Barbieri & Moro: storie di corse, allenamenti e vita

Giada Gambino
23.07.2023
5 min
Salva

Reduce dal Giro Donne, Rachele Barbieri continua i suoi allenamenti assieme al compagno Manlio Moro, corridore della Zalf Eurobil Fior, due volte campione europeo nel quartetto e, a quanto si dice, promesso al Movistar Team. Dopo i racconti di Elisa Longo Borghini sulle volate al cartello con Jacopo Mosca, ci è venuta la curiosità di chiedere all’emiliana che cosa le dia allenarsi con il suo ragazzo. E lei ci racconta così il ciclismo “di coppia” e i suoi prossimi, stancanti, appuntamenti. 

Nella valorizzazione di Rachele Barbieri su strada c’è la forte impronta di Giorgia Bronzini
Nella valorizzazione di Rachele Barbieri su strada c’è la forte impronta di Giorgia Bronzini
Condividere il lavoro con la persona che ami…

E’ stato qualcosa un po’ di inaspettato. Mi sono sempre detta «Assolutamente no ciclisti», per la paura di non poter mai staccare la testa quando sono a casa e nei momenti impegnativi. Alla fine le cose capitano e non puoi farci nulla, sono molto contenta. Non è sempre semplice. L’aspetto positivo è sicuramente quello di condividere lo stesso sport, allenarsi insieme e goderci di conseguenza la giornata insieme. Lo stile di vita è lo stesso: dal cibo al riposo. Con un altro tipo di ragazzo, non è sempre semplice farsi capire da questo punto di vista. Tra gli aspetti negativi, invece, c’è il fatto che quando parto io, torna lui, torno io e parte lui: non ci vediamo spesso. Questo, però, ti porta a vivere intensamente il tempo insieme. Sono molto contenta, ci capiamo tanto, capiamo le necessità reciproche e ci aiutiamo.

Durante gli allenamenti insieme… 

E’ molto bravo, solitamente sono io quella un po’ peggio, ho meno pazienza (ride, ndr). Quando dobbiamo fare distanza, che non richiede esercizi specifici, usciamo insieme e a volte lui mi deve aspettare e fare un po’ di avanti e indietro. Alla fine quando torniamo a casa lui ha sempre qualche chilometro in piu’ rispetto me, anche se il giro è lo stesso (sorride, ndr). Cerchiamo sempre nei momenti di difficoltà di spronarci a vicenda.

Barbieri e Moro si allenano insieme, anche se lavori e distanze sono spesso incompatibili
Barbieri e Moro si allenano insieme, anche se lavori e distanze sono spesso incompatibili
Fate anche parte della nazionale della pista.

Anche lì è bello supportarci, ma vedere anche momenti di rabbia e tristezza in allenamento dell’uno e dell’altro inevitabilmente fa stare un po’ male. Ci  sono dei pro’ e dei contro. 

Cosa hai  imparato, ciclisticamente parlando, grazie a Manlio ? 

Sicuramente la resilienza. Lui è un ragazzo molto professionale, si impegna tantissimo, soprattutto negli allenamenti più duri dove io, di testa, tendo a cedere. Lui mi motiva e mi aiuta, mi insegna a crederci anche quando ci sono momenti no. Mi ha insegnato a portare sempre a termine l’allenamento anche se si è nella giornata o periodo no. Avere un esempio davanti, nonostante sia più giovane di me e dovrebbe essere il contrario, è un valore aggiunto. 

L’abbraccio fra Moro a Rachele all’arrivo di Modena. Momento ritratto anche nella foto di apertura
L’abbraccio fra Moro a Rachele all’arrivo di Modena. Momento ritratto anche nella foto di apertura
L’abbraccio al Giro d’Italia… 

Mi ha fatto una sorpresa. Aveva fatto una settimana un po’ di recupero perché non stava bene e non mi aspettavo che venisse a vedermi al Giro d’Italia Donne, glielo avevo chiesto ma mi aveva detto che non poteva. Mi era un po’ dispiaciuto sinceramente. Prima di partire tra tifosi e parenti dicevo proprio di essere triste perché Manlio non sarebbe venuto. In salita, invece, ad un certo punto l’ho visto, ci speravo tantissimo, mi sono messa a ridere nonostante la fatica. Vederlo, poi, all’arrivo e abbracciarlo è stata come un po’ di carica e grinta in piu’. 

Cosa ti è rimasto di più del Giro d’Italia ? 

La fatica (ride, ndr)! Dopo l’anno scorso, sapevo che sarebbe stato un Giro più impegnativo, c’era più salita e meno pianura, però non mi aspettavo così tanta fatica e sofferenza. Sicuramente si è alzato un po’ il livello perché siamo sempre andate ad andature elevatissime nonostante il dislivello. In molte tappe già si sapeva in partenza che sarebbe arrivato il gruppetto all’arrivo, senza imprevisti e senza quelle situazioni che non si possono calcolare, che a me piacciono tanto…

Assieme a Consonni nella madison agli ultimi mondiali: le prove iridate su pista sono u obiettivo anche nel 2023
Assieme a Consonni nella madison agli ultimi mondiali: le prove iridate su pista sono u obiettivo anche nel 2023
I prossimi obiettivi…

A breve partirò per il Tour Femmes e ci sono ben poche tappe piatte, forse la prima. Sarà dura e il livello sarà ancora più alto del Giro. Se tutto va bene dovrei partire poi per il mondiale su pista, ma è tutto un po’ accavallato e non è sempre semplice riuscire a far coincidere tutto. Sono stata in ritiro a Livigno prima del Giro e ho fatto avanti e indietro da Montichiari per allenarmi in pista. Il Giro è stato duro e fare tanti spostamenti e allenamenti diversi sarebbe stancante. Prima di partire per il Tour sicuramente farò qualche allenamento in pista. L’anno scorso fare europei, Giro e Tour mi ha portato bene e la condizione era sempre in crescita, ma c’era un po’ più di spazio tra i vari appuntamenti. Quest’anno se farò il mondiale, non parteciperò alle ultime due tappe del Tour per rientrare prima. Valuteremo giorno per giorno. 

Shokz OpenRun PRO: gli auricolari a conduzione ossea

24.06.2023
3 min
Salva

Shokz, azienda di riferimento per auricolari e cuffie ad uso sportivo, presenta le sue cuffie a conduzione ossea. Una tecnologia che permette di sentire attraverso il design “open ear”, che lascia libero il condotto uditivo. In questo modo si può ascoltare musica ed allo stesso tempo percepire l’ambiente circostante, cosa fondamentale nel ciclismo. 

Le cuffie a conduzione ossea permettono di allenarsi in piena sicurezza
Le cuffie a conduzione ossea permettono di allenarsi in piena sicurezza

Innovativi

La tecnologia ed i brevetti di Shokz sono estremamente innovativi, i loro prodotti sono caratterizzati da un’ottima impermeabilità. Fattore determinante quando si tratta di essere utilizzati in eventi all’aria aperta. Uno su tutti è l’IronMan, della quale Shokz è stata sponsor. Gli auricolari a conduzione ossea sono lo strumento perfetto per chi vuole allenarsi in sicurezza. Ma lo diventano anche in altri ambiti della vita di tutti i giorni, come a casa o in ufficio. Permettono di sentire i rumori circostanti e al tempo stesso di concentrarsi a ritmo di musica grazie al design “open-ear”. 

Questo prodotto di Shokz sfrutta la conduzione ossea, un processo uditivo naturale del nostro corpo
Questo prodotto di Shokz sfrutta la conduzione ossea, un processo uditivo naturale del nostro corpo

Conduzione ossea

Questo sistema utilizzato da Shokz per creare le sue cuffie è lo stesso che utilizziamo naturalmente quando beviamo o mangiamo e anche mentre parliamo. La conduzione ossea è il motivo per il quale percepiamo in maniera differente la nostra voce rispetto alla realtà. Tendiamo a percepire la nostra voce più bassa e intensa perché il cranio trasmette basse frequenze meglio dell’aria. 

Shokz sfrutta la conduzione ossea naturale integrando nei propri auricolari wireless dei trasduttori elettromeccanici, che convertono i suoni in vibrazioni da trasmettere direttamente all’interno dell’orecchio, attraverso le ossa del cranio, bypassando quindi il timpano.

La batteria arriva fino a dieci ore di autonomia
La batteria arriva fino a dieci ore di autonomia

OpenRun PRO

Sono proprio queste le cuffie bluetooth che utilizzano la tecnologia brevettata di Shokz. Un sistema di conduzione ossea di nona generazione e del design “open ear” che non blocca i canali uditivi. L’autonomia arriva fino a dieci ore, in modo da poter essere sfruttati durante tutti gli allenamenti.

Shokz

MagneticDays Tower: e l’azienda si visita (tutta) online

22.03.2023
2 min
Salva

Effettuare un tour virtuale in azienda? Con MagneticDays oggi questo è facilmente possibile… Sì, proprio così! Sul canale ufficiale MD Video del brand toscano specializzato nel settore del training, è stata difatti introdotta un’innovativa sequenza di video che reparto per reparto illustra e presenta ciascun dipartimento operativo della realtà coordinata da Marco Sbragi. Ed è proprio lo stesso CEO di MagneticDays a condurre l’utente in questo tour virtuale

Si passa dalle meeting room alla amministrazione, dall’ufficio comunicazione al media lab, per poi arrivare al cuore pulsante della realtà aretina rappresentato dagli uffici dei coach, dalla ricerca e sviluppo e dalla produzione: un modo facile ed al tempo stesso molto innovativo per scoprire cosa c’è veramente dietro MagneticDays

«I valori alla base della nostra filosofia aziendale – ha dichiarato Marco Sbragi – incarnano i concetti di innovazione, di cura dei dettagli, di design, di precisione, di accuratezza e di affidabilità: tutti plus che contraddistinguono l’interno processo di lavorazione dei prodotti MagneticDays, dalla nascita nelle nostre officine fino alla casa del cliente… E proprio per questo abbiamo deciso di metterci a nudo e di consentire ai nostri clienti, e ai futuri tali, di scoprire quanto teniamo alla qualità dei nostri prodotti».

Un’esperienza virtuale sul sito di MagneticDays permette di osservare l’azienda dal suo interno
Un’esperienza virtuale sul sito di MagneticDays permette di osservare l’azienda dal suo interno

La potenza del Jarvis

I materiali, di prima qualità, sono gli ingredienti principali per realizzare un prodotto unico nel suo genere come nel caso del trainer Jarvis, sinonimo di un modo innovativo di concepire l’allenamento indoor basato su un approccio scientifico dove teoria e pratica si fondono insieme per regalare all’utente un’esperienza unica.

Jarvis è molto più di un semplice rullo da allenamento indoor. E’ un vero e proprio sistema di allenamento interattivo dall’approccio scientifico che rivoluziona il concetto di indoor training. Dotato di WiFi integrata, consente di collegare lo strumento a dispositivi fissi (tramite software scaricabile dal sito internet) e mobile (smartphone e tablet con App dedicata presente su iOS e Android) attraverso cui monitorare costantemente ed in tempo reale lo stato di avanzamento della sessione di allenamento, fornendo indicazioni dettagliate sui parametri essenziali di ogni workout (forza, potenza, frequenza naturale della pedalata frequenza cardiaca), facilmente consultabili e valutabili dall’utente.

E’ prevista anche la possibilità di collegare lo strumento tramite USB o Bluetooth. L’utente/atleta può comunicare con il proprio coach sfruttando il servizio “cloud” interattivo attraverso il quale è possibile ricevere gli allenamenti da eseguire ed inviare gli allenamenti eseguiti (tramite App mobile/software PC). Ciascun allenamento è pensato e scritto per ogni singolo utente dai coach MagneticDays, che sviluppano una metodologia personalizzata per quel singolo utente nelle condizioni fisiche in cui si trova in quel preciso momento, sulla base del continuo binomio valutazione/erogazione dei carichi allenanti.

MagneticDays

MD Video

Caro Michelusi, cos’è la firma del preparatore?

02.03.2023
5 min
Salva

Cos’è la “firma” del preparatore? Nel calcio si riconosce il gioco di questo o quell’allenatore. E la sua firma è più identificabile. Nel tennista c’è quel colpo giocato con quello specifico modo. Anche il ciclista in molti casi ha la sua firma: Pantani che scattava con le mani basse. Cavendish che fa le volate col “mento sulla ruota anteriore”. Ma riconoscere la firma di un preparatore è cosa ben più complessa (in apertura foto @tizian.jasker).

Eppure qualche giorno fa, Matteo Moschetti ci disse queste parole parlando del suo arrivo nella nuova squadra, il Team Q36.5 e del suo nuovo preparatore, Mattia Michelusi: «Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più». 

Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)
Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)

Parola a Michelusi

E indovinate a chi siamo andati a chiedere lumi?! A Mattia Michelusi chiaramente, coach appunto della giovane squadra svizzera.

Partendo dagli stimoli, Michelusi afferma subito che già il solo fatto di cambiare allenatore è uno stimolo. E non solo mentale, ma proprio fisico. Basta fare un lavoro in certo modo, o un diverso numero di ore che l’organismo risponde in maniera diversa.

«Penso che la frase di Moschetti – dice Michelusi – possa avere più interpretazioni. Alla fine allenarsi è fare un totale di ore di attività e questo vale per tutti, ma poi la differenza la fanno i dettagli ed è lì che c’è la firma, come dice Matteo. Un preparatore preferisce un determinato metodo di lavoro, ed un altro ne predilige un altro ancora, ma soprattutto come questo interpreta i lavori specifici. La base è quella».

Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”
Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”

La firma negli specifici

E qui Michelusi entra nel dettaglio della firma. Quando si lavora sulla base, per esempio la Z2, c’è poco da intervenire. Sì, potranno esserci piccole differenze d’intensità ma di fatto si tratta di pedalare per un “X” ore ad un ritmo regolare non troppo impegnato. Il coach ha ben poco da modificare. Non è come quando si fa del fuorisoglia, delle SFR…

«In riferimento ad un velocista come Moschetti – dice Michelusi – la mia firma può essere su come s’interpretano i lavori specifici per gli sprint. Magari altri dicono di fare 10 volate ad una determinata intensità, io invece imposto ogni volata con una velocità e un rapporto di partenza. Ma alla fine entrambi i coach ed entrambi gli atleti hanno assegnato e svolto dieci sprint.

«Un altro aspetto molto importante su cui può essere posta la firma del coach è la forza, visto che prima avete parlato di SFR… Io credo che lì si concentri la maggior parte della differenza fra i preparatori. Come si allena questa componente? Sempre nel caso di Moschetti per lui che è un velocista magari le SFR non sono lo specifico più indicato e quindi gli faccio fare altro. Mentre le SFR vanno bene per uno scalatore. Insomma vario in base all’atleta, in base al modello di prestazione che ho di fronte».

 

Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI
Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI

Come un sarto

Modello prestativo: un concetto ben intuibile: ci si concentra sull’atleta e soprattutto su ciò che questo è chiamato a fare… E di conseguenza si regola il preparatore. 

«Certamente – va avanti Michelusi – non sarò l’unico a seguire questo approccio, ma io gli do molta importanza. E’ un po’ come un cliente che va da un sarto. Prima prende bene le misure del cliente e poi vi confeziona intorno l’abito su misura».

Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto
Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto

Questione di feeling

Ma se nella sua squadra di club Michelusi è più “libero” e può essere un sarto, quando è impegnato nel gruppo della nazionale e della pista, in cui ci si muove soprattutto secondo le direttive di Marco Villa, come fa a mettere la sua firma? E’  più complicato?

«Con la FCI siamo un gruppo e il bello è che ognuno porta la sua conoscenza, tanto più che si arriva da esperienze diverse. Non si tratta di avere “le mani legate”, quanto piuttosto di condividere le idee. C’è Bragato che gestisce il gruppo e non solo quello relativo alla pista ma anche di altri settori, come mtb o bmx per esempio.

«Molto poi dipende dal feeling con l’atleta. Io sono uno che parla molto con i ragazzi che seguo. Voglio che sappiano ciò che fanno e perché. Devono sapere perché fanno una SFR a 50 rpm anziché a 70, per dire… Devono apprendere certi concetti».

E questo è verissimo. Quando si ha cognizione di causa il lavoro è assimilato meglio, anche dalla mente. E se oltre a capirlo lo si condivide appieno è ancora meglio.

«Per questo motivo – conclude Michelusi – è importante dare non solo il programma settimanale, ma sapere e fare sapere all’atleta cosa si andrà a fare settimana per settimana da lì all’obiettivo. Quale sarà il cammino, poi chiaramente i piccoli aggiustamenti specifici (se fare per esempio 5 ripetute a 300 watt o 6 a 330 watt, ndr) si fanno col procedere della preparazione».

Recupero Extreme: l’integratore giusto per il post allenamento

24.11.2022
2 min
Salva

Il recupero post allenamento è una parte fondamentale della preparazione. Integrare al più presto le energie spese aiuta a migliorare la performance e permette di farsi trovare pronti al più presto. EthicSport sa quanto è importante questa fase e grazie al Recupero Extreme vi aiuta a farlo fin da subito. 

EthicSport ha supportato l’Androni per tutta la stagione 2022
EthicSport ha supportato l’Androni per tutta la stagione 2022

Post allenamento

Quando si termina un’attività fisica intensa, come un allenamento o una gara, il nostro corpo è in una fase di stress. Di conseguenza l’ipotalamo inizia una reazione che parte dal cervello e rilascia ormoni come il cortisolo. Lo stress legato alla produzione di cortisolo lo fa diventare sistemico e cronico, di conseguenza il nostro organismo fatica a recuperare. 

EthicSport, nel suo reparto di ricerca e sviluppo ha studiato una formula moderna e finalizzata ad ottimizzare il recupero del nostro organismo. 

Il Recupero Extreme è disponibile nella confezione da 24 bustine
Il Recupero Extreme è disponibile nella confezione da 24 bustine

Recupero e nutrienti

Nel Recupero Extreme sono contenuti molti ingredienti che aiutano la fase di recupero. Si parte dalla presenza di vitamine del gruppo B: B1, B6 e B12. A queste si aggiungono gli elettroliti, la combinazione di questi ingredienti riduce stanchezza ed affaticamento. La presenza di calcio, potassio e magnesio stabilizza il metabolismo energetico delle proteine e del glicogeno. Il prodotto non contiene glutine, pertanto è indicato anche per soggetti celiaci o con intolleranza al glutine. 

Il metodo di utilizzo è estremamente semplice: bisogna sciogliere il contenuto di una busta in 250 ml di acqua. Il periodo consigliato per assumere il Recupero Extreme è tra i 15 ed i 30 minuti dopo un impegno sportivo intenso. Nel caso si prenda il barattolo si devono sciogliere due misurini (circa 50 grammi) nella stessa quantità di acqua.

EthicSport

Ripartire dopo 4 anni. Sentiamo il dottor Giorgi

23.11.2022
5 min
Salva

Qualche giorno fa vi avevamo parlato di Andrea Innocenti, il ragazzo che è rimasto fermo oltre quattro anni per un intoppo con l’antidoping al primo anno tra gli U23. Al netto di questa vicenda (non è questo l’argomento), è scattata in noi la curiosità di sapere come si fa a tornare alle gare dopo uno stop tanto lungo. Una curiosità alla quale ha risposto il dottor Andrea Giorgi, in uscita dalla  Drone Hopper-Androni. Giorgi, va detto, è anche un eccellente preparatore.

Innocenti ci aveva detto che non aveva corso, ma che comunque si era allenato. E anche forte. Due picchi a stagione, con tanto di riposo e altura a seguire. Dietro motore con la bici da crono… Insomma non era rimasto a piangersi addosso.

Il dottor Giorgi con Bais…
Il dottor Giorgi con Bais…

L’aspetto mentale

«Quattro anni fermo sono davvero un tempo lungo – esordisce Giorgi – e soprattutto un tempo non facile da valutare specie per un adolescente. Intorno ai 17-18 anni, i ragazzi continuano a svilupparsi verso l’età adulta con importanti variazioni corporeo.

«Partendo dal caso di Innocenti, lui si è allenato e tutto sommato il suo “detraining”, il periodo di non allenamento, è stato più psicologico che fisico. Non ha continuato ad avere gli stimoli provenienti dalle competizioni: tensione, approccio alla gara, alimentazione prima, durante e dopo la la competizione… ma il resto tutto sommato c’era».

E infatti Innocenti stesso ha parlato di alcune difficoltà tecniche. Il ragazzo toscano, tornato in corsa questa estate al Giro del Friuli, ha detto di aver preso dietro lo Zoncolan in quanto si era staccato nella discesa precedente. Certe attitudini, certi automatismi si perdono a quanto pare. Non si ritrovano in un attimo, specie in questo ciclismo che corre veloce in tutti i sensi. Novità tecniche, materiali… anche il gruppo si muove diversamente.

Non è solo una questione di ritmo, stare fermi a lungo significa anche dover riprendere il feeling con il gruppo
Non è solo una questione di ritmo, stare fermi a lungo significa anche dover riprendere il feeling con il gruppo

Il detraining…

«Quando si parla di detraining – prosegue Giorgi – bisogna fare un distinguo tra breve e lungo periodo. Fino alle quattro settimane di stop si parla di breve periodo, sopra di lungo periodo. L’inattività rapidamente agisce negativamente sul sistema cardiovascolare e metabolico. Basti pensare che dopo due giorni si ha una riduzione del sistema cardiovascolare: iniziano a salire i battiti. Dopo quattro settimane diminuiscono le altre capacità. Il flusso ematico per esempio scende del 5-10 per cento. Poi si va a stabilizzare.

«Ci sono poi le variazione metaboliche: in cui l’organismo non è più grado di utilizzare certi sistemi energetici. Giusto ieri avete scritto quell’articolo con la Lombardi in cui si diceva che i grassi non si usano perfettamente come quando si è allenati. Infatti il sistema mitocondriale si “disallena” ad utilizzare i grassi, a favore degli zuccheri».

Giorgi prosegue e parla anche di importanti differenze ormonali. Ma in questo caso il capitolo è enorme e complicato. 

«Quel che invece va detto è che si assiste ad una perdita della forza muscolare. Con il tempo le fibre si riducono di volume».

In soldoni: si riduce l’attivazione e la dimensione dei muscoli e quindi meno forza.

«Però è anche vero che se una persona è abituata a fare sport e vuole ricominciare la sua attività, anche dopo un lungo stop non ripartirà del tutto da zero. Sarà uno step più avanti rispetto a chi inizia per la prima volta. Il suo organismo riconosce certi sforzi e si adatta meglio».

Già dopo un paio di giorni di inattività il battito cardiaco tende a salire
Già dopo un paio di giorni di inattività il battito cardiaco tende a salire

Perdite e guadagni

Stando fermi si perde parecchio, è vero. E si perde non solo da un punto di vista fisico, però si potrebbe pensare che questi anni di stop alla lunga potrebbero anche avere effetti positivi sulla carriera di un corridore. Di fatto per un certo periodo della sua vita da atleta, il soggetto in questione non si è logorato. Magari a 35 anni è più fresco di un coetaneo. Giorgi però non ne è convinto. 

«Non è detto che sia più fresco – dice il dottore – magari ha perso una fase importante della sua formazione in cui aveva determinati stimoli, come l’abituarsi a certi ambienti, viaggiare, fare certi sforzi massimali con l’obiettivo del traguardo… Il logorarsi di un atleta per me è più un discorso psicologico che fisico. Chiaramente se si gestiscono bene certe fasi e certi adattamenti sin da giovani. Ma vale il discorso che si fa spesso e cioè il crescere con pazienza.

«Faccio l’esempio di Masnada. Lui è passato con noi professionista a 25 anni. Se si avesse avuta fretta Fausto non sarebbe diventato un corridore da WorldTour. E’ uno di quei corridori che con il tempo va a migliorare specie nelle corse a tappe e in quelle dure. Ma nel ciclismo giovanile italiano, la maggior parte delle corse sono veloci e certi giovani come lui non hanno tempo per maturare e mettersi in mostra. E infatti oggi chi va avanti? Quelli più veloci. Chi ha le caratteristiche di Masnada fa più fatica ad emergere e quel ragazzo si perde».

Quindi un Innocenti della situazione senza aver corso potrebbe aver perso quella fase di adattamento che lo avrebbe visto emergere un po’ più là negli anni, ammesso che ne avesse avuto bisogno. O al contrario di accelerare i tempi.

«Quegli anni (17-18) non sono più importanti di altri nell’insieme della formazione di un atleta. Bisogna allenarsi in tutte le fasi della vita, ma in modo progressivo e nel rispetto dei tempi. Dal divertimento dei bambini, in cui subentrano anche aspetti sociali o la tecnica di guida… al professionista che cura i particolari. Ci sono stress che vanno gestiti a 360 gradi». 

Per Giorgi Masnada che aveva quasi smesso è un esempio di abnegazione
Per Giorgi Masnada che aveva quasi smesso è un esempio di abnegazione

Ritorno al top

Ed è complesso anche il discorso su quanto tempo ci si mette per tornare al top. 

«Dipende dall’obiettivo dell’atleta – conclude Giorgi – servono 4-5 settimane per tornare ad avere i primi adattamenti seri. Ci sono anche dei tempi tecnici per avere un certo livello d’ipertrofia muscolare. Pertanto direi un paio di mesi non dico per tornare al top, ma almeno per tornare alle corse (parlando di soggetti sani, ndr). Per stare bene in gruppo.

«Per la prestazione super, invece, serve più tempo, ma anche in questo caso molto dipende dal soggetto. Nel caso di Innocenti, che si è allenato molto, direi una mezza stagione. Per chi riparte da zero direi sei mesi di allenamento, due mesi di rodaggio con le corse e quindi alla fine ecco che è passata una stagione piena. Ma le variabili, ripeto, sono molte». 

Pedivelle MagneticDays, Forza Pura Easy

22.09.2022
3 min
Salva

La versione Easy fa parte della Famiglia Forza Pura di MagneticDays. Sono delle pedivelle sviluppate per un allenamento specifico con l’obiettivo di migliorare l’efficienza della pedalata.

Le pedivelle Easy adottano la stessa tecnologia del modello top di gamma, ma grazie ad alcuni dettagli semplificati hanno un prezzo di listino inferiore. Vediamo i dettagli principali.

L’impatto estetico rimane invariato
L’impatto estetico rimane invariato

MagneticDays, innovazione di casa

Pensare, creare e sviluppare qualcosa di diverso è uno dei core concept di MagneticDays, filosofia che si sposa anche con la lavorazione artigianale e la cura certosina dei dettagli. Ecco perché l’immagine si sposa con l’eleganza, senza fronzoli e con tanta sostanza.

Sono così anche le pedivelle Forza Pura Easy, uno strumento per il training specifico e per chi vuole migliorare l’efficienza delle gambe e dei vari distretti muscolari. Non solo quelli coinvolti nella pedalata, perché le Forza Pura stimolano anche l’equilibrio e aiutano a tenere tonica la parte alta del corpo. Inoltre, le Forza Pura nascono dalla collaborazione tra l’azienda toscana e il campione endurance Nico Valsesia. Ecco spiegato anche il logo, from0to, presente su tutte le tipologie di pedivelle di questa famiglia.

Sfruttano il concetto della Forza Pura al top del listino, mutuando (in parte) un meccanismo di blocco/sblocco utilizzato per le Rehab, ovvero le pedivelle usate nei centri di riabilitazione.

La vite di sblocco del meccanismo
La vite di sblocco del meccanismo

Come sono costruite

Sono in alluminio e sono compatibili a tutti i tipi di telai, grazie al montaggio dei perni passanti dedicati. Le MagnetiDays Forza Pura Easy, rispetto al modello top, hanno un meccanismo Fast&Easy di blocco che è più semplice, perché a vite.

La vite superiore, se allentata, libera il pistone e di conseguenza il meccanismo. La pedivella ruota su un asse centrale e rende indipendente l’azione della gamba destra da quella sinistra. Per riattivare il blocco è sufficiente riavvitare.

La differenza maggiore sta nel fatto che con le Easy si deve interrompere l’azione, mentre con le top di gamma, la levetta integrata nella pedivella rende il movimento più veloce, immediato e con un po’ di malizia non si smette di pedalare.

Una pedivella, tre lunghezze

La bussola filettata (filettatura classica per una piena compatibilità con i pedali presenti sul mercato) per i pedali permette di settare tre lunghezze diverse: 170, 172,5 e 175 millimetri. Il prezzo di listino delle MagnetiDays Forza Pura Easy è di 800 euro.

MagneticDays

I numeri hanno cambiato il modo di andare in bicicletta

18.02.2022
5 min
Salva

I numeri hanno cambiato il modo di andare in bicicletta, di allenarsi e di interpretare la gara. Non è solo il power meter con i suoi dati a condizionare le tattiche di gara. Nei numeri della performance è incluso tutto: il recupero, il carico di lavoro nel breve, medio e lungo periodo, il miglioramento, ma anche la flessione prestazionale. Abbiamo interpellato Luca Bianchini, allenatore di fama internazionale che non opera solo nel campo del ciclismo. Bianchini è head coach di MagneticDays, formatore FITRI e professore dell’Università di Roma Scienze Motorie del Foro Italico che collabora direttamente con il CONI.

Il confronto dei test e la sovrapposizione dei numeri, alla base delle valutazioni (foto Mauro Nicita, MagneticDays)
Il confronto dei test e la sovrapposizione dei numeri, alla base delle valutazioni (foto Mauro Nicita, MagneticDays)
I numeri hanno cambiato il modo di allenarsi?

Sì, i numeri hanno cambiato lo sport in genere, ma è necessaria una premessa. La fase di cambiamento e di evoluzione risale a 30 anni fa, era il tempo del cardiofrequenzimetro. Poi è arrivato il power meter. C’è stato un periodo dove la tecnologia di lettura dei dati era limitata, non era ottimale e i numeri, talvolta, non trovavano dei riscontri attendibili. Molto è cambiato negli ultimi 7 anni, dove l’affidabilità della tecnologia ha contribuito alla svolta vera e propria. Il segreto sta nella giusta interpretazione dei numeri, perché loro sono apolitici e non hanno religione».

I grafici e le comparative dei numeri hanno permesso di far evolvere il sistema del training, indoor e outdoor
I grafici e le comparative dei numeri hanno permesso di far evolvere il training
In un certo senso i numeri sono una chiave di lettura?

I numeri non sono solo quelli del power meter, ma tanti valori messi insieme che arrivano da più parti. C’è la potenza che è uno strumento di valutazione del carico esterno e ci sono i bpm, che si riferiscono al carico interno. Li avevamo quasi dimenticati, ma poi sono stati ripresi, per fortuna e ci aiutano a controllare i carichi di lavoro dell’atleta. Le diverse situazioni devono collimare alla perfezione. Cercando di fare un breve esempio: 200 watt sono 200 watt, ma cambia il modo in cui si ottiene questo numero. E l’intreccio dei vari dati ci aiuta a quantificare nella giusta maniera.

Cosa significa e cosa comporta allenarsi tenendo fede ai numeri?

Quando ci alleniamo dobbiamo sempre considerare le variabili in gioco, che sono diverse e creano situazioni differenti. Paradossalmente la variabile più grande è l’allenatore, che eroga l’allenamento e legge i numeri del training. Il preparatore deve saper leggere anche attraverso i freddi numeri e spesso guardare in faccia l’atleta. Nei numeri è racchiusa anche un po’ di psicologia, ci sono le sensazioni e la capacità di fornire dei feedback. Il coach deve stimolare il corridore anche quando il miglioramento non c’è, dopo un periodo di preparazione mirata, situazione che si può verificare, per lo meno a livello numerico.

Luca Bianchini, durante un corso formativo in Sicilia (foto Mauro Nicita, MagneticDays)
Luca Bianchini, durante un corso formativo in Sicilia (foto Mauro Nicita, MagneticDays)
Quali sono le cause principali del non miglioramento?

La prima colpa è quella del preparatore che non ha saputo leggere nel modo corretto i dati, i numeri e feedback dell’atleta. Poi ci sono tutte le variabili proprio di chi si allena e la quotidianità è una di queste. E poi ci sono anche quelli che emulano senza avere dei riferimenti precisi e personalizzati. Quelli ad esempio che utilizzano le tabelle di altri atleti.

Come i numeri del training indoor hanno cambiato il modo di allenarsi sulla bicicletta in esterno?

I numeri hanno cambiato prima di tutto il modo di suddividere il training. Il paradosso è che i numeri ci permettono di concentrarci meglio sulle alte e sulle basse intensità. I numeri ci permettono di quantificare il riposo, per fare un esempio. Non esistono solo i watt, ma in questo senso anche il TSS (training stress score), l’IF (intensity factor) e altri campi che troviamo ormai su tutti i devices. Questi sono particolarmente utili per quantificare i carichi di lavoro, soprattutto nel medio e lungo termine. I numeri del training hanno permesso di far entrare l’allenamento specifico indoor nel mondo professionale, a prescindere dalla disciplina. Molte nozioni che vengono utilizzate outdoor, sono state sviluppate proprio grazie ai numeri rilevati indoor.

Alessandro Vanotti collabora con MagneticDays (foto MagneticDays)
Alessandro Vanotti collabora con MagneticDays (foto MagneticDays)
Indoor contro outdoor, quali sono le differenze da considerare?

La prima differenza sono i Newton (la torque), controllabile, più affidabile solo in un contesto indoor. Il secondo fattore, molto importante è quello ambientale. Questo non condiziona solo la mente, ma anche la biomeccanica e il modo di pedalare. Se è vero che la potenza espressa è sempre quella, il gesto cambia la sua dinamica. Indoor è come se pedalassimo quasi sempre in pianura. All’esterno le variabili sono infinite: il vento, il traffico e le distrazioni, le pendenze della strada che cambiano continuamente. Concettualmente: indoor stimoliamo il corpo ad erogare potenza, in outdoor sta all’abilità dell’atleta saper sfruttare quello che si è costruito al chiuso.

Il Team Beltrami TSA-Tre Colli utilizza il sistema MagneticDays in fase di riscaldamento e per il training indoor
Il Team Beltrami TSA-Tre Colli utilizza il sistema MagneticDays
Esiste il pericolo che i numeri condizionino in modo negativo la performance atletica quando siamo in gara?

Sì, il pericolo esiste. Qui entrano in gioco le categorie di atleti, quelli ligi ai numeri e quelli che invece pensano solo alla gara senza curarsi dei range prestativi ottimali. Quindi possiamo dire che il pericolo di finirsi in gara esiste, ma è relativo. Il pericolo più grande è quello di sovraccaricare, oppure lavorare al di sotto delle potenzialità in allenamento. In gara non ci si inventa nulla e si mette in pratica quello che il tuo fisico ha metabolizzato e prodotto durante il training.

Salvoldi 2021

Salvoldi passa agli juniores: come cambia il suo lavoro?

30.12.2021
5 min
Salva

Da quando Dino Salvoldi è stato spostato d’incarico dalla Federazione, era sparito un po’ dai radar. Settimane necessarie per metabolizzare le nuove scelte federali, per prendere coscienza del nuovo ruolo, per capire come muoversi. La pausa per le Feste Natalizie è stata il momento giusto per rimettere tutte le tessere del puzzle al proprio posto e tornare a parlare.

D’altronde la passione per il ciclismo è troppo forte nel tecnico che ha portato ai vertici il ciclismo femminile, ultime le vittorie iridate su strada della Balsamo e su pista di Martina Fidanza e della Paternoster e ora il compito che gli è stato affidato è di quelli improbi: fare lo stesso per gli uomini partendo dagli juniores, la categoria più delicata, soprattutto ora che tutti (a cominciare dai procuratori…) guardano verso i corridori dai 18 ai 20 anni per lanciarli subito nell’agone professionistico.

Salvoldi Paternoster 2021
Con il trionfo della Paternoster a Roubaix, Salvoldi ha chiuso da vincente la sua esperienza di cittì femminile
Salvoldi Paternoster 2021
Il trionfo della Paternoster a Roubaix, l’ultimo da cittì femminile

Due grandi differenze

Salvoldi ha esperienza da vendere sia in ambito maschile che femminile può quindi affrontare con cognizione di causa il raffronto tra i due mondi, offrendo esperienze che saranno utili anche in altri ambiti tecnici: «Le differenze nella preparazione al maschile e al femminile ci sono, due sono sostanziali. La prima è legata ai volumi di lavoro, se si guarda alla pista la discriminante è la durata degli sforzi, per la strada sono soprattutto i dislivelli. La seconda è legata alla quantità di forza, maggiore nell’uomo il che si traduce in una diversa frequenza di pedalata, più alta che per le donne. Sono fattori fondamentali nello studio della preparazione giusta per il/la ciclista».

Quanto incide la fisiologia nella scelta del giusto allenamento in base al sesso?

Incide soprattutto sulla programmazione e la tempistica degli allenamenti, non tanto sulla tipologia. Chiaramente la modulazione della giusta tabella deve tenere conto degli obiettivi che ci si prefiggono, ma per le ragazze, già dalle categorie giovanili, c’è un elemento diverso che ha un forte valore e che non è presente in ambito maschile: il ciclo mestruale che può incidere molto su carichi e tempistiche.

E dal punto di vista psicologico e caratteriale?

Premetto che ogni atleta, a prescindere dal sesso, ha una sua precisa personalità e quindi da questo punto di vista è difficile fare generalizzazioni. E’ chiaro che molto cambia dal punto di vista sociale, della comunicazione. Un tecnico con un atleta si porrà in maniera molto diretta, con una ragazza deve modularsi in modo diverso. Cambiano il linguaggio, il modo di stimolare una qualche reazione. Ma questo, si badi bene, non è un discorso legato solo al ciclismo. A ben guardare è qualcosa che fa parte di ogni ambito della vita.

De Candido 2012
Salvoldi ha raccolto l’eredità di cittì juniores da Rino De Candido, qui ai Mondiali 2012
De Candido 2012
Salvoldi ha raccolto l’eredità di cittì juniores da Rino De Candido, qui ai Mondiali 2012
Proviamo a proiettare tutto ciò scendendo via via nell’età dei protagonisti: vediamo ad esempio che da bambini maschi e femmine gareggiano insieme. Quand’è che il discorso cambia?

Questo è un discorso interessante. Forse mi attirerò contro qualche critica, ma io credo che in generale ci sia una tendenza esagerata a proteggere le ragazze più giovani. E’ ormai acclarato che le bambine hanno generalmente un vantaggio di almeno 3 anni nella loro crescita rispetto ai maschi. Eppure si tende a farle allenare di meno rispetto ai coetanei e questo secondo me è sbagliato. In questo il ciclismo è indietro rispetto ad altri sport, basti guardare ad esempio a cosa avviene nel nuoto. Non dobbiamo certo arrivare ad eccessi come alcuni bambini che vengono fatti correre nella maratona, ma certamente qualcosa a livello culturale andrebbe rivisto nel nostro mondo.

Ora sei chiamato a lavorare con gli juniores sia su pista che su strada, passando dal settore femminile a quello maschile. Villa, che cura entrambi i sessi su pista, ha chiesto che ci sia un continuo scambio di opinioni per il passaggio dei corridori da una categoria all’altra. Sei d’accordo?

Assolutamente, ma non solo con lui, anche con i preparatori e i tecnici di società. Una delle ragioni per le quali in Fci si è deciso di darmi questo incarico è proprio per aiutare i ragazzi ad affrontare un periodo difficile e nel contempo fondamentale. Gli juniores sono tanti, non tutti potranno passare pro’ per moltissime ragioni, sportive e agonistiche ma non solo. Non dobbiamo essere ipocriti e illuderli. E’ in questa fase che emergono i nomi più importanti, ma bisogna anche fare in modo che questi stessi possano affrontare il cammino giusto per fare del ciclismo la loro professione. Ma il concetto va sviluppato più ampiamente.

Bimbi 2021
Per il neocittì juniores serve cambiare l’approccio già con i più piccoli (foto Fci)
Bimbi 2021
Per il neocittì juniores serve cambiare l’approccio già con i più piccoli (foto Fci)
Come?

Il ciclismo è uno sport particolare: nessun altro ha una simile sequenza, così ravvicinata e ripetuta negli anni, di impegni importanti. Questo comporta che i ragazzi imparino a gestirsi, a lavorare ogni settimana in funzione di obiettivi a medio e lungo termine per i quali non sempre la gara della domenica sarà la finalizzazione, ma anzi solo una tappa. Guardando l’altro lato della medaglia, ogni gara però è un test fondamentale, che va affrontato con serietà e cognizione di causa. In questo molto entra anche la cultura del nostro mondo, che deve cambiare.

In che misura?

Io sono convinto, sempre parlando in generale, che quello italiano sia un ciclismo legato al piazzamento, meno che alla vittoria e sono convinto che, lavorando con i più giovani, si debba invertire questa tendenza, passando attraverso di loro per rivedere il modo di affrontare l’attività da parte di tecnici, dirigenti, società.

Il tuo lavoro è già iniziato?

Certamente, queste sono settimane importanti che passano attraverso contatti, capatine nei ritiri prestagionali, presa visione di una realtà per me nuova e molto ampia, ben più di quella a cui ero abituato. Il primo impegno della nazionale sarà per la Gand-Wevelgem del 27 marzo, spero poi che già per allora potremo avere a disposizione il velodromo di Montichiari rimesso a nuovo. Il tempo corre e dobbiamo farci trovare pronti, io in primis.