gusto di rivedere le mie strade. Di pedalare fino al mare. Anche in mountain bike.
Qualcuno dice che riprenderai con il ciclocross.
Mi piacerebbe fare qualche gara a gennaio, senza stress. Prove del Trittico Lombardo, ad esempio. C’è una gara a Villacidro, il mio paese, a dicembre. Non so se è troppo presto. Certo non andrei mai a fare le Coppe del mondo come ha scritto chi mi voleva mettere alla Alpecin. Intanto ho ricominciato a camminare in montagna, per due volte alla settimana. Mi piace molto. Poi da dicembre inizierò ad allenarmi, in base alle indicazioni di chi mi seguirà. Ma adesso faccio io le domande.
Spara.
Come va con bici.PRO?
Si corre. Ci si diverte. E’ tutto diverso, stimoli nuovi, tecnologie nuove. Bello. Ci voleva dopo quasi trent’anni.
E quando smetto mi prendi a lavorare? Ogni tanto ci penso a cosa potrei fare quando smetterò di correre. Non credo il direttore sportivo…
Facciamo così, hai solo trent’anni. Pensa a correre, tempo per lavorare ne hai tanto. Beato te…
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A partire dal 2020, Fabio Aru ha iniziato a lavorare con Rubens Bertogliati, ex corridore svizzero e ora allenatore del Team Uae-Emirates. Perciò dopo aver fatto passare il tempo necessario, bici.PRO lo ha contattato per capire se si sia dato una spiegazione del drammatico ritiro del sardo dal Tour de France, il 6 settembre, sulle strade pirenaiche di Laruns.
Rubens, pensavi che per Aru potesse arrivare un blackout di quel tipo?
Davvero no, anche se come allenatore non vivo con i ragazzi. Ne seguo cinque, ma con le direttive Covid è stato impossibile essere presente al loro fianco durante la preparazione. Non è invece nel nostro ruolo di allenatori seguirli alle corse o selezionarne gli obiettivi.
Bertogliati, svizzero classe 1979, coach dal 2013 al 2016 alla IAM CyclingRubens Bertogliati, svizzero classe 1979, coach dal 2013 al 2016 alla IAM Cycling
Non avevate alcun elemento sicuro di valutazione?
Abbiamo fatto diverse riunioni prima del Tour per valutare la squadra e decidere se, dopo la pausa per il Covid, fosse il caso di rivedere i piani dei singoli, compreso Aru.
E Fabio come stava?
Lui stava bene, aveva valori migliori dello scorso anno quando al Tour fece 14°. I suoi dati sono personali, ma aveva un rapporto potenza/peso migliore dello scorso anno. Non si poteva pensare a un ritiro così.
Quale sarebbe stato il suo ruolo?
Pensavo che piano piano sarebbe migliorato. Forse non sarebbe arrivato tra i primi cinque, ma dopo i due anni che ha passato, per Fabio Aru entrare nei dieci ed essere un uomo chiave per Pogacar sarebbe stato un bell’obiettivo.
Come si spiega il crollo?
Dal mio punto di vista, posso dire che è stato un anno particolare. Un anno di soli allenamenti e di poche gare prima dei veri obiettivi. Di solito al Tour si arriva dopo cinque mesi, qui dopo neanche cinque settimane e questo può aver giocato un ruolo, soprattutto per i corridori più esperti.
Quali problemi possono aver incontrato i corridori più esperti?
Dopo un po’ sono abituati a seguire una strada forse ripetitiva, di cui si fidano. Il motore è abituato a picchi che quest’anno non sono arrivati prima del Tour.
Dici che i problemi fisici di cui si è parlato sono stati effettivamente risolti?
Se Fabio ha avuto problemi alla gamba operata, dovrà fare dei test e valutare come funziona, ma non gli ho mai sentito dire nulla in questo senso. Andava tutto bene, per questo le parole di Saronni sono suonate strane.
Saronni ha sostenuto che sia stato mandato in Francia non essendo nella forma giusta.
Ripeto: Fabio era pronto per andare al Tour. Uno con i suoi numeri poteva e doveva stare davanti. Lo dimostrano i piazzamenti venuti prima, sul Ventoux, a Burgos e al Tour de l’Ain. L’unico passaggio negativo in effetti c’era stato al Lombardia.
Escludi che non si sia allenato, quindi?
E’ uno che lavora, per questo ho difeso la sua posizione in squadra. Fa il suo lavoro e da metà maggio si è impegnato al 100 per cento. E’ dimagrito bene, quello che ci si aspetta da un pro’ come lui.
Può esserci stato allora un blocco psicologico?
Sta a lui ripercorrere il Tour e capire dove ci sono stati momenti buoni e dove momenti cattivi. Se il problema è psicologico, lui lo sa. Il giorno prima è morto suo nonno, che stava già male. Queste cose provocano reazioni come a Bettini, che dopo la morte del fratello vinse il Lombardia, oppure ti buttano giù.
Di sicuro ha subito un colpo duro, come essere tornato ai problemi dello scorso anno…
L’ho incontrato a inizio anno e mi è sembrato una persona solare e disponibile per condividere le sue emozioni, una cosa che non riesce con tutti. Ma ora se vuole risalire, deve mettere in fila il bello e il brutto. Il corridore c’è. Il fisico c’è. Il ciclismo è duro, non è come nel 100 metri piani, in cui forse non devi neanche tenere duro. Qua devi saper stringere i denti.
Lo avresti mandato al Giro d’Italia?
Forse il Giro sarebbe stato prematuro, per uno che soffre anche la pressione mediatica. La squadra ha rispettato i suoi programmi e per uscirne avrebbe bisogno di un risultato in qualsiasi gara, per ritrovare morale. Fabio c’è, trovo assurdo che gli abbiano consigliato di smettere, ma di certo deve ritrovarsi. Se non capisce cosa non abbia funzionato, è sempre a rischio che accada di nuovo.
Pogacar è imbattibile e il Giro è già chiuso? Crediamo di no, così come forse si erano immaginati altri scenari. Forse si puntava alla sfida Tadej-Remco