Ritirarsi al top o continuare: quale futuro per sua maestà Pauline?

05.08.2025
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Parlando prima che il Tour Femmes iniziasse, fra le altre atlete da tenere d’occhio Giada Borgato aveva fatto un nome secco. «La prima che mi viene in mente – aveva detto – è Pauline Ferrand Prevot. In pratica è tornata a correre su strada perché puntava forte sul Tour Femmes. Per la generale c’è anche lei, nonostante si sia un po’ nascosta. Ad aprile, dopo la vittoria della Roubaix, aveva detto che avrebbe dovuto e voluto perdere un po’ di peso per essere competitiva ad agosto».

Ora che la corsa si è consegnata proprio alla francese, siamo tornati dalla commentatrice tecnica di Rai Sport per chiudere il cerchio e verificare se quanto detto alla vigilia si sia avverato. Il livello del Tour ci è parso piuttosto alto, sia sul piano atletico che su quello dello stress. 

«Ce lo aspettavamo tutti – ragiona Borgato – che il Tour fosse di un livello diverso rispetto al Giro. Vuoi o non vuoi, ormai il calendario delle donne ha dinamiche simili a quelle degli uomini. Al Tour puntano tutte le più forti, che si preparano per mesi e ci arrivano cariche a pallettoni».

Sin dalle prime tappe del Tour Femmes la magrezza di Pauline Ferrand Prevot è stata ben evidente
Sin dalle prime tappe del Tour Femmes la magrezza di Pauline Ferrand Prevot è stata ben evidente
Ferrand Prevot, prima a Roubaix, ma ritirata dalla Vuelta: ha stupito o bisognava aspettarselo?

Pauline ha una cosa, è pazzesca. Quando punta un obiettivo, non sbaglia. Mi ricordo l’intervista che fece dopo la Roubaix, quando parlò dei chili da perdere per puntare al Tour. Da lì è andata in altura, ha fatto la monaca, ha perso peso. Sapeva che se perdeva tot chili, avrebbe sviluppato tot watt/kg e si è fatta trovare in forma. I primi giorni, guardando le foto, ho pensato che facesse paura per quanto era magra. Sembrava la Abbott dei miei tempi (atleta americana classe 1985, nota per la sua magrezza estrema, ndr).

E cosa hai pensato?

Che oggi non fai più le cose a caso. E lei , come poi ha raccontato, ha seguito un percorso calcolato anche per perdere peso. Infatti vedevi che quando partiva aveva comunque tanta forza, scattava con rapporti lunghi e riusciva anche a tirarli. Andava con la gamba bella piena. E secondo me, quando ha iniziato a pensare al suo Tour, aveva in mente proprio questo. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma quando hai il motore, le cose magari riescono.

Hai avuto la sensazione che Demi Vollering sia stata al suo miglior livello?

Non ho ben chiaro se sia andata tanto forte Pauline, che ha dato dei distacchi abissali anche alla Vollering, o se Demi sia andata un pelo più piano. Forse opterei per questa seconda ipotesi. Battere Ferrand Prevot quest’anno era difficile, però vedendo il distacco tra Vollering e Niewiadoma, credo che l’olandese non sia andata al suo massimo. Quanto può essere cresciuta Kasia quest’anno per avvicinarsi tanto?

Al Tour abbiamo visto la miglior Demi Vollering oppure le è mancato qualcosa?
Al Tour abbiamo visto la miglior Demi Vollering oppure le è mancato qualcosa?
La caduta del terzo giorno può aver condizionato Vollering?

Lei ha detto che dopo quel giorno non ha avuto più certezze, ma non so se quella caduta possa aver condizionato tanto la sua performance.

Può aver pagato il cambio di squadra?

Non credo, tutte le volte in cui si sono trovate fra capitane, Pauline Ferrand Prevot l’ha tolta di ruota. In ogni caso, ha avuto a casa Juliette Labous, che ha fatto la sua parte. Se anche fosse stata ancora in SD Worx, non avrebbe avuto tante forze in più. Avrebbe avuto accanto Van der Breggen, ma quando le prime forzavano in salita, anche Anna si sarebbe staccata.

Tra le favorite avevi inserito anche Sarah Gigante, che però ha chiuso a più di 6 minuti.

E’ andata forte e mi dispiace abbia perso il podio proprio nell’ultima tappa. Viste le tante salite, se avesse recuperato bene dopo il Giro, avrebbe potuto anche vincere il Tour. Il guaio è che ha palesato dei limiti notevoli in discesa e nello stare in gruppo. Il problema è che non puoi fare corse a tappe solo con gli arrivi in salita. Probabilmente avrebbe vinto il Giro se nel giorno di Monselice non fosse stata in coda al gruppo. Se fai la leader, non puoi correre in ultima posizione. Piuttosto, non vorrei dimenticare un nome…

Di chi?

Quello di Maeva Squiban, ragazza del UAE Team Adq. Ha vinto due tappe, facendo due veri numeri. Non ha vinto a caso, ha vinto con una grande gamba. Anche lei, come Pauline, tirava dei rapporti notevoli.

Ritirata Longo Borghini, la UAE si è consolata alla grande con Maeva Squiban, 23 anni, vincitrice ad Ambert e poi a Chambery
Ritirata Longo Borghini, la UAE si è consolata alla grande con Maeva Squiban, 23 anni, vincitrice ad Ambert e poi a Chambery
Il ritiro di Longo Borghini ha dimostrato che non si possono fare Giro e Tour puntando a entrambi?

Dipende dagli obiettivi, l’anno prossimo comunque il Giro anticipa e la situazione sarà diversa. Secondo me fare Giro e Tour nello stesso anno è possibile, hanno 8 e 9 tappe, ma devi avere comunque un buon motore. Io credo che Elisa sia arrivata bene al Tour, ma aveva già dichiarato un obiettivo minore come provare a vincere una tappa. E quando ha visto la frenesia dei primi giorni, potrebbe aver pensato che non valesse la pena insistere, anche perché lei ha davanti ancora il mondiale. Forse ha pagato più mentalmente che fisicamente.

Van der Breggen che prova e riprova fa un po’ di tenerezza oppure sta facendo i numeri per essere lì davanti dopo tanto tempo che non correva?

Le mancano ancora le gambe. Pauline (Ferrand Prevot, ndr) è tornata ed è andata subito come una freccia, ma lei non è mai stata ferma come Anna. Aggiungiamo che la capitana della SD Worx doveva essere Kopecky, invece Van der Breggen si è ritrovata a farlo lei dopo il ritiro di Lotte. Ha salvato in parte la baracca. E’ stata una campionessa, che aveva smesso perché appagata. Poi sono venute fuori tante corse che non aveva fatto e probabilmente le è tornata la curiosità. La Roubaix, la Sanremo, il Tour de France.

L’Italia torna a casa con il miglior risultato di Barbara Malcotti.

E’ un’atleta interessante, sta crescendo perché ha ancora 25 anni. Aveva già fatto dei bei piazzamenti, poi ha fatto bene il Giro e ora il Tour. E’ una scalatrice pura, le manca qualcosina per raggiungere le più forti. Sicuramente adesso le arriveranno le proposte di qualche squadrone, qualcuno le ha messo di certo gli occhi addosso e magari le proporranno di lavorare per delle leader più forti. Sta a lei capire cosa vuole fare nella vita. Se continuare sulla sua strada per diventare una delle forti o lavorare. Lo capirà dai test e dall’esperienza.

Dopo l’ottavo posto al Giro, il 13° al Tour Femmes: Barbara Malcotti è una delle rivelazioni dell’estate
Dopo l’ottavo posto al Giro, il 13° al Tour Femmes: Barbara Malcotti è una delle rivelazioni dell’estate
Ferrand Prevot ha il contratto fino al 2027, ma ha raggiunto l’ultimo obiettivo. Pensi che valuterà il ritiro?

Per certi versi glielo consiglierei. Ormai, punta al mondiale di fine stagione che probabilmente vincerà, anche se mi auguro che tocchi a un’azzurra. Pauline punta a quello e dovrà essere brava ad arrivarci, perché manca tanto tempo. Perché ritirarsi? Perché potrebbe essere rischioso ripresentarsi al Tour anche l’anno prossimo dopo quel che ha fatto quest’anno. Secondo me per arrivare così a questo Tour, ha fatto dei sacrifici infiniti. In questa stagione l’hai vista poco, ma quando ha corso ha fatto il diavolo a quattro. Riuscirà a farlo ancora? 

E Lipowitz fa riscoprire il grande ciclismo ai tedeschi

05.08.2025
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E’ salito sul podio del Tour de France non come un fulmine a ciel sereno, ma quasi: Florian Lipowitz aveva dato grandi segni già al Delfinato. Ma il giovane tedesco non è uno sconosciuto. Quella maglia bianca, la tenacia e i nervi saldi mostrati a La Plagne dopo la paura del giorno prima sul Col de La Loze dicono già tanto di lui.

Nato nel 2000 a Bruckmuhl, in Baviera, e cresciuto nel biathlon, è salito in bici definitivamente nel 2019. Definitivamente perché prima comunque i suoi 5-6.000 chilometri all’anno in sella li faceva eccome per farsi trovare pronto con sci stretti e carabina. La bici è sempre stata parte dei suoi allenamenti e se vogliamo anche della sua famiglia. Pensate che a 9 anni si è sciroppato 120 chilometri di una granfondo in Austria insieme alla mamma e al papà!

Il corridore della Red Bull-Bora, si è ritagliato un ruolo da protagonista, ma soprattutto dopo anni di vuoto, Florian ha riportato la Germania a riscoprire la passione per il ciclismo professionistico.

Florian Lipowitz sul podio finale del Tour. E’ arrivato terzo e ha conquistato anche la maglia bianca di miglior giovane
Florian Lipowitz sul podio finale del Tour. E’ arrivato terzo e ha conquistato anche la maglia bianca di miglior giovane

Un figlio del lavoro

Nessuno si aspettava Florian Lipowitz sul podio del Tour de France, nemmeno lui, almeno al via da Lille. Si sapeva che potesse fare bene, ma con un leader come Roglic non era così scontato. Invece è rimasto sempre coperto, tutto sommato non doveva fare un corsa complicata, ma doveva stare “solo” sulle ruote dei big e rimanere lontano dai guai, una cosa che nei Grandi Giri non è proprio facile. Ebbene lui ci è riuscito.

«Sono state tre settimane difficili – ha detto Florian – volevo solo arrivare al traguardo sano e salvo. Nel complesso, ci sono stati molti alti e bassi e l’inizio non è stato dei migliori. Ma ci siamo avvicinati sempre di più come squadra. Perché alla fine, un risultato come questo non è merito solo mio, ma è un lavoro di squadra. Ecco perché voglio ringraziare ancora una volta tutti.

«Ora? Sono semplicemente felice che tutto sia andato così bene e che abbiamo portato a casa il terzo posto. Se il mio successo riuscisse a ispirare qualche giovane a dedicarsi al ciclismo, allora varrebbe quanto un piazzamento sul podio».

Il bavarese nella notte ciclistica di Bruckmuhl (foto Red Bull)
Il bavarese nella notte ciclistica di Bruckmuhl (foto Red Bull)

Modello tedesco

In Germania hanno esaltato parecchio non solo il risultato di Florian, ma la sua abnegazione al lavoro. Un lavoro metodico, rigoroso, a tratti ossessivo, scrivono in particolar modo i media bavaresi, quelli della sua Regione appunto. Lipowitz è approdato nel WorldTour nel 2022, prima era alla Tirol-KTM, dopo una crescita silenziosa ma continua, ma già allora era sotto osservazione

Il Tour 2025 ha rappresentato la sua consacrazione. Con un rendimento costante nelle tappe di montagna e una gestione (quasi sempre) lucida delle forze, ha resistito agli attacchi di Oscar Onley. Ma riavvolgendo il nastro della sua Grande Boucle, oltre al ritiro di Evenepoel comunque già in forte declino, non è stato aiutato da circostanze favorevoli o fortunose. Tipo una fuga bidone, cadute degli avversari… No, quel che ha raccolto è tutto merito suo.

Dalla squadra non sono emerse grandi dichiarazioni. E lo stesso Lipowitz ha detto poco e solo in poche occasioni, come l’arrivo a Parigi e un circuito serale a Bruckmuhl (100 giri da 600 metri l’uno): ovviamente lo ha vinto lui! «Devo ancora abituarmi a questo clamore, è tutto nuovo»: le sue parole si possono racchiudere in questa frase sostanzialmente.

Forse ha avuto anche indicazioni sul parlare poco. La Red Bull-Bora sta vivendo una forte rivoluzione interna. Sono stati allontanati un coach, il capo dei tecnici (Rolf Aldag) ed è stato risolto il contratto del primo direttore sportivo, Enrico Gasparotto. E in tutto questo a breve dovrebbe essere ufficializzato l’arrivo dell’ex cittì belga, Sven Vanthourenhout, prevedendo l’ormai “certo” arrivo di Remco Evenepoel.

La squadra lo ha omaggiato con questa t-shirt nel gran finale di Parigi (foto Instagram)
La squadra lo ha omaggiato con questa t-shirt nel gran finale di Parigi (foto Instagram)

La Germania e i pro’

Ma torniamo a Florian Lipowitz. E’ bastato che tornasse a casa, perché fosse accolto come un eroe. Decine di persone ad aspettarlo, cartelli di benvenuto, giornalisti e televisioni. Dopo anni di distanza emotiva dal ciclismo professionistico fortemente colpiti dalla parabola discendente di Ullrich e alle ombre sul passato, la Germania ha finalmente trovato un nuovo volto pulito a cui affidarsi. “Festa spontanea”. “Entusiasmo che non si vedeva da tempo”. Così hanno titolato i giornali.

La sua figura sembra cucita su misura per il rilancio del ciclismo tedesco: parla poco, lavora molto, non ama esporsi e quando lo fa, lo fa con lucidità. Il podio al Tour ha mosso le acque anche tra gli sponsor e nei vertici federali, con la speranza che Lipowitz diventi il simbolo di una nuova generazione, più libera da pesi del passato.

«Non riesco a immaginare una vita senza sport – ha detto Lipowitz a RennRad – Ne ho bisogno: esercizio fisico e natura. E quella sensazione dopo. Quella sensazione la sera dopo un allenamento intenso: quella soddisfazione. Quella sensazione di stanchezza nei muscoli. E’ quasi una dipendenza».

Grande reazione del tedesco a La Plagne. Il giorno prima le aveva prese da Onley (alla sua ruota), poi gliele ha restituite con gli interessi
Grande reazione del tedesco a La Plagne. Il giorno prima le aveva prese da Onley (alla sua ruota), poi gliele ha restituite con gli interessi

Finale leggero…

Da qualche giorno Florian Lipowitz è tornato a lavorare, ma senza farsi trascinare dall’euforia. In tutte le interviste ribadisce che c’è ancora tanto da imparare. Anche secondo chi gli è vicino, sembra sia ancora lontano dal suo apice.

«Florian – ha detto John Wakefield, tecnico del team Red Bull-Bora – è ben lontano dal raggiungere il suo apice fisiologico. Il Tour gli ha mostrato dove può arrivare, ma anche quante cose debba ancora affinare. Non si considera un campione, ma un atleta in costruzione».

Da qui a fine stagione il calendario di Lipowitz è da definire. Il team manager Ralph Denk ha escluso la sua presenza alla Vuelta, mentre non ha sciolto le riserve circa la presenza di Florian al Giro di Germania (20-24 agosto, ndr), dato che visto il successo post Tour in tanti lo reclamano. E forse potrebbe essere la ciliegina sulla torta per un interesse pubblico verso il ciclismo professionistico che sta rifiorendo.

«Credo che mi concentrerò sulle corse di un giorno – ha detto Florian – rientrerò forse in Canada e sarebbe bello fare il Giro di Lombardia. Quest’ultimo monumento dell’anno sarebbe un altro momento clou per me in questa stagione, e voglio fare bene lì».

La Red Bull chiaramente se lo coccola. E’ un “germanofono”, è fedele al dogma del lavoro. Ma soprattutto è il profilo ideale per il progetto Grandi Giri del team stesso. In attesa di Remco, con Lipowitz l’obiettivo è chiaro: diventare un corridore da Grandi Giri, anche se gli 11′ da Pogacar non sono pochi. Magari proprio l’arrivo del bi-campione olimpico potrebbe sgravarlo da ulteriori pressioni.

Pidcock e la Q36.5: impatto positivo. Ora serve affinare il sistema

05.08.2025
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La prima stagione di Tom Pidcock con la Q36.5 Pro Cycling proseguirà con la sua seconda grande corsa a tappe: La Vuelta. Nel frattempo il britannico è tornato a correre e vincere anche in mountain bike. Q36.5 ha voluto anche celebrare questo esordio con un kit speciale dedicato al successo delle Olimpiadi di Parigi 2024. L’arrivo di un corridore del calibro di Pidcock in una formazione professional cattura l’attenzione e diventa anche un modo per confrontarsi, con pari diritto, nel ciclismo dei grandi. 

Alle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generale
Alle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generale

Partenza col botto

Il britannico ha esordito alla grande all’Alula Tour con due successi di tappa e la vittoria della generale. Il grande exploit è stato però sugli sterrati della Strade Bianche, dove Tom Pidcock ha conquistato uno spettacolare secondo posto alle spalle di Pogacar. E’ mancato forse lo squillo in una corsa importante, con tanti piazzamenti che hanno sicuramente reso orgoglioso il team, ma che non possono aver soddisfatto al 100 per cento un corridore del suo calibro. 

«L’impatto di Tom sul team è stato più che positivo – racconta Gabriele Missaglia, diesse che lo ha affiancato per gran parte della stagione – avevamo bisogno di un corridore del suo livello. Ci siamo messi al lavoro fin dal primo ritiro, a dicembre, e abbiamo capito di aver preso un campione. Fino al Giro le nostre strade sono andate di pari passo, poi ci siamo divisi vista anche la sua pausa dalle corse. Ci troveremo nuovamente insieme a Torino per ripartire con La Vuelta».

Sugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosi
Sugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosi
L’impatto positivo sul team si è visto già dalla prima gara in Arabia…

E’ partito fortissimo, con il dominio all’AlUla Tour e il bel successo di tappa alla Vuelta Andalucia. Dopo quei primi appuntamenti ci siamo concentrati sulle gare italiane con Strade Bianche, Sanremo e Tirreno-Adriatico. Il secondo posto a Siena dietro Pogacar è stato forse il momento migliore della stagione, mentre il grande rammarico è stata la Sanremo. 

Come mai?

Perché è caduto proprio all’imbocco della Cipressa, in un momento cruciale che era stato approcciato al meglio. Quel giorno era in grande forma ed era uno dei favoriti, la sfortuna esiste e fa parte del ciclismo, ma abbiamo visto che la Sanremo è una gara adattissima a lui

Le Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissione
Le Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissione
Poi avete fatto rotta sulle Classiche delle Ardenne.

C’è stato un periodo di pausa dalle gare per arrivare pronti anche al Nord. Ci siamo concentrati solamente sulle Ardenne, non correndo Fiandre e Roubaix. Anche in questo caso Pidcock ha raccolto ottimi risultati con un terzo posto alla Freccia Vallone e due top 10 a Amstel e Liegi. 

Ancora non si sapeva nulla sull’invito al Giro, che è arrivato poco dopo…

Una volta confermata la nostra presenza alla Corsa Rosa abbiamo deciso di tirare dritto. Credo che Tom abbia onorato la gara, come tutti noi, visto che non c’è stato modo di lavorare al meglio per arrivare pronti. Ha messo insieme diversi piazzamenti di spessore con il tentativo di curare la classifica generale, cosa che in passato non aveva mai fatto volentieri. 

Pidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglio
Pidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglio
Un sedicesimo posto finale senza grandi acuti, eravate soddisfatti?

Pidcock quando mette il numero sulla schiena parte per vincere, quindi direi che una vittoria di tappa sarebbe stata una buona moneta per ripagare quanto fatto. Però con gli inviti arrivati così tardi era difficile pensare di preparare il Giro al meglio. Se devo guardare a una tappa nella quale avremmo potuto raccogliere di più, dico quella di Siena. Pidcock sulle strade bianche si esalta e quel giorno ha fatto il diavolo a quattro, peccato per la doppia foratura. Avrebbe meritato qualcosa in più. 

Si può pensare di fare classifica nei Grandi Giri?

Forse siamo arrivati a capire che c’è una buona possibilità di fare bene. Al Giro, fino alla tappa di Bormio, Pidcock era vicino alla top 10. Poi nell’ultima settimana ha dovuto tirare fuori le ultime gocce di energia. Serve capire su quali gare concentrarsi, ma è anche vero che siamo una professional e il calendario non è mai una certezza. 

Difficile fare programmi anche con un campione in squadra come Pidcock?

Conta sempre il ranking, per noi sarà fondamentale rientrare tra le prime quattro professional. Ci sarà da vedere alla fine del triennio come saremo messi e quali squadre WorldTour rimarranno. 

Per la Vuelta quali ambizioni ci sono?

Innanzitutto vedremo Tom come tornerà in corsa all’Arctic Race, poi quando lo incontrerò alla Vuelta parleremo e inquadreremo gli obiettivi. Non dimentichiamo che il mondiale in Rwanda è adatto alle sue caratteristiche…

La scelta della Campana Imballaggi, prossima continental

05.08.2025
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Quello della Campana Imballaggi-Geo & Tex – Trentino è un impegno oneroso, considerando che ha tre squadre: una di allievi, una di juniores e una di under 23. Tre squadre con i loro staff, con il loro calendario, con tante speranze riposte nei ragazzi che pian piano crescono sperando di trovare spazio fra i “grandi”.

Alessandro Coden, manager del team Under 23 pronto a un salto di qualità nel 2026 (foto team)
Alessandro Coden, manager del team Under 23 pronto a un salto di qualità nel 2026 (foto team)

A gestire la formazione degli U23 c’è Alessandro Coden, che descrive la struttura: «Alla guida degli juniores c’è un mio ex atleta. Con gli U23, anche noi facciamo tanta attività all’estero, abbiamo corso il Giro d’Austria, prima del Giro NextGen, poi andremo in Spagna a settembre e forse avremo anche un impegno in Belgio, per far assaggiare ai ragazzi che cosa significa correre al Nord. Senza contare tutta l’attività internazionale in Italia. E’ un impegno oneroso, considerando che fra i due team ci sono più di 20 ragazzi impegnati pressoché ogni domenica».

Rispetto al passato sta diventando sempre più difficile gestire una squadra under 23?

La gestione di per sé non lo sarebbe, fortunatamente abbiamo degli sponsor che ci sostengono e che rimangono nel tempo. Non guardano solo ai risultati, ma a tutto il complesso dell’attività e del lavoro con i ragazzi. Sanno che se non fai questo tipo di attività, impegnandoti anche all’estero, confrontandoti con il meglio della categoria, non cavi un ragno dal buco. Ma nel confronto con gli altri anni non è che in questo sia diverso.

La Campana Imballaggi nel complesso ha 28 ragazzi, fra U23, juniores e allievi (foto team)
La Campana Imballaggi nel complesso ha 28 ragazzi, fra U23, juniores e allievi (foto team)
Negli ultimi anni però si sono affermati i devo team, la strada per il professionismo è diventata più ardua se non si passa attraverso di loro…

Esatto, su questo devo dire che il nostro mondo è cambiato e c’è maggiore squilibrio. Io sono sempre stato di un’idea precisa: quando uno junior passa di categoria, dovrebbe fare i primi due anni in Italia, in un team italiano. Ci deve essere un sistema che tuteli il movimento nazionale, altrimenti si rischia di sparire tutti.

Secondo te aiuterebbe un sistema come è in vigore negli altri sport, nei quali quando un atleta firma per un grande team, chi l’ha cresciuto prende un indennizzo secondo una sorta di schema piramidale?

Qualcosa del genere c’è già, ma certamente aiuterebbe se ben strutturato. Io però non ne faccio solo una questione economica, secondo me servirebbe anche per tutelare l’attività nazionale nel suo complesso, dando anche il tempo ai ragazzi di maturare, perché non tutti coloro che passano da junior sono già pronti, anzi…

Christian Piffer è una colonna del team, atteso a risultati nella seconda parte dell’anno (photors.it)
Christian Piffer è una colonna del team, atteso a risultati nella seconda parte dell’anno (photors.it)
In questo momento è più difficile gestire un team juniores o U23?

Per quel che vedo, è più difficile con gli juniores perché hai addosso la maggior parte dei genitori che si preoccupano del rendimento e delle possibilità del figlio, senza pensare davvero al suo futuro. So ad esempio che ci sono tanti ragazzi che stanno passando nei devo team e per farlo lasciano la scuola, abbandonano prima dell’ultimo anno delle superiori. E’ una scelta folle, se poi la tua scommessa ciclistica non funziona, sono guai seri.

A tuo modo di vedere quanta colpa c’è in questo da parte delle famiglie?

Tanta, e non so neanche se sia per il miraggio economico come avviene nel calcio. Io so solo che vengono da me e mi dicono: «Mio figlio ha già firmato per quella squadra» e non sanno neanche che si parla di un team U23 e non professionistico. Sono abbagliati dal nome. E come succede la maggior parte delle volte, dopo un paio d’anni la riconferma non c’è e tornano all’ovile, ma senza diploma non hanno nulla in mano. E lo dice uno che le superiori neanche le ha fatte.

Leonardo Volpatop è tornato quest’anno alla Campana Imballaggi. 6° giovane al Giro d’Austria (photors.it)
Leonardo Volpatop è tornato quest’anno alla Campana Imballaggi. 6° giovane al Giro d’Austria (photors.it)
Perché?

Non nego che me ne sono pentito, ma io ho avuto la fortuna di entrare nella Polizia Penitenziaria quando correvo. Ma se un ragazzo non ha questa fortuna di entrare in un corpo militare, se per qualsiasi ragione nella sua militanza nel team internazionale si fa male o qualcosa va storto, che gli resta? E’ qui che i genitori hanno una grossa responsabilità, dovrebbero essere loro abbastanza maturi da pensarci, da riflettere sul futuro dei loro ragazzi e non farsi abbagliare da facili quanto immaginari guadagni.

Venendo al gruppo vostro, su chi punteresti fra i tuoi ragazzi per un futuro ciclistico?

Ad esempio c’è Leonardo Volpato, che dopo due anni alla MBH Bank Ballan ha deciso di venire con me a fine stagione. Ha fatto 10° al campione italiano, è sempre lì, è un bravissimo ragazzo ma è un po’ testardo. Si allena da matti, ma alla fine porta meno di quel che meriterebbe. Adesso ha incominciato ad ascoltare di più e gli effetti si vedono: bene al Giro d’Austria, bene al NextGen. Qui mi tolgo un sassolino dalla scarpa: ci dicevano che eravamo i peggiori, alla fine abbiamo fatto quarti fra le squadre italiane. Oltre a lui c’è Piffer, c’è Vecchiutti che ha vinto una corsa la settimana passata, quella di San Donà in notturna che per noi è un campionato del mondo.

Da Francesco Vecchiutti è arrivata la vittoria più attesa, al Memorial Cochi Boni (photors.it)
Da Francesco Vecchiutti è arrivata la vittoria più attesa, al Memorial Cochi Boni (photors.it)
E dagli junior chi ti segnalano?

C’è un bel ragazzino, Alessandro Avi che farà l’under 23 con noi anche perché nel 2026 passeremo continental. E’ uno che va bene nei percorsi ondulati, su salite non tanto lunghe.

Perché diventare continental?

Perché è ora di cambiare. In Italia dobbiamo adeguarci, se guardate, di team regionali ce ne sono pochi, per fare un certo tipo di attività devi fare il salto. Ci proviamo, non è detto che la facciamo. Certamente c’è un aggravio di spese notevole, devi dare un minimo di stipendio ai ragazzi, anche a quelli dei primi anni, poi ci sono le assicurazioni, la fidejussione. La cosa un po’ mi preoccupa, ma per il futuro della Campana Imballaggi dobbiamo farlo…

Pologne: vince Kooij, ma da domani la XDS-Astana aspetta Bettiol

04.08.2025
5 min
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LEGNICA (Polonia) – Sul traguardo della tappa inaugurale del Tour de Pologne finisce come ci si aspettava. Volata doveva essere e volata è stata con Kooij che ha mantenuto i pronostici battendo al colpo di reni Magnier e Plotwright. Domani però si inizia già a salire e i tanti uomini di classifica che ambiscono a fare bene non possono restare attardati.

Si resta in Bassa Slesia, vicinissimi al confine con la Repubblica Ceca. Il profilo della seconda tappa propone quattro “gpm” di seconda categoria, tante salitelle intermedie e l’arrivo agli 800 metri di Karpacz, tutto racchiuso in poco meno di 150 chilometri. Il finale strizza l’occhio non solo ai passisti-scalatori, ma anche a quei corridori che sanno tenere su percorsi simili dotati di un bello spunto veloce in gruppetti ristretti. Le caratteristiche di Alberto Bettiol, per fare un esempio pratico e per dire il nome di un atleta che vorremmo rivedere davanti. E allora fuori dal bus della XDS-Astana il diesse Alexandre Shefer non si nasconde nel descriverci come vede l’ex campione italiano, senza tralasciare qualche pungolata di stimolo e motivazione.

Ulissi (2° nel 2024) e Bettiol sono gli uomini che faranno classifica al Tour de Pologne
Ulissi (2° nel 2024) e Bettiol sono gli uomini che faranno classifica al Tour de Pologne
Il Tour de Pologne è sempre una gara valida per potersi rilanciare. Sarà così anche per Bettiol?

Vediamo come andrà. Alberto ha fatto altura e secondo me è in forma. Nella prima parte di stagione ha avuto qualche acciacco, un po’ malato e altri problemi vari. Ora però siamo venuti in Polonia per fare classifica con lui.

Quindi non curerete la generale con Ulissi che nel 2024 qua aveva fatto secondo per pochi secondi?

Si divideranno i gradi di capitano, poi vedremo cosa dirà la strada. Rispetto agli altri anni, quest’anno il percorso del Pologne è piuttosto duro. Non ci sono grandi salite, ma ci sono tante salite abbastanza corte. Infatti il dislivello complessivo è più alto. Tuttavia quando Bettiol sta bene non ha problemi su questi tracciati. E guardando la lista dei partenti può giocarsela. Ci sono tanti buonissimi corridori, ma non i fenomeni alla Pogacar per capirci.

Il diesse Shefer ha voluto “responsabilizzare” Bettiol al Polonia, da cui si aspetta un segnale
Il diesse Shefer ha voluto “responsabilizzare” Bettiol al Polonia, da cui si aspetta un segnale
Vi aspettate quindi che possa essere là davanti con i migliori?

Certo, anche per tutta onestà quando parliamo di “fare classifica” intendiamo dal terzo posto in giù, visto che forse qualche corridore più scalatore di lui c’è. Più che altro, abbiamo scelto così perché Bettiol deve dare un segnale che c’è.

Lo avete fatto per una questione morale?

Sì esatto, ma anche per dargli qualche responsabilità in più. Se lui ci fa una buona classifica o anche un paio di tappe, magari con una vittoria, può puntare alle prossime gare con maggiore fiducia. C’è il calendario italiano, ci sono le gare canadesi e altre corse adatte a lui. Può fare un finale di stagione in crescendo. Un buon corridore come lui deve lasciare un segno in questo periodo.

Avete parlato con lui di questo aspetto?

Lui ha ancora due anni di contratto, ma bisogna guardare il presente. Noi abbiamo cercato di fargli capire la situazione. Noi tecnici e tutta la XDS-Astana teniamo a Bettiol. Uno come lui non può essere così assente durante la stagione. E’ un discorso che vale per lui quanto per noi, che abbiamo bisogno di lui. Ed anche il ciclismo italiano ha bisogno di ritrovare il miglior Bettiol.

Come avete visto Bettiol per questo Pologne?

Bene. Anzi, è la prima volta di quest’anno che l’ho visto pronto. E’ magro, tirato, concentrato. Vedremo da domani in avanti, ma lo vedo “a puntino”.

Kooij e il suo futuro

Durante la team presentation di ieri è stato il più nominato per il (quasi scontato) arrivo allo sprint. Un po’ perché Olav Kooij ha sempre centrato un successo al Tour de Pologne dal 2022 in avanti, un po’ perché tra i velocisti al via è quello più continuo nei risultati. Kooij “doveva” vincere e Kooij ha vinto, centrando il suo quinto sigillo nella corsa polacca (43° in carriera) ed indossando la prima maglia gialla di leader proprio come era successo nel 2022. Il 23enne velocista della Visma | Lease a Bike in mixed zone ha rivissuto la volata e sul suo contratto in scadenza quest’anno non si è sbilanciato.

«Mi piace questa gara – ha risposto l’olandese – ed è sempre un grande onore per me vincere su queste strade. E’ stata la mia prima vittoria dopo la tappa di Roma al Giro. Nel mezzo ho fatto un buon periodo di recupero, solo due gare e tanto lavoro per la seconda parte di stagione. Non ho visto la caduta (ad 1,6 chilometri dalla fine, ndr) perché è successa dietro di me. Devo ringraziare la squadra che ha lavorato tutto il giorno e soprattutto nel finale. Grazie a loro non è così difficile vincere da pronosticato (sorride, ndr). Sul mio futuro posso dirvi che sono molto emozionato, ma non posso dirvi nulla perché non sarebbe giusto adesso. Ho avuto diverse proposte e ho fatto tante chiacchierate, però ci saranno tempo e posti per dire tutto quanto».

Verre racconta Vauquelin, diventato leader questa estate

04.08.2025
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Kevin Vauquelin è stato uno dei personaggi del Tour de France. Tanto più perché francese, ha riscosso grande attenzione mediatica. Per dieci giorni si è quasi giocato il podio e la maglia bianca, poi le cose si sono fatte più complicate per l’atleta della Arkea-B&B Hotels. E dicendo Arkéa, la mente va subito all’italiano che da più anni milita nel team bretone: Alessandro Verre.

Il lucano sta iniziando il Tour de Pologne ed è uno dei ragazzi che è stato vicino a Vauquelin sia durante la stagione che nei primi tempi in squadra. Entrambi infatti sono classe 2001. Ed entrambi sono arrivati all’Arkea nel 2022, anche se Vauquelin era già da tempo nell’orbita del team, avendovi fatto esperienze da stagista. Per di più, anche lui è normanno, dunque non lontano dalla sede dell’Arkea.

Con l’aiuto di Verre cerchiamo quindi di saperne di più su questo atleta, che tra l’altro proprio nei giorni post Tour si è fratturato il perone mentre scendeva le scale con le valigie in mano. Una vera sfortuna.

Alessandro Verre è all’Arkea B&B Hotels da quattro stagioni (foto Instagram)
Alessandro Verre è all’Arkea B&B Hotels da quattro stagioni (foto Instagram)
Partiamo da te, Alessandro. E’ un bel po’ che non corri…

Eh sì, non corro dal Tour de Suisse e da oggi inizia per me questa seconda metà di stagione con il Polonia.

E come stai? Con che obiettivi parti al Polonia?

Come sto lo scopriamo da oggi, spero di star bene. C’è stata questa grande pausa estiva durante la quale abbiamo ricaricato un po’ la testa, più che altro. E chiaramente ho recuperato fisicamente.

Quanto è stato importante resettare tutto, sfruttando però la condizione con cui sei uscito dal Giro?

Alla fine tanto buona, poi, questa condizione non era. Mi aspettavo che il Giro d’Italia mi lasciasse quel qualcosa in più, come è stato un po’ lo scorso anno, anche perché lo avevo finito bene, però non è stato così. Anche in Svizzera, dopo due settimane, ero veramente molto stanco e mi sono ritirato, nonostante quella corsa fosse divenuta molto importante per noi, visto che avevo la maglia di leader con Kevin Vauquelin. Quindi c’era del lavoro da fare per difenderla.

C’è l’ipotesi Vuelta per te?

Sono scaramantico e non mi va di dirlo! Diciamo che in questo Polonia ci giochiamo molto circa la mia presenza in Spagna… Come vi ho detto in passato, la Vuelta è una corsa che veramente voglio fare. E’ quella che reputo più adatta a me.

In Francia la popolarità di Vauquelin è schizzata alle stelle dopo il Tour (foto ASO/Charly Lopez)
In Francia la popolarità di Vauquelin è schizzata alle stelle dopo il Tour (foto ASO/Charly Lopez)
Quest’anno poi ha un percorso durissimo. Sembra essere il Regno degli scalatori…

E per di più parte anche dall’Italia. Però fino a che non è ufficiale non ci penso, semmai ci andrò avrò tempo per studiare il percorso.

Invece, Alessandro, hai parlato di Vauquelin allo Svizzera? Ci sei stato a contatto quest’anno, in particolar modo proprio nella corsa elvetica. Partiamo dalla persona: che ragazzo è Kevin?

E’ un bravissimo ragazzo e quest’anno è cambiato tanto rispetto agli anni scorsi. Kevin è diventato un vero leader. Lo vedi da come parla al gruppo e in gruppo. E più in generale dai suoi comportamenti si nota che ha acquisito molta fiducia in se stesso.

E’ cambiato da questo inverno o è stato un passaggio graduale?

Penso comunque sia stato un passaggio graduale di anno in anno. Kevin non lo stiamo scoprendo adesso, magari quest’anno al Tour si è messo molto in luce, ma non è da poco che va forte. Sì, dalla prima parte dell’estate fino al Tour è andato forte in modo particolare.

Chiaro…

Io avevo fatto con lui già altre corse a metà stagione, verso aprile, e andava bene ma era differente. Dallo Svizzera invece ho trovato una persona completamente diversa. E mi riferisco proprio dal punto di vista mentale.

Tour de Suisse: Verre in testa a tirare per capitan Vauquelin in maglia bianca (foto Getty)
Tour de Suisse: Verre in testa a tirare per capitan Vauquelin in maglia bianca (foto Getty)
Come te lo spieghi questo salto di personalità, questo cambiamento?

Non lo so di preciso perché non sto con lui così tanto tempo anche fuori dalle corse, probabilmente sarà anche merito dello staff che ha attorno. Ha anche dei professionisti esterni che lo supportano… Insomma un insieme di cose che hanno accresciuto la sua fiducia. Ma in generale è cambiato. Per esempio penso ai ritiri di qualche tempo fa. Era più esuberante, anche in discesa. E non nascondo che in qualche occasione è anche caduto, mettendo a rischio tutto quanto il lavoro fatto. Invece adesso è più maturo, si è calmato… e si vede!

Invece, da un punto di vista del corridore? Questo ragazzo inizia ad avere un buon palmarès: due volte secondo alla Freccia Vallone, una tappa al Tour, podio finale al Tour de Suisse… Corre a testa alta e petto in fuori anche contro i grandi.

Eh sì, anche al Tour si è visto. E per me si è visto soprattutto negli ultimi giorni, quando era in difficoltà. Dove non arrivava con le gambe, ci arrivava con la testa e la tenacia. Lo vedevo e notavo come si gestiva. E infatti, nonostante perdesse qualcosa, il giorno dopo era pronto a ripartire da capo.

Secondo te che corridore è: cacciatore di tappe e classiche o uomo da Grandi Giri?

C’era questo dubbio nella terza settimana, diciamo dai Pirenei in poi, dove le salite erano più lunghe e meno adatte alle sue caratteristiche. Però ha dimostrato di sapersi difendere. Certo, magari non è all’altezza degli “alieni”, però ha dimostrato di poter stare davanti al Tour: non è cosa da poco. Poi sicuramente è più adatto a quei generi di arrivi come la Freccia appunto o nelle classiche dove le salite sono brevi ed esplosive. E poi c’è anche da dire un’altra cosa.

Vauquelin sul “suo” Mur de Bretagne. Ad oggi il francese è senza dubbio più adatto alle classiche
Vauquelin sul “suo” Mur de Bretagne. Ad oggi il francese è senza dubbio più adatto alle classiche
Prego…

Kevin va forte a cronometro, si sa difendere molto bene. E se dovesse iniziare a lavorarci in modo specifico potrebbe essere un vantaggio per lui…

Specie se, come sembra, cambierà squadra e dovrebbe andare alla Ineos Grenadiers (manca giusto l’ufficialità)…

Dalle voci che girano… ma non sono cose che mi riguardano. Di certo potrà provare ad impegnarsi sulle tre settimane. Ma questo dipenderà sempre da lui e dalle scelte che farà la squadra, qualunque essa sia, in cui si ritroverà. Ha le carte in regola per fare quel passo in avanti, mettiamola così.

E come persona?

E’ simpatico, scherza… Poi siamo coetanei. Ma come ho detto prima, da quest’anno soprattutto mi sta colpendo proprio il suo atteggiamento, il modo in cui ti parla. Anche con me: il giorno che mi sono ritirato in Svizzera, quando stavo male e lui aveva la maglia che dovevamo difendere, è venuto da me e mi fa: «Alessandro, stai tranquillo, non è successo niente». Aveva visto che ero dispiaciuto, ma anche che ci avevo provato.

EDITORIALE / Il Papa, le voci di Gaza e il ciclismo che tace

04.08.2025
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Quando il pullman della Israel-Premier Tech entrava nel parcheggio al raduno di partenza del Tour, accanto gli camminavano diversi gendarmi ben armati. Assistevano alle operazioni di parcheggio e poi, anche se disinteressati alle cose del ciclismo, sostavano nei dintorni perché nulla turbasse i preparativi della squadra israeliana. Ugualmente dopo la tappa, così raccontano gli autisti degli altri mezzi, quello della Israel era l’unico bus a poter infrangere i limiti di velocità fino a raggiungere l’hotel assegnato. Già da un anno, dalle sue fiancate come da quelle di tutti gli altri mezzi del team, per motivi di sicurezza è stata cancellata la scritta Israel.

Quello che succede a Gaza è sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno nel mondo dello sport ha pensato di fermare la squadra israeliana, come venne fatto nel 2022 per la Gazprom al tempo dell’invasione russa dell’Ucraina. Perché?

La Israel Premier Tech appartiene Ron Baron e a Sylvan Adams, presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele
La Israel Premier Tech appartiene Ron Baron e a Sylvan Adams, presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele

Le parole di Sylvan Adams

Non si può chiedere al ciclismo e allo sport in genere di risolvere questioni politiche di immensa tragicità, ma neppure si può rimanere indifferenti quando si muove con diversi pesi e diverse misure e ci si comporta come se nulla fosse.

La Israel-Premier Tech appartiene a Ron Baron e Sylvan Adams, miliardario canadese-israeliano e presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele. Adams era presente all’insediamento di Donald Trump e in una lettera al neo rieletto presidente americano lo aveva invitato a schierarsi apertamente a favore dell’intervento contro il “flagello” iraniano.

A febbraio invece, recatosi in visita in un’area confinante con il territorio di Gaza, annunciò investimenti per costruire infrastrutture ciclabili e sportive nella regione devastata dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023.

«Questi mostri – dichiarò all’agenzia JNS, Jewish News Syndicate – sono venuti qui con l’intento malvagio e premeditato di torturare, stuprare, mutilare, profanare, prendere in ostaggio il nostro popolo e distruggere il più possibile. Ma hanno fatto male i calcoli: i terroristi sono riusciti a unirci, non solo in Israele, ma tutti gli ebrei ovunque. Manterremo i nostri valori ebraici e continueremo a essere una forza positiva nel mondo. Siamo resilienti, abbiamo attraversato terribili tragedie in passato, nel corso della nostra storia».

«Sono stati uccisi 18 mila bambini a Gaza – scrive Iacomini, portavoce Unicef – non è una questione di definizioni. Sono MORTI» (@unicef)
Hanno ucciso 18 mila bambini a Gaza – scrive il portavoce Unicef Andrea Iacomini – non è una questione di definizioni. Sono MORTI (@unicef)

Le parole di De Marchi

Ora che invece la tragedia sta dilaniando Gaza e nell’indifferenza sta portando alla morte per fame dei suoi abitanti, con un bilancio provvisorio di oltre 40.000 vittime (nell’attentato al rave del 7 ottobre ne furono uccisi 1.200 e 250 vennero rapiti dai terroristi di Hamas: una risposta era necessaria, ma si è decisamente passato il segno), il mondo del ciclismo tace e va avanti. E’ il periodo dei rinnovi dei contratti, il Tour è appena finito e si va verso Vuelta, mondiali ed europei. Alcuni tifosi lungo la strada hanno sventolato bandiere palestinesi, mentre al Tour nel giorno di Tolosa (foto di apertura) un ragazzo ha corso con una maglietta che inneggiava all’espulsione della squadra. Ma ovviamente nulla è accaduto a livello ufficiale.

«Farei molta fatica ora – ha dichiarato invece Alessandro De Marchi al britannico The Observer – a indossare quella maglia. Non voglio criticare nessuno perché ognuno è libero di decidere per chi correre, ma in questo momento non firmerei un contratto con la Israel. Non sarei in grado di gestire i sentimenti che provo. Nel 2021 mi diedero la possibilità di continuare a correre ai massimi livelli, mi diedero un buon contratto e un buono stipendio e io guardavo alla casa che dovevo costruire e alla mia famiglia. Anche per altri colleghi è lo stesso. Ora mi rendo conto che nella vita ci sono momenti in cui, anche se può essere difficile, è meglio seguire la propria morale. Adesso farei le cose in modo diverso. E forse come mondo del ciclismo dobbiamo dimostrare che ci preoccupiamo dei diritti umani e delle violazioni del diritto internazionale».

Alessandro De Marchi ha corso con la Israel-Premier Tech nel 2021 e 2022, indossando anche la maglia rosa
Alessandro De Marchi ha corso con la Israel-Premier Tech nel 2021 e 2022, indossando anche la maglia rosa

Le parole del Papa

Ieri a Roma più di un milione di ragazzi da tutto il mondo ha pregato per Gaza e per l’Ucraina con il nuovo Papa americano. Difficile immaginare che qualcosa cambierà. Difficile anche decidere di scrivere questo editoriale in un magazine che si occupa di ciclismo. Eppure qualcosa bisognava dire, un segnale è necessario. Gino Bartali, che salvò così tanti ebrei dalla deportazione, sarebbe rimasto in silenzio davanti a questo scempio delle vita umana?

«Noi siamo con i ragazzi di Gaza – ha detto il Papa al termine della messa – dell’Ucraina e di ogni terra insanguinata dalla guerra. Voi siete il segno che un altro mondo è possibile, un mondo di amicizia in cui i conflitti non vengono risolti con le armi ma con il dialogo».

Un mondo che esiste soltanto nei raduni religiosi? Alcuni dei politici che ieri ci hanno riempito di parole sulla grandiosità del raduno e la sua spiritualità sono gli stessi che assecondano le teorie di Trump, accolgono a braccia aperte Netanyahu e offrirebbero ristoro ai soldati israeliani stremati dalla guerra, mentre a Gaza si continua a morire per i cecchini, le bombe e la fame. Non è certo colpa dei corridori della Israel, come non era colpa di quelli della Gazprom. La colpa è come sempre del potere dei soldi. Di chi lo ha e di chi non ce l’ha: non è antisemitismo è pietà. E se è abbastanza evidente che il denaro basti spesso per comprare la felicità, di certo non è servito (finora) per comprare l’umanità. Fermare la Israel-Premier Tech sarebbe servito e probabilmente ancora servirebbe a far capire che noi non siamo d’accordo.

Decathlon e l’esperienza nel ciclismo: la crescita, il WT e il futuro

04.08.2025
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LISSONE – Il marchio Decathlon sta vivendo quella che è la seconda stagione come sponsor a livello WorldTour, affiancando l’azienda di assicurazioni AG2R La Mondiale, che per anni ha dato il nome all’omonimo team. Dal 2024 la formazione in cui milita anche il nostro Andrea Vendrame ha visto l’arrivo di Decathlon come sponsor del team, cambiando il nome in Decathlon AG2R La Mondiale (in apertura sugli Champs Elysées al termine del Tour de France, foto KBLB DAT). Dal 2026 Decathlon diventerà proprietaria unico del team, una scelta che fa ben intendere quali siano le intenzioni dell’azienda per il futuro e l’investimento che è stato fatto sul ciclismo. 

Questo l’accordo siglato qualche settimana fa con il quale Decathlon diventerà proprietario unico del team e con l’ingresso di CMA CMG come secondo sponsor (foto Pauline Ballet)
Questo l’accordo siglato qualche settimana fa con il quale Decathlon diventerà proprietario unico del team e con l’ingresso di CMA CMG come secondo sponsor (foto Pauline Ballet)

Il cammino di Decathlon

Decathlon, come tutte le aziende che lavorano su scala mondiale, diversifica il lavoro sul territorio ma l’aspetto principale rimane solido: accompagnare il ciclista

All’interno dello Store di Lissone abbiamo avuto modo di parlare con Rosario Cozzolino, il quale prima ha ricoperto il ruolo di Category Manager Ciclismo e dal luglio 2024 è diventato Area Manager. 

«All’inizio – ci racconta – l’ingresso di Decathlon nel WolrdTour, con il proprio brand Van Rysel, è stato visto quasi come uno scherzo da molti, c’era poca credibilità. Un anno e mezzo dopo posso dire che il trend è cambiato e ancora sta cambiando. Gli appassionati, amatori o comunque gente che è sempre andata in bici, hanno cominciato ad apprezzare il brand Van Rysel, e anche Decathlon retailer e fornitore di servizi importanti». 

Entrare nel WorldTour ha permesso a Decathlon di sviluppare e far apprezzare le proprie bici Van Rysel (foto Marie Vaning)
Entrare nel WorldTour ha permesso a Decathlon di sviluppare e far apprezzare le proprie bici Van Rysel (foto Marie Vaning)
Qual è stato il passo più difficile da fare?

Prima il livello tecnico delle nostre bici era diverso, avevamo modelli su fasce di prezzo che al massimo arrivavano a 4.000 euro, ora la nostra bicicletta di riferimento, che è la stessa utilizzata dal team WorldTour, sfiora i 10.000 euro. Per fare ciò sono state superate alcune visioni ed abbiamo investito sulla tecnicità dei modelli e sulla competenza dei nostri collaboratori. 

Come si è lavorato?

Su tre punti principalmente: merchandising, la formazione in fase di vendita e sulla riparazione, quindi l’assistenza tecnica post vendita. Il nostro obiettivo è accompagnare il cliente in tutto il processo, dalla consulenza pre vendita alla manutenzione. Questo è stato l’approccio che ci ha consentito di iniziare a penetrare un mercato che in Italia è veramente ostico a causa, o grazie, a quei marchi che hanno fatto la storia di questo sport. Però, grazie anche ad alcune partnership che nel tempo stanno andando avanti, come quella con Santini, siamo riusciti ad acquisire una maggiore credibilità a 360 gradi.

Gli investimenti sono stati diversi e hanno coinvolto tutti i processi di produzione
Gli investimenti sono stati diversi e hanno coinvolto tutti i processi di produzione
Quanto è stato importante l’investimento fatto?

Moltissimo. Van Rysel fa parte di uno dei tre expert brand su cui Decathlon sta investendo per iniziare a penetrare determinati mercati, insieme a Kiprun sul running e Kipsta per quanto riguarda il calcio. Ora l’investimento sarà ancora più alto e collocherà il team al livello delle migliori formazioni al mondo. Decathlon vuole diventare un faro del mondo WorldTour con un accordo importante siglato per i prossimi cinque anni. 

In Italia che riscontro ha avuto?

Sul mercato italiano questo si vedrà sul lungo termine. Sul breve periodo però già abbiamo visto un bel riscontro che ci fa guardare con fiducia al futuro. Abbiamo selezionato dei negozi dove il ciclismo ha un’offerta ampia a livello tecnico. Il fatto di essere entrati nel ciclismo professionistico ci ha dato una grande spinta, alla quale è seguito un miglioramento generale degli aspetti citati prima. 

Decathlon nel mercato italiano ha visto un incremento importante per le proprie bici, in ogni settore
Decathlon nel mercato italiano ha visto un incremento importante per le proprie bici, in ogni settore
Ci sono altri passi da fare?

Certamente, oggi l’appassionato non ha bisogno solamente del prodotto ma di un’esperienza a 360 gradi. Non si tratta di comprare una bici di alta gamma ma di avere servizi dedicati come il bike fitting, la nutrizione, la preparazione per poi arrivare al creare una community. Il nostro sogno è che un domani gli appassionati insieme alle proprie Van Rysel possano trovarsi fuori dagli store Decathlon, come questo, e fare una pedalata tutti insieme. 

Il WorldTour è un modo per arrivare direttamente al cliente?

E’ un aspetto che abbiamo toccato con mano, quando Andrea Vendrame è venuto nel nostro negozio di Torino ha portato tanti appassionati che hanno poi avuto modo di toccare con mano il nostro lavoro. Per Decathlon lavorare a stretto contatto con i professionisti è un modo per avere un feedback costante sui nostri mezzi con l’obiettivo di evolvere in maniera reciproca. 

Gli incontri negli store con i professionisti è un modo per avvicinare gli appassionati e metterli a contatto con il mondo Decathlon
Gli incontri negli store con i professionisti è un modo per avvicinare gli appassionati e metterli a contatto con il mondo Decathlon
Il cammino di Decathlon come proseguirà?

Nasciamo per poter accompagnare gli sportivi da quando iniziano a quando diventano professionisti. Sono trent’anni, un po’ più in realtà, che siamo in Italia e siamo arrivati ad avere tre expert brand (Van Rysel, Kipsta e Kiprun, ndr) che accompagnano i professionisti. Ma non abbiamo perso la nostra anima che è quella di voler avvicinare le persone alla pratica sportiva.

Una piccola voce, ma parole sacrosante sulla sicurezza

04.08.2025
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Questa non è un’intervista a Pogacar e tantomeno a Jonathan Milan, Ganna o Ciccone. Si parla di sicurezza, che dopo i fatti di Terlizzi non è mai abbastanza, e Lucio Dognini, che ne è il protagonista, starebbe volentieri dietro le quinte, preferendo che ad esporsi siano nomi più importanti di lui. In linea di principio potrebbe avere ragione, ma non sono stati i grandi nomi che dopo la morte di Samuele Privitera e il nostro editoriale del 21 luglio hanno scritto una mail: lo ha fatto lui. E dalla mail abbiamo preso spunto per ricontattarlo (in apertura, Monica e Luigi, in camicia bianca e polo nera: i genitori di Privitera alla ripartenza del Giro della Valle d’Aosta).

Dognini, bergamasco di 60 anni, è il titolare di Travel&Service, l’azienda che per anni è stata secondo nome sulla maglia della Valcar fra le donne, nel ciclocross con la Fas Airport Services-Guerciotti-Premac e sponsor minore della Biesse-Carrera-Premac. E’ presidente del team juniores Travel & Service Cycling Team-3B Academy ed è fra gli organizzatori della Due Giorni di Brescia e Bergamo, ugualmente per juniores. Nella sua mail si dice totalmente d’accordo con ogni articolo che parli di sicurezza e del fatto che le strade siano piene di trappole per ciclisti e che le auto siano troppo grandi e veloci.

«Ma personalmente – scrive Dognini – penso sia anche un modo per non prenderci le nostre responsabilità. Sì, non prenderci le nostre responsabilità: noi che siamo gli attori principali di questo sport!!». 

Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Partiamo da qui: che cosa può fare il ciclismo?

Le squadre pagano ingaggi di milioni di euro, però non pensano che se uno di questi corridori si fa male, buttano via i soldi. Questo è il mio pensiero. Esattamente come il concetto del prevenire gli incidenti da parte di questi professionisti mega pagati quando sono in giro a fare l’allenamento. Quanti post avete visto, di squadre o di professionisti, che vanno in giro con le luci accese? Piuttosto vedi quello che mangia la pizza o si fa il selfie e per me è una cosa sbagliatissima.

Che cosa potrebbero fare invece?

Se facessero dei post in cui fanno vedere che vanno a fare gli allenamenti con le luci accese anche di giorno, con i lampeggianti davanti, darebbero l’idea che l’uso di certi strumenti li può aiutare a tornare a casa sani e salvi. Avremmo meno tragedie come quella di Sara Piffer e come lei Matteo Lorenzi. Meno ragazzi morti, meno ciclisti morti sulle strade. Invece fanno le loro esibizioni divertenti e non pensano che i ragazzi giovani li guardano. E le squadre non dicono niente. Glielo fanno mettere nel contratto che sono obbligati a rispettare il codice della strada?

I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
Cosa succede nelle categorie minori?

Pensiamo solo a farli correre, a farli andare sempre più veloci, ma non facciamo niente per la loro sicurezza. Durante le gare, dove mi dicono ci sia una commissione federale al lavoro, ma soprattutto durante gli allenamenti. I miei hanno 16-18 anni, si allenano 20 ore a settimana sulle strade di oggi, essere visibili è una necessità. Eppure se vai in bici, ti accorgi che neanche il 10 per cento dei ciclisti usa la luce davanti.

Come quando non si usava il casco…

Poi i professionisti sono stati costretti a usarlo e adesso ce l’hanno tutti, anche se la normativa italiana non lo impone. Se i professionisti lavorano per loro sicurezza, automaticamente diventerà una buona pratica e magari l’amatore spenderà il necessario per comprarsi il completino in cui magari hanno inserito un airbag superleggero.

Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Difficili da portare in una salita alpina del Tour se non trovano il modo di renderli leggeri, ma il discorso non fa una grinza. Anche perché le strade sono davvero fatte solo a misura di auto.

Vorrei portare un punto di vista diverso. Sicuramente ci sono anche troppi dossi, creati per rallentare gli automobilisti che vanno sempre più veloci. Questo è palese. Siamo certi però che Privitera, come il ragazzo che è morto alla Gran Fondo qua a Bergamo un mese e mezzo fa, non avesse le mani sopra che gli sono scivolate? Io li vedo i ragazzini. Hanno sempre le mani sulle leve dei freni, che sono di gomma e diventano scivolose. Alcuni nemmeno usano i guanti. Chi glielo ha insegnato?

Anche qui si va per emulazione?

Di sicuro nelle scuole di ciclismo non tutti insegnano ai ragazzi che in discesa si deve andare con le mani basse. Non tutti insegnano questo piccolo dettaglio tecnico, grazie al quale difficilmente perdi la presa del manubrio. Sono punti di vista, ma dico che il sistema deve fare qualcosa. La Federazione, l’associazione dei ciclisti, voi giornalisti come punto di incontro.

Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Sarà interessante sentire su questo qualche professionista.

Prendiamo la caduta di Pogacar alla Strade Bianche. Poteva tranquillamente lasciarci l’osso del collo, finire su una sedia a rotelle. Invece come ne è uscito? Un super eroe, è uscito come un super eroe. Sapete che cosa è successo qualche settimana dopo? C’è stata la Strade Bianche Juniores e mio figlio, che corre in un’altra squadra, nell’allenamento del giorno prima è andato con i compagni a vedere quella curva. Perché quando sei in bici ti sembra di poter fare tutto e che nulla possa succederti, mentre non è così. Io questi ragionamenti li ho fatti con Davide Martinelli il sabato dopo la morte di Samuele.

Di cosa avete parlato?

Mi ha chiamato lui, perché io ho mandato un messaggio al gruppo dei miei atleti. Gli avevo scritto di non aver paura di tirare il freno in gara. E Davide Martinelli, che è un ragazzo sensibile, mi ha chiamato per condividere con me il pensiero. Sono questi i personaggi che dovrebbero parlare di certi argomenti, non io. La mia è una piccola voce che non fa rumore, ma se serve per avviare il dibattito, allora sono a disposizione.