Traguardi a sorpresa e cowboy: l’avventura di Selva in Texas

21.06.2025
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Fra le storie di questa estate che aspetta soltanto il Tour, dopo il rocambolesco finale del Giro, quella di Francesca Selva che sta correndo dei circuiti in Texas e da domani nel Wisconsin potrà sembrare poca cosa. Invece racconta la passione di una ragazza che ha messo la bici al centro della sua vita e non vuole privarsi di alcuna esperienza.

Quando la raggiungiamo, a Dallas è quasi l’ora di pranzo. Francesca è appena rientrata dall’allenamento e ha il timbro sicuro di chi non ha paura di mettere tutto in un trolley e partire. Anche se la trasferta americana ha una logistica complessa e l’aiuto di un suo vecchio team manager si è rivelato provvidenziale.

«Negli ultimi due anni – racconta Selva, 26 anni – sono stata tesserata per una squadra UCI pista americana, parallelamente a quella della strada. I regolamenti sono cambiati e la squadra non ha più lo stesso nome, ma Ryan Crissey, il team manager, mi sta ospitando a casa sua e mi sta portando alle gare. Era l’unico contatto che avessi. Quest’inverno gli avevo scritto per chiedergli indicazione su dove andare e quali gare ci fossero, perché non avevo idea da che parte iniziare. E lui in tutta risposta mi ha proposto di correre per lui e si sarebbe fatto carico delle spese. Avevo già messo in preventivo di tirar fuori i soldi per il viaggio della vita, quindi è andata meglio del previsto. Perciò sto correndo per il suo team nuovo che si chiama Turbo Velo Pickle Juice».

Non male avere un appoggio così…

Fa la differenza, soprattutto quando si viaggia da soli. Le conoscenze poi si fanno, ma avere una base è molto importante. Per questo sono sbarcata a Dallas, in Texas: è qui che vive Ryan.

Com’è il ciclismo in Texas?

Inclusivo, nel senso che da noi sei uomo o sei donna e corri nel gruppo dedicato. Sei FCI, oppure sei ACSI, Master oppure Elite e non ci sono commistioni possibili. Qui invece funziona a livelli e poi ci sono i Master. Se sei Master, puoi correre sia con i Master che con il livello che ti compete in base alla graduatoria. Però nelle gare più piccole, posso correre sia nella gara PRO che in quella delle donne. Finora ho partecipato a corse locali. Non posso correre con i Master, perché sono troppo giovane, ma posso correre nelle altre categorie maschili.

L’hai già fatto?

Sì, un paio di giorni fa. La gara donne era corta e per allenarmi mi sono buttata nel gruppo dei maschi. E’ bello perché in corsa ci sono atleti di tutti i livelli e tutte le età, da quello di 25 anni a quello di 60 e non è detto che il più giovane vada anche più forte.

Francesca Selva ha iniziato la trasferta americana in Texas, con la maglia della Turbo Velo Pickle Juice
Francesca Selva ha iniziato la trasferta americana in Texas, con la maglia della Turbo Velo Pickle Juice
C’è tanto pubblico?

Qui in Texas sono gare minori, quindi c’è pubblico solo all’arrivo. Ma da domenica farò una serie di prove che si chiamano Tour of America’s Dairyland in Wisconsin che durano per 11 giorni. Sono iniziate giovedì, io inizierò da domenica. Mi hanno detto che nel giro dei criterium è una delle cinque gare più grandi che ci sono negli USA: lì ci sarà una vera folla.

Sono tifosi di ciclismo?

L’approccio è diverso. Non vengono solo per la gara, ma per passare una giornata di festa al cui interno c’è una gara.

In Wisconsin vai con il tuo team manager?

Questa volta parto da sola. Mi sono organizzata con la gente di lì, devo capire se ci sono degli shuttle per arrivare dall’hotel alla gara o se devo scoccare i passaggi di qua e di là. Invece se le gare sono vicine, andrò in bicicletta.

Le gare che Selva andrà a disputare da domani in Wisconsin hanno una grande cornice di pubblico (foto Tour of America’s Dairyland)
Le gare che Selva andrà a disputare da domani in Wisconsin hanno una grande cornice di pubblico (foto Tour of America’s Dairyland)
Le strade sono transennate?

Solo dove c’è gente. Finora si è trattato di correre in circuiti di 1,5-2 chilometri, anche in un kartodromo. Mercoledì abbiamo corso nel paese del mio team manager, che organizzava la gara. Eravamo in un circuito ciclabile, come se fosse un ciclodromo di un miglio all’interno di un parco totalmente chiuso al traffico.

Ci sono premi in denaro per chi vince?

Le poche gare che ho fatto finora erano locali, quindi c’era il premio in denaro. Quello che c’è di diverso rispetto all’Italia è la gestione dei traguardi volanti, in cui i premi sono anche di “mila” dollari per chi vince. Fanno una colletta tra il pubblico che scommette e quello diventa il premio. E poi la cosa bella è che i traguardi volanti sono a sorpresa…

Cioè?

Non sai quando ci sono. La distanza di gara è misurata in base al tempo, come nel cross. Per cui inizi a correre e quando stimano che manchino 5-10 giri al termine, iniziano a contarli. Per cui quando senti la campana, sai che il giro dopo c’è il traguardo volante. A quel punto, i tifosi puntano i soldi sullo sprint del giro dopo. Può capitare che urlino mille dollari per il primo e quindi c’è molta più gente che lotta per i traguardi volanti che per la vittoria finale. Magari nelle squadre più numerose, c’è chi si dedica prettamente a fare le volate intermedie, mentre altri si dedicano alla volata finale.

Prima della gara con Ryan Crissey, il team manager che organizza e si diverte a correre
Prima della gara con Ryan Crissey, il team manager che organizza e si diverte a correre
Vuoi dire che durante la corsa, sentite la campana e viene detto anche l’ammontare del premio?

A volte sì, a volte no. Di solito lo dicono gli speaker quando passi sotto l’arrivo. Se non dicono nulla, invece dei soldi potrebbe esserci un gadget o premi di altro tipo.

Non c’è la mortadella come al Giro dell’Emilia?

Può essere (ride, ndr). L’altro giorno c’erano quattro traguardi volanti e li ho vinti tutti, più la volata finale. Di solito in quasi tutti i criterium, l’ultimo traguardo volante è alla campana, quindi quando chiamano l’ultimo giro, c’è anche il traguardo volante. E’ letale perché fai due volate di fila. Però considerando che il giro è lungo circa un chilometro, per chi fa pista è più o meno la distanza tra una volata e l’altra nella corsa a punti.

Che cosa hai vinto?

Con il primo traguardo volante, mi hanno dato i buoni per comprare i gelati. Con il secondo, avevo dei buoni per il caffè. Mentre con il terzo ho preso dei soldi. Con il quarto è arrivato un box pieno di oggetti da cui potevo scegliere delle cose da portare a casa. Fa molto fiera di paese, però è bello.

Francesca Selva, padovana di 26 anni, corre prevalentemente su pista
Francesca Selva, padovana di 26 anni, corre prevalentemente su pista
Nelle gare grandi cambia qualcosa?

Ve lo dico settimana prossima. Queste qua in Texas non erano grandi, ma erano comunque partecipate. Non hanno dietro la grande organizzazione, sono le Driveway Series, gare del martedì e del giovedì: martedì a Dallas, giovedì a Austin per tutto l’anno. In Wisconsin farò una gara al giorno. Quelle delle donne durano circa un’ora e alla fine ci sarà la classifica di tutti i giorni, che suppongo sarà a punti, dato che nessuno prende nota dei tempi.

Come ti presentano al foglio firma?

Non c’è il rituale come da noi, almeno finora era così. Però diciamo che quando vieni da fuori confine, hai gli occhi addosso. La gente sa che sono io l’italiana e quindi mi guardano sempre con un occhio di riguardo. Nel mondo del ciclismo gli italiani sono famosi per essere competitivi, perciò non me la faranno sicuramente facile. Zero favori. Agli organizzatori fa piacere avere gente che arriva da lontano, dà lustro alle loro gare.

Ci sono tanti stranieri?

Più di qualcuno, ma sono tutti ragazzi e ragazze che vengono da questa parte del mondo. Argentini, messicani, da Trinidad e Tobago. Pochi dall’Europa. C’è Alina Seitz, una ragazza svizzera che fatto le ultime Olimpiadi e ha il compagno americano, per cui si sta facendo qui l’estate. Lei l’avevo incontrata anche in pista a Brno a metà maggio.

Il 29 giugno, gran finale in Wisconsin al Cafè Hollander Tosa Village Classic (foto Tour of America’s Dairyland)
Il 29 giugno, gran finale in Wisconsin al Cafè Hollander Tosa Village Classic (foto Tour of America’s Dairyland)
Quando torni a casa?

Il primo agosto perché devo andare a Fiorenzuola, sennò Claudio Santi si arrabbia. Però mi hanno già chiesto se voglio tornare a settembre per fare uno degli altri grandi eventi per cui vediamo. Volevo fare più di un mese, ma non più di due, per tutto il discorso della miocardite. Quando ho preso i voli, non sapevo in che condizione sarei arrivata. Però l’esperienza merita. Sto quasi per due mesi. Con quello che è successo quest’inverno, non ho voluto fare il passo troppo lungo.

Segatta alla Visma, per Alberati un punto di partenza

21.06.2025
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Dal prossimo anno Fabio Segatta (in apertura, Photors) sarà uno dei ragazzi del devo team della Visma-Lease a Bike. Il trentino approda a uno dei principali team del WorldTour senza aver mai vinto una corsa e la cosa suona apparentemente strana. Eppure parliamo di un corridore che ha una particolare capacità, quella di esserci sempre nei momenti che contano. Non a caso è finito nella top 10 nel 90 per cento delle corse disputate quest’anno, a prescindere da percorsi, climi atmosferici, tattiche e non è certo cosa comune.

Segatta insieme al suo preparatore Paolo Alberati, che lo ha portato in Olanda
Segatta insieme al suo preparatore Paolo Alberati, che lo ha portato in Olanda

Gibo Simoni garantisce per lui

Volevamo saperne di più, così abbiamo chiamato il suo preparatore Paolo Alberati che ci ha aperto un mondo perché la storia di Segatta e del suo ingaggio è qualcosa che riguarda un po’ tutto il ciclismo attuale: «Io lo seguo dallo scorso ottobre – racconta – vedevo gli ordini di arrivo dello scorso anno e notavo che la sua presenza c’era molto spesso. Oltretutto è un trentino come il mio amico Simoni al quale Maurizio Fondriest, con cui collaboro, ha chiesto subito lumi su questo ragazzo e GIlberto gli ha dato molte rassicurazioni sul suo valore. Così l’ho chiamato per fare un test gratuito e capire con chi mi trovassi davanti e sono rimasto sbalordito dai dati.

«Fabio è un ragazzo di 1,84 con un fisico asciutto, magro ma tonico. Io pensavo di trovarmi di fronte a uno scalatore, i suoi dati mi davano buoni riscontri in tal senso, ma erano quelli sull’esplosività che erano straordinari, da velocista puro. Gli ho chiesto se avesse mai fatto volate e mi ha detto di no, se aveva paura e mi ha detto ancora di no, così ha cominciato a buttarsi dentro e i risultati si sono visti subito. Uno che in salita non lo stacchi e in volata se la gioca è una vera rarità, che fa gola a tanti…».

Durante i test, Segatta ha mostrato inconsueti valori relativi all’esplosività per uno scalatore
Durante i test, Segatta ha mostrato inconsueti valori relativi all’esplosività per uno scalatore

Sui muri fiamminghi non lo stacchi…

Alberati si è fatto quindi un’idea precisa su che corridore sia, ma non solo lui: «Io penso che sia l’ideale per le classiche, uno che sul Kwaremont è in prima linea e non cito questo muro a caso perché è andato a correre nel GP Harelbeke di categoria e per due volte su quel muro è transitato tra i primissimi. Mi aspettavo di vederlo nell’ordine di arrivo, ma poi è caduto all’ultima curva e i sogni sono svaniti, ma la sua prestazione non è sfuggita a chi c’era.

«Pochi giorni dopo infatti ci hanno contattato i dirigenti della Visma-Lease a Bike e il loro interesse era tangibile, tanto è vero che ci hanno pagato il viaggio verso ‘s-Hertogenbosch. Ci hanno immerso nella loro straordinaria realtà, con il palazzo diviso per piani in base alle squadre (WorldTour uomini, donne, devo team). Hanno fatto un bike checking a Fabio e anche loro sono rimasti stupiti: loro hanno un particolare software che analizza le stagioni su trainingpeaks e distingue le prestazioni fra resistenti ed esplosivi. Segatta era esattamente nel mezzo e questo per loro è un valore enorme. Tanto è vero che ci hanno subito fatto un’offerta per due anni e non c’è voluto molto per accettarla…».

Nelle stanze della Visma-Lease a Bike, davanti alle foto di tanti campioni. Dal 2026 ci sarà anche lui
Nelle stanze della Visma-Lease a Bike, davanti alle foto di tanti campioni. Dal 2026 ci sarà anche lui

Un corridore davvero completo

Parliamo quindi di un ragazzo che spicca per la sua duttilità: «E’ uno che sa correre su ogni percorso, in salita come in pianura. Anche all’Eroica si è distinto, ma ha anche una bella capacità di fare gruppo, di essere parte di un team e questo dai responsabili dell’Unione Sportiva Montecorona me l’hanno confermato. E’ uno che va forte anche a cronometro. Molti mi chiedono: perché allora non vince? Io rispondo che preferisco che prenda aria in faccia, che sia davanti, che sia sempre nel vivo dell’azione piuttosto che guadagnare vittorie, poi se arrivano meglio ancora, ma non è fondamentale».

Uno così però non rischia di essere un piazzato, che fa punti, ma non vince e quindi resta nel gruppo di una squadra di spicco, relegato a ruoli di contorno? «Faccio mia la risposta di Pellizzari: non mi sembra che un direttore sportivo freni un ciclista che mostra di avere i mezzi per emergere. E’ così anche per Fabio, ne siamo sicuri. Mettiamo in chiaro un punto: il vero cammino di Fabio inizierà il prossimo anno, quando si troverà in quel consesso, dove dovrà dimostrare pian piano quel che vale. Ora deve lavorare in quella funzione, per questo i risultati di quest’anno hanno un valore relativo».

L’ultima vittoria del trentino è stata nel 2024 al Trofeo Commercio Industria e Artigianato (foto team/Facebook)
L’ultima vittoria del trentino è stata nel 2024 al Trofeo Commercio Industria e Artigianato (foto team/Facebook)

Un lavoro appena iniziato

Ma dal prossimo anno, quando Segatta sarà in un team dove ci saranno propri preparatori, con un contratto di due anni, che apporto potranno dare Fondriest e Alberati? Il loro lavoro è finito nei suoi confronti? «Finito? E’ appena cominciato. Possiamo anche mettere le carte in tavola: noi prendiamo una commissione del 5 per cento sui suoi contratti futuri, ma per ora non prendiamo nulla. Abbiamo fatto anche noi un investimento,, quindi significa che continueremo a seguirlo, con un contatto stretto. Non so se ricordate il film “Jerry McGuire” con Tom Cruise che seguiva un giovane talento del football americano. Per noi è così, se Segatta cresce, è nostro interesse ma perché avvenga dobbiamo stargli vicino».

Farlo passare in un team italiano sarebbe stato più semplice? «No, la realtà per un team italiano professional è lo stesso, è proprio il ciclismo che funziona così come un vero sport di squadra. Un procuratore deve seguire tantissime cose, anche della vita di tutti i giorni come una trasferta, una visita medica. E’ il nostro lavoro».

Lo sprint al Giro del Friuli. Su 16 gare quest’anno, il trentino è andato in Top 10 ben 13 volte (foto team/Facebook)
Lo sprint al Giro del Friuli. Su 16 gare quest’anno, il trentino è andato in Top 10 ben 13 volte (foto team/Facebook)

Esplosività enorme e particolare

Prima si parlava di Simoni e chiaramente, essendo Segatta trentino, il riferimento a Gibo viene naturale. Che differenze ci sono? «Simoni era uno scalatore puro, ma aveva la legnata in salita, lo scatto bruciante. Fabio ha un tipo di esplosività diversa. Ad esempio il suo VLA Max è 0,55, Simoni aveva, presumo, lo 0,3. Io conoscevo perfettamente il suo preparatore Camorani che è stato un mentore per me. Segatta può emergere dappertutto, deve solamente imparare e prenderne coscienza. Noi l’aiuteremo in questo».

Formolo e il sindaco dello Stelvio: una (bella) storia di montagna

21.06.2025
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A Bormio il cielo è grigio. Del Toro è arrivato da svariati minuti, consolidando con la vittoria la maglia rosa che ieri a San Valentino di Brentonico è parsa traballare: nessuno può ancora immaginare ciò che accadrà sul Colle delle Finestre. Il Giro d’Italia si è lasciato alle spalle il Tonale e il Mortirolo, poi la salita delle Motte ha dato il colpo di grazia ai corridori più stanchi e fra questi c’è Davide Formolo. Il veronese ha lavorato per Einer Rubio, ottavo al traguardo a 16 secondi da Del Toro, poi si è staccato e ha raggiunto il traguardo, posto giusto all’imbocco della strada dello Stelvio. E nel momento in cui dovrebbe solo raggiungere il pullman per lasciare la bici e togliersi finalmente gli scarpini, dal pubblico salta fuori un signore anziano con i baffi che urla forte il suo nome.

Giro d’Italia 2025, Davide Formolo pedala al suo passo per raggiungere Bormio
Giro d’Italia 2025, Davide Formolo pedala al suo passo per raggiungere Bormio

Il sindaco dello Stelvio

Davide si volta. Lo riconosce e si commuove. «Sindaco – dice a voce alta – come stai, sindaco?». L’altro lo abbraccia, si aggrappa a lui così forte che ti verrebbe voglia di dividerli, pensando alla fatica del corridore. Però si vede che l’abbraccio è ricambiato. Se ne stanno lì per un minuto che sembra eterno. Uno che lo chiama Davide e l’altro che lo chiama Sindaco. La gente intorno osserva e fa foto. Silvano Ploner di RAI SPORT gira un video. Pensiamo al sindaco del suo paese in Valpolicella, ma che senso avrebbe? Finché l’anziano signore si stacca e Formolo mette lì parole che aiutano a capire, ma fino a un certo punto: «Lui è Giorgio – dice – è il sindaco dello Stelvio».

«Ho conosciuto Davide – racconta poco dopo Giorgio, che di cognome fa Cresseri e quassù è una celebrità silenziosa – quando era un ragazzino che veniva allo Stelvio in bicicletta e dopo siamo sempre rimasti in contatto. Tranne quando ha cambiato squadra ed è diventato un personaggio. Lo aspettavo da anni, perché ormai è difficile che venga ancora su dalle nostre parti. Adesso si allenano in altri posti, ma io gli ho sempre detto che se vuole vincere le gare, devi allenarsi sullo Stelvio, non nel deserto. Lo Stelvio è la strada che io faccio tutti i giorni, per me è la vita. Ho 78 anni, d’inverno ho il mio lavoro è qui a Bormio, d’estate vado su tutti i giorni».

D’inverno Cresseri, che ha lavorato anche con alcuni campioni dello sci, lavora nel laboratorio di famiglia (foto Okgo Ski Rent)
D’inverno Cresseri, che ha lavorato anche con alcuni campioni dello sci, lavora nel laboratorio di famiglia (foto Okgo Ski Rent)

Sono passate tre settimane, ma la curiosità c’è ancora e sarebbe un peccato non rispettarla. Così siamo tornati da Formolo, chiedendogli lumi. Cresseri, schivo come si addice alla gente di montagna, ha preferito non dire altro.

Davide, chi è il sindaco dello Stelvio?

Già da dilettante, quando correvo con Tortoli, prima del Valle d’Aosta o delle gare importanti andavo sullo Stelvio. Da solo o con qualche compagno di squadra che era stanco e doveva recuperare. Bene o male ci andavo tutti gli anni e ho continuato anche nei primi da professionista. Giorgio l’ho conosciuto perché lassù ha uno di quei negozi lungo la strada. In più è lui che gestisce la chiesetta, perché ha le chiavi e suona la campana. Penso che sia la persona più storica dello Stelvio.

E come l’hai conosciuto?

Alla fine, quando sei su ad allenarti, nel tempo libero ci sono quei negozietti e capita di andarli a vedere. La cima dello Stelvio è come un paesino, perciò bene o male dopo un po’ conosci tutti. La prima volta che l’ho incontrato ero nel mio hotel, che sta proprio sulla strada e ha un bellissimo bar, con delle torte molto buone. Perciò tutta la gente dello Stelvio lo ha scelto come punto di ritrovo per prendersi il caffè la mattina e salutarsi la sera prima di andar via. E mi ricordo che un giorno mi hanno presentato questo signore come il sindaco. E io ho pensato: lo Stelvio può avere un sindaco? Però ero ancora giovane e ci sono cascato. Poi ho scoperto che lo chiamano il sindaco perché è quello che da anni tira avanti la baracca.

Davide Formolo, la moglie Mirna e i figli Chloe e Theo: da quando ci sono loro, l’altura è soprattutto Livigno
Davide Formolo, la moglie Mirna e i figli Chloe e Theo: da quando ci sono loro, l’altura è soprattutto Livigno
Sapevi che sarebbe venuto all’arrivo di Bormio?

Non me l’aspettavo. Da quando sono arrivati i figli, andiamo a Livigno e non più sullo Stelvio, perché il paese è più comodo. E poi comunque era da un po’ che non andavo più in Valtellina, perché dal 2022 non ho più fatto il Tour. L’anno scorso poi con la squadra siamo andati ad Andorra. Con lui però ogni tanto ci siamo sentiti, perché è rimasta un’amicizia. Lo Stelvio per i ciclisti è un vero monumento naturale e lui è appassionatissimo di ciclismo.

Ci eri parso emozionato prima di Brentonico ricordando tuo nonno, eri emozionato incontrando il sindaco: che rapporto c’è fra te e le persone anziane?

Penso che le loro esperienze possano insegnarti veramente tante cose. Mi piace imparare dalle persone grandi, mi piace starle ad ascoltare.

Il sindaco vive in cima oppure sale e scende ogni giorno?

Lui vive a Bormio, la maggior parte di quelli che lavorano su, la sera chiudono e vanno via, a parte gli stagionali, che dormono negli hotel. Tutti a Bormio, tranne Richard, quello che fa i panini, che vive appena sopra Prato allo Stelvio. E così mi ha visto crescere. Io sono una persona molto affettuosa, mi lego alle persone con cui vale la pena. E lui è una persona vera. Ci siamo confidati, con lui sono riuscito a parlare. Quando sei in quei ritiri in altura, ti passano tante cose per la mente perché hai molto tempo per pensare e lui ha una certa età e tanta esperienza. Mi piaceva anche condividere certi miei timori che magari mi venivano durante la giornata.

Lo Stelvio è un paesino di pochi abitanti che si conoscono tutti (foto Stelvio Pass)
Lo Stelvio è un paesino di pochi abitanti che si conoscono tutti (foto Stelvio Pass)
Qual è stato un consiglio importante che può averti dato il sindaco?

Lui è un uomo di montagna, ha la scorza da montanaro e più che un consiglio, mi ha colpito per il suo stile di vita. Alla sua età è ancora lì, che sale e scende tutti i giorni, che tira avanti, che suona la campana quando apre il passo. Potrebbe benissimo stare a casa a guardare i nipoti che lavorano, invece è in prima in prima linea sul campo, in cima a quel passo in cui ci sono pochi hotel e pochi negozi. 

Un mondo a parte…

Si conoscono tutti. Sono sempre gli stessi, che sin da giovani si sono appassionati a una vita fatta di semplicità, perché per fare una vita così devi tornare veramente indietro alle cose semplici. Al giorno d’oggi viviamo in un mondo in cui la gente inizia a sclerare se non ha il supermercato a 500 metri da casa. Ci si abitua alle comodità e poi il supermercato lo vuoi a 300 metri. Mentre lassù la vita è scandita dall’apertura della strada e dall’aprire ogni giorno la bottega e vendere gadget ai turisti. Perché hanno capito l’importanza di apprezzare i sacrifici che la vita ti fa affrontare.

E Ganna intanto mette (altre) due crono nel mirino

20.06.2025
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Se molti dei campioni in vista del Tour de France sono passati per il Critérium du Dauphiné o per il Tour de Suisse, c’è anche chi è passato dal Baloise Belgium Tour, vale a dire Filippo Ganna. Il Pippo nazionale ha deciso, in accordo con il suo team, che il passaggio migliore per arrivare alla Grande Boucle fosse questo. E tutto sommato, non dovendo fare classifica, perché non scegliere una corsa veloce?

Giusto oggi l’alfiere della Ineos Grenadiers è arrivato secondo nella velocissima crono di Ham: 9,7 chilometri piatti come un fuso, ideali per gente più esplosiva come l’ex compagno Ethan Hayter. Per Pippo quattro secondi troppo, quattro secondi che dicono come la scelta di passare da una gara veloce come il “Giro del Belgio” forse era proprio quel che serviva.

Ganna (classe 1996) impegnato sulle strade del Giro del Belgio

Stacco e ritorno

Guardiamo dunque nel complesso questo ritorno alle corse dell’ex iridato a crono. Ganna è rientrato alle corse dopo 66 giorni. La sua ultima apparizione era stata alla Parigi-Roubaix. Uno stacco probabilmente mai così ampio da quando è professionista, anche perché se non c’era la strada, c’era la pista.

«Direi che sto bene – ha iniziato Ganna – tornare alle corse è stato un bell’impatto. Era un bel po’ che non correvo e rientrare in gruppo non è stato semplice. Ho fatto un po’ di fatica. E’ vero, sono stato parecchio tempo senza correre, ma rispetto agli anni passati, non facendo il Giro d’Italia, è stato possibile. E’ venuto a crearsi tutt’altro programma. Ma posso dire che avevo bisogno di questo stacco. Dopo la Roubaix sono stato una settimana a casa e poi ho ripreso a lavorare. Ho fatto parecchia altura e ora sono qui per rifinire la condizione. E’ una corsa che mi piace e a fine settimana vediamo se avrà dato l’effetto desiderato».

E’ un Pippo solare quello che racconta. Le prime due frazioni del “Giro del Belgio” sono andate ai due velocisti più forti presenti: Tim Merlier e Jasper Philipsen. Ganna ha fatto il suo compito ed è arrivato in gruppo. L’obiettivo è mettere ritmo gara nelle gambe e trovare la brillantezza giusta. Di certo ci proverà nelle restanti due frazioni.

Il piemontese ha macinato tanti chilometri in salita. Eccolo sulle rampe di Macugnaga (foto Instagram)
Il piemontese ha macinato tanti chilometri in salita. Eccolo sulle rampe di Macugnaga (foto Instagram)

Quanta salita

In queste settimane senza gare, Ganna ha raccontato di grandi volumi di allenamento e, soprattutto, di aver fatto tanta salita. Due grandi blocchi in altura: uno al Teide con la squadra al completo e uno più recente a Macugnaga, presso il Rifugio Zamboni-Maroli, sul filo dei 2.800 metri di quota. Tanto lavoro a carico in entrambe le occasioni, e nel secondo anche più qualità, con del dietro moto.

«Se mi sento allora un po’ più scalatore? Dovrei perdere altri 20 chili – scherza il piemontese – ma ho lavorato tanto in salita. Sul Teide abbiamo fatto tanti chilometri con una media di 16.000 metri di dislivello a settimana».

Un lavoro corposo fatto in ottica Tour, ovviamente. In Francia la Ineos si presenta con una squadra d’assalto. L’uomo di classifica sarà Carlos Rodriguez, ma poi ci sarà gente come Kwiatkowski, Foss e appunto lui, che possono fare bene anche altrove. Ricordiamo che Ganna negli ultimi anni ha dimostrato di essere anche piuttosto veloce, e pensando a qualche tappa ondulata… magari potrebbe dire la sua.

«Vado in Francia – spiega Pippo – con l’obiettivo iniziale di fare bene nella prima crono (quella veloce di Caen, quinta frazione, ndr). Risparmiare energie sin lì. Poi nelle tappe seguenti l’idea è di trovare un varco per poter dire la mia.
«Io maglia verde? Allora diciamo a Jonny (Milan, ndr) di non partire! Io la vedo già disegnata sulle sue spalle. Ci saranno arrivi in volata adatti a lui. Per me sarà più complicato».

Ganna ha già vinto il tricolore cinque volte
Ganna ha già vinto il tricolore cinque volte

Ma prima…

Prima del Tour de France, però, il cammino di Ganna incrocia un altro obiettivo a cui tiene molto: la cronometro del campionato italiano. Lui di maglie tricolori contro il tempo ne ha già vinte cinque. Quella del 2022 lo portò poi in Francia da campione italiano della specialità.

«Vero – dice Ganna – prima c’è l’obiettivo della crono tricolore. Non ho ancora visto nulla, ma ci hanno mandato il percorso qualche giorno fa. Arriveremo in Friuli il 24 e spero già il 25 di avere le informazioni giuste».

Anche se ti chiami Ganna, una cronometro in gara dopo tanto tempo è una fonte importante di informazioni e ideale per riprendere il feeling, anche in ottica Tour.

«Sì – conclude Ganna – sarà una crono importante, ma soprattutto è una corsa che mi piace vincere perché ho la possibilità di portare in giro per il mondo questo simbolo del mio Paese. E’ una maglia fantastica. L’ultima volta che ci sono andato al Tour non sono salito sul podio, spero che stavolta possa essere differente».

Quella volta, era giusto il 2022, la maglia tricolore era nascosta da quella iridata. Magari si è tenuto la cartuccia buona per far brillare il tricolore al momento giusto…

Zamperini torna a vincere e sta imparando a correre da grande

20.06.2025
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Edoardo Zamperini è emigrato, ciclisticamente parlando, in Francia per correre con il devo team dell’Arkea B&B Hotels. Dopo una prima parte di stagione corsa principalmente insieme alla formazione WorldTour è tornato a correre tra gli under 23. La prima vera gara nella categoria di cui è campione italiano è stata la Gent-Wevelgem, nella quale ha trionfato Alessandro Borgo. Lo scalatore veneto, nato ad Azzago, rientrava alle corse dopo una pausa di quasi un mese. 

Qualche giorno dopo Edoardo Zamperini è volato in Polonia con la nazionale di Marino Amadori per correre l’Orlen Nations Grand Prix, prova di Nations Cup che gli ha regalato una vittoria che mancava da quasi un anno. L’ultima volta che aveva alzato le braccia al cielo era stato al campionato italiano scorso a Trissino, nel suo Veneto.

Zamperini ha alzato il livello del suo calendario quest’anno correndo molte più corse a tappe rispetto al passato (foto Instagram)
Zamperini ha alzato il livello del suo calendario quest’anno correndo molte più corse a tappe rispetto al passato (foto Instagram)

Un libro aperto

Dopo aver corso per tre anni in due formazioni continental italiane, prima alla Zalf nel 2022 e nel 2023 e poi alla Trevigiani nel 2024, Zamperini è uscito dall’Italia. Cambiare non è semplice, ma lui si è rimboccato le maniche e ha lavorato sodo facendo dei passi in avanti. C’è ancora da fare, ne è consapevole, ma si tratta di trovare l’equilibrio giusto.

«Questa prima parte di stagione – racconta Edoardo Zamperini – non è andata male. Sono riuscito a vincere ed è una cosa che mi rende felice. Il livello delle corse si è alzato parecchio e devo prendere bene la mira. C’è parecchia differenza rispetto agli anni in cui correvo con squadre italiane, la principale è che si va più forte. La seconda cosa che è cambiata è il calendario. Il team prende parte solamente a gare professionistiche o internazionali per quanto riguarda quelle under 23. Questo vuol dire che non si può pensare di arrivare ad un appuntamento all’80 per cento. Ci si deve far trovare pronti».

Inoltre Zamperini ha corso spesso con il team WorldTour, qui in fuga al Gran Premio Miguel Indurain
Inoltre Zamperini ha corso spesso con il team WorldTour, qui in fuga al Gran Premio Miguel Indurain
Un aspetto nuovo?

Per me sì. Gli anni scorsi correvo tutte le settimane mentre ora lavoro con blocchi di allenamento programmati per arrivare pronto in determinate gare. Inoltre dopo diversi anni ho cambiato preparatore, è un passaggio delicato. Ci si deve conoscere e capire quali parti prendere e quali no del lavoro. 

Ad esempio?

Durante l’inverno ho fatto tanto volume, quindi lavori in Z2. Mi sono accorto che in gara, quando il ritmo è alto per tutta la giornata, riesco a fare bene. Al contrario se si va più piano per poi alzare l’andatura su strappi o salite corte vado in difficoltà. Ne ho parlato con il preparatore, andremo ad aumentare gli allenamenti dalla Z3 in su. Serve riuscire ad aprire il gas quando la corsa lo richiede. 

Tutta la grinta del corridore veneto, che alla prova di Nations Cup in Polonia è tornato a vincere dopo un anno (foto Tomasz Smietana)
Tutta la grinta del corridore veneto, che alla prova di Nations Cup in Polonia è tornato a vincere dopo un anno (foto Tomasz Smietana)
Sei comunque riuscito a vincere dopo tanto tempo, come ti sei sentito?

Molto felice. Per me ma anche perché sento di aver ripagato la fiducia che Marino Amadori (il cittì della nazionale under 23, ndr) mi ha dato. Al termine dei primi mesi di corse, dopo il Laigueglia, gli avevo detto che mi sarei fatto trovare pronto per l’Orlen Nations Grand Prix. Per ovvi motivi mi aveva messo tra le riserve, alla fine Chesini non è andato per motivi di salute e Amadori mi ha portato. 

Avete parlato tu e Amadori prima della gara?

Con lui sono sempre stato onesto e gli ho sempre detto quali fossero le mie sensazioni. Lo scorso anno ero nella lista per il Tour de l’Avenir ma prima di fare le convocazioni gli ho detto che non ero nella condizione giusta per fare bene. Questa volta sono contento di aver mantenuto una promessa in positivo. 

Per Zamperini nella seconda metà dell’anno c’è la voglia e l’ambizione di andare al Tour de l’Avenir (foto Tomasz Smietana)
Per Zamperini nella seconda metà dell’anno c’è la voglia e l’ambizione di andare al Tour de l’Avenir (foto Tomasz Smietana)
Non vincevi dal campionato italiano dello scorso anno, che sensazioni avevi durante la corsa?

Ero fiducioso. Vero che il successo mancava da tanto tempo però sono sempre stato abituato a non essere un grande vincente. Lo so, mi conosco e questa cosa non mi pesa. Nel momento in cui approccio il finale di gara non ho pressioni, uso la testa e studio gli avversari. 

Una decina di giorni dopo sei andato all’Alpes Isère Tour, ma non è andata come ti saresti aspettato…

No, tra l’Orlen e l’Alpes Isère non ho recuperato bene. Anche questo è un punto da capire insieme al team. Alla fine di gare a tappe, di quattro o cinque giorni, esco stanco nei giorni successivi accuso un po’. Si deve trovare il giusto equilibrio anche nel recupero. Torno a dire che rispetto agli anni passati questa è la prima volta in cui corro diverse gare a tappe, può darsi che il mio fisico si debba ancora abituare. 

Ora si sta correndo il Giro Next Gen, da campione italiano ti dispiace non esserci?

Dispiace ma la squadra non ha mai fatto richiesta di partecipare. Lo sapevo e non è un problema, le corse non mancano. Uno dei prossimi grandi obiettivi è il Giro della Valle d’Aosta e poi il Tour d’Alsace. La speranza è di fare bene per cercare di guadagnare un posto per l’Avenir.

Pokerissimo Grenke al Dorigo. L’analisi di Salvoldi

20.06.2025
5 min
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Il Trofeo Dorigo ha regalato un esito a sensazione: 5 corridori della stessa squadra, nell’occasione il Team Grenke Auto Eder, ai primi 5 posti (in apertura, foto team). Qualcosa di assolutamente inusuale nell’ambito sportivo nel suo insieme, ricordando un po’ quello che faceva la Valanga Azzurra nello sci alpino anni Settanta (ma nell’ambito ciclistico anche la Mapei dei bei tempi non ci andava poi lontano, Roubaix 1996 docet…), ma quel che è avvenuto a Solighetto, che per molti team italiani era uno degli obiettivi di questa parte di stagione, non può passare sotto silenzio.

Dino Salvoldi, il cittì della nazionale juniores, si è fatto delle sue idee al riguardo, partendo comunque da un momento complessivamente positivo del nostro movimento che in fin dei conti è sempre in testa alla Nations Cup pur con una partecipazione ridotta per i ben noti tagli finanziari.

Salvoldi, cittì della nazionale italiana, ha guardato con molta attenzione quanto successo al Trofeo Dorigo
Salvoldi, cittì della nazionale italiana, ha guardato con molta attenzione quanto successo al Trofeo Dorigo

«Questa prima parte di stagione ci ha dato da una parte delle certezze e dall’altra ha evidenziato lacune sulle quali lavorare. I risultati internazionali ci dicono che il movimento c’è, è forte, ma abbiamo uomini che sono forti per alcuni percorsi e non per altri. Per spiegarmi meglio, nel 2024 avevamo un corridore di livello assoluto come Finn che non per caso poi è andato a prendersi il titolo mondiale. Oggi forse non abbiamo il riferimento assoluto, ma abbiamo tanti corridori forti a comporre un’ottima squadra».

Tu però hai un occhio molto attgento e quel che è successo a Solighetto non potrà non averti destato alcune considerazioni…

Certamente, quel che è avvenuto deve essere soppesato con attenzione. Partiamo col dire che a vincere è stato un italiano, Roberto Capello e questo a me che sono il cittì non può che far piacere e darmi indicazioni positive. Una settimana prima alla Classique des Alpes Capello aveva sfiorato lo stesso risultato, poi solo particolari situazioni tattiche avevano determinato scelte diverse. Poi non dimentichiamo che a lottare per un posto nei primi 5 ci sarebbe stato anche Agostinacchio, se non fosse caduto. Detto questo, non voglio comunque sfuggire al tema.

Per Roberto Capello una grande vittoria, arrivando da solo con 1’45” sui compagni (foto Arianna Paoli)
Per Roberto Capello una grande vittoria, arrivando da solo con 1’45” sui compagni (foto Arianna Paoli)
Secondo te un dominio così marcato da che cosa dipende, al di là del valore intrinseco del team appartenente alla filiera della Red Bull?

Generalmente c’è una differenza marcata nella preparazione. Queste prestazioni derivano dalla consapevolezza di poter realizzare nelle gare quel che emerge nella preparazione di gruppo ed è importante questa specifica. Perché in quel team si lavora molto tutti insieme e quegli allenamenti di squadra hanno poi un peso specifico diverso da quello che hanno negli altri team, dove si lavora individualmente con contatti fra corridore e preparatore. La qualità dell’allenamento di gruppo alza il livello di tutti, i grandi momenti di preparazione si fanno in team, esattamente come avviene per gli sport di squadra. Il ciclismo sta cambiando in questo senso.

Quindi non è più solo un problema di “quanto” ma di “come” ci si allena?

Sono cose connesse. In Italia si è spesso discusso sul monte ore di allenamento che fa uno junior, ma accumulare ore vale se lo si fa in gruppo. Torniamo al discorso delle lacune di cui prima: noi notiamo che generalmente (e ci tengo che si consideri questo fatto, perché poi ogni caso va valutato di per sé) i nostri ragazzi hanno una qualità media di allenamento in pianura inferiore a quella di altri Paesi. Questo significa che in una gara internazionale, quando si arriva ai piedi della salita, il corridore che pure ha grandi valori come scalatore ci arriva stanco, con le armi spuntate. L’allenamento CT 5+5 diviso fra pianura e salita sarà più simile alla gara. In team come quello si ragiona prendendo le prestazioni in allenamento per far sì che siano le stesse in gara.

I danesi Byrkedal e Moller Andresen, che con Schoonvelde (NED) e Tjumins (LAT) hanno lavorato per Capello (foto Arianna Paoli)
I danesi Byrkedal e Moller Andresen, che con Schoonvelde (NED) e Tjumins (LAT) hanno lavorato per Capello (foto Arianna Paoli)
Siamo quindi indietro…

Piano con i giudizi. Io parlo generalmente e posso dire che ci stiamo adeguando, si comincia a capire che non ci si gioca più tutto in salita. Un dato che mi ha sorpreso, a proposito della prestazione del team tedesco è stata il fatto che abbiano lavorato di squadra senza l’uso delle radioline, sono stati bravissimi in questo e ciò deriva proprio dalla formazione del gruppo in allenamento, tutto l’anno. Ma io sono convinto che ci stiamo arrivando e se guardo l’andamento italiano nel suo insieme posso dire che il bicchiere è ben più che mezzo pieno…

Non avere un team di riferimento nel WT è in questo senso un handicap?

Sono tanti i Paesi che non ce l’hanno, io credo che influisca poco, non ne facciamo un alibi di comodo. Il tema è insito in ogni team, bisogna capire se si preferisce guardare più all’agonismo o alla promozione, se si cerca solo il risultato o si pensa alla crescita dei propri ragazzi. Io ho contatti costanti con i vari direttori sportivi e trovo molta comprensione e voglia di crescere di pari passo con il movimento internazionale, di adeguarsi. Noi i team di riferimento nazionale li abbiamo, 2 professional che dal prossimo anno saranno 3 ma bisogna ragionare su altri termini.

Il lettone Tjumins, un altro dei leader della Grenke, dove il ruolo è gestito a rotazione (foto Arianna Paoli)
Il lettone Tjumins, un altro dei leader della Grenke, dove il ruolo è gestito a rotazione (foto Arianna Paoli)
Il lavoro su pista che fai con tanti ragazzi ha un’importanza anche in tal senso?

Diciamo che serve a crescere anche per affrontare certi percorsi, è sicuramente un aiuto ma non è la soluzione per tutto. Bisogna capire che si va sempre più veloci e i ragazzi devono essere messi nelle condizioni di farlo. Poi anch’io sono critico, anch’io penso che le velocità dovrebbero diminuire ma questo si fa a livello di regole, a livello dirigenziale, noi possiamo solo adeguarci.

Seixas sta attento ai fuorigiri: per quest’anno niente Tour

20.06.2025
5 min
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«Se un corridore è pronto – dice Thomas Voecklerse ha la capacità mentale di gestire tutto, allora non puoi porti limiti. Ma il Tour de France non è come il Giro e la Vuelta, il ritmo è più intenso e non mi riferisco alla corsa in sé. Il Tour è ingrato, invece all’età di Seixas, bisogna sognare. Quindi troverei logico non mandarlo al Tour, non ne vedo il motivo. Il Delfinato è stato già una tappa importante dopo la sua prima preparazione in altura».

L’ottavo posto del campione del mondo juniores della crono al Criterium du Dauphine (che dal prossimo anno prenderà il nome di Tour Auvergne-Rhone Alpes) ha destato scalpore in Francia. Il ragazzino ha un notevole appeal sui tifosi. Lo hanno visto vincere il Giro della Lunigiana e battagliare in tutte le altre corse a tappe juniores e oggi non è come quando alla categoria prestavano attenzione solo pochi appassionati. Oggi i social ti rendono personaggio anche a 17 anni e così le attese attorno al nome di Seixas sono esplose. Al punto che, avendolo visto correre da leader al Delfinato, qualcuno si è chiesto se potesse essere schierato anche al Tour de France (in apertura foto Decatlhon-Ag2R/KBLB).

I piedi per terra

Paul ha appena 18 anni, ma i piedi saldamente per terra. Appare ben fondato atleticamente. E’ in grado di parlare un ottimo inglese, essendo studente dell’Em Lyon Business School, la più antica scuola di economia d’Europa, fondata nel 1872. E quando gli è stato chiesto se gli piacerebbe correre il Tour, ha dimostrato che i sogni sono una cosa, la consapevolezza un’altra. Ed è solida come la sua scarsa propensione a dare credito ai social e alle voci dall’esterno.

«Il Tour è certamente un sogno – ha detto dopo l’arrivo in salita di Valmeinier – ma non credo abbia senso farlo ora. A prescindere dal risultato di qui, non mi vedrete alla partenza di Lille, anche se da più parti si scrive in questo senso. In tempi normali ignoro completamente il telefono, ma a maggior ragione in questi ultimi giorni preferisco non perdere tempo a guardarlo inutilmente».

Seixas in Francia è già un beniamino dei tifosi: giusto tutelarlo dalle attese (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)
Seixas in Francia è già un beniamino dei tifosi: giusto tutelarlo dalle attese (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)

Il rischio di bruciarlo

Non ha senso bruciare le tappe quando si hanno così tanto talento e fulgide prospettive di carriera. Seixas è passato dal 2024 in cui le distanze di gara fra gli juniores erano di 100-120 chilometri a quelle ben superiori del professionismo. Così se da un lato sarebbe una sfida interessante vederlo alla prova del Tour, dall’altro si avrebbe la sensazione di un voler bruciare le tappe forzato e privo di logica.

«C’è sicuramente un curriculum da convalidare – ha spiegato a L’Equipe Jean-Baptiste Quiclet, responsabile della performance della Decathlon-Ag2R – prima di affrontare un Grande Giro in termini di carico di lavoro e intensità. Il Tour è la corsa più intensa, la più dura dell’anno, e se vi partecipasse, potrebbe avere un aumento del carico di lavoro del 15 o 20 percento nell’arco di un mese. Dato che ha talento, potrebbe superarla senza intoppi, ma si potrebbe anche entrare in una fase di superlavoro o sovrallenamento. E questo potrebbe ostacolare la sua progressione».

Due volte secondo al Tour of the Alps. Qui a Lienz, dietro al compagno Prodhomme
Due volte secondo al Tour of the Alps. Qui a Lienz, dietro al compagno Prodhomme

Uno studente modello

La scelta è ovviamente condivisa anche dai compagni più esperti, che tuttavia si sono detti tutti stupiti per la serenità del ragazzino davanti alle prove più impegnative, dal UAE Tour di inizio stagione ai percorsi ben più severi del Delfinato.

«Non abbiamo molto da insegnargli sugli aspetti fisici, tattici o di gara – ha detto Aurelien Paret-Peintre, che scherzando i compagni hanno eletto come il padre di Seixas – semmai qualcosa di più sugli effetti collaterali, come recupero, programmi e fasi di decompressione. E’ importante perché gli verrà chiesto di assumere un ruolo di leadership, cosa che ha iniziato a fare in questa settimana. E sta imparando in fretta. E’ un buon ascoltatore ed è ambizioso, quindi è sicuramente desideroso di progredire sempre più velocemente».

Scortato dall’addetto stampa Pierre Muglach: anche le interviste sono accuratamente dosate (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)
Scortato dall’addetto stampa Pierre Muglach: anche le interviste sono accuratamente dosate (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)

Tour de l’Avenir, sì o no?

In sintesi: Seixas potrebbe essere alla partenza del Tour e a tratti potrebbe essere anche all’altezza della situazione. Tuttavia potrebbe bruciarsi e pagarne le conseguenze a lungo: per questo motivo la scelta più ovvia è stata quella di prevedere per lui un programma diverso, in cui non rientra neppure la Vuelta.

E’ certa la partecipazione ai campionati nazionali a cronometro, mentre nel mirino ci sarebbe il Tour de l’Avenir, ma con un punto interrogativo. Anche se la riforma UCI prevede che ancora per quest’anno gli atleti professionisti potranno prendervi parte (saranno invece banditi dal 2026), pare che la Federazione francese potrebbe portare in gara una squadra coerente con quella che poi porterà ai mondiali in Rwanda. In quel caso, essendo già tesserato in una WorldTour, Seixas non potrebbe correre e questo lo escluderebbe dall’Avenir. A meno che la FFC non decida di fare un’eccezione per il suo caso così speciale.

Resta l’opzione dei mondiali dei professionisti. E qui, tornando da Voeckler, si scopre che il cittì francese non avrebbe alcuna controindicazione per una sua chiamata in nazionale, se non il rispetto della giovane età e la volontà di agire di concerto con chi lo gestisce. Il talento è tanto e limpido, la gabbia intorno serve per evitare di disperderlo.

Luci e ombre del Delfinato nella testa di Pogacar e Vingegaard

20.06.2025
7 min
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Dice Garzelli che dopo il Delfinato, Vingegaard ha capito di dover lavorare sui cambi di ritmo e che avrà le prossime due settimane in altura per mettersi a posto. Pogacar invece l’ha detto da sé: dovrà lavorare sulla crono, perché il quarto posto di Saint Peray non gli è andato giù. Al punto da essere sceso dai rulli subito dopo e aver saggiato la leggerezza della bici del rivale. Ma se questi sono stati gli esiti fisici del confronto, che cosa è rimasto nelle loro teste dopo il confronto appena vissuto? Quali sicurezze in più ne ha tratto Pogacar? E a Vingegaard è convenuto sfidarlo dopo un anno di batoste, col risultato di essersi ritrovato esattamente deve l’aveva lasciato l’ultima volta?

Sono sfumature su cui si ragiona fra amici e addetti ai lavori. E così, avendo la fortuna di poter interpellare il meglio fra gli esperti che operano nel professionismo mondiale, ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach della Lidl-Trek e della nazionale, portando con noi le stesse domande.

Elisabetta Borgia fa parte dello staff performance della Team Lidl-Trek e della nazionale italiana
Elisabetta Borgia fa parte dello staff performance della Team Lidl-Trek e della nazionale italiana
Si può dire secondo lei che Vingegaard abbia preso le misure a Pogacar anche sul piano psicologico e ne sia uscito con qualche certezza in più oppure si è fatto male?

Bisogna analizzare più aspetti. Il primo è che sicuramente un campione come Vingegaard ha molto chiaro il suo piano di avvicinamento all’obiettivo, che si basa su di sé e non sugli avversari. Va da sé che lavorando sulla tua fiducia e la tua efficacia, hai bisogno di dati oggettivi, tuoi personali. Banalmente vedere che cresce l’allenamento o che cresci in base alle tempistiche che ti sei dato col coach e con la squadra. Però ogni tanto è importante avere anche delle reference esterne. Non solo tue, ma anche nel confronto con l’altro, prendendo sempre tutto con le pinze, nel senso che immagino nessuno conosca il tipo di allenamento e avvicinamento che hanno fatto al Delfinato e nessuno sappia quanto margine reale abbia l’altro.

Qualche dato ce l’hanno…

Immagino di sì, anche se non li seguo nello specifico. In ogni caso sono entrambi in altura e Vingegaard ha chiare le cose su cui migliorare per essere performante nei confronti di Pogacar. E’ sicuramente qualcosa che lo può aiutare a far uscire la parte più aggressiva e agonistica che c’è nel pensiero quando fai dei blocchi di lavoro da solo o con la squadra e che nel momento dello scontro diretto col tuo avversario esce di più. Quindi credo che Vingegaard, cosciente del valore suo e di Pogacar, dal Delfinato abbia preso soltanto il buono. Sa su cosa lavorare, se evidentemente ha previsto altro lavoro per crescere. Sappiamo che in 2-3 settimane c’è anche il rischio di arrivare ai corti, per cui da un lato è molto positivo ragionare in un’ottica di crescita, ma bisogna anche ragionare in un’ottica di calo all’interno delle tre settimane. E per questo è bene avere dei buoni punti di riferimento.

Bene i riferimenti, ma ha senso, progettando l’appuntamento più importante, cercare il confronto con uno che ultimamente ti ha sempre surclassato?

Vingegaard sta cercando di arrivare al Tour nella sua migliore espressione possibile, indipendentemente da Pogacar. Come pubblico guardiamo sempre loro due, ma chi lo dice che non arrivi un altro che non abbiamo considerato? E’ fuori discussione che nel momento in cui costruisci l’autoefficacia, quindi la fiducia nel poter far bene, parti dal lavoro che stai facendo, dei feedback che ottieni in allenamento, ma anche partendo dallo storico. Vai a vedere gli scontri precedenti e puoi anche fare il conteggio delle volte che hai vinto tu e quelle che ha vinto l’altro. E’ chiaro che devi avere una lettura di quello che è stato e contestualizzarlo. Io credo che anche per questo Vingegaard ne sia uscito consapevole di poter crescere ancora. Tre settimane sono lunghe, bisognerà che giri bene tutta una serie di cose. Avere la squadra, avere la vicinanza dei compagni giusti, far le cose come si deve, recuperare bene. Stiamo parlando di dettagli, perché nessuno a quel livello fa le cose sbagliate. Magari uno le perfeziona, le ottimizza, perché stiamo parlando di professionisti di un livello stellare. Quindi che tu lo veda o ce l’abbia nella testa, Pogacar c’è e non si dissolve.

Vingegaard è andato meglio di Pogacar nella crono, poi ha subito in salita, chiudendo in crescendo
Vingegaard è andato meglio di Pogacar nella crono, poi ha subito in salita, chiudendo in crescendo
Allora mettiamoci per un attimo nei panni di Tadej, che corre sempre per vincere. In certe dimostrazioni di forza ci sono anche dei messaggi che manda al rivale?

Certamente, ma dico una cosa. Essere quello che vince sempre, da un certo punto di vista può essere anche un limite. Prima o poi questo filotto finirà, è più probaile che finisca prima o poi piuttosto che continui all’infinito. Quindi è qualcosa che hai in testa e sai che succederà: per alcune mentalità può diventare un limite. Sai bene che se non vinci, hai perso: per te e per l’immaginario collettivo. La realtà è che la mentalità di Pogacar è proprio l’opposto. Non ha paura di perdere: ho sempre vinto, continuerò a farlo ancora.

Non ha paura di perdere, ma quando accade (come nella crono) mastica molto amaro.

Certo. E’ fuori discussione che la crono sia un elemento sempre più importante nei Grandi Giri, però lo sappiamo che non è il suo cavallo di battaglia. E’ forte, ci mancherebbe, però il pubblico se lo aspetta in altre condizioni e in altre situazioni. Nelle tappe di salita, nelle più tappe dure. Quindi davanti a quel quarto posto, avrà pensato che avrebbe potuto perdere meno. Però oltre a questo, io credo che la mentalità vincente sia proprio quella: ho visto che sono meno performante, ma studio e la prossima volta vengo e te le do. Anche il siparietto in cui va a guardare la bici di Vingegaard fa capire la sua voglia di tornare dominante: vediamo se c’è qualche dettaglio, qualcosa di diverso cui ci si possa ispirare. E questo da un certo punto di vista è la conferma del suo essere assolutamente uno che vuole vincere e fa di tutto per continuare a farlo. Non è uno che si siede, nonostante abbia vinto praticamente tutto. Continua ad avere grandi motivazioni, la cattiveria agonistica per continuare a spingere a fondo e cercare di migliorarsi, cambiare, crescere. 

Quando devi sfidare la tua bestia nera, esiste un metodo di lavoro per non farsene schiacciare?

E’ chiaro che se vai in una gara e conosci gli avversari, nella tua testa hai una potenziale classifica. Sai dove potresti posizionarti all’interno di un gruppo. E’ un’aspettativa che può diventare un’arma a doppio taglio e allora io cerco sempre di sottolineare due aspetti.

Pogacar e Vingegaard si sono sfidati al Delfinato, con lo sloveno dominante e il danese in crescita
Pogacar e Vingegaard si sono sfidati al Delfinato, con lo sloveno dominante e il danese in crescita
Quale il primo?

La necessità di partire senza memoria. E’ un po’ una provocazione: dirsi di restare nel presente, anche se fino a ieri le hai sempre buscate. Riparti con le stesse possibilità di darle, piuttosto che con la rassegnazione di prenderle ogni giorno. Devi fare sì che la testa non diventi un limite, perché se pensi che ogni giorno il rivale ti ha dato 3 minuti, sei morto. Devi riuscire a riattivare ogni giorno una nuova pellicola, sennò il rischio di vedere il solito film è altissimo. Magari si ripresenta, perché oggettivamente sei meno forte, però questo è un altro conto.

E il secondo aspetto?

Mi è successo anche in altri sport, magari in situazioni in cui hai l’atleta che cresce e che affronta grandi campioni o atleti che gli sono sempre state superiori. E allora dico ai miei atleti che l’avversario non deve avere un nome. A volte si potrebbe dare di più, ma c’è quello che in psicologia si chiama “senso di impotenza acquisito”.

Vale a dire?

Sei tu che ti dici: ci ho sempre provato e non ha funzionato perché l’altro è sempre stato superiore. Quindi se fa uno scatto, non lo segui con la stessa convinzione, come faresti se fosse un’altra persona che consideri più vicina a te in termini di livello. Per questo dico sempre di togliergli il viso e di pensare che hai davanti un avversario su cui non devi avere pregiudizi di alcun tipo. Non si lotta per il secondo posto, ma se vogliamo vincere, stringiamo i denti per seguirlo quando scatterà. E’ chiaro che stiamo parlando di due atleti di altissimo livello…

Il quarto posto nella crono del Delfinato ha infastidito Pogacar e non poco…
Il quarto posto nella crono del Delfinato ha infastidito Pogacar e non poco…
Quindi?

Quindi magari puoi focalizzarti sul fatto che sia proprio l’altro che ti fa uscire l’aggressività in più che non avresti con un altro avversario. Sono meccanismi che ti danno un click in più, permettono di accedere a qualche percentuale supplementare di grinta. Però, in linea generale, soprattutto parlando di coloro che stanno costruendo la loro efficacia e la loro fiducia, dobbiamo ragionare nell’ottica di dire che a me non interessa chi sia il mio avversario, soprattutto per quelli che sono in fase di crescita. Anno dopo anno, non sai mai quanto cresci. E magari gente che era lontanissima, l’anno dopo si avvicina molto di più. Oppure riesci a battere le persone che vedevi in televisione fino a qualche anno prima e ora sono i tuoi avversari. Se inizi a subire questo ti po di pressione, il rischio è che tu non riesca a esprimerti al 100 per cento. Sappiamo bene tutti che c’è dietro anche un aspetto mediatico, per cui per Vingegaard non si tratta solo di vincere un duello, ma di battere Pogacar. E per l’altro non solo aver vinto, ma averle suonate nuovamente a Vingegaard.

Velasco: «Il Delfinato mi ha tirato il collo, ma sono fiducioso»

19.06.2025
5 min
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«Ora sto andando nella mia Isola d’Elba per qualche giorno di riposo attivo… Così mi riprendo dalle fatiche e dal caldo tremendo del Delfinato!». Simone Velasco è stato uno dei tre italiani presenti al Critérium du Dauphiné, gli altri due erano Simone Consonni e Jonathan Milan.

L’atleta della XDS-Astana non correva dal GP di Francoforte, il primo maggio, pochi giorni dopo la Liegi-Bastogne-Liegi, tanto per dare un riferimento. Questo gli ha consentito di impostare un blocco di lavoro importante.

In Francia non è stato brillantissimo, proprio perché alle spalle c’era un lavoro mirato. E’ stata per Simone una corsa di costruzione. Sentiamo dunque come è andata e quanto queste fatiche potranno essere utili in vista del Tour… e del campionato italiano. Ricordiamo che Velasco è stato tricolore appena due stagioni fa.

Al Delfinato, Velasco ha pagato un po’ il caldo e la mancanza di ritmo gara. Ma è stata un’ottimma gara di costruzione
Al Delfinato, Velasco ha pagato un po’ il caldo e la mancanza di ritmo gara. Ma è stata un’ottimma gara di costruzione
Simone, dunque, dicevi di caldo e fatica…

Le prime tre tappe sono andate abbastanza bene. Ero soddisfatto perché comunque era più di un mese che non correvo e mi ero preparato bene a casa, pur non essendo andato in altura.

Come mai?

Ho avuto un problema giusto la sera prima del training camp: ho preso una bronchite abbastanza tosta e avevo anche la febbre. Quindi ho recuperato e poi, visto che da quest’anno si può usare la tenda ipossica, ho fatto un po’ di preparazione a casa. Un bel blocco di tre settimane, e speriamo che abbia funzionato. Dagli esami fatti sembrerebbe di sì.

Come ti regolavi con la tenda? Sappiamo che è piccolina e che ci sono delle limitazioni logistiche

Abbiamo fatto cambio con mia figlia. In pratica lei dormiva nel lettone con la mia compagna, Nadia, e io, che ho portato il letto della piccola nella camera matrimoniale, dormivo nel suo. Non è stato facile ma questo mi ha consentito di fare un bel periodo a casa. E anche mentalmente non è poco. In bici poi mi sono allenato bene e al Delfinato mi sono tirato il collo… parecchio!

Quindi Simone, cosa porti via da questo Delfinato? L’obiettivo era quello?

Sicuramente mi aspettavo di fare qualche risultato in più, specialmente nelle prime tappe. Poi la quinta tappa, quella dopo la crono, è stato un giorno disastroso per noi. Siamo caduti, anche Tejada, che si è rotto la mano. A me è andata bene, ma per rientrare ho sprecato tante, tante energie. E così sono stato costretto ad alzare bandiera bianca a 500 metri dallo scollinamento dell’ultima salita. Non avevo proprio le gambe. A quel punto ho provato a recuperare, ma è stato uno sforzo intenso e quel caldo mi ha segnato. Ne ho portato lo strascico per il resto delle tappe. Però secondo me il Delfinato resta il miglior banco di prova in vista del Tour per prendere la condizione e non solo.

L’elbano in questa settimana sta osservando un periodo di riposo attivo
L’elbano in questa settimana sta osservando un periodo di riposo attivo
A cosa ti riferisci?

Credo che sia la corsa migliore perché comunque ti confronti con il 90 per cento dei corridori che saranno al Tour de France e oltretutto ricalchi anche qualche strada. In più noi abbiamo provato la decima tappa della Grande Boucle (Ennezat-Le Mont-Dore Puy de Sancy, ndr), che sarà molto impegnativa.

Però la consapevolezza di aver fatto la fatica giusta non è poco. Alla fine non correvi davvero da tanto tempo e forse era la prima volta che mancavi dalle gare così a lungo

Non solo, ma prima della bronchite ho avuto anche un mezzo infortunio. Proprio a Francoforte in volata, mi è uscita la catena e ho sbattuto il ginocchio sul manubrio. Questo si è gonfiato, ho dovuto fare un’aspirazione. Poi per fortuna la cosa è stata meno grave del previsto… però anche lì per una decina di giorni ci sono dovuto andare cauto. Però guardo il bicchiere mezzo pieno: quest’anno dalla Tirreno in poi ho trovato continuità, mi sono ripreso anche fisicamente. Ho sempre dimostrato di essere ad un buon livello.

Simone, come si corre il Delfinato? Tu hai parlato tanto di fatica, ma si guardano i dati del computerino e dopo tot minuti oltre una certa soglia si molla affinché sia un allenamento costruttivo oppure si spinge e basta?

Dipende dalle tappe. In quelle in cui si cerca di far bene è chiaro che non si sta a guardare il computerino, in altre dove non c’è l’obiettivo di fare il risultato ci si regola. E se non si ha bisogno di fare determinate sessioni si cerca di recuperare. Magari prima fai il lavoro che ti ha chiesto la squadra e poi vai regolare.

Simone Velasco (classe 1995) ha vinto il tricolore nel 2023
Simone Velasco (classe 1995) ha vinto il tricolore nel 2023
Simone, si guarda anche il peso come una volta, oppure quello ormai si dà per assodato?

Fortunatamente col peso sono a posto, a parte l’inverno da quando inizio a correre sono più o meno sempre intorno ai 60-60,5 chili. Chiaro, ci devi stare attento, ma non è un assillo.

Da spettatore privilegiato non pagante, che impressione hai avuto di “quei due”, Vingegaard e Pogacar?

Che sono di un altro livello. Ma io ci aggiungerei il terzo, Van der Poel. Ho visto che veramente volava. E’ già in grande condizione. Ha sfiorato il podio a crono. Il giorno della fuga in cui ha vinto Romeo, siamo partiti subito in salita, 15 minuti e lui era davanti che attaccava e vi posso assicurare che salivamo forte, tanto forte. Eravamo rimasti in tutto una quarantina in cima, ma lui era nei primi 20 che attaccava, quindi vuol dire che c’è già una condizione ottima.

L’ultima domanda, Simone: ora come sarà il tuo programma?

Questa settimana è dedicata al recupero attivo, venerdì dovrò fare dei richiami. Nei giorni all’Elba punto ad uscire presto per pedalare col fresco in primis e per avere poi delle giornate di relax davanti. Quindi farò il Giro dell’Appennino e il campionato italiano su strada. Poi il Tour.