«Strada fondamentale per il cross», parola di Franzoi

30.10.2024
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Quella che è da poco iniziata si prospetta come una stagione particolare per il ciclocross italiano: nessuno stradista professionista o under 23 di livello ci sarà. Il che potrebbe non essere il massimo. Anche l’altro giorno Diego Bragato, tecnico della performance della Federciclismo, aveva rinnovato il concetto di quanto fosse importante fare la doppia attività, strada e cross, proprio come lo è stata per la pista. E abbiamo visto i risultati che poi sono arrivati.

La tendenza invece qui è opposta: dopo Davide De Pretto, Bryan Olivo, Silvia Persico, anche Luca Paletti ha detto basta col cross. E ci fermiamo qui.

Purtroppo è un concetto che fa fatica a radicarsi in Italia. La pista per ora resta un’eccezione come ne ha parlato anche il nostro direttore nell’editoriale di un paio di settimane fa. Un concetto che abbiamo approfondito con Enrico Franzoi, uno dei crossisti azzurri più importanti dell’era recente. Enrico ha colto i suoi migliori risultati nel cross proprio quando correva con le maggiori squadre italiane: Saeco, Lampre, Liquigas…

Anche negli anni alla Liquigas, Franzoi ha fatto tante di cross, vincendo anche il titolo nazionale
Anche negli anni alla Liquigas, Franzoi ha fatto tante di cross, vincendo anche il titolo nazionale
Enrico, dicevamo, doppia attività, strada e cross: cosa ne pensi?

Io sono d’accordo, serve la doppia attività. Parlo soprattutto in base alla mia esperienza: mi sono trovato bene in carriera a fare bene sia la strada che il cross. Mi serviva tanto correre su strada. Infatti, i risultati più belli che ho ottenuto nel cross sono arrivati grazie alle molte gare su strada.

Chiaro…

Era una cosa che facevano tutti all’epoca, sia i belgi che i corridori di altre Nazioni. Anche noi italiani, alla fine: all’epoca c’erano quasi più stradisti che facevano cross che biker. Un po’ l’inverso di oggi in Italia. Insomma, la cultura di fare la stagione su strada per preparare il cross era abbastanza viva.

E poi cosa è successo?

Negli anni successivi è cambiata un po’ la mentalità. Sono aumentati i biker rispetto agli stradisti. Infatti, sono andato in Belgio a correre (alla BKCP, ndr) dove si correva su strada per preparare al meglio la stagione del cross.

Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)
Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)
Da ex crossista, pensi che la strada sia importante per il ciclocross? Oggi si parla tanto di watt, di potenza… Per la pista, Bragato e Villa hanno sempre parlato dell’enorme base aerobica che dà la strada per fare determinati lavori: è questo il motivo?

Secondo me sì, perché il cross è più simile alla strada che alla mountain bike. Anche se si va fuoristrada, la tipologia di pedalata e lo sforzo fisico sono più simili alla strada. E io ho fatto anche mountain bike, quindi conosco le differenze. Per preparare una stagione di cross, la mountain bike è ottima, specie per la tecnica…

Ma…

Ma, dal punto di vista atletico, la strada, come detto, dà di più. Certo, se parliamo di percorsi molto tecnici, come le gimkane, magari la strada perde di efficacia. Ma per i cross in Belgio o quelli della mia epoca, la strada andava benissimo. Più il circuito è lineare, più la strada è utile.

Secondo te, questi super campioni – i soliti, Van der Poel, Van Aert, Pidcock – fanno la differenza perché sono loro a essere forti, o anche perché fanno strada?

Innanzitutto perché sono loro che sono forti, ma di certo le corse di alto livello – Giro, Delfinato, Tour, Sanremo… – li aiutano parecchio. Personalmente posso tranquillamente dividere la mia carriera in due: quando ho corso su strada e quando sono andato in mountain bike. Ho notato una grande differenza, soprattutto quando andavo all’estero. Sì, andavo bene, ma spesso avevo alti e bassi, non ero costante. Correndo costantemente su strada, rimanevo sempre con i primi. Mi ricordo benissimo quando ho iniziato a fare i grandi Giri: ho sentito un enorme beneficio, come un incremento di potenza… A questo si aggiunge la costanza di correre con i migliori e crescere continuamente. C’è poco da fare.

Filippo Agostinacchio (in foto, primo a Jesolo) e il suo compagno Samuele Scappini, sono gli unici elite di vertice che corrono anche su strada
Filippo Agostinacchio (in foto, primo a Jesolo) e il suo compagno Samuele Scappini, sono gli unici elite di vertice che corrono anche su strada
Per fare questo, però, Enrico, serve anche una squadra che creda nel progetto. Una squadra che ti permetta di gestire con criterio le due attività…

Certamente. All’epoca si può dire che sia stato quasi il primo a farlo a un certo livello, ma anche allora sono stato io a insistere per fare il cross. Non c’era questa abitudine così radicata da noi, almeno per squadre di un certo livello. Non è stato facile e, paradossalmente, quando andavo bene sia su strada che nel cross, in squadra c’erano problemi. Ma io ci credevo e insistevo.

Quando iniziavi a preparare la stagione del cross?

Io correvo a piedi quasi tutto l’anno. Ma, a dire il vero, non facevo una preparazione specifica come magari qualcuno fa ora. Adattavo il mio allenamento su strada e poi iniziavo l’altra attività. Ovviamente, la mancanza di qualche allenamento tecnico si sentiva, ma veniva compensata dal grande volume di lavoro intenso che svolgevo nella stagione su strada. Poi bisogna considerare un’altra cosa.

Quale?

Sono sempre stato un passista veloce, con un fisico robusto, ipertrofico, che per entrare in forma aveva bisogno di molte gare. Più gareggiavo, meglio mi sentivo. Questo era perfetto per conciliare le due attività. Ci sono stati anni in cui ho fatto anche la crono iridata (under 23, ndr) a ottobre e la settimana dopo ero già al ciclocross.

Iserbyt (qui al Baloise Belgium Tour) quest’anno ha messo nel sacco 30 giorni di gara su strada (foto Instagram)
Iserbyt (qui al Baloise Belgium Tour) quest’anno ha messo nel sacco 30 giorni di gara su strada (foto Instagram)
Come impostavi una tua stagione standard?

Facevo tutta la campagna del Nord, fino alla Roubaix (nella foto di apertura, ndr), Parigi-Nizza compresa. Poi riprendevo al Delfinato, poiché ero sempre in lizza per il Tour, anche se non l’ho mai fatto. Poi facevo il Giro d’Austria o qualche altra corsa a tappe e continuavo fino a fine stagione, iniziando subito con il cross.

Oggi sarebbe impensabile visti i tempi di recupero, riposo, carico… Sei passato anche dalla Vuelta…

Spesso, e poi tiravo dritto. I primi anni da professionista ho tirato avanti così: 30 cross e tantissime giornate di corsa su strada. Ho fatto due o tre anni così. Poi ho dovuto dosare gli sforzi e a novembre mi riposavo. Riprendevo poco prima di Natale e tiravo fino alla fine della stagione del cross. Facevo le prime prove di Coppa del Mondo per prendere punti.

Pensi che oggi, visto il livello attuale, la strada sia ancora importante per il crossista?

Per me la strada non è solo importante, è fondamentale. Ho corso anche con una squadra belga che faceva cross, ma in estate si correva su strada, anche in competizioni di secondo piano. Anche per loro, quella era la preparazione migliore.

Quindi un Iserbyt della situazione, la strada la fa…

E tanta, direi… Almeno una trentina di corse sicuro.

Franzoi, rinunciare al ciclocross dà davvero dei benefici?

15.12.2023
5 min
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Mettere da parte il ciclocross è una buona idea? Qui non parliamo di scelte di vita che tanti corridori (soprattutto italiani, purtroppo…) prendono, ma anche di opzioni tecniche: questo inverno lascio da parte l’attività sui prati per concentrarmi meglio e prima sulla strada, in modo da ottenere risultati migliori. C’è chi ha fatto una scelta radicale, come Persico, chi invece una parziale, come i tre tenori, due dei quali però hanno già detto che ai mondiali non ci saranno.

Qualche giorno fa il saggio Martino Fruet aveva detto che spesso fare questa scelta netta non porta poi gli effetti sperati (se andiamo a guardare bene, il discorso fra stradisti e biker non cambia poi di molto). Noi abbiamo voluto saperne di più parlando con quello che forse è stato l’ultimo grande interprete azzurro della specialità sui prati, almeno a livello elite: Enrico Franzoi.

Franzoi oggi ha 41 anni, ma ancora corre nel gravel. Eccolo con la maglia iridata U23 del 2003 (foto Facebook)
Franzoi oggi ha 41 anni, ma ancora corre nel gravel. Eccolo con la maglia iridata U23 del 2003 (foto Facebook)
Tu hai mai operato un taglio così drastico?

No, sia perché amavo troppo il ciclocross che per me aveva un valore almeno identico alla strada, sia perché non lo ritenevo necessario, ma è vero che con l’intensificarsi dell’attività su strada dovevo fare delle scelte. Ricordo ad esempio il 2006: avevo chiuso la Vuelta e poi corso su strada ancora fino a metà ottobre. Tirai avanti nel ciclocross fino a inizio novembre, poi presi una lunga pausa tornando in gara durante le Feste e gli effetti furono molto buoni.

Solo nel ciclocross?

No, a lungo termine. Sui prati vinsi a gennaio il titolo italiano e conquistai il bronzo mondiale, poi su strada esordii un mese dopo e raggiunsi il mio vertice durante le classiche del Nord, con una fuga di 30 chilometri nelle fasi calde del Giro delle Fiandre e conquistando l’8° posto alla Roubaix.

Il veneto in maglia Lampre alla Roubaix 2007, corsa da protagonista e chiusa all’8° posto (foto Wikipedia)
Il veneto in maglia Lampre alla Roubaix 2007, corsa da protagonista e chiusa all’8° posto (foto Wikipedia)
Ti costò quella scelta?

Beh, io ero solito fare almeno 35 gare di ciclocross tra nazionali ed estere, proprio perché per me era un’attività primaria, ma poi su strada pagavo regolarmente pegno. In quel modo invece ebbi una gestione molto più mirata.

Quindi sei d’accordo con la scelta dei tre tenori di non abbandonare del tutto il ciclocross, ma di disputare poche selezionate gare…

Per me fanno bene vista l’attività e il prestigio su strada, ma va anche detto che le modalità di calendario sono molto cambiate da un po’ di anni, come è cambiato il movimento nel suo complesso. Un tempo chi faceva ciclocross e strada ad alto livello era visto come una mosca bianca soprattutto in confronto a chi abbinava l’attività invernale alla mtb, ora le proporzioni si sono invertite. Io comunque trovai quella formula indovinata, mi consentiva di recuperare sia d’inverno che nei mesi caldi, infatti dopo le classiche del Nord riprendevo con il Delfinato.

Van Aert ha esordito quest’anno con una vittoria nel cross di Essern. Poche però le sue gare di CX (foto Jacobs/Getty Images)
Van Aert ha esordito quest’anno con una vittoria nel cross di Essern. Poche però le sue gare di CX (foto Jacobs/Getty Images)
Van Aert sabato non sarà alla “sua” gara perché bloccato in Spagna al ritiro prestagionale. Era così anche per te?

Quando correvo io, si cominciò a seguire questa direttiva: a dicembre si va in ritiro e anche i ciclocrossisti devono attenersi. Noi eravamo i primi e devo dire che fu un’esperienza utile. Ricordo che andammo due settimane a Terracina e fu un periodo di grande lavoro, con molti chilometri nelle gambe. Ma quando tornai al ciclocross, vidi subito che andavo come una scheggia perché avevo acquisito una condizione fisica davvero invidiabile.

Noi viviamo nell’era della multidisciplina, i ragazzi più giovani amano differenziare, ma molti vogliono operare proprio quella scelta di prendersi un “inverno sabbatico”. Tu in base alla tua esperienza che cosa ne pensi?

Dipende dai ragazzi, da quello che ognuno si sente. A me non pesava fare la doppia attività, anzi io preferivo correre tanto e riconosco che quelle scelte, che poi mi avrebbero favorito, all’inizio le accolsi senza molto entusiasmo… Gareggiare mi faceva bene, era un modo per tenere vivo lo spirito agonistico.

Per la Persico un inverno senza ciclocross, dettato dalla preparazione che guarda anche alle Olimpiadi
Per la Persico un inverno senza ciclocross, dettato dalla preparazione che guarda anche alle Olimpiadi
Sono le stesse parole che ci ha confidato Federica Venturelli, che quest’anno per la prima volta salterà la stagione invernale…

Anche lei ha uno spiccato senso agonistico da nutrire. Lei fa molte attività, quest’anno cambia di categoria, è anche comprensibile che debbano essere prese misure nuove e diverse. Ripeto, io al cross ho sempre puntato parecchio e non avrei potuto rinunciarci in toto, anche se è capitato di ridurre i miei impegni. Ma qualche gara va bene per tenere il motore in funzione, fare qualche uscita estemporanea secondo me non fa male, anzi, lo fa persino Pogacar

Lo sprint di Hoogerheide con Franzoi, Bramati (e Bartoli)

10.02.2023
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Il mondiale in una curva. Il ciclismo è uno sport di situazione, lo abbiamo detto tante volte, e questo è il suo fascino. Basta un attimo, una scintilla che tutto può cambiare. Non contano sempre e solo le gambe. E’ passata neanche una settimana ma abbiamo ancora negli occhi lo spettacolo dei campionati del mondo di ciclocross di Hoogerheide, in particolare lo sprint, la sfida tra Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert.

Duello doveva essere e duello è stato. Due giganti che dopo mezzo giro di fatto avevano messo in chiaro chi comandava. Un duello fatto di watt, ma anche di tattica e questa è stata decisiva. E a ribadirlo sono stati due veri esperti: Enrico Franzoi e Luca Bramati.

Dicevamo dell’ultima curva. Ci si aspettava che i due campioni ci arrivassero a mille all’ora e invece non solo ci sono arrivati piano, ma hanno anche rallentato. E ad abbassare ulteriormente la velocità è stato forse il belga. L’epilogo: un lungo sprint da bassa velocità che ha visto vincere l’olandese.

Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato
Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato

Questione di sguardi

«Ho il numero di Van der Poel – racconta Bramati – e gli ho inviato un messaggio in cui gli dicevo che lo aveva  battuto come suo papà Adrie aveva battuto me e Pontoni a Parigi! Mi ha risposto con una faccina sorridente!

«Detto ciò, per me la gara l’ha persa Van Aert. Forse VdP aveva un pelo in più di gamba, ma quel finale lo ha sbagliato lui. Van der Poel ha messo la corsa esattamente come voleva. E’ partito in quel modo e dopo un giro ha mandato tutti a casa. Così si è concentrato solo su Van Aert.

«Wout si aspettava un suo attacco in salita, ma non lo ha fatto. Si aspettava un attacco dopo le tavole, ma non lo ha fatto… Non sapeva cosa fare. A quel punto ha commesso l’errore di non partire prima lui. La gamba per vincere ce l’avevano entrambi. Gli è mancato il coraggio di partire prima».

Poi Bramati fa un’analisi che è da antologia del ciclismo.  «Era una volata alla pari per me, ma se ci fate caso – e io ho riguardato la gara più e più volte – nel momento in cui sta per iniziare la volata Van Aert ha gli occhi fissi su VdP. Mathieu aspetta l’attimo in cui Van Aert guarda avanti per valutare la distanza con il traguardo e in quel preciso momento, appena perde il contatto visivo, parte. E’ partito secco e su quel decimo di secondo è riuscito a prendergli i due metri che poi Van Aert non è più riuscito a chiudergli. VdP correva in casa, conosceva a menadito quel percorso e aveva studiato tutto nei minimi particolari. Lo ha voluto sfidare in volata».

Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo
Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo

Sprint “lento”

«Ho visto un Van der Poel che andava davvero forte – analizza Franzoi – ha attaccato e stava bene. Hanno fatto una volata quasi da fermi e in questi sprint Mathieu è leggermente favorito. Con la sua potenza, non che Van Aert non ne abbia, ma gli ha preso quei 2-3 metri che si è portato sino all’arrivo. Se lo avesse portato all’ingresso del rettilineo con una velocità più alta, bastavano 3-4 chilometri orari in più, avrebbe vinto Van Aert, forse sarebbe riuscito a recuperare».

Anche per Franzoi, Van der Poel ha giocato ottimamente le sue carte sul piano tattico.  «Per me lo ha spiazzato il fatto che VdP non lo abbia attaccato sugli ostacoli, come se fosse andato un po’ in tilt. Anche perché VdP veniva da un paio di attacchi importanti e magari gli avrebbe fatto male.

«Comunque alla fine ha vinto il più forte. Non era uno sprint semplice. Sì, forse Van Aert ha tentennato un po’ al momento del lancio dello sprint, ma sono valutazioni che in quel frangente non sono facili da analizzare. C’è una tensione tremenda e non è facile essere sempre lucidi. Ripeto, forse Van Aert si aspettava un finale diverso dopo gli ostacoli».

Rapporti e… Bartoli

Infine altre due considerazioni. La prima riguarda i rapporti e in particolare il confronto tra doppia (Van der Poel) e monocorona (Van Aert). E’ ipotizzabile che in questo finale ci siano state diverse reazioni al momento dello sprint. Eppure né Bramati, né Franzoi riconducono a questa differenza tecnica l’esito dello sprint. Semmai è la scelta del rapporto dell’atleta al momento del lancio. E in questo Franzoi una minima differenza la trova ma, ripetiamo, è una scelta di rapporto da parte dell’atleta e non un limite tecnico.

«Ho visto che Van Aert aveva un monocorona – ha detto Franzoi – ma era bello grande. Credo fosse un 46 se non un 48, in più con Sram aveva a disposizione anche il 10, quindi lo sviluppo metrico c’era. Semmai l’unica postilla è che nel momento in cui parte è un pelo troppo agile e lì ha perso quei due metri fatali».

La seconda considerazione invece la facciamo noi. E ci rifacciamo alle parole di Michele Bartoli quando ci parlò del confronto tra i due fenomeni. Bartoli è stato un vero cecchino. Il toscano aveva detto: «In uno sprint a ranghi ridotti, che di solito parte da velocità più basse, Van der Poel è favorito». E ancora: «Van Aert tatticamente è più forte, più completo, ma se VdP capita nel giorno in cui azzecca la tattica può combinare ogni cosa. Sbaglia tattica nove volte su dieci, ma magari la decima, quella giusta, è al mondiale». Meglio di così…

Quella caduta di Pidcock all’esame di Franzoi

07.01.2023
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La caduta di Tom Pidcock all’X2O Trophee Baal merita di essere approfondita. E vista la particolarità, oltre alla spettacolarità, di quel capitombolo per farlo serve un occhio critico. Un occhio di spessore come quello di Enrico Franzoi, grande ex del ciclocorss italiano e non solo.

Riavvolgiamo il nastro per un momento. Siamo a Baal e il campione del mondo guida saldamente la corsa, quando su una serie di gobbe, piuttosto veloci, perde il controllo della bici e addirittura rovina fuori dalle transenne.

Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano
Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano

Concentrazione giù

Come mai quindi è caduto Pidcock? Come si può spiegare la dinamica? Lui è veloce e nella gobba prima aveva messo di traverso la bici, ma tutto sommato su quella gobba sembrava tutto normale.

«Vedendola da fuori – dice Franzoi – sembra una caduta banale con effetti molto importanti. Una caduta avvenuta in un momento in cui stava controllando il suo vantaggio. A mio avviso c’è stato un calo di concentrazione».

Per Franzoi alla base di questo incidente c’è in primis una questione di concentrazione, di tensione agonistica venuta meno. In effetti si era all’ultima tornata e Pidcock era saldamente in testa.

Velocità alta

In quel punto, come tutti gli altri del resto, Tom ci era già passato più volte, dunque conosceva il fondo e le velocità con cui si affrontava.

«Sempre dalle immagini – va avanti Franzoi – sembra che dopo l’atterraggio finisca in una canalina e si sbilanci nel momento della decompressione. Lì perde l’equilibrio. Ma, ripeto, mi sembra più una sua leggerezza. A volte è capitato anche a me di scivolare quando ero in testa perché mi deconcentravo.

«Riguardo alla velocità, io conosco quel percorso e quel punto, ma ai miei tempi le gobbe non c’erano. La velocità però era alta, si tratta di una bella discesa che un po’ tende a portare in fuori.

«E poi – riprende Franzoi – essendo il percorso asciutto non è che cambiasse così tanto (come a dire che non c’è neanche questa giustificazione, ndr) e questo mi fa pensare ancora di più al fatto della distrazione. Magari essendo così avanti si è rilassato, ma di scivolare poteva succedergli anche in una normale curva prima o dopo quel punto».

Pidcock tecnica
Pidcock è un vero funambolo in bici e poco importa che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta
Pidcock tecnica
Pidcock è un funambolo in bici: che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta

Nessuna “bikerata”

Pidcock sa guidare bene, molto bene. Troppo bene secondo alcuni. In molti hanno detto che il folletto della Ineos-Grenadiers abbia pagato le sue “whippate”, cioè quelle messe di traverso della bici per dare spettacolo, qualcosa che i biker fanno spesso. E sappiamo che più volte Tom si è dichiarato “biker inside”.

Però a rivedere bene le immagini lui non cade quando whippa, ma sul dosso successivo, quando sembra essersi rimesso in assetto standard.

E infatti lui stesso ha detto che la caduta è stata stupida non tanto per le whippate, ma perché voleva fare forte l’ultimo giro e di essere andato volutamente forte in un punto veloce che sapeva essere pericoloso.

«Per uno del suo calibro – conclude Franzoi – fare certe cose è del tutto normale. Non rischia, ha controllo totale della bici. Anzi, per me è stato anche bravo a limitare i danni!».

Claudio Vettorel, Davide Malacarne, Coppa del mondo ciclocross 2005

Vettorel, ti ricordi quei giorni con il “Mala”?

06.01.2021
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Rileggere l’intervista a Davide Malacarne ha ridestato in Claudio Vettorel antichi ricordi. «Uno tosto» lo definiva il campione del mondo junior 2005 e l’allora Direttore Tecnico azzurro era esattamente così, con quella meticolosità che è sempre stata un suo caposaldo e che mette in pratica ogni giorno, nel suo lavoro di dipendente amministrativo all’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco).

«In questi mesi il lavoro è stato durissimo – dice Vettorel, che in apertura è proprio con il “Mala” dopo la vittoria nella Coppa del mondo 2005 – ma per certi versi esaltante e pieno di soddisfazione per tutti. Ogni volta che viene approvato un vaccino è un passo verso il ritorno alla piena libertà. Si lavora unendo la velocità al rigore, due qualità che fanno parte di me».

Ripercorriamo in breve la tua storia ciclistica…

Sono stato atleta fino al 1988, smisi a 24 anni, prestissimo, perché vedevo che non ero più competitivo. Gli altri volavano e non capivo il perché. Io ho sempre respirato ciclismo, sono nato in Belgio, a Huy dove arriva la Freccia Vallone, a 5 anni ero già in Italia ed ero già in bici… A 23 anni ero arrivato a Roma, richiamato dall’SC Spallanzani che allora organizzava la grande prova di ciclocross della Coppa del mondo. E grazie ai dirigenti potei fare i concorsi nella Sanità ed entrare nella Pubblica Amministrazione. Lasciai il ciclocross, ma non la bici, anzi. Nel 90 vinsi il primo titolo italiano di downhill nella Mtb.

Il tuo approdo alla guida tecnica azzurra a quando risale?

Al 2000. Negli anni avevo continuato a frequentare il mondo delle due ruote, facendo corsi da direttore sportivo e Maestro di Mtb. Venni contattato per fare il Ct del ciclocross e accettai: sono rimasto in carica fino al 2005, con le grandi gioie dei titoli mondiali di Franzoi nel 2002 e di Malacarne l’ultimo anno. Poi cambiò la guida in Federazione e venne scelto Scotti al posto mio. Un avvicendamento normale, come molto spesso avviene quando cambia il presidente. D’altronde Fausto sta lavorando benissimo, il movimento è cresciuto molto, ora avrebbe solo bisogno di una squadra professionistica specifica.

Che tempi erano quelli in nazionale?

Tempi ben diversi da quelli attuali. Avevamo a disposizione un budget molto limitato, potevamo viaggiare per gli eventi internazionali con pochi atleti, dovevo essere un buon economo (ma d’altronde è il mio lavoro…). Prenotavo io stesso i voli con Ryanair con grande anticipo per risparmiare. Con i ragazzi cercavo di trasmettere tranquillità e metterli nelle condizioni migliori per emergere. In una gara tutto deve funzionare al 100 per cento, devi controllare mille aspetti. Guardate cos’è successo domenica a Van Aert al cambio bici: altro che 3-4 secondi persi, un fatto del genere ti costa la concentrazione e quindi la gara.

C’era qualche talento che è stato “rubato” al ciclocross dalla strada?

Di Franzoi e Malacarne si è detto, ma io ricordo anche Marco Aurelio Fontana, che abbinava il ciclocross alla Mtb e poi si è dedicato pressoché interamente a quest’ultima. Questo mi fa venire in mente un aspetto: si parla tanto di multidisciplinarietà, ma a ben guardare ancora oggi sono pochi che corrono in più discipline. Quando gareggiavo io c’erano le kermesse a pagamento e tanti professionisti partecipavano d’inverno, senza l’ambizione di vincere, ma solo per esserci e allenarsi gareggiando. La gente veniva per vederli, ricordo una prova dove correvo in coppia con Wladimiro Panizza… E’ vero che oggi il calendario professionistico è più lungo, ma secondo me sono anche i ragazzi che appena passano pro’ si adagiano un po’ e subiscono l’ambiente. Immagina ad esempio un Ciccone in gara d’inverno, quanto crescerebbe anche come visibilità personale.

Udienza da Papa Giovanni Paolo II, Davide Malacarne, Enrico Franzoi, Annabella Stropparo, Claudio Vettorel
Udienza da Papa Giovanni Paolo II, per Malacarne, Franzoi, Stropparo e Vettorel
Udienza da Papa Giovanni Paolo II, Davide Malacarne, Enrico Franzoi, Annabella Stropparo, Claudio Vettorel
Udienza dal Papa, con Malacarne, Franzoi e Stropparo
In che senso?

In Italia la cultura della multidisciplinarietà non c’è mai stata. I direttori sportivi pensano alla loro attività e non vogliono ingerenze. Cassani è stato bravo a invertire il discorso almeno per la pista, ma si vede che fa fatica. Vorrei solo che queste resistenze dell’ambiente, da parte di chi dirige le squadre, le evidenziasse con forza, quella forza che gli deriva dal suo ruolo.

Che cosa fa oggi Claudio Vettorel?

Per anni, dopo l’addio alla nazionale, mi sono dedicato all’organizzazione della 24 Ore in Mtb di Roma, portando a pedalare corridori da tutto il mondo. Dal 2014 il tempo libero dal lavoro lo dedico alla mia seconda attività. Da 6 anni ho ristrutturato due furgoncini vintage degli anni Settanta e con quelli organizzo mille attività, da feste per bambini a compleanni, da matrimoni a romantici tour della Capitale. Chi entra in uno dei furgoncini trova sempre un momento di gioia e sorrisi, evade dalla quotidianità. Ma il ciclocross resterà il mio mondo: in Tv non mi perdo una sfida fra Van Der Poel e Van Aert…

Wout Van Aert, Herentals 2020

Dal cross alla strada, quale futuro per i tre tenori?

26.12.2020
3 min
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Nel cross il periodo delle feste natalizie è storicamente quello più ricco. Da oggi e fino al 3 gennaio saranno ben 5 gli eventi internazionali in programma, divisi fra le varie challenge. Oggi Van der Poel ha stravinto nel Superprestige di Zolder, ma senza che ci sia stata contesa. Negli occhi perciò abbiamo ancora lo splendido spettacolo di domenica scorsa a Namur, in Coppa del mondo, con la sfida a viso aperto fra i tre grandi della specialità, Van Der Poel, Van Aert e Pidcock, finiti nell’ordine. Una sfida che ha detto molto anche in proiezione futura e non parliamo solamente del ciclocross e dei mondiali di fine gennaio, ma anche delle loro rispettive ambizioni su strada. 

Molto c’è da capire, per farlo sono necessari occhi attenti ed esperti. Noi ci siamo serviti di quelli di Enrico Franzoi, ultimo azzurro a salire sul podio iridato elite del cross nel 2007.

«Di tempo ne è passato – racconta il veneziano – ma guardando la gara belga devo dire che questi campioni vanno forte, decisamente più forte di come andavo io».

Tom Pidcock, mondiali 2020
Tom Pidcock, passo da scalatore: sulle salite è il più forte dei tre
Tom Pidcock, mondiali 2020
Tom Pidcock è il più forte nei tratti in salita
Partiamo dal vincitore Mathieu Van Der Poel, come l’hai visto?

Ha sicuramente tanto margine di progresso davanti a sé. Si vede che rispetto agli altri due ha riposato un po’ di più, evidentemente aveva bisogno di ricaricare le batterie. Sta seguendo l’esempio dello scorso anno, sono sicuro che per fine gennaio avrà una condizione stratosferica. Per ora gli manca brillantezza.

A un certo punto, sembrava che VdP non ne avesse più e che Pidcock potesse scappar via…

Nel cross, la brillantezza incide anche sulla tecnica e può comportare passaggi a vuoto, ma col carattere ha reagito. L’olandese ha solo bisogno di correre, facendolo ritroverà anche la capacità di fare la differenza nella guida come gli è sempre accaduto.

Van Aert in che condizioni ti è parso?

Premesso che a simili livelli le differenze sono veramente minime, si vede che il belga ha lavorato più su strada e quindi paga rispetto agli altri quanto a tecnica specifica. Van Aert è più passista, Van Der Poel è più veloce ed esplosivo, nelle fasi di rilancio guadagnava sempre. Il belga però ha più fondo e questo gli deriva proprio dalla preparazione fatta pensando alla successiva stagione 2021. Secondo me si è ben programmato, anche lui per i mondiali sarà al top, il giusto equilibrio fra tutte le componenti.

Mathieu Van der Poel, Herentals 2020
Mathieu Van der Poel ha esplosività da vendere ed è arrivato al cross più fresco di Van Aert
Mathieu Van der Poel, Herentals 2020
Van der Poel, il più fresco dei tre
Resta il terzo incomodo, Thomas Pidcock…

Va in salita che è una meraviglia, si vedono le qualità da scalatore. E’ meno potente degli altri due, ma ha un rapporto peso/potenza secondo me superiore. E’ chiaro che su tracciati piani soffre, anche a Namur dove c’era da spingere sul passo perdeva. Ma sui tracciati più tecnici e con difficoltà altimetriche, può davvero dare filo da torcere agli altri due

Guardandolo, credi al fatto che si alleni poco per il ciclocross?

Non saprei, ma sono sicuro che ha doti tecniche naturali, si vede che fa azioni di guida che gli vengono spontanee. Diciamo che come tecnica si avvicina di più a VdP, Van Aert è un filino inferiore. Quello che a Pidcock manca è l’esperienza, data l’età e nel finale l’esperienza paga sempre…

Proiettando quanto si è visto alla prossima stagione su strada?

Il ciclocross è molto diverso dal ciclismo su strada, è difficile fare paragoni, ma vedo l’olandese come un grande cacciatore di classiche, grazie alla sua potenza unita alle sue doti veloci. Pidcock è più tagliato per le prove a tappe. Van Aert è potente sul passo, potrà fare davvero bene nelle Classiche del Nord. Anche a me erano le gare che piacevano di più, soprattutto la Roubaix. Van Aert è il più simile a me dei tre, un po’ mi ci rivedo, facendo le dovute differenze…