Capito l’errore del Gran Sasso, Petilli riaccende la sfida

16.05.2023
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Il riposo trascorre fra Modena e Reggio Emilia, in un giorno senza pioggia. Petilli finisce i massaggi alle 16,40, il pomeriggio è ancora lungo e c’è tutto il tempo per fare due chiacchiere. Il ricordo della resa sul Gran Sasso fa ancora male, ma i chilometri hanno iniziato a lenirlo e presto sarà il momento di riprovarci. Intanto però, quando ci ripensa, il lecchese si mangia le mani per non essersela giocata al meglio. Ha dato più di una volta la sensazione di poter staccare Bais e Vacek, invece alla fine ha dovuto inchinarsi ad entrambi. Terzo a 16 secondi, tutti accumulati in quegli ultimi 300 metri.

La fuga dei tre verso Campo Imperatore partita ai meno 211. All’inizio c’era anche Mulubrhan
La fuga dei tre verso Campo Imperatore partita ai meno 211. All’inizio c’era anche Mulubrhan
Hai recuperato?

Mi sto riprendendo. Se comunque sono arrivato a quel punto, ho l’obbligo di crederci ancora. Fino ai meno 5, più o meno, ero sicuro di vincere, forse anche troppo. L’errore più grosso che ho fatto è stato quello di essere troppo sicuro di me stesso.

Perché?

Ho voluto la fuga dal mattino, perché le possibilità di vincere contro i migliori erano davvero poche. D’altra parte era molto difficile che la fuga arrivasse con una tappa così lunga e soprattutto perché eravamo solamente in quattro. Poi ho visto che dietro lasciavano fare e ci ho creduto. Bais e Vacek li ho visti parecchio in difficoltà all’inizio della salita finale. Solo che invece di muovermi, mi sono messo ad aspettare gli ultimi chilometri, che erano quelli più duri, per provare a fare la differenza. Li ho sottovalutati e nel finale l’ho pagata.

Hai lanciato tu la volata…

Sinceramente, quando siamo arrivati alla volata mi sentivo già sconfitto. La svolta secondo me c’è stata ai meno 5, quando è iniziato il pezzo più duro e ho provato ad attaccare. E’ stato un attacco deciso, infatti Vacek si è staccato subito, solo che mi ha sorpreso Bais, che mi è rimasto attaccato a ruota. A quel punto per provare a staccarlo ho accelerato, ma il vento contrario così forte mi ha ammazzato, mi ha spezzato le gambe. E da lì ho iniziato a soffrire…

Petilli si è sentito a lungo più forte di Vacek e di Bais, ma forse ha giocato male le sue carte
Petilli si è sentito a lungo più forte di Vacek e di Bais, ma forse ha giocato male le sue carte
Quindi il vento c’era effettivamente?

C’era davvero. Infatti vedendo com’è andata la corsa dietro, col senno di poi mi sono spiegato perché non sia riuscito a fare la differenza. Potevo gestirla un po’ meglio, non recrimino come ho corso, però potevo provare un’altra tattica, prendendomi qualche rischio in più lontano dall’arrivo. Quando a inizio salita ho visto che erano in difficoltà nel darmi i cambi, avevo quasi pensato di attaccare. Provare ad andare da solo, visto che avevamo tanto vantaggio. Invece ho avuto paura di saltare o che comunque da dietro mi avrebbero ripreso. E così, pur non essendo veloce, mi sono rassegnato allo sprint. L’idea era provare ad arrivare da solo, ma loro sono stati migliori.

Era prevedibile che il gruppo non venisse a prendervi?

Al mattino non me l’aspettavo, la tappa era facile da controllare proprio grazie al vento. Invece c’è stato un tentennamento tattico. La DSM voleva solamente tenere la maglia rosa e tra Soudal e Jumbo nessuno ha voluto prendersi la responsabilità di tirare, col rischio che magari vincessero gli altri. In tante corse ho sempre attaccato al primo arrivo in salita, perché nessuno ha la certezza di vincere e quindi non sempre una squadra si prende la responsabilità piena di fare la corsa.

Come è stato rialzarsi dalla sconfitta?

Il giorno dopo sono stato a testa bassa (sorride, ndr), perché la tappa di Fossombrone non è stata semplice e ho sofferto un po’. Però sono riuscito ad arrivare senza problemi, quindi c’è stata la cronometro che ho usato ancora per recuperare. Il giorno di riposo è stato molto utile. Si resetta come ho sempre fatto, scacciando il rammarico, visto che non ci si può fare più niente.

La crono è stata un altro momento di recupero: ora l’obiettivo di Petilli sono le grandi salite
La crono è stata un altro momento di recupero: ora l’obiettivo di Petilli sono le grandi salite
Il Giro riparte senza Evenepoel. Come vivete questo ritorno di Covid?

Sta mettendo un po’ di stress. Era passato tutto, sembrava che ormai fosse un brutto ricordo, invece ecco tante positività e tanti abbandoni. Ovviamente la prima cosa è stata riprendere tutte le precauzioni possibili, cioè igienizzarsi le mani quando si è in mezzo a tanta gente, indossare la mascherina e quelle piccole attenzioni che potrebbero aiutare. Per il resto, purtroppo non ci si può fare nulla. Questo virus è più contagioso delle vecchie influenze e così bisogna avere qualche precauzione.

Il fatto di fermare il corridore positivo dipende solo dalla valutazione del medico?

Sì, decide il dottore. Secondo me in qualsiasi ambito la salute viene prima di tutto, quindi anche se per regolamento un corridore potrebbe continuare, se il medico dice di no per la sua salute la prima cosa è fermarsi. Giri d’Italia se ne faranno sicuramente altri.

Il ritorno alla mascherina…

Purtroppo cambia anche per noi. Ad esempio fino ad ora, quando alle partenze ci chiedevano gli autografi, eravamo sempre disponibili. Adesso dovremo stare attenti anche solo a fare le foto con i tifosi.

EDITORIALE / Parità e ambiente fanno rima con ipocrisia

15.05.2023
5 min
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Bacchettando il ricorso agli elicotteri sul Gran Sasso e parlando di parità e ambiente, l’Unione Ciclistica Internazionale ha scritto un’altra pagina nella sua raccolta di ipocrisie.

«Questo fatto – fa sapere con un comunicato il governo centrale del ciclismo – costituisce un vantaggio che va contro i principi di fair play e le disposizioni regolamentari per garantire la parità di trattamento per il trasferimento delle squadre ai loro alberghi. Inoltre, l’uso di un elicottero da parte di alcuni corridori per questo scopo va contro il principio della riduzione dell’impronta di carbonio, come indicato nelle specifiche degli organizzatori dell’Uci WorldTour. L’Uci adotterà le misure e le sanzioni necessarie per garantire che tale pratica non si verifichi in futuro. L’Uci condanna fermamente questo comportamento che va contro i principi di fair play ed equità, valori fondamentali dello sport».

Il presidente dell’UCI Lappartient non ha dettato la svolta tecnica che ci si aspettava da lui: la politica resta al centro
Il presidente dell’UCI Lappartient non ha dettato la svolta tecnica che ci si aspettava da lui: la politica resta al centro

La parità

Cominciamo dalla parità. Ci sono parità e fair play nel fatto che ad esempio, preparando il Giro, la Jumbo Visma, la Ineos oppure la Soudal-Quick Step abbiano potuto pagarsi così tanti giorni di ritiro dall’inizio dell’anno? Ci sono squadre che i ritiri li lasciano alla discrezione e alle tasche degli atleti?

Si può considerare equo far correre i team professional nello stesso gruppo dei WorldTour, esponendoli spesso a figure barbine? C’è parità nella possibilità di mettere a punto l’assetto da crono spendendo una fortuna in galleria del vento? Ci sono corridori di squadre più piccole che a malapena ricevono la bici prima del Giro.

C’è parità nel fatto che basti avere un mucchio di soldi e si possano portare il WorldTour e il campionato del mondo in qualsiasi angolo, compreso il deserto del Qatar? E’ segno di equità il fatto che si spremano risorse ovunque, per mantenere in piedi la sede di Aigle che ha i costi di una reggia?

Giro d’Italia 2010, Zoncolan: vince Basso, Nibali settimo. I due scendono a valle in elicottero
Giro d’Italia 2010, Zoncolan: vince Basso, Nibali settimo. I due scendono a valle in elicottero

La funivia intasata

Gli elicotteri di Campo Imperatore appartengono a una società di cui si serve l’organizzazione del Giro e che, a pagamento, potevano trasportare gli atleti a valle. La storia del ciclismo è piena di leader portati via in elicottero, perché di colpo si è ritenuto di stigmatizzarne l’uso?

Dopo la deludente tappa sul Gran Sasso, le squadre hanno portato via i loro atleti con le ammiraglie. I pochi che si sono azzardati a scendere con la funivia, fra loro Bettiol, si sono fermati davanti alla fila dei tifosi. Rispetto al passato infatti non era stata prevista una corsia preferenziale per la gente del Giro. Passino i giornalisti che, come chi scrive, hanno impiegato un’ora per raggiungere il Quartier Tappa ai piedi del monte, forse nei confronti degli atleti occorreva un altro riguardo, che i team più ricchi hanno ritenuto di pagare, avendone la possibilità.

Le due squadre accusate per l’uso dell’elicottero sono state la Soudal-Quick Step (in apertura Evenepoel) e la Bahrain: qui, Caruso
Le due squadre accusate per l’uso dell’elicottero sono state la Soudal (in apertura Evenepoel) e la Bahrain: qui, Caruso

La parità dei salari

C’è parità nel fatto che con il solo stipendio di un Pogacar o di Evenepoel si possa pagare l’intera stagione di una professional? Altre leghe dello sport professionistico hanno da tempo previsto un tetto ai compensi o comunque hanno trovato il modo per distribuire diversamente i talenti più forti nelle varie squadre. Nel ciclismo della parità, i più ricchi comprano tutto e gli altri si arrangino.

Il problema sorge quando qualcuno se ne accorge e sicuramente vedere andar via i primi della classe su un elicottero anziché nell’ammiraglia potrebbe aver fatto storcere il naso a qualcuno: a chi non è dato di saperlo, visto che i piccoli sono abituati ai privilegi dei grandi. Forse allora c’è da pensare che uno squadrone che non abbia fatto ricorso all’elicottero si sia lamentato con l’Unione Internazionale?

Ci sono professional dal budget inferiore allo stipendio di Pogacar: c’è parità in questo?
Ci sono professional dal budget inferiore allo stipendio di Pogacar: c’è parità in questo?

Ambiente e ciclismo

E poi l’ambiente, punto molto caldo che sta a cuore a tutti. Dopo aver stabilito multe e squalifiche per chi butta borracce e carte di barrette fuori dai luoghi preposti, adesso si parla degli scarichi degli elicotteri. Perché invece non parlare del numero sconsiderato di veicoli che seguono le corse? Quante ammiraglie? Quanti auto e mezzi che non c’entrano nulla con la corsa?

C’è parità ed è ecologico che ci siano squadre con il camion cucina, il camion officina e il camion ristorante, oltre chiaramente al pullman, mentre ce ne sono altre che hanno il camion officina e il pullman e ad averli si sentano anche ricche?

Insomma, bacchettando il ricorso agli elicotteri l’UCI non ha fatto un gesto necessariamente sbagliato, ma che stride terribilmente con la realtà dei fatti e l’evidenza di uno sport in cui i soldi hanno da tempo scavato un solco incolmabile fra i soggetti che ne fanno parte. Non prendere atto di questo e colpire una delle manifestazioni della disparità è il chiaro segno che non si abbia il minino interesse nell’appianarla. Conta solo che nessuno se ne accorga.

Gruppo (per ora) rassegnato, non solo vento: parla Pinot

13.05.2023
4 min
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CAMPO IMPERATORE – Dopo l’arrivo sul Gran Sasso, persa per mano di Bais la maglia blu della montagna, Thibaut Pinot si è infagottato nel giubbino più pesante ed è disceso dalla montagna in bicicletta. Un’immagine nostalgica e romantica, per l’uomo che sta correndo l’ultimo Giro nella sua ultima stagione, anche se di ritiro Pinot non vuole sentir parlare. Un ritorno al bus di quasi 30 chilometri, a capo di una tappa di 218. Lassù il francese era già arrivato secondo nel 2018, battuto dall’imbattibile Simon Yates. Questa volta è arrivato sesto, terzo nella volata del gruppo, dietro Evenepoel e Roglic. Due scenari completamente differenti. Allora lottarono i migliori, questa volta la tappa se la sono giocata tre uomini coraggiosi mentre dietro si limava.

«E’ andata totalmente all’opposto di quello che è successo cinque anni fa – ha raccontato Pinot a L’Equipe una volta raggiunto il parcheggio di Fonte Cerreto – soprattutto a causa del vento. Ce l’avevamo in faccia e nessuno tra i leader oggi voleva bruciare la sua squadra. Più in generale, nessuno oserà prendere in mano la situazione, a parte la Soudal-Quick Step e la Jumbo di Roglic. A parte loro, nessuno avrà il coraggio di attaccare se alla fine sarà comunque battuto dai due. Del resto c’è Remco che controlla da solo la corsa. E se decide di non correre per la tappa, le fughe vanno fino in fondo».

Il passivo della crono

E mentre Leknessund oggi è ripartito con la maglia rosa, sapendo che molto probabilmente si tratterà dell’ultimo viaggio di questo Giro con le insegne del primato, Pinot guarda più lontano, cercando di capire che piega prenderà per lui la corsa.

«Per fare un primo punto – ha detto ieri Thibaut – bisognerà aspettare la cronometro. Domani (oggi) la tappa è dura, potrebbe essere favorevole per un velocista che riesce a superare le salite, ma domenica di sicuro perderò molto tempo. Nella prima crono, Remco mi ha rifilato 1’43” in meno di 20 chilometri, non mi faccio troppe illusioni su quello che potrò fare domenica. Il Giro è ancora molto lungo, bisognerà aspettare anche la prima tappa di alta montagna a Crans Montana. Fino ad allora, nulla sarà molto preciso nella classifica generale, soprattutto perché nella seconda settimana è prevista molta pioggia».

La pressione non fa crescere

Al di là di quello che potrà fare, del piazzamento finale o dell’eventuale vittoria di tappa, sorprende vedere Pinot che corre in modo rilassato, rincorrendo i gran premi della montagna e mostrandosi molto disteso alle partenze.

«Conosco il Giro d’Italia – ha detto – ad ora la mia preoccupazione principale è salvarmi dal freddo e dalle cadute. Non penso mai che sia l’ultimo anno, sono in corsa e voglio arrivare a Roma senza rimpianti. Faccio davvero fatica quando sono in bici a realizzare che questa è l’ultima volta che corro qui, anche se ho ancora molta meno pressione rispetto al 2018. E questo forse è il più grande rimpianto della mia carriera. Mi rendo conto che non è la pressione che accelera i progressi, invece ho sempre voluto fare troppo bene, essere all’altezza delle aspettative e alla fine ho corso più per gli altri che per me stesso».

La corsa bloccata: è stata solo colpa del vento?

12.05.2023
6 min
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CAMPO IMPERATORE – Una spiegazione c’è e sta nel vento contro, anche se il gruppo ha corso in modo rinunciatario sin dall’inizio, lasciando andare la fuga in modo incontrollato. In una tappa così importante non avrebbero potuto provare anche altri team e altri uomini? Vedere poi il gruppo appallato lungo tutta la salita finale verso il traguardo non è stato lo spettacolo più avvincente. Sul traguardo e nei messaggi continuano ad arrivare note critiche. Il vento è gelido, l’albergo rosso è in ristrutturazione da anni, ma nelle stanze al pian terreno le squadre possono cambiarsi. Fuori si servono centinaia di arrosticini, mentre la gente comincia a sfollare.

«La salita come avete visto aveva tanto vento contro – dice Caruso con le labbra che tremano per il freddo – quindi fare un’andatura alta era difficile. Piuttosto non so perché chi poteva vincere oggi abbia lasciato tanto tempo a questa fuga. Qualcuno avrebbe potuto tirare, io no di sicuro. Se qualcuno si voleva prendere la briga di tirare per 220 chilometri per provare a vincere e non l’ha fatto, magari adesso si starà mangiando le mani.

«Domani c’è una tappa duretta – prosegue il siciliano della Bahrain Victorious cercando di spiegare il finale –  domenica una lunga crono piatta, dove sicuramente pagherò ancora un po’, poi cominciano le Alpi e da lì se ne vedranno delle belle. Mi piace come si punzecchiano Roglic ed Evenepoel, però è un peccato. Forse questa tappa meritava di più».

Caruso aspetta l’elicottero: i primi della classifica sono stati portati in basso in modo più rapido
Caruso aspetta l’elicottero: i primi della classifica sono stati portati in basso in modo più rapido

Vento e nuvole

Campo Imperatore è nuovamente inghiottito dalla nuvola, il vento è ostinato, per cui i corridori arrivano, si coprono, scambiano poche parole e poi prendono la discesa verso le ammiraglie. I big vanno in elicottero, gli altri in ammiraglia. Dipende chiaramente dai punti di vista, ma ricordando quel che quassù accadde nel 1999, quando Pantani scrisse un pezzetto della sua storia, la tattica rinunciataria del gruppo ha sconcertato chi a vario titolo li aspettava in cima.

«Ma è dipeso solo dal vento contrario – ammette Matteo Tosatto, che con la sua Ineos avrebbe provato ad attaccare nel finale – c’erano folate contrarie a 15-20 chilometri orari, a ruota si stava bene, mentre davanti si faceva una faticaccia. Avremmo provato di certo, non c’è altra spiegazione per lo spettacolo di questa tappa».

La condotta rinunciataria del gruppo è iniziata sin da subito, non solo per il vento
La condotta rinunciataria del gruppo è iniziata sin da subito, non solo per il vento

Remco soddisfatto

Le stesse parole le pronuncia Evenepoel, uno che non ha paura di prendere vento in faccia, ma che stavolta evidentemente ha dovuto alzare bandiera bianca.

«Il cessate il fuoco – spiega prima di avviarsi verso valle in elicottero – è stato dovuto principalmente al vento contrario. Non si poteva fare molto. Qual è stata la mia sensazione? Bene. Ho vinto lo sprint e sono rimasto fuori dai guai, da qualche buco. Fare primo è meglio che ultimo. Col senno di poi, è un peccato che quei tre fossero ancora avanti. E’ stata una lunga giornata, siamo stati in bici per sei ore. Ha fatto anche molto freddo in cima, ma è stata una giornata perfetta per noi».

Basso al settimo cielo

Ai piedi del podio c’è uno che il Giro l’ha vinto per due volte e che da un lato si gode la vittoria di Bais e dall’altro cerca di spiegare quel che si è visto.

«Non potevamo aspettarci un inizio di Giro migliore – dice Ivan Basso – veniamo da una settimana ricca di risultati. Albanese è stato fantastico, anche Fortunato ha dimostrato in salita di andare molto forte, quindi cercheremo di continuare a interpretarlo così. Ci lamentiamo che non ci sono squadre, non ci sono giovani… Noi cerchiamo di guardare invece quello che c’è. Una cosa voglio dirla: guai a chi tocca la mia squadra e i miei ragazzi. Questa vittoria vuol dire che lavoriamo bene, che è una squadra con una credibilità e un’identità e che è destinata a fare una strada molto lunga

Basso gongola per la vittoria di Bais: ossigeno per la squadra
Basso gongola per la vittoria di Bais: ossigeno per la squadra

«Bais arriva dal Ct Friuli – prosegue il manager della Eolo-Kometa – una delle migliori scuole di ciclismo per la categoria giovanile. Lo abbiamo preso e con il mio staff, che proviene per la maggior parte dalla Liquigas, abbiamo cercato di fare quello che abbiamo fatto a suo tempo con Sagan e con Nibali, con Viviani e con Caruso. Questo è quello che noi facciamo e continueremo a fare». 

Tattica prudente

Basso ha vinto per due volte il Giro, si diceva, ma la seconda volta, nel 2010, gli toccò sudarselo oltre ogni immaginazione, per una fuga bidone verso L’Aquila: che cosa gli è parso della tappa dei migliori e di questa fuga lasciata andare così a cuor leggero?

«Io ero molto concentrato sulla corsa – dice con la consueta diplomazia – non ho seguito la corsa del gruppo. Però è stata una settimana dura, con il brutto tempo. Domani ci sarà una tappa difficile, con un inizio complicato. Io credo che la cronometro metterà un po’ di ordine alla classifica e poi se la giocheranno in montagna. Ci sono state delle cadute e magari noi non sappiamo dall’esterno come stia chi è andato giù. Se magari Evenepoel ha ancora qualche fastidio e preferisce rinviare».

La discesa dal Gran Sasso è un continuo pigiarsi con i turisti sulla stessa funivia. Scambiamo due parole con Fabio Genovesi e con la famiglia di Domenico Pozzovivo: serve un’ora per andare giù. L’attesa per la prima tappa in salita è stata presa a schiaffi dal vento e dal gruppo. Le cose certe sono due: in quella fuga potevano e dovevano entrare ben altri corridori, mentre questo Giro non ha la foga degli ultimi anni, quando ogni traguardo parziale era il pretesto per duelli e attacchi. Sarà la normalizzazione dopo il Covid, sarà il vento, sarà la stanchezza. Comunque sia, la crono di Cesena inizierà un’altra storia.

Davide Bais da sogno. Campo Imperatore è suo

12.05.2023
4 min
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CAMPO IMPERATORE – Uno scatto secco. Uno solo. Come il manuale del buon ciclista impone e Davide Bais ha vinto la sua prima gara da professionista. Il corridore della Eolo-Kometa conquista il prestigioso traguardo di Campo Imperatore.

Prendersi un arrivo in quota al Giro d’Italia è qualcosa che non capita molto spesso. «Quando Petilli è scattato e Davide è rientrato bene, ha capito di avere buone gambe e lì ci ha davvero creduto», ci racconta Stefano Zanatta direttore sportivo della Eolo-Kometa. Anche se lui era nell’ammiraglia dietro al gruppo, ha avuto sempre la situazione sotto controllo.

I tre protagonisti della fuga di giornata: Karel Vacek, Simone Petilli e Davide Bais, ormai sulle rampe del Gran Sasso
I tre protagonisti della fuga di giornata: Karel Vacek, Simone Petilli e Davide Bais, ormai sulle rampe del Gran Sasso

Tre chilometri

La tappa scorre via nel cuore dell’Abruzzo. Il gruppo lascia fare e il distacco dilaga. Si può andare all’arrivo dunque. La scalata finale si fa man mano più intensa, sia per la tensione della gara, sia per la pendenza.

«E’ una grande gioia per me – racconta in maglia blu, Davide Bais – sull’ultima salita ho tenuto duro agli attacchi, soprattutto quelli di Simone Petilli. Sapevo che non dovevo mollare perché ero il più veloce. Gli ultimi tre chilometri sono stati i più duri e i più belli per me».

E Davide Bais se l’è giocata bene. Ha gestito ottimamente nervi ed energie. Ai 300 metri è partito e ha immediatamente aperto un gap. I massaggiatori della Eolo, dietro l’arrivo hanno iniziato subito ad abbracciarsi.

Gruppo sornione, la fuga va e Davide Bais ne approfitta
Gruppo sornione, la fuga va e Davide Bais ne approfitta

Fratelli al Giro

Intanto nelle stanze del vecchio hotel di Campo Imperatore, quello che tenne prigioniero Mussolini, i corridori si radunano alla spicciolata. Si scaldano sotto ai “funghi”. Qualcuno fa i rulli. E tra coloro che si cambiano, c’è anche Mattia Bais, fratello di Davide. Entrambi altro prodotto del Cycling Team Friuli.

Mattia è il ritratto della felicità. «Ho saputo ai due chilometri che Davide aveva vinto. Ho iniziato a festeggiare come se avessi vinto io. Gli altri in gruppo mi guardavano…

«Oggi dovevamo provarci io o lui. E’ entrato lui e va bene così. E’ un giorno importante per Davide, per me, per la squadra».

«Stare qui al Giro con mio fratello – replica Davide in conferenza stampa – è davvero bello: ci si aiuta, ci si confronta. E statene certi che presto anche lui si farà vedere. Siamo due corridori simili, due attaccanti. Le differenze? Due anni di età, qualche centimetro di statura e io che sono più disordinato!».

Zanatta, la strategia

E dire che tra le tante tappe forse questa era quella meno cercata dagli Eolo-Kometa. In effetti hanno speso parecchio in questa prima fase di Giro con Albanese, con Gavazzi e con lo stesso Davide Bais, già in fuga. 

«E’ una vittoria importantissima – spiega Zanatta – per la nostra squadra. E’ dall’inizio del Giro che siamo protagonisti. Abbiamo speso tanto e oggi non dovevamo cercare la fuga per forza. Anche perché credevamo che la corsa l’avrebbero fatta i team degli uomini di classifica».

Invece succede che gli uomini di classifica oggi non ne vogliono sapere. E quando iniziano gli scatti per andare in fuga i ragazzi della Eolo dovevano giusto buttarci un’occhio. Cosa che ha fatto Davide Bais.

«E’ andata proprio così – dice Zanatta – ma dico anche che siamo stati fortunati. Quando abbiamo visto che erano arrivati a 12′ a quel punto è cambiata la fuga stessa: si poteva arrivare. Ed è stata tutta un’altra gestione». 

Come dice Zanatta è cambiata la fuga. A quel punto si è trattato di far stare tranquillo il ragazzo. Anche perché era un bel po’, dalle categorie giovanili, che Davide non vinceva. Poteva emozionarsi

«Abbiamo cercato – conclude Zanatta – di non fargli pesare il fatto che si sarebbe giocato una tappa del Giro. Gli abbiamo detto di ragionare chilometro per chilometro, di mangiare, di bere… Solo nel finale gli abbiamo detto di tenere sott’occhio soprattutto Petilli, per noi il più forte. Anche se ai piedi di Rocca Calascio temevamo ancora il gruppo. Se un team degli uomini di classifica si fosse messo a tirare con decisione, sarebbero potuti rientrare. La scalata finale, nel suo insieme era di oltre 40 chilometri».

Ma non è successo. I tre davanti sono andati forte. E l’epilogo lo conosciamo.