Sfreccia Brennan, ancora terzo Bagioli con lo zampino di Mosca

08.08.2025
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ZAKOPANE (Polonia) – Una volata lanciata per sbaglio ai 300 metri si trasforma in una vittoria ineccepibile per Matthew Brennan sul traguardo della quinta frazione del Tour de Pologne, la più lunga della corsa con i suoi 206 chilometri.

«Sono stato un po’ avventato a lanciare una volata così lunga, ma ho dovuto tirare dritto fino alla fine rischiando qualcosa», ha affermato l’inglese della Visma Lease a Bike che ha compiuto 20 anni due giorni fa e che oggi ha conquistato il nono successo nella sua prima stagione da pro’. Mentre il francese Lapeira zitto zitto non perde un colpo e mantiene ancora la leadership della gara, dietro Brennan sono finiti Turner e Bagioli, senza poter prendere la sua ruota.

Bagioli (ancora terzo in volata) ora vuole centrare una top 10 nella generale (foto Tour de Pologne)
Bagioli (ancora terzo in volata) ora vuole centrare una top 10 nella generale (foto Tour de Pologne)

Mosca apripista

I finali di tappa in Polonia hanno sempre regalato emozioni e tentativi da finisseur. Quando sull’ultima salita posta a 10 chilometri vengono ripresi in sequenza Plotwright e Artz, fuggitivi superstiti, nella successiva discesa partono i contrattacchi. Quello più convinto scatta ai -8 per merito di Bettiol che porta con sé Christen. Il toscano della XDS-Astana mena a tutta per lasciare il segnale che gli chiedeva la squadra e Shefer. Non ha troppa collaborazione e poco prima dei duemila metri il gruppo torna su di loro. Bettiol chiuderà ottavo e contrariato.

Chi invece sorride è Bagioli che trova il secondo podio in tre giorni. A tirargli la volata è Jacopo Mosca che ci racconta gli ultimi attimi.

«Il nostro piano di oggi – dice il piemontese della Lidl-Trek – prevedeva di portare allo sprint Teutenberg. Sull’ultima salita era rientrato dopo essersi staccato, così a 2 chilometri dalla fine Oomen ha preso la testa per noi tirando fino ai 700 metri. Lì sono entrato in azione io pensando poi di lasciare il posto a Bagioli per Teutenberg. Invece Tim non aveva buone gambe e così “Bagio” si è dovuto arrangiare. Peccato perché avrei potuto tirare di più e magari ottenere un risultato migliore. Comunque Brennan va forte su questi arrivi e noi dobbiamo essere soddisfatti del podio di Andrea».

Mosca ha tirato la volata a Bagioli e domani sarà ancora pronto a supportarlo nell’arrivo verso Bukowina
Mosca ha tirato la volata a Bagioli e domani sarà ancora pronto a supportarlo nell’arrivo verso Bukowina

Piano B come Bagioli

La Lidl-Trek era venuta al Pologne con Vacek leader, ma la brutta caduta della terza tappa l’ha messo fuori gioco, dopo che il giorno prima aveva dovuto abbandonare Kirsch. Nel team statunitense però c’era già pronta l’alternativa.

«Adesso – spiega Bagioli con un sorriso – ricade su di me la pressione. Anche oggi ho cercato di gratificare al meglio il grande lavoro che hanno fatto Mosca, Mollema e Oomen. Battute a parte, dopo il ritiro di Mathias abbiamo discusso in squadra per capire se potevo fare classifica oppure puntare alle tappe. Ho risposto che volevo curare la generale, anche perché la top 10 è ancora fattibile. La tappa di domani (la settima che arriva in salita a Bukowina, ndr) la conosco bene perché c’è quasi tutti gli anni. Sicuramente domani la classifica verrà stravolta ed io vedrò come muovermi. Ne parleremo con i diesse, comunque il morale è buono».

«Secondo me – prosegue – domani uomini come Tiberi, Christen oppure Bettiol, che sta dimostrando di andare forte, tenteranno qualcosa sull’ultima salita. Non bisogna escludere però Lapeira che sta facendo una grandissima gara, specie dopo le botte rimediate l’altro giorno nella caduta. Non so come vada a crono, ma in salita ha una buona gamba e sa stare con i migliori. E’ ancora tutto aperto».

Manovre tattiche

Se Bagioli dovrà essere il finalizzatore della Lidl-Trek al Pologne, dove sta preparando la Vuelta per concentrarsi su qualche tappa e per supportare Ciccone e Pedersen, ritorniamo con Mosca su quello che potrebbe succedere nella frazione montana di Bukowina. Domani conterà la squadra, poi domenica ognuno dovrà vedersela con le proprie gambe nella crono di Wieliczka.

«Domani sulla carta – commenta Jacopo – sarà la Decathlon a controllare la corsa perché hanno la maglia. Credo che ci sarà una bella battaglia, soprattutto ad inizio tappa. Anche UAE, che hanno un paio di punte con Christen e McNulty, e Barhain-Victorious con Tiberi e Pello Bilbao credo che dovranno tentare qualche azione. Noi sicuramente possiamo provarci a stare davanti, ma non possiamo tenere chiusa la corsa perché siamo in cinque.

«Sono d’accordo anch’io – conclude con un aneddoto che profuma di stima e amicizia – nel dire che la gara è ancora tutta da decidere. Il mio favorito rimane “nutellino” Tiberi, che chiamo ancora così per nostri motivi quando eravamo compagni di squadra. Vedo che pedala bene in salita e a crono va forte. Naturalmente spero che a vincere possano essere le nostre maglie e faremo di tutto per farlo, ma se non dovesse essere così avrei piacere che fosse proprio Antonio a conquistare il Tour de Pologne».

La tanto annunciata sesta tappa del Tour de Pologne prevede 147,5 chilometri con sei “gpm” di prima categoria ed arrivo in salita ai 943 metri di Bukowina Tatrzanska. Il meteo prevede sole, vento laterale ed i 2900 metri di dislivello suggeriranno i big della generale ad uscire allo scoperto. Sulla montagna in cui in passato Evenepoel e Almedia hanno ipotecato il successo finale, qualcuno potrebbe fare altrettanto.

Il cardiofrequenzimetro e i pro’: ha ancora senso usarlo?

08.08.2025
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Il cardiofrequenzimetro oggi: ha ancora senso usarlo? E se sì, perché? E’ questa, in sostanza, la domanda che ci siamo posti in questo articolo. Per trovare una risposta chiara, ci siamo rivolti al dottore e coach Andrea Giorgi, figura di riferimento nella preparazione atletica e dello staff medico della VF Group-Bardiani.

Pensiamoci un attimo: oggi i parametri da osservare sono tantissimi. Se negli anni ’90 e 2000 il cardiofrequenzimetro era il primo vero strumento tecnologico per l’allenamento, ora il fisico dell’atleta viene monitorato in continuazione. Si controllano i watt, il consumo di zuccheri, la temperatura esterna e interna, perfino i cicli respiratori. Il sistema di monitoraggio è vasto. Senza contare i dati esterni come velocità, cadenza, distanza, pendenze… C’è più elettronica su un ciclista che su un’auto! E allora: che cosa se ne fanno i corridori del caro vecchio cardio?

Il dottor Andrea Giorgi preparatore e medico della VF Group-Bardiani
Il dottor Andrea Giorgi preparatore e medico della VF Group-Bardiani
Dottor Giorgi, dunque serve ancora il cardio?

Bisogna fare una premessa: partiamo dalla fisiologia, che è la base. Il consumo di ossigeno, ovvero la quantità di ossigeno utilizzata dal corpo per produrre energia, dipende dalla frequenza cardiaca, dalla gittata sistolica e dalla differenza artero-venosa dell’ossigeno. La frequenza cardiaca è quindi fondamentale per capire quanta energia sta usando il corpo in un dato momento. Quindi già da qui si capisce che la frequenza cardiaca è un parametro che va rilevato, che è importante. Poi dipende da quale sia l’utilizzo del parametro frequenza cardiaca.

Parliamo di allenamento o gara?

Di entrambi e non solo. Ha anche un utilizzo parallelo. Come misurare le pulsazioni al mattino a riposo nel letto. O dopo alcuni giorni di stacco… Può essere usata per monitorare l’andamento dell’allenamento: come varia la frequenza durante uno sforzo, quanto si abbassa a riposo. L’allenamento fisiologicamente abbassa la frequenza a riposo e nei lavori submassimali, mentre nei sovramassimali la frequenza tende a restare stabile. Quindi è utile anche per capire il livello di allenamento o se si è in una condizione di sovrallenamento.

Come si capisce se si è sovrallenati?

Entrano in gioco diversi fattori. Faccio un esempio: se un atleta si allena con un carico crescente e dopo una decina di giorni la sua frequenza a riposo si abbassa, oppure riesce a sostenere lo stesso lavoro con frequenze più basse, significa che c’è un adattamento positivo. Il consumo di ossigeno resta stabile o scende, la gittata aumenta, il cuore lavora meglio e i muscoli usano più ossigeno. Viceversa, se la frequenza a riposo aumenta e gli stessi esercizi generano più battiti, allora potrebbe esserci uno stato di sovrallenamento. Il cuore fatica a rispondere e al contrario non si riescono a raggiungere i picchi massimali desiderati.

Il cardiofrequenzimetro è utilissimo specie per il lavoro aerobico
Il cardiofrequenzimetro è utilissimo specie per il lavoro aerobico
Dopo una corsa, i dati del cardiofrequenzimetro vengono analizzati?

Certo, servono per confrontare sensazioni, potenza e frequenza. Si guarda la dissociazione tra frequenza cardiaca e potenza durante allenamento: power heart rate ratio. O anche se dovesse presentarsi una frequenza irregolare. In questo caso si accende un campanello d’allarme. E l’atleta può rivolgersi al medico del team ed iniziano ulteriori accertamenti.

I corridori oggi in gara guardano il cardio?

Qualcuno sì, dipende dalle abitudini. In genere lo fanno quando sentono che qualcosa non va e allora la frase più ricorrente è: «Non mi si alzano i battiti». Lo usano più che altro per capire se sono stanchi. Ma spesso prevale il potenziometro e in certe situazioni non si guarda nemmeno quello: si spinge e basta.

Nell’allenamento invece, conta ancora o si guarda solo il potenziometro?

La risposta è doppia. Primo: per i lavori submassimali il cardio resta fondamentale. Se un preparatore chiede di fare una Z2, la frequenza aiuta a capire come risponde il corpo, se si sta adattando, se si è efficienti. Secondo: c’è la durability, di cui in Italia si parla sempre poco, che è la capacità di mantenere una determinata intensità dopo un lungo periodo di esercizio.

Si nota la fascia cardio sotto la maglia di Piganzoli
Si nota la fascia cardio sotto la maglia di Piganzoli
Puoi spiegarci meglio?

Un atleta può sostenere gli stessi watt dopo tre ore di lavoro, ma quanto sono più alti i battiti? Quanta fatica in più ha fatto? Il mio collega Borja ha condotto uno studio confrontando valori submassimali a riposo e dopo un lungo allenamento: a parità di watt, la frequenza era più alta e la fatica percepita maggiore. Quindi il cardio serve anche per queste valutazioni.

E nei lavori massimali il cardiofrequenzimetro serve?

No o meglio, serve meno. La frequenza cardiaca ha un ritardo fisiologico nella risposta allo sforzo. Se fai ad esempio ripetute 40″-20″, il cuore non fa in tempo a seguire l’andamento dell’intensità. Lo capisci dopo 5-6 minuti di interval training, quando puoi osservare quanto sale (e anche quanto scende il battito al termine dell’esercizio). Ma in questi casi di lavori ad alte intensità si guarda il potenziometro, perché è più immediato. Però anche qui poter conoscere i dati del cuore, i battiti, è sempre importante.

In conclusione, dottor Giorgi, il caro vecchio cardio è ancora utile, ma forse serve più al preparatore che all’atleta. E’ così?

No, serve ad entrambi. All’atleta per capire come sta e per svolgere al meglio determinati lavori. Al preparatore per analizzare i dati e avere un quadro completo. Poi ovviamente ci sono variabili come l’altura, il caldo, lo stress, l’attrezzatura… tutti elementi che influenzano la frequenza. Ma questo è un altro discorso.

Tour Femmes. Una festa di popolo e la Malcotti c’era…

08.08.2025
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Un Tour de France Femmes davvero particolare, un crescendo di emozioni che ha coinvolto fortemente il popolo francese, che attraverso Pauline Ferrand Prevot ha riassaporato quel gusto del possesso della maglia gialla che mancava ormai da quarant’anni, dai tempi dell’epopea di Bernard Hinault ormai diventati leggenda. Barbara Malcotti quell’esperienza l’ha vissuta da di dentro, risultando alla fine la migliore delle italiane al tredicesimo posto in un’edizione che, a dir la verità, ha visto i nostri colori un po’ ai margini.

Barbara Malcotti è stata la migliore delle italiane alla Grande Boucle, chiudendo tredicesima a 25’08” dalla vetta
Barbara Malcotti è stata la migliore delle italiane alla Grande Boucle, chiudendo tredicesima a 25’08” dalla vetta

Per la portacolori della Human Powered Health il bilancio è comunque abbastanza positivo: «Dopo il Giro, il Tour in realtà non era nei miei programmi, almeno come capitana, ma in supporto alla mia compagna Raaijmakers, che poi ha avuto dei problemi fisici a maggio e non è arrivata pronta per il Tour, quindi ho sostituito lei come capitana ma senza pressioni per il risultato. Il mio obiettivo personale era una top 15 che significava avere mantenuto un buon livello di forma dopo il Giro d’Italia e direi che l’obiettivo è stato centrato».

Tu sei stata una delle poche che è venuta dalla corsa italiana ottenendo un buon risultato, ma la sensazione è che sia sempre più difficile far bene in entrambi i grandi giri…

Per quest’anno la distanza era veramente pochissima, quindi o preparavi al 100 per cento il Tour de France o puntavi a far bene al Giro correndo poi un Tour de France cercando di salvarti. E’ sicuramente molto complicato. Quest’anno sarebbe stato quasi impossibile pensare di puntare in alto alla classifica in entrambe le corse.

La trentina con la diesse Giorgia Bronzini. Al Tour il suo ruolo è cambiato in corso d’opera
La trentina con la diesse Giorgia Bronzini. Al Tour il suo ruolo è cambiato in corso d’opera
Tra le due, che differenze hai riscontrato? Qual era delle due la più dura e qual era la più spettacolare?

Il Giro per un’italiana è sempre il Giro. Il Tour sicuramente è molto più nervoso, è una corsa che a me personalmente non piace tantissimo. Ma non per il pubblico, perché comunque il Tour è spettacolare, ma proprio perché ogni giorno è sempre a pancia a terra dall’inizio alla fine e comunque c’è tanto nervosismo.

Parlavi appunto del pubblico: che attenzione ha avuto il Tour de France femminile anche per la rincorsa alla vittoria della Ferrand Prévot che ha riportato la maglia gialla in Francia dopo tantissimi anni?

Già di per sé il Tour femminile ha sempre un risalto maggiore rispetto alle altre corse, ma quest’anno, nelle ultime tappe, c’era davvero un sacco di gente. Veramente tanta, tanta gente. Abbiamo visto un tifo straordinario per Pauline, tutti attendevano la sua vittoria, è stata la vittoria di un popolo.

Per la Ferrand Prevot un continuo bagno di folla. Il Tour Femmes è stato un clamoroso successo nazionale
Per la Ferrand Prevot un continuo bagno di folla. Il Tour Femmes è stato un clamoroso successo nazionale
Com’era l’atmosfera tra le varie squadre? Si è avuta la sensazione che ci fosse una lotta veramente particolare, soprattutto fra la Visma e e altre…

Aveva ragione il manager della FDJ, era un po’ “tutte contro Vollering”. Ci sono squadre all’interno del gruppo che pensano di poter fare il bello e il cattivo tempo come vogliono e corrono un po’ in arroganza rispetto agli altri team. Pensano di esserci solo loro in gruppo e di poter fare come vogliono. Dovrebbero capire che ci sono anche le squadre Continental, che comunque tutti si preparano e cercano di farsi vedere al Tour come in tutte le gare, ma qui ancor di più. Diciamo che manca il rispetto per gli altri team.

Una cosa che si diceva spesso a proposito della SD Worx, è ancora così con loro?

Quest’anno non dico che abbia fatto un passo indietro, ma non hanno più quella superiorità che si vedeva fino alla passata stagione, almeno per quanto riguarda le corse a tappe, ci sono team più pronti a lottare per la classifica e questo ha portato il team a correre con meno protervia. Ma il mio discorso era abbastanza generale, riguarda più team, servirebbe una presa di coscienza generale.

Ottava al Giro, la Malcotti ha sottolineato l’eccessiva vicinanza fra le due grandi corse
Ottava al Giro, la Malcotti ha sottolineato l’eccessiva vicinanza fra le due grandi corse
Che cos’è che ti ha colpito di più anche del contorno del Tour de France, dell’ambiente, della gente, dell’attenzione mediatica?

Al Tour senti un sacco di affetto dalle persone sulla strada. Il bello del Tour è proprio quanta gente c’è a supportarti, ma non solo sulle salite finali o nelle tappe regine, perché è dappertutto. Poi quest’anno che Pauline puntava a vincere vedevi che lei “era” la Francia. Dove passavi sentivi la gente urlare “allez Pauline”, ovunque. E penso che comunque queste immagini ti restino. Ti resteranno per sempre.

Tu sei in prima linea proprio dall’inizio della stagione. Adesso che cosa ti attende? Avrai un po’ di riposo per poi programmare la seconda parte?

Sì, ora stacco una settimana e poi riprendo ad allenarmi. Riprenderò con il Tour de l’Ardeche e poi non so. Quindi al momento l’obiettivo è prepararmi bene per provare a vincere una tappa per guadagnarmi una convocazione per europei e mondiali. So che i percorsi sono molto duri, ma non con salite lunghissime, quindi penso che potrei essere di buon supporto a Elisa Longo Borghini. Ma non è una decisione che spetta a me…

Gare giovanili e sicurezza: davvero servono le radioline?

08.08.2025
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Sistematicamente quando succedono degli eventi tragici e dolorosi come la scomparsa di Samuele Privitera, avvenuta nella prima tappa del Giro Ciclistico della Valle d’Aosta, si torna a parlare di sicurezza in gara. Ognuno sembra avere la propria ricetta, un’idea da mettere sul tavolo per risolvere il problema. Il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni ha ribadito l’importanza delle radioline in corsa, per le quali aveva già aperto l’utilizzo fino alle gare juniores regionali e nazionali dallo scorso primo giugno (in apertura photors.it).

La scelta del presidente, condivisibile o meno, non tiene conto di diversi aspetti. Il primo è che nelle gare internazionali juniores e under 23 non è consentito l’utilizzo delle radio in corsa, in quanto l’UCI non lo prevede. Forse sarebbe stato meglio porre il problema ai tavoli dell’Unione Ciclistica Internazionale e cercare una soluzione comune al problema?

Marco Della Devova (a destra) è stato fino al 2024 diesse della Bustese Olonia. E’ da anni ispettore di percorso per RCS
Marco Della Devova (a destra) è stato fino al 2024 diesse della Bustese Olonia. E’ da anni ispettore di percorso per RCS

Più tattica che sicurezza

L’utilizzo delle radio nelle corse giovanili è un tema trito e ritrito, il divieto di aprirne l’uso sta nel fatto che non si voglia dare modo alle squadre di imporre tatticismi e comunicazioni che fanno parte del mondo professionistico. L’obiettivo è di dare agli atleti la possibilità di imparare a correre seguendo l’istinto e lontani da schemi che possono intrappolare la loro fantasia. Il concetto è giusto, essere… radiocomandati dalla macchina non permetterebbe loro di sviluppare una visione critica della corsa e di agire seguendo l’istinto. 

Abbiamo posto tutte le nostre domande a Marco Della Vedova, ex professionista, ispettore di percorso nelle gare organizzate da RCS Sport & Events ed ex diesse della formazione juniores alla Bustese Olonia.

«Ho smesso – racconta – ma sono ancora nella chat con i diesse italiani e sono tutti contenti per questa cosa delle radioline. Che però a mio avviso per loro è sì un discorso di sicurezza, ma c’è anche l’interesse tattico. Il ciclismo è l’unico sport nel quale non hai modo di parlare direttamente con i tuoi atleti. Una volta saliti in bici, e tu sei in macchina, le comunicazioni sono ridotte al minimo. Le radioline sono un modo per avere un filo diretto».

La Federazione dall’1 giugno ha aperto all’uso delle radioline nelle gare juniores regionali e nazionali (photors.it)
La Federazione dall’1 giugno ha aperto all’uso delle radioline nelle gare juniores regionali e nazionali (photors.it)
Bisogna capire qual è lo scopo ultimo…

Se fosse solamente un utilizzo legato alla sicurezza la vedo comunque dura, perché le comunicazioni spetterebbero a radioinformazioni che anticipando il gruppo sul percorso dovrebbe avvisare dei pericoli. 

Ma come lo farebbe? Come capisce il posizionamento esatto all’interno del percorso?

Sicuramente non si potrebbe usare il contachilometri della macchina, dovrebbe avere un ciclocomputer o uno strumento che fai partire al chilometro zero in modo che sia sincronizzato con quello dei ragazzi. Noi con RCS quando facciamo l’ispezione dei percorsi segnaliamo i pericoli su Veloviewer in modo che le ammiraglie lo abbiano sul loro dispositivo.

Sono però strumenti che una squadra juniores non ha…

Infatti non è una soluzione, dovremmo far acquistare a tutti i team dei dispositivi nuovi che hanno comunque un costo. La soluzione reale è mettere le persone sul percorso e segnalare i pericoli, come si è sempre fatto. In Italia facciamo una cosa che non si fa da nessun’altra parte del mondo, alla riunione tecnica mostrano ai diesse tutti i punti pericolosi del tracciato. Ma come si fa a ricordarli tutti, comunicarli ai corridori e pretendere che loro memorizzino ogni curva?

Le strade stanno diventando sempre più pericolose per i ciclisti a causa degli interventi dei comuni nell’ambito dell’urbanistica
Le strade stanno diventando sempre più pericolose per i ciclisti a causa degli interventi dei comuni nell’ambito dell’urbanistica
Su strade che non sono esattamente a misura di ciclista, lo si vede ogni giorno.

Tutti i comuni adottano strategie per far rallentare le auto nei centri abitati, ma le biciclette vanno sempre più veloci. Il problema non sono le bici più veloci, ma le strade costruite negli anni ‘60 e adattate ai giorni nostri con soluzioni pericolose. In gara per la sicurezza ci si arrangia, ma è in allenamento il vero pericolo. Lo vedo anche io quando pedalo con mia figlia.

Lo vediamo anche dalle notizie recenti del telegiornale, con sempre più ciclisti morti sulle strade. 

Mi sono imbattuto in certe scene. Una macchina della scuola guida che, davanti a me e mia figlia, gira senza mettere la freccia. Un anziano che fa inversione a “U” invadendo la corsia opposta senza guardare. Il problema è la leggerezza con la quale viene data la patente o anche rinnovata. Si dovrebbe fare un tavolo di discussione nel quale far parlare tutti gli utenti della strada.

Nel WorldTour gli strumenti a disposizione delle squadre sono di più e permettono una comunicazione istantanea tra radiocorsa e l’ammiraglia
Nel WorldTour gli strumenti a disposizione delle squadre sono di più e permettono una comunicazione istantanea tra radiocorsa e l’ammiraglia
Vero, ma torniamo alle gare e alle radioline. Se il discorso è per aumentare la sicurezza allora basterebbe aprire un solo canale, quello di radioinformazioni.

Certo, anche perché si avrebbe una sola voce che annuncia il tratto pericoloso e il chilometro nel quale si trova. Basterebbe aprire anche il canale in uscita per comunicare eventuali incidenti o cadute. Un ragazzo che vede una situazione di pericolo o un caduta grave potrebbe subito comunicare con radioinformazioni che passerebbe il messaggio alle ammiraglie. 

La sensazione di chi scrive è che i team spingeranno per avere una comunicazione aperta anche con i ragazzi. 

Da un lato li capisco perché ormai i ragazzi da juniores passano professionisti e dovrebbero imparare a correre come tali. Anche se, va detto, che se un atleta a 18 anni passa nel WorldTour, sarà premura della squadra insegnarli a usare certi strumenti. Così come gli insegnano ad allenarsi in maniera diversa e correre. 

La scelta libera dei rapporti tra gli juniores ha contribuito a far alzare le velocità, ma bisogna insegnare ai ragazzi a guidare la bici (foto Campana Imballaggi)
La scelta libera dei rapporti tra gli juniores ha contribuito a far alzare le velocità, ma bisogna insegnare ai ragazzi a guidare la bici (foto Campana Imballaggi)
Il rischio è che con le comunicazioni radio aperte anche tra diesse e corridori si bombardino i ragazzi di mille informazioni. 

Alcune anche inutili magari. E poi mi viene da dire una cosa, un conto è se radioinformazioni comunica un pericolo. Hai una voce calma che indica qualcosa e basta. I diesse avviserebbero del pericolo, ma allo stesso tempo inizierebbero a urlare ai ragazzi di stare davanti. E’ una cosa che già succede anche ora quando si posizionano a piedi, sul percorso, nei punti salienti. Quando ancora facevo il diesse scherzando dicevo: «Bisognerà che qualcuno dica anche di stare nel mezzo e dietro, davanti non ci stanno tutti». Ma la verità è anche un’altra.

Quale?

Dobbiamo insegnare ai ragazzi come si guida la bici. Spesso hanno le mani sulle manopole anche in discesa, è chiaro che i rischi aumentano. Molti imitano i professionisti e non mettono i guantini. E’ giusto parlare di radio e sicurezza ma si deve anche fare educazione.

Allenarsi in altura per correre in altura: Slongo e il Rwanda

08.08.2025
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Allenarsi in altura preparando una gara a livello del mare è prassi consolidata, ma cosa cambia se la gara da preparare si svolge ugualmente in quota? Parlando ieri con Elisa Longo Borghini e il suo avvicinamento ai mondiali del Rwanda (in apertura, immagine Kigali 2025), il punto ci ha incuriosito. Allo stesso modo, giusto 35 anni fa, i tecnici della federazione dedicarono studi e sforzi preparando i mondiali di Duitama, che si corsero a partire dai 2.400 metri di quota, con il punto più alto a circa 2.800. A Kigali si correrà fra i 1.400 e i 1.600 metri, quindi molto più in basso rispetto alla Colombia, ma il tema resta.

Per questo siamo partiti da Paolo Slongo, allenatore di Longo Borghini, che sta mettendo a punto i termini del ritiro in altura che le ragazze del UAE Team ADQ svolgeranno a settembre preparando i mondiali.

La collaborazione fra Longo Borghini e Slongo ha prodotto ottimi frutti, fra cui l’ultimo Giro d’Italia
La collaborazione fra Longo Borghini e Slongo ha prodotto ottimi frutti, fra cui l’ultimo Giro d’Italia
In che modo si arriverà ai mondiali?

Il concetto di partenza è che sarebbe sbagliato arrivare in Rwanda senza aver fatto prima altura. E’ sempre meglio abituare il fisico con il giusto anticipo, in modo da poter lavorare anche in quota. Se vai all’ultimo momento e pretendi di iniziare a lavorare, le risposte che hai sono sicuramente diverse. L’altra opzione, come si faceva una volta, era di andare sul posto molto prima e acclimatarsi al luogo della gara. L’analisi è che in Rwanda i costi sono molto alti e magari noi europei abbiamo enzimi diversi, per cui trascorrere là troppo tempo potrebbe essere rischioso dal punto di alimentare e altri aspetti. Quindi la nostra idea è di fare un blocco in altura, che finisca proprio a ridosso della partenza per il mondiale.

Quindi partireste all’ultimo momento?

Ne parlavo con il cittì Velo e mi ha spiegato che un primo gruppo di atleti parte un po’ prima, mentre chi fa solo la strada parte il 22 settembre. Perciò l’idea è di fare un ritiro fino al 21, partendo il giorno dopo. Si tratterebbe di arrivare là con il fisico che è già abituato a lavorare a una certa quota.

Cambierà qualcosa dal punto di vista della gestione dello sforzo durante l’altura di preparazione?

Sicuramente cambia, ma l’obiettivo resta quello di adattarsi. Sicuramente i valori saranno un po’ più bassi in altura, quindi dovremo avere la bravura di individuare il range esatto dell’atleta a certe altitudini. I lattati e tutti i test che si svolgono di solito a livello del mare, andranno fatti anche più in alto metri per avere una risposta importante sui range e i valori espressi a quella quota. In questo modo lavori all’altitudine voluta, però con i valori giusti del corpo. Si aggiunga che in gara c’è sempre il 10 per cento in più determinato dalla motivazione. Bisognerà anche stare attenti a dosare i carichi di lavoro, per controllare le zone che sicuramente cambieranno di circa di 20-30 watt.

Dopo la vittoria del Giro Women, il mondiale è entrato di prepotenza nel programma di Longo Borghini
Dopo la vittoria del Giro Women, il mondiale è entrato di prepotenza nel programma di Longo Borghini
Hai già ragionato su quanto durerà il ritiro? Le solite due settimane o anche di più?

Probabilmente basterebbero due settimane, però l’idea è di prevederne tre, andando con meccanico, massaggiatore ed eventualmente altre ragazze della nostra squadra. Per l’avvicinamento che dobbiamo fare, visto che Elisa ha un po’ staccato e sta riprendendo ora ad allenarsi, nel periodo prima del mondiale vorremmo lavorare bene. Quindi considerando il periodo di adattamento, con tre settimane siamo più sicuri di poter lavorare nel modo giusto. Facendo quattro doppiette o tre triplette di lavoro vero, che sono importanti. Andando via il 22, si avrebbe il tempo di scaricare a Kigali e di arrivare giusti alla gara.

Elisa correrà a fine agosto e poi più nulla fino al mondiale?

Esatto. Per questo l’idea è di andare ai primi di settembre, più o meno dal 3 al 22 settembre, anche se non abbiamo definito bene la data e nemmeno il posto.

La scelta del luogo dipende dalla disponibilità degli alberghi o serve un luogo particolare per lavorare in un certo modo?

Dobbiamo valutare un po’ di cose. Se andassimo a San Pellegrino, magari avremmo tutto: la logistica, l’alimentazione, la moto. Sarebbe tutto comodo. D’altra parte, se andassimo al Teide, dove ci sarebbe un fuso orario comunque simile, avremmo lo stesso clima, perché comunque in linea d’aria non siamo tanto lontani. Le Canarie sono davanti all’Africa, hai lo stesso clima e hai l’altitudine. In più è un posto che si conosce molto bene, quindi c’è da valutare anche questo.

Hai parlato di altre atlete da portare.

C’è da capire con il commissario tecnico, se ci saranno magari altre atlete della nostra squadra oltre a Elisa. Penso a Persico, magari a Magnaldi e anche Marturano, che in salita va forte, ma al Giro è caduta nella seconda tappa e non ha potuto mettersi in luce. C’è da capire su chi investire oltre ad Elisa, magari lavorando anche nella prospettiva del campionato europeo. Quando tornano dal Rwanda, infatti, passano pochi giorni e si parte per la Francia. Anche quello è bello duro, però meno esigente del mondiale, quindi potrebbe essere uno scenario che oltre ad Elisa si può aprire per Persico e altre atlete. E il blocco di lavoro comunque sarebbe lo stesso: lo fai per il mondiale e te lo trovi anche per l’europeo.

Magnier domina la volata e fa contenti mamma e papà

07.08.2025
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CIESZYN (Polonia) – Un ruggito da T-Rex risuona sul viale del traguardo della quarta tappa del Tour de Pologne. Paul Magnier agguanta la vittoria dominando la volata quasi per distacco su Turner e Teutenberg, grazie ad una potente zampata partita a 150 metri col finale in leggera ascesa. Il tipico arrivo che preferisce il 21enne della Soudal Quick-Step.

La sua esultanza con mani e voce va ad imitare il verso del dinosauro comparso sulle maglie della squadra (oltre che come mascotte il giorno della team presentation) per rendere omaggio ad un prodotto dello sponsor principale. Magnier però è tutt’altro che un dinosauro, lui è uno dei talenti più cristallini del panorama internazionale. Dopo il secondo posto al fotofinish della prima tappa alle spalle di Kooij, il francese voleva rifarsi e sapeva che a Cieszyn c’era l’altra ed unica occasione. Per lui quello odierno è il decimo successo in carriera ed il primo nel WorldTour.

Nel retropalco, Paul Magnier parla della gara e della vittoria con mamma Sabine e papà Laurent
Nel retropalco, Paul Magnier parla della gara e della vittoria con mamma Sabine e papà Laurent

Davanti a mamma e papà

In queste prime tappe, l’arrivo dei pro’ è stato anticipato dal Tour de Pologne Junior, ovvero ragazzini tra gli 11 e 14 anni che corrono accompagnati dai propri genitori. Oggi Paul ha fatto qualcosa di simile davanti a mamma Sabine e papà Laurent.

«Siamo davvero tanto felici – ci dicono nel retro podio con grande cortesia e grandi sorrisi – perché sapevamo che ci teneva a vincere per noi. Siamo arrivati in Polonia lunedì per seguire Paul in tutte le tappe, ma senza assillarlo. E’ anche un’opportunità per noi per viaggiare e vedere una bella gara».

Infatti Paul rimane sorpreso nel vedere la madre nella bolgia dopo lo sprint. La abbraccia e il padre farà altrettanto con lui poco prima di salire sul podio. E’ un piccolo ritrovo di famiglia, loro chiacchierano e gli lasciamo il giusto spazio.

Milesi ci ha riprovato anche nel finale della quarta tappa. La gamba c’è, manca solo il grande risultato
Milesi ci ha riprovato anche nel finale della quarta tappa. La gamba c’è, manca solo il grande risultato

Volata anticipata

Anche il finale della quarta frazione è un piccolo braccio di ferro tra fuggitivi e gruppo. Verso l’arrivo bisogna affrontare per 4 volte un circuito cittadino di poco più di 6 chilometri. Appena ci si entra un Milesi indomabile evade dal gruppo ripiombando su Maciejuk, ultimo della fuga di giornata. Il bergamasco della Movistar vuole completare l’opera sfumata il giorno prima per una discussa neutralizzazione. Si dà i cambi col polacco della Bahrain Victorious e sembrano guadagnare. A 2,3 chilometri dalla fine vengono inghiottiti dal plotone tirato dagli uomini della Ineos-Grenadiers.

Piccolo inciso. Visto che (così si vociferava) l’UCI in mattinata aveva messo sotto indagine la volata di ieri di Turner, che era staccato al momento della neutralizzazione, forse il team inglese vuole conquistare una vittoria indiscutibile.

«E’ stata una tappa dura – spiega Magnier – con salite dure a metà, in cui ho sofferto un po’. Tuttavia ero fiducioso di fare bene perché ho continuato a spingere, poi nel circuito finale ho mantenuto una buona posizione. Questo mi ha permesso di risparmiare energie per lo sprint. Ho sentito di avere grandi gambe. Sono contento di questa vittoria così importante».

Lapeira è uscito indenne dalla grossa caduta della terza tappa e mantiene la maglia gialla di leader della generale
Lapeira è uscito indenne dalla grossa caduta della terza tappa e mantiene la maglia gialla di leader della generale

Caratteristiche e futuro

Paul è nato in Texas a Laredo, città di 270 mila abitanti esattamente sul confine col Messico, tanto da essere divisa in due. Suo padre è un ingegnere, nel 2004 era già negli Stati Uniti come dipendente di una grossa industria e la moglie lo aveva seguito. Ecco spiegata questo luogo di nascita così esotico, ma la famiglia Magnier vive a Grenoble. Terreno e percorsi per affinare le proprie caratteristiche da corridore non mancano. Paul ha un contratto con la squadra fino al 2027 e fino ad allora sarà certamente un pezzo forte della Soudal.

«Non so se sono il futuro della squadra – ci dice in mixed zone – però so che loro credono in me, come io in loro. Sicuramente penso in futuro di poter ottenere buoni risultati in corse che hanno un finale come le grandi classiche. Sono contento che la squadra voglia costruire qualcosa attorno a me dopo che Remco ci lascerà, anche se per le mie caratteristiche cambia poco. Gli obiettivi saranno le classiche e fare il meglio possibile.

«L’anno prossimo saremo tanti velocisti – ci risponde riferendosi all’arrivo di Stuyven e al probabile ingaggio di Dainese nel treno di Merlier – e sarà un po’ come in passato. La Soudal ha già dei velocisti leader ed io credo che spingerò forte per capire i miei limiti, ma sono certo anche che loro mi aiuteranno tanto a crescere in grande gare. E’ difficile dirlo, ma penso che ci aiuteremo l’uno con gli altri per ottenere più vittorie possibile».

Paul firma le nuove maglie della Soudal indossate anche dalla mascotte T-Rex durante la team presentation
Paul firma le nuove maglie della Soudal indossate anche dalla mascotte T-Rex durante la team presentation

Il prossimo Boonen?

Dopo il Pologne, tra le tante corse dovrebbe correre il Deutschland Tour, il Renewi e a Plouay. Paul Magnier intanto vuole diventare un corridore da classiche, lo dice senza problemi, sfruttando le sue doti di passista-veloce o di velocista moderno, se preferite.

«Il mio idolo è sempre stato Tom Boonen – conclude con un sorriso – e magari potessi fare anche solo una parte della sua carriera. Ora però penso a migliorare step by step e divertirmi correndo. Non penso che correrò l’europeo in Ardeche perché forse è troppo duro per me e non ne ho parlato col nostro cittì. Ho altri programmi per il resto della stagione e l’obiettivo resta sempre quello di conquistare altre vittorie».

La quinta tappa del Tour de Pologne sarà quella più lunga. Una cavalcata di 206 chilometri con partenza da Katowice ed arrivo a Zakopane. E’ una frazione che potrebbe vedere arrivare la fuga, ma che dovrebbe smuovere la generale, sempre comandata da Lapeira (uscito indenne dalla grande caduta di ieri). Le salite lunghe non mancano e a 10 chilometri dalla fine si scollina oltre i 1.100 metri. Potrebbe essere un trampolino di lancio per qualche attaccante.

Un’estate sul podio. Il “nuovo” Cretti ha qualcosa da dire

07.08.2025
5 min
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Secondo sabato, primo domenica. L’ultimo weekend di Luca Cretti è stato un caleidoscopio di emozioni. Chi conosce la sua storia recente comprende bene come la maggior parte di esse sia stata fortemente amplificata. Secondo o primo, quel che conta è che finalmente il portacolori della MBH Bank Ballan può tornare a parlare di ciclismo praticato, anche se nella chiacchierata l’argomento “scottante”, quello della squalifica per uso di sostanze proibite, entrerà in gioco. Ma la sensazione è che, ora che la condanna è stata scontata, i risultati gli diano la forza di affrontare anche il tema senza veli.

Domenica Cretti ha conquistato il Memorial Fornasiero con un colpo di mano solitario (Photors)
Domenica Cretti ha conquistato il Memorial Fornasiero con un colpo di mano solitario (Photors)

Partiamo però dal weekend con la piazza d’onore in una classica del calendario U23 come la Zané-Monte Cengio e la vittoria di 24 ore dopo al Memorial Fornasiero: «Non è innanzitutto effetto solo del weekend. Già prima andavo bene, da inizio luglio non sono mai sceso dal podio nelle corse che ho fatto. Quindi mi sono presentato al weekend sicuro delle mie possibilità e convinto di poter far bene. La prima era la gara alla quale puntavo, la più adatta alle mie caratteristiche visto che sono uno scalatore. Infatti mi aspettavo di vincere, ma quando poi sul sulla salita finale non sono riuscito a staccare i miei avversari ho capito che non ero nella mia giornata migliore. Nella volata ristretta sapevo che non era il mio forte e ho ceduto allo svizzero».

E il giorno dopo?

Non era il percorso adatto a me e pensavo di correre in aiuto dei compagni. Quel secondo posto però mi aveva lasciato dentro una grande carica, la voglia di riscatto. Ero presente principalmente per aiutare la squadra con Quaranta e Fiorin come punte per la volata. Ma il percorso non era lineare, dopo 180 chilometri poteva venire fuori una corsa da uomini di resistenza e quindi sapevo di poter avere una possibilità sul finale. Diciamo che questa me la sono giocata meglio, è venuto un risultato inaspettato che mi rende veramente fiero di quello che ho fatto.

Sabato invece il corridore della MBH Bank era stato beffato dall’elvetico Zumsteg (Photors)
Sabato invece il corridore della MBH Bank era stato beffato dall’elvetico Zumsteg (Photors)
Il tuo palmares stagionale dice che è un po’ cambiato tutto dal podio d’inizio giugno al Trofeo De Gasperi, comportandoti bene anche al Giro dell’Appennino nel confronto con team anche del WorldTour. Da che cosa è dipeso?

Io sono sempre stato più o meno allo stesso livello fin da febbraio. Ma sicuramente nella prima parte dell’anno mancava il risultato. Non riuscivo a concretizzare anche perché non erano corse adatte a uno scalatore tipico come me, queste arrivano con l’estate e io volevo farmi trovare pronto. Mettiamoci poi che ho corso molto con i professionisti e lì diventa difficile anche piazzarsi. Ma il De Gasperi c’entra…

In quale misura?

Qualche giorno prima ho deciso di tornare ad affidarmi al mio mental coach che mi aveva seguito due anni fa, poi avevo fermato la collaborazione. Nella prima parte dell’anno pensavo di poterne fare a meno, di aver capito come gestirmi. Invece per fortuna mi sono reso conto che era una parte fondamentale della mia performance. Sicuramente da quando sono tornato a lavorare con lui la differenza si è notata subito.

Cretti è stato fermato nel 2023 per una vicenda simile a quella di Sinner, rimanendo fermo per tutto il 2024
Cretti è stato fermato nel 2023 per una vicenda simile a quella di Sinner, rimanendo fermo per tutto il 2024
La ripresa dopo la lunga sospensione è stata più difficile dal punto di vista fisico o mentale?

Il difficile è stato non mollare durante la sospensione, perché poi quando riprendi cioè torni a fare quello che hai sempre fatto, torna tutto alla normalità e in realtà è la parte più semplice. Il difficile è continuare a crederci anche quando nessuno lo fa. C’erano veramente poche persone che mi sono state vicine ed è solo grazie a loro se alla fine non ho mollato, perché mi hanno veramente spronato ogni giorno a crederci e tornare per dimostrare che era tutto un errore. Devo dire che finalmente penso di averlo dimostrato, quindi sono contento.

Il tuo caso è legato a una pomata e paradossalmente nello stesso identico periodo si è vissuta tutta la vicenda di Yannik Sinner, sempre legata a una pomata. Tu hai visto differenze di trattamento, nella considerazione tra te, ciclista e un altro sportivo?

Domanda ponderosa… Allora partiamo dal presupposto che era la stessa identica pomata e lo stesso identico tipo di contaminazione. Poi è ovvio che ci sia una differenza di trattamento e di considerazione, perché sinceramente non si possono paragonare le nostre figure, io ciclista qualsiasi, lui il numero 1 al mondo nel tennis. E’ chiaro, vedo quel che è successo a me e a lui, le differenze nelle penalizzazioni e penso che non dovrebbe essere così, ma magari è stato più bravo lui a riuscire a dimostrare che si era trattato di un errore.

In questa stagione il ventiquattrenne ha colto 2 vittorie e 7 top 10 (foto Instagram)
In questa stagione il ventiquattrenne ha colto 2 vittorie e 7 top 10 (foto Instagram)
Che differenze ci sono rispetto al Luca Cretti di prima di tutta questa storia?

Una maturità diversa. Tutto quello che ho passato mi ha fatto crescere sotto tanti punti di vista. Adesso do molta più importanza alle cose che veramente contano, vivo alla giornata, senza pensare tanto a quello che verrà, perché qualsiasi giorno sia vissuto comunque al massimo non potendo controllare quel che il destino ha in serbo.

Il prossimo anno farai un salto di categoria visto che il team diventerà professional e la caccia ai punti diverrà primaria. Ti senti pronto?

Sì, diciamo che in futuro potrei essere sicuramente un corridore che porta punti in questo ciclismo d’oggi, pur non essendo propriamente un vincente. Diciamo che mi concentrerò sul miglioramento personale e sul fare il massimo come ho sempre fatto finora. Il resto verrà di conseguenza.

Caruso è un gladiatore: prepara la Vuelta e culla il sogno azzurro

07.08.2025
6 min
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Per una singolare coincidenza o per aver ben lavorato, nella prima tappa della Vuelta Burgos e nella seconda al Tour de Pologne – martedì scorso – Caruso e Tiberi hanno centrato rispettivamente il quinto e il quarto posto. Per essere entrambi diretti verso la Vuelta, il segnale non è passato inosservato. E se di Tiberi vi abbiamo raccontato proprio dal Polonia, eccoci oggi con Damiano che alla corsa di Burgos è da sempre affezionato e con la prossima Vuelta si accinge a vivere il ventiduesimo Grande Giro della carriera.

«Alla fine la ripresa non è stata così male – spiega – ho fatto un bel blocco di altura sul Pordoi, lavorando bene. Un periodo così lungo forse è stato un po’ forzato, però del resto da me a luglio c’è stato un caldo torrido e ho dovuto allungare l’altura, altrimenti più che migliorare sarei peggiorato. La Sicilia d’estate quando fa caldo veramente, è improponibile: puoi andare in bici, ma non ti puoi allenare».

Il Giro ha dato a Caruso il quinto posto e un grosso carico di soddisfazione personale
Il Giro ha dato a Caruso il quinto posto e un grosso carico di soddisfazione personale
Come mai il Pordoi e non Livigno come tanti colleghi?

La squadra ha degli accordi per cui siamo andati lassù, ma devo dire che mi piace molto. C’è traffico anche sulle Dolomiti, però partendo dal Pordoi hai più opportunità di percorsi. L’unica pecca è che nel giorno di scarico, devi comunque farti la risalita. Però diciamo anche che il Pordoi preso da Canazei, se fatto in maniera blanda, non è così impegnativo. Le Dolomiti sono un bel posto per allenarsi e ci troviamo bene. Abbiamo tutto l’hotel prenotato per noi, l’Hotel Garni Gonzaga, e quindi riesci a stare tranquillo, isolarti, lavorare bene e concentrarti sul pezzo.

Al Giro è arrivato l’annuncio del prolungamento del contratto, con quali motivazioni si va verso la Vuelta?

Sono venuto fuori dal Giro con una bella dose di soddisfazione personale, che mi ha dato la motivazione per continuare a fare questo lavoro. Il rinnovo ne è stata la conferma lampante. Ho lavorato bene per ripresentarmi alla Vuelta in maniera adeguata. Chiaramente non immagino di impegnarmi per fare classifica. Il mio obiettivo è provare a vincere una tappa e dare il mio supporto ad Antonio (Tiberi, ndr) che invece si cimenterà con la generale.

Vuelta 2021, Caruso è già arrivato secondo al Giro, vincendo all’Alpe di Mera. In Spagna conquista l’Alto de Velefique
Vuelta 2021, Caruso è già arrivato secondo al Giro, vincendo all’Alpe di Mera. In Spagna conquista l’Alto de Velefique
Come quando nel 2021 arrivasti secondo al Giro e vincesti una tappa in Spagna?

Come nel 2021 all’Alto de Velefique e come nel 2023, quando arrivai quarto al Giro e alla Vuelta feci secondo in una tappa dietro Evenepoel e altri piazzamenti. L’anno scorso sono stato sfortunato, perché sono caduto qui a Burgos e alla Vuelta ho preso il Covid. L’ultimo è stato una finale di stagione travagliato, spero che quest’anno vada tutto liscio.

Hai detto che la ripresa dopo tanta altura non è stata poi così male…

In realtà a San Sebastian, che è stata la corsa del rientro, mi hanno tirato il collo. Dopo quasi due mesi senza correre, è stato abbastanza traumatico. Però già qui a Burgos – chiaramente con il dovuto rispetto perché il livello è diverso – sono riuscito ad arrivare davanti e questo fa piacere. La tappa d’apertura, con tutto il trasferimento, era lunga 210 chilometri, con percorso abbastanza ondulato e il finale su uno strappo secco di un chilometro. Essere tra i migliori ti fa capire che il fisico risponde bene che hai lavorato in maniera corretta. Per il momento è tutto tranquillo. Ho visto che anche Antonio in Polonia ha dato un bel segnale. Diciamo che siamo in carreggiata.

Burgos sarà l’ultimo test per Caruso verseo la Vuelta. Qui è con Zambanini e Van der Meulen
Burgos sarà l’ultimo test per Caruso verseo la Vuelta. Qui è con Zambanini e Van der Meulen
C’è stato il quinto posto al Giro, ma cosa è cambiato dopo aver deciso che avresti chiuso? 

Io credo che tanto sia cambiato nella testa. Ho iniziato il 2025 convinto di smettere a fine stagione, ma sono anche testardo. Per cui in questa mia convinzione, ho promesso a me stesso di fare tutto al meglio. Ho dedicato tanto del mio tempo alla bici, come se fosse per l’ultima volta. Anziché trascinarmi sino a fine stagione, ho voluto fare tutto nella maniera corretta, per non avere rimpianti. Il problema è che forse mi sono impegnato troppo (ride, ndr).

E cosa è successo?

Sono arrivati dei bei risultati. Ho ritrovato il piacere di andare in bici, di soffrire e di fare la vita del corridore. Non che prima l’avessi perso, però l’anno scorso è stata una stagione troppo travagliata. Ho inseguito la condizione, ma fra malanni e cadute non è mai arrivata. Quindi mi era passata un po’ la voglia, invece quest’anno l’ho ritrovata. E poi mi gratifica anche il ruolo di riferimento per i ragazzi più giovani, non solo per Antonio. Mi viene riconosciuto dalla dirigenza e anche dai compagni. E’ un insieme di cose che mi hanno portato a prendere la decisione di continuare a fare il mio lavoro e cercare di farlo bene.

Il rientro alle gare di Caruso dopo il ritiro sul Pordoi è avvenuto a San Sebastian: una discreta faticaccia…
Il rientro alle gare di Caruso dopo il ritiro sul Pordoi è avvenuto a San Sebastian: una discreta faticaccia…
Un anno e poi basta?

Deciso! Comunque vada, il prossimo sarà l’ultimo. Fino allo scorso anno anche a casa parlavo di percentuali, per cui al 90 per cento avrei smesso. Adesso invece sono convinto al 100 per cento. Il 2026 sarà il mio ultimo anno.

Pensi che per allora Tiberi avrà imparato tutto quello che serve?

Il grosso di quello che potevo trasmettergli in termini di esperienza, l’ho trasmesso. Antonio ha 24 anni ed è nell’età in cui deve cominciare a prendere le decisioni per conto proprio e capire quello che vuole fare veramente. Io posso solo assisterlo e facilitargli il lavoro. Stiamo arrivando al punto in cui, trasmesso il mio bagaglio, non potrò più aiutarlo. Per me è come se fosse un fratellino, c’è un rapporto che va oltre quello lavorativo. Averlo in camera o in gara è solo un piacere, perché è un bravo ragazzo e una persona piacevole con cui è bello dividere il proprio tempo.

Caruso ha corso 4 mondiali da pro’: l’ultimo a Imola nel 2020, quando arrivò decimo, primo degli azzurri
Caruso ha corso 4 mondiali da pro’: l’ultimo a Imola nel 2020, quando arrivò decimo, primo degli azzurri
Parliamo del mondiale?

E dai, parliamone. Il cittì Villa ha chiesto il mio parere. Io gli ho spiegato il mio avvicinamento, che passerà per la Vuelta e sarà ideale per pensare di avere una buona condizione. Non ho detto no e non ho detto sì, anche perché non ho ricevuto ancora alcun tipo di proposta. Semplicemente ho chiesto di vedere come evolve la situazione e quale sarà la condizione, perché mi piacerebbe andare solo nel caso in cui avessi una condizione dignitosa nel rispetto per la maglia azzurra. E’ ancora presto per parlarne, ma a breve arriverà il momento di prendere una decisione. Per ora ci siamo limitati a uno scambio di idee.

Ultima domanda: fra Burgos e la Vuelta riesci a tornare a casa?

No, ci sarà ancora un mini richiamo di altura a Sestriere con la squadra. Servirà per evitare distrazioni, non tanto per finalizzare o migliorare qualcosa. A casa si sta pochissimo, ma al giorno d’oggi o ti adatti a questo sistema o non puoi fare il corridore. E poi cosa ci vado a fare la settimana di Ferragosto in Sicilia? Non riesci ad allenarti, fa troppo caldo. E poi una giornata in spiaggia in Sicilia equivale a una tappa di montagna della Vuelta, una di quelle dure…

Parola a Bonin: Poggiana, il territorio e il legame con Capodarco

07.08.2025
5 min
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Il Gran Premio Sportivi di Poggiana è ormai alle porte, domenica 10 agosto i 176 atleti under 23 si sfideranno in una delle gare più importanti del calendario. Lo scorso anno il successo andò a Jorgen Nordhagen. Quest’anno la Visma Lease a Bike Development non sarà al via per difendere il titolo, ma a Poggiana non mancheranno i devo team, la cui presenza dona un certo spessore agli eventi. 

Gli ultimi preparativi portano il patron Giampietro Bonin, a capo di della società che organizza la gara giunta alla sua 49ª edizione, a sopralluoghi e riunioni per controllare che tutto sia a posto e in ordine (in apertura il podio dello scorso anno con Giampietro Bonin, foto SportCity). 

«Siamo pronti – ci dice Bonin – mancano alcuni colloqui con i comuni che ospiteranno il passaggio della gara, ma ormai ci siamo. Il GP Sportivi di Poggiana da due anni ha cambiato quello che era il suo percorso storico per quanto riguarda la parte centrale della corsa. Quella che noi chiamiamo Circuito delle Colline, a uno dei comuni attraversati fino al 2023 davamo fastidio, così abbiamo trovato la soluzione e abbiamo cambiato area».

Giampietro Bonin insieme a Jorgen Nordhagen, vincitore a Poggiana nel 2024
Giampietro Bonin insieme a Jorgen Nordhagen, vincitore a Poggiana nel 2024

Il ciclismo che dà fastidio

E’ ormai diventato un ritornello quello del ciclismo, e dei ciclisti, che danno fastidio. Lo dicono gli automobilisti con commenti e odio, nonostante i morti sulle strade continuino ad aumentare (negli ultimi giorni ve ne sono contati cinque, e siamo a 130 da inizio anno). Tutto quello che non è veloce crea intralcio al traffico, così dicono, fatto sta che gli incidenti mortali aumentano e nessuno sembra intenzionato a intervenire

«Davamo fastidio a questo Comune – continua Bonin – perché a loro modo di dire lasciavamo le strade sporche. Noi come organizzazione ci preoccupavamo, il giorno dopo la corsa, di andare sul percorso e raccogliere tutti i rifiuti. E non ci limitavamo a raccogliere solo quelli lasciati dai corridori. Tutto questo però non bastava e il permesso per passare su quelle strade era limitato a un solo passaggio. Anzi, ci chiedevano anche una cauzione di 1.000 euro. Così abbiamo smesso anche di discutere, ci siamo semplicemente spostati».

Il GP Sportivi di Poggiana è arrivato alla sua 49ª edizione (photors.it)
Il GP Sportivi di Poggiana è arrivato alla sua 49ª edizione (photors.it)
Parliamo della corsa, la Visma non tornerà a difendere il titolo ma la corsa rimane di calibro internazionale…

Al via ci saranno 36 squadre per un totale di 176 atleti, il massimo concesso dalla categoria under 23. Avremo i 20 migliori team italiani e 16 squadre straniere, di cui cinque devo team.

Come si gestiscono così tanti team?

Non è affatto semplice perché 28 delle 36 squadre partecipanti arrivano la sera prima della corsa, quindi abbiamo dovuto cercare l’alloggio per ospitarle e gestire le loro esigenze. A livello economico e di gestione non è facile. Sono team con quattro o cinque atleti e lo staff al seguito, una media di otto persone l’uno. 

Per Poggiana e Capodarco la vicinanza nel calendario è un fattore chiave per avere al via i devo team (photors.it)
Per Poggiana e Capodarco la vicinanza nel calendario è un fattore chiave per avere al via i devo team (photors.it)
Nell’elenco partenti sono presenti anche squadre locali, ricordiamo che la gara si snoda tra le province di Treviso e Vicenza.

E’ importante anche sostenere le realtà presenti sul territorio. Infatti avremo il team Gaiaplast Bibanese che è una squadra di un paese in provincia di Treviso, poi ci sarà la VPT Why Sport che invece è una squadra veneziana nata proprio quest’anno. Dare un respiro internazionale alla gara è un’ambizione, ma serve anche gettare uno sguardo in casa propria. 

Correrà anche una squadra del fermano, provincia con la quale avete un legame particolare…

Vero, da tanti anni abbiamo un’amicizia particolare, ormai anche personale, con il GP Capodarco. Ho conosciuto Gaetano Gazzoli, che purtroppo è venuto a mancare pochi mesi fa, nel 2011 quando per la prima volta sono andato nelle Marche per vedere la corsa. Da lì ho conosciuto anche suo figlio Simone e Adriano Spinozzi. 

Gli organizzatori devono avere anche un occhio di riguardo per le squadre più piccole, soprattutto quelle locali (photors.it)
Gli organizzatori devono avere anche un occhio di riguardo per le squadre più piccole, soprattutto quelle locali (photors.it)
Che rapporto è nato?

Di sostegno e amicizia. La prima cosa è stato capire che trattandosi di due eventi vicini nel calendario under 23 era possibile collaborare. Vero che Poggiana e Capodarco distano 400 chilometri l’una dall’altra però ci siamo mossi per riuscire ad avere le migliori squadre.

In che modo?

Trovando una soluzione che potesse tornare utile ai team per partecipare alle due corse, specialmente quelli che vengono dal nord e dall’estero. In maniera molto semplice: ospitarli noi per la notte dopo la nostra gara e Gazzoli dando la disponibilità per due giorni prima. Non sempre è una cosa facile da fare. 

Da destra, Gaetano Gazzoli, Giampietro Bonin, Adriano Spinozzi
Da destra, Gaetano Gazzoli, Giampietro Bonin, Adriano Spinozzi
Come mai?

Perché la nostra gara è la seconda domenica di agosto, quindi dipende dal calendario, mentre Capodarco si corre sempre il 16 agosto. Certi anni la differenza era di due o tre giorni e tutto era semplice. Quest’anno è di sei. Però riusciamo sempre a trovare l’equilibrio. 

Come vi siete conosciuti?

Grazie a Raffaele Babini, direttore di corsa, che veniva da noi e da loro. Mi aveva invitato a vedere la corsa di Capodarco e nel 2011 sono riuscito ad andare. Da allora le mie ferie sono sempre lì con loro. Con Gaetano (Gazzoli, ndr) ci sentivamo ogni giorno e allo stesso modo con suo figlio Simone. Ci scambiamo informazioni e anche riferimenti per i vari servizi in gara. Sarà strano tornare senza Gaetano, ma non vedo l’ora di rivedere suo figlio Simone e Adriano Spinozzi.