Wout Van Aert, tour Red Bull negli USA 2025 (foto Joe Pug)

EDITORIALE / Il problema non è (solo) far pagare il biglietto

01.12.2025
6 min
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Si potrebbe ridurre tutto al dibattito, neppure troppo nuovo, sull’opportunità di far pagare il biglietto per accedere a determinati punti sul percorso. Forse però lo scontro è più profondo e vede sul ring la tradizione del ciclismo opposta a una serie di necessità che sarebbe miope non considerare.

«Sono preoccupato per la fragilità del nostro sport – ha detto di recente Van Aert a De Tijd, parlando della fusione fra Lotto e Intermarché – molte persone hanno perso il lavoro quest’inverno, ciclisti e dirigenti. Credo che la fragilità sarebbe minore se, oltre alle entrate derivanti dalle sponsorizzazioni, ce ne fossero anche altre derivanti dallo sport stesso, ad esempio attraverso i diritti televisivi. In questo modo, una squadra non fallisce immediatamente se uno sponsor abbandona, come accade ora».

Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff
Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff

La torta da dividere

Biglietti da pagare e diritti televisivi, due visioni diverse per risolvere la stessa esigenza: aumentare le entrate. Solo che a fronte di uno sport cresciuto rapidamente e a dismisura, l’approccio resta quello degli anni Ottanta. E il sistema, come già evidenziato da Luca Guercilena, traballa.

«Vedo come l’NBA distribuisce i fondi tra tutte le parti – prosegue il belga, reduce da un tour promozionale negli USA (immagine di apertura da Instagram, realizzata da Joe Pugliese) – e penso che il ciclismo possa imparare molto. Forse ci concentriamo troppo sul fascino e sull’atmosfera popolare. Se si fa pagare cinque euro per l’ingresso, non significa che il ciclismo non sia più popolare. Anche il ciclocross prevede una quota di ingresso e non c’è niente di più popolare. Gare come il Fiandre o il Tour dipendono da noi che vi prendiamo parte. Ma come squadra, non riceviamo nemmeno un compenso sufficiente a coprire i costi di partecipazione. Mi sembra il minimo. La torta potrebbe essere divisa in modo più equo».

Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)
Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)

L’esempio del Fiandre

Soldi agli organizzatori o soldi alle squadre? L’ideale sarebbe mettere tutto sul piatto e dividere secondo logica e proporzione, invece il ciclismo non si è mai preoccupato di fare sistema e ciascuno tira l’acqua alla sua parte.

«Bisogna cercare di fare qualcosa che abbia un sistema economico autosufficiente – dice Pozzato – altrimenti è tutto inutile. Quest’anno abbiamo portato 720 paganti nella nostra hospitality. Il sogno è arrivare a mille persone e cominciare ad aumentare il prezzo del biglietto e la qualità del servizio, con gente consolidata che torna perché sa che vale la pena. Perché hanno servizi e perché, come nella nostra Veneto Classic, vedono i corridori passare per sei volte. Al Fiandre pagano anche 500 euro per una hospitality, qui è difficile far passare l’idea di pagare 10 euro per un servizio. Se non andiamo su questo modello, le corse italiane più piccole muoiono. Il problema è che da noi si è sempre fatto in un modo solo e nessuno pensa a qualcosa di diverso. Solo durante il Giro d’Italia c’è gente per strada, ma è l’evento sportivo dell’anno, è normale che ci sia. Gli altri organizzatori hanno bisogno di fare qualcosa di diverso. ASO e RCS prendono un sacco di diritti tv, sarebbe giusto dividerli con le squadre». 

Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)
Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)

Cipollini su Facebook

Pagare o non pagare? Pozzato è tra i sostenitori della necessità di farlo, ma si è trovato contro il parere di Cipollini, rilasciato su Facebook.

« Credo che il ciclismo – ha detto il toscano – si basi soprattutto sul rapporto tra i ciclisti e il tifoso, però probabilmente faccio parte dei vecchi, di quelli datati, non sono un visionario. Immagino che questa cosa del pagare non debba toccare gli eventi straordinari come Giro d’Italia, Lombardia, Milano-Sanremo, queste grandi corse importanti, perché già sfruttano un bene comune come le strade. Non credo che il ciclismo possa essere paragonato al tennis, al calcio, alla MotoGP, alla Formula 1, che sono eventi all’interno di strutture. Diverso se uno organizza una Sei Giorni all’interno di un palazzetto oppure crea un circuito, nel qual caso è giusto pensare anche a un ipotetico ritorno. Ma parlando ancora del Giro d’Italia, le varie istituzioni come Comuni, Province e Regioni investono già, spendendo i soldi dei cittadini per pubblicizzare il territorio, per cui sarebbe come pagare due volte».

La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà
La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà

I soldi pubblici

In realtà i soldi pubblici finiscono anche negli sport che fanno pagare i biglietti più cari. Laddove gli stadi non sono di proprietà, essi sono un fardello a carico dei Comuni. Il Foro Italico, che comprende lo stesso Olimpico di Roma, è di proprietà di Sport e Salute, quindi del CONI. Lo spiegamento di forze di Polizia per l’ordine pubblico fuori dagli stadi è a carico dello Stato. Il fatto di pagare il biglietto in situazioni che già godono del supporto dei soldi pubblici è un ostacolo che altrove nessuno sembra essersi posto.

Che mediamente ci sia meno gente è vero. Scarseggia soprattutto lungo le strade piatte, dove l’attesa non è ripagata da chissà quale spettacolo, avendo la diretta integrale che ti permette di vedere tutto e meglio dal divano di casa. Una volta, quando non c’era questa copertura così massiccia, vederli passare era il solo modo per farsi un’idea e ragionare fino all’inizio della diretta. L’idea di Pozzato, che già rende parecchio bene a Flanders Classics (dal cross alle corse fiamminghe), è quella di ricavare delle aree a pagamento in cui coccolare i tifosi che vogliano spendere, offrendo loro uno spettacolo nello spettacolo. Nessuno costringerebbe gli altri che vogliano seguire le corse come si è sempre fatto. E’ un’idea efficace, che tuttavia non risolve il problema.

Il sistema che non c’è

Il sistema ciclismo non è in realtà un sistema, ma un insieme di realtà che cercano di attirare il più possibile per tenere in piedi le loro strutture. E a ben vedere la stessa UCI che detiene la titolarità del WorldTour non fa nulla perché le cose cambino. Se il suo obiettivo è riscuotere i pagamenti di corse e squadre, qualsiasi forma di organizzazione più avanzata la costringerebbe a condividere i profitti. L’UCI chiede e non restituisce, portando avanti una visione miope. Dividendo la torta come propone Van Aert, magari all’inizio qualcuno dovrà fronteggiare entrate minori, poi però il sistema prenderebbe giri e diventerebbe produttivo per tutti.

Questa è la visione di Pozzato, questa la visione di Van Aert e dei belgi. Bocciarla perché si è sempre fatto diversamente è un atteggiamento a dir poco medievale. Bocciarla perché resta concepita a compartimenti stagni è un’altra cosa. Nell’Italia che stenta a uscire dalla dimensione di una volta, potrebbe essere la Lega Ciclismo a guidare il movimento professionistico su un cammino di razionalizzazione delle entrate, dividendo laddove possibile il peso delle uscite. La Coppa Italia delle Regioni potrebbe diventare ben più produttiva di quanto sia oggi.

Francesca Selva, allenamento sui rulli

Pista e rulli, quale integrazione? Francesca Selva risponde

01.12.2025
5 min
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Non integrare nel modo corretto quando si pedala al chiuso è un grande errore. Lo è quando ci si allena sui rulli e quando per le gare in pista si resta in ballo per ore. Chi si allena tutti i giorni, con la bici in esterno oppure con le diverse possibilità del ciclismo indoor, deve avere energie (buone) sempre a disposizione.

Abbiamo affrontato l’argomento con Francesca Selva, sempre sul pezzo quando si trattano approfondimenti tecnici. La vita delle gare in velodromo, ma anche tante sedute di rulli per i training specifici e di qualità, soprattutto quando si trasferisce in Danimarca dal compagno Oskar Winkler, senza mai dimenticare le sessioni in palestra.

Come si integra quando si fanno i rulli? Francesca Selva risponde
Il carburante non deve mai mancare. Francesca utilizza integratori Nduranz (foto Selva)
Come si integra quando si fanno i rulli? Francesca Selva risponde
Il carburante non deve mai mancare. Francesca utilizza integratori Nduranz (foto Selva)
Sui rulli, quando e quanto?

Li faccio molto spesso ed ormai ricoprono quasi il 90% dell’attività di training. Sono un alleato perfetto per combattere il freddo, il brutto tempo, ma soprattutto per gli allenamenti specifici dove è fondamentale limitare il più possibile le variabili dell’ambiente esterno. L’allenamento sui rulli inoltre, è ottimale con la bici classica e anche quella da pista. Tendenzialmente con la bici tradizionale uso dei rulli smart, in pista e con la bici dedicata quelli liberi, senza elettronica.

Ti è mai capitato di fare una seduta indoor endurance?

, anche oltre le 3 ore e mezza, in Z2, simulando una distanza con andatura tranquilla. Configurazione virtual, una serie televisiva e tanta dedizione, il gioco è fatto.

Quando si spinge anche sui rulli, l'acqua da sola non basta (foto Selva)
Quando si spinge anche sui rulli, l’acqua da sola non basta (foto Selva)
Quando si spinge anche sui rulli, l'acqua da sola non basta (foto Selva)
Quando si spinge anche sui rulli, l’acqua da sola non basta (foto Selva)
Integrazione anche per l’attività indoor e pista, sì oppure no?

Assolutamente sì, sempre. L’integrazione di qualità è un sostegno, soprattutto quando l’attività indoor prevede sedute specifiche, magari con intensità elevate, quando è combinato alla palestra e quando è un allenamento continuativo. Quando ci si allena tutti i giorni non bisogna mai andare in deficit di energia. Avere del carburante a disposizione da assumere nelle giornate di velodromo, magari tra una gara e la successiva, tra una seduta e l’altra, permette di non restare a secco di energie.

Nella borraccia solo acqua oppure anche un integratore?

Partiamo dal presupposto che nella borraccia metto sempre qualcosa, non fosse altro per una questione di gusto. Poi calibro il quantitativo in base alle esigenze, all’allenamento e se faccio un lungo in esterno porto una seconda borraccia con acqua.

Come si integra quando si fanno i rulli? Francesca Selva risponde
Ai bordi della pista integratori di energia sempre a portata di mano
Come si integra quando si fanno i rulli? Francesca Selva risponde
Ai bordi della pista integratori di energia sempre a portata di mano
Ci puoi dare qualche riferimento?

Per me il prodotto di riferimento è l’Nduranz NRGY Drink in polvere solubile, quello al gusto pesca è anche ghiotto. Tengo con me sempre la borraccia da litro, che indicativamente copre le mie esigenze per due ore. Per un allenamento tranquillo tengo come riferimento 45 grammi di carboidrati diluiti nella borraccia, man mano a salire, 60, 100 grammi e poco oltre. Come detto in precedenza, dipende dall’intensità e dalla durata. Quando ti alleni tutti i giorni, Acqua e sali non bastano, i carboidrati sono il carburante che non deve mancare, anche quando si parla di rulli.

Anche durante le sessioni di palestra?

Quasi mai, ma a volte capita, dipende da quello che c’è da fare dopo la palestra. Generalmente è uno strumento di riattivazione muscolare, di ripresa della forza e non di rado mi piace farla anche a digiuno, prima di fare colazione.

Come si integra quando si fanno i rulli? Francesca Selva risponde
Il “borraccione” capiente da litro, indoor e anche outdoor
Come si integra quando si fanno i rulli? Francesca Selva risponde
Il “borraccione” capiente da litro, indoor e anche outdoor
Problemi intestinali legati all’eccesso di carboidrati?

Per fortuna mai avuti. Oltre a quella che può essere una predisposizione, credo che gli integratori che utilizzo sono di ottima qualità e ben equilibrati nelle proporzioni, non sbilanciati. Aggiungo inoltre, io non bevo caffè nella vita quotidiana e questo ai fini di una corretta assimilazione può dare dei vantaggi.

Integrazione con gel, liquidi o solidi?

Vedo il supplemento in gel o con la soluzione liquida maggiormente pratica e pronta, adeguata a chi ha sempre necessità nell’avere calorie da bruciare subito disponibili. L’integrazione solida quando si fanno tante ore consecutive in bici e si ha bisogno anche di gratificazione, oltre alle energie. In questo ambito credo sia da rispettare anche una certa soggettività di interpretazione. Aggiungo però, durante le giornate intere passate in velodromo, ovviamente l’integrazione solida gioca un ruolo importante.

Prima e dopo l’allenamento?

Se ho la possibilità preferisco un pasto classico e un recupero con i cibi tradizionali, ma ci sono delle eccezioni. Ad esempio quando siamo a gareggiare in pista e siamo in ballo per 5/6 ore e oltre ed è complicato accedere alla mensa. In quei casi è importante avere sempre carboidrati al proprio fianco e magari utilizzare degli integratori specifici per il recupero nell’immediato post gara. Mi viene in mente Nduranz Regen, che oltre ai carboidrati ha anche una giusta quantità di proteine.

Filippo Conca, un giorno in montagna, trekking, neve, inverno, preparazione, Grigna, Rifugio Luigi Brioschi (immagine Instagram)

Conca e quel passaggio in vetta, prima di ricominciare

01.12.2025
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Con il ritiro iniziato sabato, sono finite ufficialmente le vacanze di Filippo Conca. Ci sarà spazio per qualche giorno in famiglia a Natale, ma ormai si fa sul serio, perché dicembre e gennaio sono i mesi su cui si costruisce l’intera stagione. La Jayco-AlUla si è ritrovata in Spagna e da qui tutto prenderà le mosse, ma noi facciamo un passo indietro e tiriamo in ballo il campione italiano per un… racconto fotografico che ha pubblicato su Instagram. Prima c’è la vetta di una montagna, con la neve, il tricolore che sventola e dietro il vuoto. Poi una serie di immagini di ragazzi che camminano nella neve. Un rifugio. Un tramonto. Un pendio a dir poco molto ripido. Che cosa ci faceva Conca lassù?

«Quella è la Grigna – racconta sorridendo – una montagna delle mie parti. Quando d’inverno sono a casa, mi piace andare a camminare, ma ormai l’off-season dura talmente poco che quest’anno l’ho fatto quasi tutto via. Altrimenti, se sto un paio di settimane a casa, magari vado a camminare nelle montagne dei dintorni, spesso a cercare funghi. Però non per allenarmi, più che altro come svago».

Circuit Franco-Belge 2025, Filippo Conca
Filippo Conca, classe 1998, era rimasto senza squadra a fine 2024. Nel 2025 a sorpresa ha vinto il tricolore ed è approdato alla Jayco-AlUla
Circuit Franco-Belge 2025, Filippo Conca
Filippo Conca, classe 1998, era rimasto senza squadra a fine 2024. Nel 2025 a sorpresa ha vinto il tricolore ed è approdato alla Jayco-AlUla
Hai sempre camminato in montagna, anche da piccolo?

Sì, sempre. Un anno, era il 2023, camminai anche per allenarmi. Ero stato fermo da agosto fino a novembre, per un’infezione batterica al sottosella, che in ottobre ho dovuto operare. Praticamente feci tre mesi senza bici e quindi andavo tre volte a settimana in palestra e tutti i giorni a camminare tra le 2 e le 4 ore. Questa volta però non è stato così.

Un fatto di amore per la montagna?

Mi piace la natura, stare in solitario o con poche persone in posti così incontaminati. Che poi forse parlare di passeggiata non è nemmeno corretto. La salita fino in Grigna è stata abbastanza tosta, più che altro perché al mattino avevo fatto tre ore di bici e poi sono andato subito a camminare.

Una salita che conosci bene?

Negli ultimi due o tre anni salgo sempre in questo periodo, almeno una volta all’anno. Vado con gli amici e poi stiamo su a dormire nel rifugio Brioschi. Non è esattamente un albergo, ha i letti a castello, ma lassù è proprio bello e anche faticoso (sorride, ndr). E’ ripido e camminare con la neve non è una passeggiata. Salendo da Ballabio, sono poco meno di tre ore. Per cui arriviamo al tramonto, stiamo su a dormire e il mattino dopo scendiamo. L’anno scorso ha portato bene e, visto come è andata la stagione, penso che continuerò ad andarci tutti gli anni.

Che effetto fa scalare una montagna così dopo tre ore di bici?

La sera hai le gambe di piombo, però è una cosa che per una volta si può fare, soprattutto a novembre. Ho avuto mal di gambe per tre giorni, infatti non lo farei sicuramente durante la stagione, quello no.

Nell’anno in cui hai camminato come preparazione in che modo ti eri equipaggiato?

Niente di particolare, anche perché quando sono in certi posti a camminare nella natura, mi sentirei strano ad essere super tecnico. Ho quello che serve, prendo e vado. Dopo quell’inverno tra palestra e camminate, iniziai in bici con nemmeno 60 giorni di preparazione. Andai in ritiro in Spagna e feci i miei migliori wattaggi di sempre nei test. Questo per dire che tanti hanno paura di fermarsi nell’off-season o di riposare troppo a lungo, ma secondo me serve proprio staccare. Sia per durare anno dopo anno, sia per metabolizzare tutto il lavoro fatto.

Hai parlato di rapporto con la natura: con la bici si riesce ad averlo allo stesso modo?

Purtroppo la strada è sempre la strada. A meno che non si vada in posti molto sperduti, c’è sempre il contatto con tante persone, con il traffico, le macchine. Ovviamente in certi posti è comunque bello, ma devi stare sempre attento. Forse il gravel da questo punto di vista è sicuramente più bello, perché ti dà un senso di libertà. Se poi uno fa gravel per la performance, ovviamente ai paesaggi e ai posti non fa troppo caso.

Conca ha affrontato l'escursione dopo tre ore di bici al mattino (immagine Instagram)
Conca ha affrontato l’escursione dopo tre ore di bici al mattino (immagine Instagram)
Conca ha affrontato l'escursione dopo tre ore di bici al mattino (immagine Instagram)
Conca ha affrontato l’escursione dopo tre ore di bici al mattino (immagine Instagram)
I corridori girano il mondo, ma ne vedono poco, giusto?

Ben poco. Ci facciamo un’idea. Possiamo dire che finita la carriera abbiamo un’idea di dove ci piacerebbe tornare in vacanza, per approfondire la conoscenza. Le corse ci portano in tanti posti carini e anche in altri in cui non andrei mai a fare le ferie. 

Giochiamo a fare i nutrizionisti: tre ore di bici e la salita in Grigna, cosa hai mangiato per cena nel rifugio?

Prima di cena ho fatto merenda, perché siamo arrivati all’ora del tramonto. Poi in realtà nel rifugio si può scegliere fra un paio di piatti. Mi pare risotto con formaggi e funghi e brasato di cervo con polenta. Visto il periodo, un ultimo strappo ci stava benissimo. Ma adesso ci si rimette in riga. Il 16 novembre ho ripreso a pedalare. Sono tornato dalle vacanze in Thailandia il 15 e ho ricominciato il giorno dopo.

A piccoli passi?

Molto piccoli, non ho ancora fatto tante ore. Il mio nuovo preparatore è Fabio Baronti e ha preferito non mettermi l’assillo di farne subito tante. Queste prime due settimane sono state di crescita graduale, ho iniziato negli ultimi 3-4 giorni a inserire uscite di tre ore e mezza, quattro.

Mentre le prime?

Sono servite per riabituare il corpo a stare in bici. Sarà perché sono alto (Conca misura 1,91 per 80 chili, ndr), ma tutti gli anni quando ricomincio dopo 20-25 giorni senza bici, è sempre un trauma. Sembra che non so più pedalare, non so più stare su una bici. Poi mi riassetto e si sistema tutto. Se sei a regime, riprendi bene. Però sono dell’idea appunto che all’inizio è meglio non esagerare.

Perché a volte si esagera?

Si ha sempre paura di rimanere indietro, perché il lavoro da fare è tanto. Però preferisco darmi due o tre settimane di tempo per riassettarmi e ricominciare a regime in questi giorni. Dicembre e gennaio sono i mesi più importanti. Dalle mie parti ha fatto abbastanza freddo, però meglio così. Dopo le vacanze in cui c’era caldo, il fisico si abitua subito al freddo e riprendi subito le abitudini.

Sai già dove cominci?

Non credo l’Australia, ho una mezza idea, però dei programmi parleremo bene in questi giorni. Pedaleremo, faremo riunioni e piani per i prossimi 5-6 mesi. Insomma, è ora di ricominciare…

Jakob Omrzel 2025

Quattro anni con Northwave: Longo Borghini e l’operazione Omrzel

30.11.2025
5 min
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Il giovanissimo Jakob Omrzel, classe 2006, quest’anno si è fatto notare da tutto il mondo, vincendo il Giro Next Gen e, forse cosa ancora più sorprendente, il campionato nazionale sloveno elite. Prestazioni che per la prossima stagione gli sono valse il grande salto, dalla development alla prima squadra della Bahrain Victorious.

In attesa di vederlo in azione nel WorldTour nel 2026, per scoprire qualcosa di più del nuovo campioncino sloveno, abbiamo contattato Paolo Longo Borghini, che lo segue da vicino in qualità di uomo Northwave. L’azienda veneta si è infatti legata ad Omrzel con un nuovo contratto che li legherà per i prossimi quattro anni.

Dopo dieci anni da professionista Paolo Longo Borghini si divide tra il ruolo di regolatore di corsa per Rcs e uomo marketing di Northwave
Dopo dieci anni da professionista Longo Borghini si divide tra il ruolo di regolatore di corsa per Rcs e uomo marketing di Northwave
Paolo, perché avete scelto di mettere sotto contratto Omrzel?

In realtà era già con noi da due anni. Lui è sotto contratto con i Carera e noi abbiamo un ottimo rapporto con loro, ce l’hanno proposto quando correva alla continental del Bahrain. Sappiamo che quella è un’età difficile per i ragazzi, per questo abbiamo sempre cercato di aiutare i giovani, già dai tempi di Ganna. Questa scommessa fatta tempo fa ci ha portato ad avere tra noi il vincitore del Giro Next Gen e dei campionati nazionali sloveni, quindi in questo caso è stata una scommessa ottima.

Quindi rinnovare il contratto è stato quasi automatico?

Sì, abbiamo deciso di rinnovare il contratto a lungo termine, diciamo per l’intera durata di quello che ha con il team. Un segnale del fatto che non vogliamo mettere assolutamente pressione ad un ragazzo così giovane, dargli fiducia nel futuro. Siamo sicuri che i numeri li ha, ma non vogliamo creare altra pressione in un mondo che ne ha già abbastanza. E’ anche la stessa l’idea che la squadra ha per lui.

Jakob Omrzel quest’anno ha trionfato al Giro Next Gen (foto La Presse)
Jakob Omrzel quest’anno ha trionfato al Giro Next Gen (foto La Presse)
Che tipo di corridore può diventare secondo te?

Quando sei giovane e sei così forte, vai bene un po’ dappertutto. Poi tra i professionisti dovrà trovare la sua dimensione, com’è normale. lo lo vedo molto bene per le corse a tappe, non a caso ha vinto il Giro Next Gen che è già una corsa di altissimo livello

Parliamo del materiale. Che scarpe utilizza Omrzel?

E’ un ragazzo che sa cosa vuole, fino dagli anni passati non ha mai avuto problemi né chiesto personalizzazioni particolari. Usa le scarpe standard, quelle che chiunque può trovare in negozio, anche se le sue come tutte quelle dei professionisti, le assembliamo noi in azienda. Il modello che usa è la Veloce Extreme, il nostro top di gamma da strada. La stessa che usano Ganna e i suoi compagni di squadra Caruso e Mohoric.

Il giovane sloveno ha nel palmares anche la Paris-Roubaix Juniores del 2024, segno della sua completezza (foto Christophe Dague/DirectVelo)
Il giovane sloveno ha nel palmares anche la Paris-Roubaix Juniores del 2024, segno della sua completezza (foto Christophe Dague/DirectVelo)
Invece umanamente com’è, tu che l’hai conosciuto?

Ti dà l’idea di essere un ragazzo molto riservato, quasi in soggezione di fronte ad uno staff tecnico come il nostro. Poi parlandoci invece è molto interessato e molto maturo. Come dicevo: si vede che sa quello che vuole. E’ molto pacato ma sotto ha una gran voglia di sapere, si interessa dei dettagli tecnici, vuole capire, non è che ogni cosa gli vada bene. Questo è utile anche a noi, sappiamo che ora dobbiamo essere al 110 per cento, dobbiamo sempre arrivare al top dal punto di vista tecnico.

Esservi legati ad uno dei più importanti prospetti del futuro sembra indicare che ci riuscite…

La nostra è un’azienda abbastanza piccola, non siamo dei giganti come altri nostri competitor, ma siamo molto contenti dei risultati che riusciamo a raggiungere. E’ frutto anche del rapporto familiare che instauriamo con gli atleti. Riusciamo a mettere a loro agio i ragazzi e questo è un aspetto molto importante.

C’è molta curiosità su cosa potrà fare Omrzel al suo primo anno tra i professionisti, ma l’importante è non eccedere con la pressione (foto abastianelph)
C’è molta curiosità su cosa potrà fare Omrzel al suo primo anno tra i professionisti, ma l’importante è non eccedere con la pressione (foto abastianelph)
Oltre alla Veloce Extreme Omrzel avrà in dotazione altri modelli? 

Il modello è quello, ma ci saranno delle grandi novità per il prossimo anno. Ci stiamo già lavorando con i ragazzi, per ora non posso dire di più. Se non che ci impegniamo per essere sempre all’avanguardia in un mondo che va velocissimo e che è sempre più spinto in ogni dettaglio.

Come azienda puntate a qualche risultato particolare per il 2026? Magari iniziando dalla Sanremo con Ganna…

Abbiamo con noi campioni che ci permettono di pensare in grande sia nelle classiche che nelle tappe dei grandi giri. Per esempio crediamo molto in De Lie che ha fatto un bel finale di stagione. E certamente anche in Filippo, non solo per la Sanremo, ricordiamoci che l’anno scorso per poco non vinceva la Tirreno-Adriatico. Ma anche Mohoric, che ha avuto un’annata non facile ma sappiamo di cosa è capace, certamente non vedrà l’ora di mettersi di nuovo in mostra. Come anche lo stesso Omrzel. Sempre senza mettergli nessuna pressione, naturalmente. Ma perché no, in una corsa minore potrebbe già iniziare a farsi vedere tra i grandi.

Davide Cimolai

E anche Cimolai saluta. Un anno tosto, ma quanti progetti in testa

30.11.2025
8 min
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Sedici anni di carriera professionistica, al servizio di molti capitani, nove vittorie, 15 Grandi Giri e 27 classiche monumento disputate, sei squadre… sono i numeri di Davide Cimolai che ha deciso di lasciare le corse. E così ecco un altro ragazzo, dopo Gianluca Brambilla o Giacomo Nizzolo, che appende la bici al famoso chiodo.

Sarebbe però sbagliato sintetizzare la carriera di uno dei corridori più sensibili (e lasciateci aggiungere, educati) del gruppo solo con i numeri. “Cimo” è stato ed è molto, molto di più. Quando risponde al telefono il suo tono è squillante. «Sono felice»: è una delle prime frasi che ci dice. E si sente. Inizia subito a parlarci di progetti, di aver smesso per sua scelta e con serenità. E questo è un aspetto vitale.

Davide Cimolai
Febbraio 2010, Cimolai esordisce tra i pro’ al Tour de San Luis (a destra Chicchi in maglia di leader)
Davide Cimolai
Febbraio 2010, Cimolai esordisce tra i pro’ al Tour de San Luis (a destra Chicchi in maglia di leader)
Cimo, dunque, partiamo proprio da questi progetti che ci hai accennato. Ci sono due strade: un sogno a lungo termine e un’altra più concreta e a breve termine. Puoi spiegarci?

Uno è al di fuori del mondo sportivo, nel settore dell’agricoltura, un settore che mi è sempre piaciuto, ma per ora, poiché è davvero in alto mare, preferisco non parlarne.

E l’altro invece?

Mira a restare nel ciclismo. Non voglio abbandonare completamente il mondo delle due ruote. Sedici anni di esperienza professionale sono un bagaglio prezioso da non lasciare cadere nel vuoto e non lo voglio sprecare. L’obiettivo dunque è trasmettere la mia esperienza, in particolare ai giovani. Sto gettando le basi per aprire uno “studio” con il quale seguire ragazzi e atleti. Fargli vivere questo sport con professionalità ma anche con passione. L’annuncio arriverà quando tutto sarà pronto.

Parlaci un po’ delle ragioni del tuo ritiro. Quando hai cominciato a maturare l’idea nella tua testa?

Parto dall’inizio della stagione per dare un quadro completo e farvi capire bene. Avevo iniziato quest’anno con l’intenzione di correre un altro anno, quindi fino a tutto il 2026, ma la realtà è stata subito diversa dalle mie aspettative.

Davide Cimolai
Ottobre 2025, l’ultima gara al Tour de Guangxi. Dalla foto precedente a questa, per Cimolai ben 1.126 giorni di corsa
Davide Cimolai
Ottobre 2025, l’ultima gara al Tour de Guangxi. Dalla foto precedente a questa, per Cimolai ben 1.126 giorni di corsa
Si è rivelata una stagione difficile? Tu stesso ce ne parlasti a Trieste prima della partenza del campionato italiano…

In Oman ho avuto una brutta influenza che mi ha costretto a correre debilitato. Poi, anche se non avrei dovuto, ho continuato anche al UAE Tour visto che ero già lì. La squadra mi ha coinvolto all’ultimo e, credetemi, ho dato tutto e giocato di mestiere solo per finirlo. Idem con alcune corse dopo, tra cui la Strade Bianche e alcune classiche del Nord. Dovevo andare al Giro d’Italia, quindi sono andato al Romandia ed è successo il fatto più grave.

Quale?

Ho avuto una grave infezione al braccio, a seguito di una ferita che avevo trascurato. Vi dico solo che c’è stato bisogno del ricovero e ho rischiato l’amputazione del braccio stesso. Ma il problema maggiore, per assurdo, non è stato tanto il braccio, quanto le dosi massicce di antibiotici che ho dovuto fare.

Perché?

Mi hanno debilitato moltissimo. Per dire: io non avevo mai avuto un’otite in vita mia, in poche settimane ne ho avute tre. Questi problemi mi hanno impedito di raggiungere il 100 per cento della condizione, fatto essenziale per essere competitivo e divertirsi, specialmente a 36 anni.

Davide Cimolai
Il friulano (classe 1989) ha vinto la sua prima gara da pro’ nel 2015 a Laigueglia
Davide Cimolai
Il friulano (classe 1989) ha vinto la sua prima gara da pro’ nel 2015 a Laigueglia
E oggi, come dicono tutti i corridori, devi essere al top. Non puoi andare in corsa solo per costruire la condizione…

Esatto, proprio questo volevo dire. Di fatto sono stati tre mesi durissimi. Tre mesi in cui ho quasi smesso di correre. Sono andato a Livigno, sono riuscito a prepararmi bene e così ho affrontato discretamente alcune corse: Vallonia e Polonia. Ma in Polonia ho preso, come molti altri, il Covid in modo pesante. Alla fine questo accumulo di difficoltà fisiche e mentali soprattutto mi ha fatto capire che il percorso professionale era giunto al termine. E io avevo giurato fedeltà alla squadra un altro anno.

Però ti hanno spesso richiamato all’ultimo. Non credevamo saresti voluto restare in Movistar

Non ero così disposto a cercare altre opzioni. Tra l’altro io sono un gregario, un uomo squadra. Non un leader che decide di fare questa o quella corsa. E per me questo significa essere pronti e disponibili quando ti chiamano. Essere professionali.

Quanto ha inciso anche la questione Gaviria che non ha rinnovato? Ricordiamo che tu eri, o saresti dovuto essere, il suo ultimo uomo…

Ha inciso parecchio. Ha inciso nella valorizzazione del mio lavoro di supporto. Forse con una vittoria in più le cose anche per me sarebbero cambiate. Tuttavia sono orgoglioso del mio impegno e del nuovo ruolo che mi sono ritagliato: stare vicino ai giovani, aiutarli a crescere. Attenzione però, non vorrei che passasse il messaggio che smetto con rimpianti o scuse. No, semplicemente la realtà è stata questa.

Il progetto con Gaviria alla Movistar non è andato benissimo. Tante sfortune per entrambi
Il progetto con Gaviria alla Movistar non è andato benissimo. Tante sfortune per entrambi
E con realismo hai fatto una scelta. Davide, invece come ha reagito la tua famiglia a questa decisione?

Avevo già accennato ai familiari e agli amici l’eventualità del ritiro. La mia compagna, Alessia, in tutti questi anni è stata il mio più grande sostegno, il mio punto di riferimento. Mi ha sempre incoraggiato a continuare, anche nei momenti più difficili, come per esempio dopo l’esperienza con Cofidis. Lì ho rischiato parecchio. Ma lei era sicura che sarebbe arrivata una chiamata da parte di un’altra squadra. Ora anche lei è felice della mia decisione… anche perché mi vedrà più spesso a casa. Anzi, se posso dirlo, è un mese che sono a casa e per certi aspetti era più comoda la vita da atleta!

“Cimo”, cosa ricordi dalla prima gara con i professionisti?

Ricordo il mio debutto nel 2010 al Tour de San Luis in Argentina. Ero con la Liquigas. Da dilettante ero abituato a vincere e a prendere vento in faccia solo per fare la volata. Al San Luis il mio capitano per gli sprint era Francesco Chicchi. Così subito mi ritrovai a tirare per chiudere sulla fuga. E a tirare per portarlo davanti allo sprint. In squadra però c’era anche Vincenzo Nibali. Succede che Vincenzo vince la crono e va in maglia… Ancora peggio per me! Davanti sin da subito per difendere il primato.

Insomma hai capito subito l’antifona!

Esatto, ho subito capito la differenza. Però è stato anche bello vedere come con i premi potevi fare più soldi del tuo dispendio. All’epoca passai in quello che era uno squadrone come Liquigas, ma partii con il minimo. Prendevo davvero poco. I premi in quegli anni erano ancora in contanti e tornai a casa con un bel po’ di dollari. Anche questa fu una sorpresa, ma bella!

Davide, con la sua compagna Alessia e le sue figlie Mia e Nina (immagine Instagram)
Davide, con la sua compagna Alessia e le sue figlie Mia e Nina (immagine Instagram)
E invece dal San Luis 2010 al Tour de Guangxi 2025, quanto è cambiato il tuo fisico?

Sostanzialmente le mie caratteristiche fisiche sono rimaste simili, ma negli ultimi anni, grazie a un allenamento in palestra oggi molto più continuo rispetto al passato, ho aumentato la mia massa muscolare. Mediamente un chilo in più… Il contrario di quel che accadeva un tempo.

E Davide, come uomo com’è cambiato nel tempo?

E’ cambiato il ciclismo, forse in modo più interessante. E con la maturità che ho ora, con l’impegno che ci ho messo negli ultimi anni, soprattutto con la voglia di faticare, con la sopportazione alla fatica, mi sono reso conto che prima avrei potuto, tra virgolette, impegnarmi di più. Non sono qui a dire che avrei vinto di più. No, le cose sono andate così e ne sono contento. Dico solo che all’epoca le cose mi venivano più facili. Facevo il mio, con grande impegno, però stop. Invece col senno di poi avevo un altro step per arrivare al 100 per cento. Mi sono reso conto che mentalmente ero “fragile”.

C’è stato un cambiamento graduale nella tua resistenza alla fatica oppure hai vissuto un momento spartiacque netto?

E’ stato graduale, ma me lo ha fatto capire il preparatore che ho avuto in Movistar, Leonardo Piepoli. Lui mi è stato davvero d’aiuto, mi ha fatto maturare, mi ha fatto vedere le cose in un’altra prospettiva. Anche gli allenamenti stessi, insomma. Analizzando come mi ero allenato gli anni precedenti, mi ha detto chiaramente che potevo fare di più a livello numerico durante la preparazione.

Davide Cimolai
Davide è stato anche più volte in azzurro: ha corso tre mondiali e quattro europei
Davide Cimolai
Davide è stato anche più volte in azzurro: ha corso tre mondiali e quattro europei
Qual è stata la corsa, in tanti anni di professionismo, che ogni volta ti emozionava di più? Quella che sentivi davvero?

La Sanremo – replica secco Cimolai – perché l’ho sempre sognata. Sarà che sono italiano, boh. Ricordo che, prima del Covid quando era ancora aperta ai velocisti, partendo da Milano non vedevo l’ora di arrivare sul Poggio sapendo che il dilemma era se fare la volata o tirarla. Capite: davo per scontato che avrei superato il Poggio. Oggi è impossibile. E poi anche il Fiandre mi dava forti emozioni. Ho avuto la fortuna di correrlo diverse volte e l’atmosfera che si vive lassù, ragazzi, è incredibile. E poi un corridore non è un vero professionista se non prova a fare e a finire un Tour de France.

Interessante: perché?

Ricordo molto bene il mio primo Tour, anche perché è quello in cui ho sfiorato il podio in una tappa. Poi sarà che l’ho vissuto con spensieratezza e non sentivo lo stress che genera la Grande Boucle. L’ho fatto cinque volte (dal 2013 al 2017, ndr) e ogni volta sono arrivato a Parigi. L’emozione di entrare sugli Champs Elysées è rimasta la stessa ogni anno. Questo è il ricordo più bello del Tour.

Davide Cimolai
L’entrata ai Campi Elisi, emozioni sempre forti per Cimolai
Davide Cimolai
L’entrata ai Campi Elisi, emozioni sempre forti per Cimolai
Visto che vuoi lavorare con i giovani, lasciamo a te la parola: se potessi dare un messaggio a un allievo che oggi inizia il ciclismo, cosa diresti?

Parto con un esempio. Quando a luglio mi ritrovavo a Livigno tanti anni fa, e lassù incontravo un allievo o uno junior gli dicevo: «Ragazzi, ma cosa fate quassù alla vostra età? Andate a mangiarvi una pizza al mare. Pedalate sì, ma rilassatevi in un altro modo, non venite a fare i professionisti». Ero di quella filosofia.

E di quella scuola…

Esatto, ma adesso che piaccia o no, il ciclismo è cambiato. Perciò oggi dico che già l’allievo deve essere mentalizzato a fare ciò che io facevo magari da under 23, se non nei primi anni da professionista. E’ tutto anticipato. Questa non è una cosa che mi piace, ma è così. E se vuoi fare il professionista devi accettarla, adattarti. A 20-21 anni devi essere già al top della carriera. Prima certe cose e certe mentalità si facevano e si avevano a 20-22 anni, adesso le devi avere a 15. Devi avere già il tuo sogno nel cassetto: passare professionista. Io ce l’avevo in mente a 18-19 anni. A quell’età avevo l’idea fissa di correre e diventare pro’. Oggi bisogna anticipare un po’ i tempi.

Giorgia Pellizotti, Fas Airport Service-Guerciotti-Premac

Pellizotti e il cross: sabbia, Belgio e papere di gomma

30.11.2025
5 min
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Per una volta la famiglia di Giorgia Pellizotti ha lasciato a casa il camper per seguire la prima trasferta di Coppa del mondo di ciclocross. Il freddo di Tabor, cittadina a sud-est della Repubblica Ceca, non ha perdonato e hanno preferito viaggiare in macchina. La giovane di casa Pellizotti ha raccolto un promettente podio al suo esordio stagionale in Coppa del mondo, corso in maglia azzurra. 

«Sono stata con la nazionale – racconta Giorgia Pellizotti, proprio in queste ore impegnata nella prova di Flamanville – fino a dopo la corsa, domenica mattina, poi sono tornata a casa con i miei genitori. Il viaggio era parecchio lungo e a me non piace molto stare seduta in macchina per troppe ore, così ci siamo fermati a un mercatino di Natale lungo la strada. Adoro questa festa e volevo assolutamente vederne uno, poi in Austria ci sono quelli più belli. Ci siamo fermati un’altra volta, in Friuli, per cenare e infine siamo arrivati a casa. Anche perché lunedì mattina c’era la presentazione del FAS Airport Service-Guerciotti-Premac (suo nuovo team per la stagione 2025/2026 di ciclocross, ndr)».

Podio, Coppa del Mondo di ciclocross, Tabor 2025, juniores donne, Giorgia Pellizotti
Giorgia Pellizotti ha conquistato il terzo posto alle spalle di Barbara Bukovska e Lise Revol a Tabor
Podio, Coppa del Mondo di ciclocross, Tabor 2025, juniores donne, Giorgia Pellizotti
Giorgia Pellizotti ha conquistato il terzo posto alle spalle di Barbara Bukovska e Lise Revol a Tabor

Il ritmo delle grandi

A Tabor, Davanti a Giorgia Pellizotti si sono piazzate le due dominatrici della passata stagione sul fango: Barbara Bukovska, Repubblica Ceca e Lise Revol, Francia. La francese è anche campionessa del mondo di ciclocross in carica di categoria. Il distacco della nostra azzurra è stato di ventisei secondi, un divario che non ha lasciato spazio a sogni di gloria. Ma Giorgia Pellizotti guarda con fiducia a questo risultato.

«Bukovska e Revool sono le più forti – analizza – però le altre sono tutte al mio livello. In realtà devo dire che le sensazioni in gara erano molto positive, sentivo di potermela giocare. Purtroppo al terzo giro, mentre ero attaccata al duo di testa, sono scivolata. Si è aperto un margine che non sono più riuscita a colmare. Diciamo che sono al loro livello, ma non posso permettermi di perdere nemmeno un metro. Non sono ossessionata dal raggiungerle, insieme al mio preparatore abbiamo deciso di non esagerare con gli allenamenti e di fare tutto con i giusti tempi».  

Giorgia Pellizotti, Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
Da quest’anno Giorgia Pellizotti nel cross corre con il team Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
Giorgia Pellizotti, Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
Da quest’anno Giorgia Pellizotti nel cross corre con il team Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
La Coppa del mondo è un obiettivo?

Vorrei fare tutte le prove del calendario perché mi piacerebbe giocarmi il podio, anche se adesso insieme al team stiamo programmando il periodo di Natale. La squadra andrà in Belgio a correre (ce lo aveva detto anche Patrick Pezzo Rosola, ndr) e cercheremo di capire come incastrare i vari impegni. 

Come hai approcciato questa seconda stagione da junior? 

Sento di migliorare costantemente rispetto all’anno scorso, anche gli obiettivi sono cambiati. Se prima volevo fare esperienze nuove quest’anno, invece, voglio puntare un po’ più in alto. Per il resto non è che ci siano grandi differenze. Ho deciso di cambiare squadra per poter fare qualche gara in più in Belgio, per tenere il ritmo delle prime e migliorare ulteriormente.

Podio, Coppa del Mondo di ciclocross, Tabor 2025, juniores donne, Giorgia Pellizotti
La sabbia rimane un terreno difficile da digerire per l’azzurra, sia in bici che nella corsa a piedi
Podio, Coppa del Mondo di ciclocross, Tabor 2025, juniores donne, Giorgia Pellizotti
La sabbia rimane un terreno difficile da digerire per l’azzurra, sia in bici che nella corsa a piedi
Quali sono le corse in cui vorresti migliorare? 

Il grande obiettivo è riuscire a fare il podio e vincere una gara del calendario X2O Trophée, alle prime tre viene data una papera di gomma e la sogno da quando l’ho vista la prima volta (ride, ndr). Entrando nell’ambito tecnico vorrei migliorare il più possibile sulla sabbia, non è ancora il mio terreno. Mentre per il finale di stagione cercherò di arrivare in forma al mondiale, che si correrà a Hulst dove lo scorso anno ho ottenuto il mio miglior piazzamento in Coppa del mondo (quinta, ndr). Sarebbe bello ripetersi, o addirittura migliorare. 

Sulla sabbia come si migliora?

Mi manca un po’ di potenza, sia nella pedalata che nella parte di corsa a piedi. Quando risalgo in bici sento di avere le gambe affaticate, non pronte allo sforzo. All’europeo, corso due settimane fa, c’erano tanti tratti in sabbia e ho fatto fatica. Il quarto posto (Giorgia Pellizotti successivamente è stata squalificata a causa di problemi con la bici, ndr) è stato un buon risultato. 

Giorgia Pellizotti, Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
La stagione nel cross di Giorgia Pellizotti è iniziata alla grande, con cinque vittorie in nove giorni di gara
Giorgia Pellizotti, Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
La stagione nel cross di Giorgia Pellizotti è iniziata alla grande, con cinque vittorie in nove giorni di gara
Hai pensato anche alla strada?

Sto valutando di fare qualche gara in più il prossimo anno, visto che il mio livello è buono. Un obiettivo del 2026 sarà provare a entrare nel giro della nazionale anche su strada. E’ l’unica maglia azzurra che mi manca. Vorrei trovare il modo di partecipare a gare internazionali, come il Piccolo Trofeo Binda, ma dovrei trovare un team per correre oppure una squadra mista. Però al momento non ci penso molto, tra cross e scuola ho pochissimo tempo.

A proposito, come stanno andando gli studi?

Bene, sono al quarto anno del liceo scientifico sportivo. Noto che sta diventando sempre più difficile seguire il programma, visto che gli argomenti si complicano. Non è sempre facile studiare in furgone o in macchina tornando a casa dalle trasferte. Le giornate sono parecchio impegnative, tra scuola, allenamenti e studio mi alzo presto e finisco a mezzanotte. Per fortuna la scuola è vicino a casa, ad appena sei chilometri. 

Vai in bici anche a scuola?

A volte capita, quando mamma e papà non possono accompagnarmi in macchina mi tocca pedalare anche lì!

Un corso per neopro. Salvato racconta una scuola un po’ speciale

Un corso per neopro. Salvato racconta una scuola un po’ speciale

30.11.2025
6 min
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Milano ha ospitato nei giorni scorsi un corso accelerato per illustrare ai neoprofessionisti italiani che cosa li aspetta. L’iniziativa è ormai un appuntamento tradizionale che coinvolge tutte le parti principali del movimento nazionale, dalla Federazione alla Lega. Quest’anno l’evento allestito al Palazzo del Coni dall’ACCPI ha coinvolto un numero maggiore di ragazzi rispetto al solito, ben 22 new entry grazie anche al passaggio fra le Professional dell’MBH Bank. Con loro anche la neopro Matilde Vitillo, approdata alla LIV AlUla Jayco, mentre erano assenti Francesca Pellegrini (Uno-X Mobility) e Federica Venturelli (UAE Team ADQ).

A raccontare l’iniziativa è il presidente dell’ACCPI Cristian Salvato, che ha subito fortemente creduto nella sua importanza, ancor di più oggi che il ciclismo sembra immerso in un frullatore da dove emergono continue novità: «Tutto è nato anni fa, se non ricordo male la prima edizione risale al 2010. E’ curiosa la storia della genesi di quest’iniziativa: l’idea è nata perché avevo visto un articolo su Danilo Gallinari, quando è approdato all’NBA. Era già un giocatore professionista, ma appena approdato lo hanno portato in un albergo per fargli fare una full immersion di 3-4 giorni dove gli hanno spiegato tutte le regole di quel mondo, dalla circonferenza del pallone a come gestire i soldi del post carriera. Noi certo non siamo l’NBA, ma abbiamo pensato a questo corso per dar loro spiegazioni sui diritti e i doveri del corridore».

Al corso hanno partecipato 22 ragazzi, fra cui 6 dei Devo Team. Presente anche Matilde Vitillo approdata alla Liv Jayco AlUla
Al corso hanno partecipato 22 ragazzi, fra cui 6 dei Devo Team. Presente anche Matilde Vitillo approdata alla Liv Jayco AlUla
Al corso hanno partecipato 22 ragazzi, fra cui 6 dei Devo Team. Presente anche Matilde Vitillo approdata alla Liv Jayco AlUla
Al corso hanno partecipato 22 ragazzi, fra cui 6 dei Devo Team. Presente anche Matilde Vitillo approdata alla Liv Jayco AlUla
Il corso si è evoluto negli anni?

Moltissimo. Siamo cresciuti, abbiamo aggiunto sempre più cose e contributi. Vediamo che ha un buon successo, è apprezzato dai ragazzi. Ad esempio quest’anno abbiamo dedicato uno spazio particolare alla spiegazione del Protocollo Adams per l’antidoping. Ai ragazzi spiegavo che nel corso degli anni potranno cambiare squadra, amicizie, morose, ma quel che non cambierà sarà proprio il Protocollo finché saranno professionisti…

Ti sarebbe servito un corso simile quando sei passato professionista tu, nel 1995?

Altroché… Quando sono passato, nessuno mi ha spiegato niente tranne il classico compagno di camera che ti accennava qualcosa. Erano altri tempi, sicuramente. C’erano anche manager da Far West e aver avuto un’istruzione sarebbe stato molto importante per quanto riguarda i diritti contrattuali. I contratti erano dei lenzuoli e i pagamenti erano un po’ più… a maglie larghe, diciamo che erano più “creativi”.

Cristian Salvato, presidente ACCPI, ha tenuto un intervento spiegando diritti e doveri del corridore
Cristian Salvato, presidente ACCPI, ha tenuto un intervento spiegando diritti e doveri del corridore
Cristian Salvato, presidente ACCPI, ha tenuto un intervento spiegando diritti e doveri del corridore
Cristian Salvato, presidente ACCPI, ha tenuto un intervento spiegando diritti e doveri del corridore
La situazione relativa è migliorata?

Sicuramente. A parte che i contratti sono di anno in anno, di contestazioni ne trovo veramente poche, anche perché ci sono le fidejussioni, i diritti. Ma c’è un altro aspetto che mi colpisce ed è l’età media sempre più giovane. Io quando sono passato professionista ero al quinto anno da dilettante, ma era abbastanza normale, anche perché c’era il blocco olimpico. A 21 anni passavano i fenomeni. Adesso invece un ragazzo al primo anno è già qui.

Com’era strutturato il corso?

Avevamo numerosi contributi, ognuno con un team specifico: del Protocollo Adams hanno parlato Martino Pezzetta dell’UCI Lega Anti-doping Service e Carmel Chabloz dell’agenzia ITA. Altri argomenti erano Contratti e Istituzioni dei Team Professionistici. Benessere e salute mentale dell’atleta. Premi, diritti e doveri del corridore. Rapporto con i media e utilizzo dei social. I ragazzi hanno seguito tutto con grande interesse, emozionandosi quando da Gand si è videocollegato Elia Viviani, in una pausa della Sei Giorni.

In videocollegamento da Gand erano presenti anche il cittì Marco Villa e Elia Viviani
In videocollegamento da Gand erano presenti anche il cittì Marco Villa e Elia Viviani
In videocollegamento da Gand erano presenti anche il cittì Marco Villa e Elia Viviani
In videocollegamento da Gand erano presenti anche il cittì Marco Villa e Elia Viviani
Un segno della maturità diversa che hanno i ragazzi?

Per certi versi sì, secondo me per loro è anche più complicato orientarsi per ragazzi così giovani che hanno anche un riferimento in più nei procuratori e nei loro interessi non sempre coincidenti con quelli dei loro protetti. Io l’esempio che faccio sempre è quello di Lorenzo Finn, un talento assoluto, vincitore del titolo mondiale da junior e subito dopo anche da Under 23. Poteva passare direttamente, invece ha scelto di fare due anni da dilettante, perché sa che quelle esperienze che accumulerà gli verranno utili. Io credo che sia proprio l’esempio perfetto da portare di come bisognerebbe passare professionista.

Come giudichi una presenza così massiccia di corridori?

Certamente il gruppo MBH Bank aggiungeva presenze, ben 8 solo di quel gruppo, ma ce n’erano anche 6 di devo team del WorldTour con unico assente Agostinacchio perché in gara nel ciclocross. Tutti ragazzi, quello un po’ più grande era Gaffuri.

Mattia Gaffuri era il più grande d'età presente al corso con i suoi 26 anni
Mattia Gaffuri era il più grande d’età presente al corso con i suoi 26 anni
Mattia Gaffuri era il più grande d'età presente al corso con i suoi 26 anni
Mattia Gaffuri era il più grande d’età presente al corso con i suoi 26 anni
Che segnale è?

Io credo sempre a un rinascimento del ciclismo italiano. E’ un bene che abbiamo quattro squadre Professional, purtroppo non sono di altissimo livello per il budget a disposizione, non per la qualità degli sponsor e anche dei manager che le seguono. Ma il dio denaro comanda sempre di più.

Una cosa che sta emergendo sempre più è che molti ragazzi lasciano la scuola per seguire il loro sogno ciclistico. Avveniva anche ai tempi tuoi?

Diciamo ai tempi miei eravamo di più che sacrificavamo la scuola per il ciclismo. Adesso la scuola è un po’ cambiata, io mi ricordo che ai tempi miei c’erano dei professori che mi guardavano male quando chiedevo un permesso per andare a fare una gara o per un ritiro. Adesso i ragazzi hanno delle facilitazioni e molta più comprensione, è molto meglio. Tra i ragazzi avevamo Gaffuri che ha già una laurea e altri 2-3 ragazzi che seguono corsi universitari, quindi la situazione è migliore di quanto si pensi.

I ragazzi hanno mostrato grande attenzione per tutta la durata del corso, concentrato in una giornata
I ragazzi hanno mostrato grande attenzione per tutta la durata del corso, concentrato in una giornata
I ragazzi hanno mostrato grande attenzione per tutta la durata del corso, concentrato in una giornata
I ragazzi hanno mostrato grande attenzione per tutta la durata del corso, concentrato in una giornata
I ragazzi come si sono comportati?

Meglio di quanto pensassi. Parliamo di ragazzi giovani, tenerli chiusi per un giorno dentro una sala è quasi una tortura. Eppure ho visto che i telefonini li tenevano in tasca ed erano interessati a quel che veniva detto, anche perché negli anni abbiamo raffinato sempre di più quello che gli proponiamo. Ad esempio l’intervento di Marco Velo sui dispositivi di sicurezza, su com’è costruita la carovana sulla strada. Faceva delle domande e la maggior parte non sapeva come muoversi al suo interno e dove sono posizionate le varie parti.  Li vedevo attenti.

Hai avuto la sensazione della consapevolezza di dove sono, di quello che li aspetta?

Questa è una bella domanda. Dipende molto dalla persona. Rispetto a una volta il salto da professionista è molto più grande, io vedevo un professionista come una star. Adesso i ragazzi sono già a contatto con i pro’ nelle corse open, c’è una contaminazione diversa, quindi sono più preparati, abituati.

Davide Stella, Sei Giorni di Gand

Stella a Gand: sei giorni di festa, musica e divertimento

29.11.2025
5 min
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L’inverno di Davide Stella lo ha visto pedalare in giro per il mondo tra parquet e strada, dal mondiale di Santiago del Cile su pista al Criterium a Singapore con Vingegaard e Milan. Ma per il classe 2006 del UAE Team Emirates Gen Z il richiamo della Sei Giorni di Gand è stato troppo forte per rinunciare quella che è la gara più bella per gli amanti di questa disciplina. Una settimana nel cuore del ciclismo, tra birre, giri di pista a velocità folli, musica e un mare di gente.

«Ero venuto qui anche lo scorso anno – racconta Stella – e quella di Gand si conferma una delle Sei Giorni più belle da correre in assoluto. La manifestazione prevede anche gare per la categoria under 23, le giornate sono meno frenetiche e si ha modo di guardare i grandi darsele di santa ragione. 

A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, Sei Giorni di Gand
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, i due hanno corso insieme alla Sei Giorni di Gand
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, Sei Giorni di Gand
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, i due hanno corso insieme alla Sei Giorni di Gand

Preparatori e pista

Alla Sei Giorni di Gand le gare iniziano alla sera, intorno alle 18,30, con le prove riservate agli under 23. Dopo un’ora e mezzo nella quale i giovani scaldano il pubblico, come se ce ne fosse bisogno, entrano in pista i pezzi da novanta. Lo spettacolo inizia e per Stella e gli altri si apre il sipario sul mondo che verrà.

«Nella Sei Giorni di noi under – spiega ancora Stella – si corre molto meno rispetto agli elite, cosa che in questa parte dell’anno va anche bene. Siamo nel mezzo della ripresa invernale e i preparatori ci fanno fare tante ore a bassa intensità. Diciamo che una corsa in pista contrasta un po’ con il programma, però per una settimana si può fare. Anzi, io mi sento di stare meglio. Per i primi tre giorni noi under 23 correvamo due gare: una corsa a punti singola con due manche, dove le coppie venivano divise in numeri bianchi e neri. Poi la seconda prova era il giro lanciato. Mentre gli altri tre giorni avevamo la madison al posto della corsa a punti».

Davide Stella, Sei Giorni di Gand
Stella e Fiorin hanno corso nelle gare riservate agli under 23
Davide Stella, Sei Giorni di Gand
Stella e Fiorin hanno corso nelle gare riservate agli under 23
Hai corso in coppia con Fiorin, come vi siete organizzati con la logistica?

Eravamo in trasferta con la nazionale, quindi l’alloggio e gli spostamenti ce li hanno organizzati loro. Per il resto ci organizzavamo noi la giornata: la sveglia era abbastanza comoda visto che correvamo la sera. Io avevo con me anche la bici da strada e uscivo per fare qualche ora di allenamento. Una volta tornato riposavo, insieme a Fiorin giocavamo a Mario Kart e poi si andava in pista.

Che clima c’era una volta arrivati?

L’atmosfera era bellissima, uno spettacolo unico. E’ sia una corsa di ciclismo che uno show. Ogni sera dopo le nostre gare ci fermavamo a guardare quelle degli elite e ci siamo divertiti tantissimo, soprattutto perché era l’ultima in pista di Elia Viviani. Essere presenti a questo addio, dopo averlo visto vincere il mondiale qualche mese fa, è stato emozionante. 

Quanto prima correvate?

Questione di minuti, noi iniziavamo alle 18,30 mentre gli elite alle 20. La cosa bella è che potevamo scegliere se sederci in tribuna o rimanere in mezzo ai corridori. Per vedere bene la corsa era meglio andare in tribuna, ma facevamo fatica a trovare un posto libero (ride, ndr). 

Com’è vivere la corsa tra il pubblico?

Bello perché la maggior parte della gente se ne intende di ciclismo, tutti sanno come funzionano le varie prove. Poi in Belgio conoscono tutti i ciclisti, prendevano d’assalto anche me! Il più gettonato però era Viviani, diciamo che tra la sua carriera e la maglia di campione del mondo era difficile che passasse inosservato. 

Sei Giorni di Gand, pubblico
A Gand l’evento porta con sé sei giorni di festa e divertimento
Sei Giorni di Gand, pubblico
A Gand l’evento porta con sé sei giorni di festa e divertimento
Siete stati anche con Viviani?

Andavamo spesso a trovarlo tra una gara e l’altra. Però loro rimanevano poco nel parterre, tra una gara e l’altra ci saranno stati forse venti minuti di pausa. Ci siamo goduti ogni momento, poi sono arrivati anche Lamon, Ganna e Consonni per fargli una sorpresa e siamo stati tanto anche con loro. Diciamo che le sere una birretta post gara ce la siamo bevuta, mentre intorno a noi andava avanti la festa.

Una vera festa, che effetto fa viverla in prima persona?

Il DJ della Sei Giorni penso sia uno dei più bravi che abbia mai visto. Per prima cosa se ne intende di ciclismo e capisce i movimenti della corsa e dei corridori. Ogni atleta, quando attacca, ha la sua colonna sonora. Oppure a ogni passaggio o situazione lui cambia ritmo e coinvolge tutto il pubblico. Quando correvamo nel giro lanciato ogni coppia poteva scegliersi la canzone che preferiva.

Michele Scartezzini, Elia Viviani,Filippo Ganna, Simone Consonni, Sei Giorni di Gand 2025
La Sei Giorni di Gand è stata l’ultima corsa su pista di Viviani, qui con Scartezzini, Ganna e Consonni che sono venuti a fargli una sorpresa
Tu e Fiorin che canzone avete scelto?

Pedro di Raffaella Carrà, il remix. Mentre Viviani aveva “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri. 

Quindi appuntamento per il 2026?

Speriamo in un altro invito! Adesso ho collezionato tre maglie della Sei Giorni. I colori li decidono l’organizzazione insieme agli sponsor. Quest’anno insieme a Fiorin avevo il verde. Poi lui non ha corso l’ultimo giorno perché è stato male, mi sono trovato a correre con un belga. Così ora a casa ho anche una maglia rossa.

Cafueri, il terzo uomo degli Under 23? Forse anche di più

Cafueri, il terzo uomo degli under 23? Forse anche di più

29.11.2025
5 min
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Senza grandi proclami, Tommaso Cafueri prosegue il suo cammino di crescita, su strada e nel cross. Se c’è una caratteristica che lo contraddistingue è la costanza, che lo porta a farsi vedere su strada e a emergere quando possibile nell’attività sui prati, dove si è già ritagliato un ruolo di “primo degli umani” dietro le due grandi stelle internazionali Mattia Agostinacchio e Stefano Viezzi che raccolgono soddisfazioni anche all’estero.

L'arrivo di Cafueri a Cantoira, una vittoria non sufficiente per fargli vincere il Giro delle Regioni
L’arrivo di Cafueri a Cantoira, una vittoria non sufficiente per fargli vincere il Giro delle Regioni
L'arrivo di Cafueri a Cantoira, una vittoria non sufficiente per fargli vincere il Giro delle Regioni
L’arrivo di Cafueri a Cantoira, una vittoria non sufficiente per fargli vincere il Giro delle Regioni

Mai fuori dai primi 10

Nello scorso fine settimana il friulano si è preso il lusso di conquistare la tappa finale del Giro delle Regioni, portando decisamente sul positivo la lancetta della sua stagione.

«L’anno scorso ho avuto, da giugno 2024, un po’ di complicazioni – dice – tra infortuni, vari cambiamenti e altro. Quindi la stagione scorsa non era andata molto bene.  Tutto questo 2025 l’ho passato a ricostruire tutto quello che avevo perso l’anno precedente, quindi ero arrivato abbastanza preparato, tenevo ad avere risposte e nel complesso devo dire che è iniziata bene anche se non ho fatto grossissimi risultati. O almeno non prima di Cantoira. Ma sono stato molto costante, perché non sono mai uscito dai 10».

Il friulano della DP66 Pinarello in gara a Osoppo. Per lui l'obiettivo è rientrare in nazionale
Il friulano della DP66 Pinarello in gara a Osoppo. Per lui l’obiettivo è rientrare in nazionale (foto Billiani)
Il friulano della DP66 Pinarello in gara a Osoppo. Per lui l'obiettivo è rientrare in nazionale
Il friulano della DP66 Pinarello in gara a Osoppo. Per lui l’obiettivo è rientrare in nazionale (foto Billiani)
A Cantoira è stata più la gioia per la vittoria o il dispiacere per quel punto mancante per vincere la classifica finale?

Per me era la seconda vittoria, avevo vinto il weekend prima a Roverchiara. Ero contento sicuramente di aver vinto, sapevo che era un po’ difficile prendere la maglia del Giro all’ultima tappa anche se mancava Scappini. Ho dato tutto, ma quando sono arrivato ero cosciente che quel punto faceva la differenza e che Folcarelli ne aveva tenuto conto.

Che cosa significa competere nella stessa categoria con due dei più forti al mondo?

Beh, sicuramente dà morale, nel senso che sono due ragazzi che fanno da riferimento a livello internazionale, quindi quando vengono qui in Italia, in quelle poche gare dove riusciamo a confrontarci con loro, sicuramente è un bel punto di riferimento che ci stimola sempre di più anche a noi a crescere.

Durante la stagione estiva il corridore della Trevigiani si è disimpegnato anche nella gravel
Durante la stagione estiva il corridore della Trevigiani si è disimpegnato anche nel gravel
Durante la stagione estiva il corridore della Trevigiani si è disimpegnato anche nella gravel
Durante la stagione estiva il corridore della Trevigiani si è disimpegnato anche nel gravel
Tu sei in crescita di condizione, due vittorie in stagione. L’obiettivo a questo punto è riuscire a entrare appunto in nazionale dietro loro due?

Sì, anche perché finora probabilmente non ho ancora convinto abbastanza il cittì Pontoni per farmi convocare, quindi devo cercare di fare ancora qualche altra bella prestazione e concentrarmi in vista dei prossimi obiettivi, dimostrare che posso meritarmi anch’io quella convocazione.

Tu l’anno prossimo sarai sempre alla Trevigiani. De Candido ha detto che sei uno dei due confermati per la prossima stagione. Come ti trovi con il nuovo diesse?

All’inizio ci siamo dovuti capire. Lui doveva anche entrare un po’ in sintonia con la categoria, perché comunque gestire una nazionale a livello juniores e gestire una Continental a livello under 23 è tutta un’altra cosa, c’è una mentalità diversa. Quindi ci siamo dovuti venire incontro e dopo piano piano ci siamo trovati. Io mi sto trovando molto bene, è molto disponibile, ci stiamo sentendo anche tutt’ora, si interessa molto della mia attività invernale. Quindi finisco il ciclocross e poi quando sarà tempo di girare pagina mi concentrerò bene sulla strada e parlerò per bene con Rino dei futuri obiettivi.

Cafueri (a sinistra) è con Fabbro uno dei due confermati alla Trevigiani anche per il prossimo anno
Cafueri (a sinistra) è con Fabbro uno dei due confermati alla Trevigiani anche per il prossimo anno
Cafueri è con Fabbro uno dei due confermati alla Trevigiani anche per il prossimo anno
Cafueri è con Fabbro uno dei due confermati alla Trevigiani anche per il prossimo anno
Ciclocross e strada: hai una preferenza fra le due?

Mi piace di più il cross, lo sento più mio e mi diverto maggiormente, ovviamente anche quando vado su strada punto sempre a dare il massimo, ma lì l’aspetto ludico traspare meno. Comunque con i giusti tempi, i giusti riposi, si cerca sempre di dare il massimo in tutte e due le discipline.

Il ciclocross è una specialità più individuale, la strada un po’ più di squadra. Che ruolo riesci a ritagliarti nelle prove su strada?

Quest’anno ho lavorato molto nel treno per il velocista che avevamo, Riccardo Fabbro. Ho lavorato spesso per tenere davanti il treno o comunque nelle battute finali, per portarlo nella miglior posizione e poi lanciare il penultimo uomo, ma ho anche provato tante fughe. Presumo che il prossimo anno sarà un po’ diverso e spero che Rino riesca a darmi anche un po’ più di fiducia, me l’ha già detto, quindi sicuramente in gare vallonate e un po’ dure, cercherò di farmi valere.

Ora mirino puntato sui campionati italiani e poi sulla strada, alla ricerca di soddisfazioni personali
Ora mirino puntato sui campionati italiani e poi sulla strada, alla ricerca di soddisfazioni personali
Ora mirino puntato sui campionati italiani e poi sulla strada, alla ricerca di soddisfazioni personali
Ora mirino puntato sui campionati italiani e poi sulla strada, alla ricerca di soddisfazioni personali
Adesso fai il ciclista a tempo pieno?

Diciamo di sì, anche se sono iscritto alla facoltà di Scienze Motorie e voglio andare avanti con gli studi. Per il momento do la preminenza all’attività per vedere dove mi porterà. Ora mi sto preparando al meglio per i campionati italiani, poi si vedrà come andrà la il finale di stagione.