Adesso la Vuelta. In un certo senso, al di là della sua voglia di esserci, Sepp Kuss lo stanno tirando per la manica. Da una parte Roglic, che lo aspetta dal Giro d’Italia. Dall’altra Vingegaard, cui ha cavato le castagne dal fuoco più d’una volta al Tour de France. E adesso che l’americano ha ufficializzato la sua presenza alla Vuelta al fianco dei due capitani, resta il dubbio di chi dovrà aiutare e per chi invece, chissà, preferirebbe farlo.
Quasi mezz’ora a parlare di sé: così Kuss si è concesso nel secondo giorno di riposoQuasi mezz’ora a parlare di sé: così Kuss si è concesso nel secondo giorno di riposo
La seconda parte
Questa è la seconda parte di un’intervista fatta con Kuss nel secondo giorno di riposo del Tour. Nella prima ci ha raccontato di sé e dei suoi capitani. Dei pensieri al momento di infliggere fatica ai rivali. Del suo apporto alla Jumbo-Visma e la sua aspirazione di esserne semmai un giorno il capitano. Dovevano ancora andare in scena la crono e il giorno di Courchevel. Vingegaard si aggirava nel ristorante dell’hotel, raggiungendo a tratti la tavola del team e a tratti quella di sua moglie e sua figlia. Fra lui e Pogacar c’erano ancora 10 secondi, chissà se in cuor suo il danese era sicuro di poter scavare il solco.
«Penso che Jonas vincerà sulle montagne – diceva Kuss – non so dire però con quale distacco. Anche un secondo sarebbe abbastanza, giusto? Sì, un secondo basterebbe, ma io penso che sarà molto di più e a quel punto faremo parte della storia. Già l’anno scorso è stato super memorabile, emozionante da guardare e farne parte. Anche quest’anno è stato davvero eccitante, i percorsi sono stati ben progettati e c’è stata molta azione ogni giorno. Anche grazie ai corridori che ci sono in gara e al modo in cui stanno correndo. Forse le altre squadre non capiscono bene cosa stia succedendo, ma è bello farne parte».
Sono rimasti in pochi, Kuss si volta per capire se il forcing faccia maleNella caduta durante l’ultima tappa di montagna, ferite sul voltoSono rimasti in pochi, Kuss si volta per capire se il forcing faccia maleNella caduta durante l’ultima tappa di montagna, ferite sul volto
Ci hai detto che vivi ad Andorra, passi molto tempo negli Stati Uniti?
Non così tanto. Soltanto un mese o due all’anno, di solito fuori stagione. In estate è difficile tornare, per cui la mia vita si svolge sempre più in Europa.
In America il ciclismo professionistico ha un suo seguito?
Penso che stia diventando uno sport di moda anche negli Stati Uniti. Conosco persone di quando ero più giovane che non sarebbero mai andate in bicicletta, mentre ora pensano che sia davvero uno sport superlativo. Puoi vestirti bene e avere una bici fantastica. E’ uno sport per la classe più istruita, che guarda il Tour. Magari non c’è una base di fan per guardare le classiche, ma il Tour sì…
L’effetto Armstrong sta diminuendo?
Penso che tanti negli Stati Uniti ritengano che siccome Armstrong si drogava, di riflesso anche tutti gli altri lo facciano ancora. Questa è la loro opinione ed è difficile cambiarla, ma io penso che sono passati parecchi anni da quello che è successo. Le persone vanno avanti, il ciclismo va avanti.
Al Tour of Utah 2018 vince tre tappe e la classifica finale: è appena arrivato alla Jumbo, ha 24 anniAl Tour of Utah 2018 vince tre tappe e la classifica finale: è appena arrivato alla Jumbo, ha 24 anni
Lance era il tuo campione preferito?
Ero un suo fan, ma non era il mio preferito. Mi sono sempre piaciuti di più Contador, Valverde oppure Pantani, anche se lui è stato prima della mia generazione. Erano più spettacolari, mi piaceva il loro modo di correre, era emozionante da guardare.
Quali sono stati i tuoi primi ricordi guardando il Tour de France?
Sicuramente gli anni di Armstrong, ma il ricordo più vivo è di quanto vinse Cadel Evans. All’epoca ero un ciclista di mountain bike e anche lui lo era stato. Per questo tifavo Cadel.
Tutto questo accadeva a Durango?
Sì, con la mia famiglia intorno. Guardavamo il Tour a colazione prima di uscire.
Con sua moglie ai piedi del palco del Giro in Via dei Fori Imperiali. Il ciclismo esalta i posti belli (foto Bram Berkien)Con sua moglie ai piedi del palco del Giro in Via dei Fori Imperiali. Il ciclismo esalta i posti belli (foto Bram Berkien)
Il fatto che tu sia così forte in salita dipende dal fatto che arrivi da Durango?
Certo. Lì intorno ci sono un sacco di montagne davvero alte e soprattutto con la mountain bike si riesce ad arrivare proprio in cima. In Colorado non ci sono molte strade pianeggianti. A Durango invece è come se metà fosse davvero piatta e metà fosse veramente alta montagna. Quindi c’è un po’ di tutto.
Hai un messaggio per i fan americani?
Grazie per il supporto. Anche i miei genitori sono dall’altra parte dell’Oceano a guardare, ma posso sentire la loro energia. Ho anche letto tutti i messaggi di supporto che le persone inviano dagli Stati Uniti e penso che sia davvero bello rendermene conto.
Che tipo di messaggi?
Un signore mi ha scritto che non guardava il Tour da dieci anni, ma ora con tanti corridori americani che si fanno vedere, era davvero eccitato. Cosa dire? Sono orgoglioso di farne parte.
L’annuncio della partecipazione alla Vuelta è stato fatto sul podio finale del Tour, a margine delle feste, delle sfilate e delle passerelle. E Kuss, ancora incerottato, ha sfoggiato il suo sorriso gentile ed ha annuito. «Due settimane per riprendermi – ha detto – e poi sarò prontissimo».
Forse era lecito aspettarsi qualcosa si più a questo punto da Giovanni Aleotti. La sfortuna ha avuto la sua parte, ma nel 2024 sarà tutto più complicato
VALTOURNANCHE – Isaac Del Toro è la tranquillità fatta ciclista. Il messicano ha tutti i ritmi lenti e tranquilli tipici della sua terra. Si prepara con lentezza, fa le cose con calma e con il sorriso. Ma di certo non è lento in bici. Il corridore del Monex Pro Cycling Team è infatti arrivato terzo nella classifica generale del Giro della Valle d’Aosta (in apertura foto Facebook – Monex Pro Cycling Team).
Del Toro fa parte di quella combriccola di ragazzi seguiti da Piotr Ugrumov. Sono di stanza a San Marino ed è lì che si allenano e imparano ciclismo. In Valle d’Aosta Isaac è rimasto con un solo compagno dopo una tappa e da solo dopo la seconda. Tutto quindi è stato farina del suo sacco. Anche se i ragazzi e lo staff lo hanno supportato alla grande, se non altro moralmente oltre che nella logistica dei rifornimenti in corsa.
Isaac Del Toro il 27 novembre 2003, deve ancora compiere 20 anni
Protagonista in Valle
Del Toro e i suoi compagni arrivano in Europa a fine febbraio e ripartono a settembre. Hanno la “casetta”, come molte squadre under 23, e lì vivono insieme, cucinano, si allenano.
Isaac ha fatto un numero nel giorno della vittoria di Meris e del super attacco di Rafferty, solo che la sua azione è rimasta più nascosta in quanto era nelle retrovie. In pratica verso Clavalité il messicano ha recuperato oltre 2′ alla testa della corsa, mostrando un grande passo in salita e anche una grande abilità in discesa. Insomma, un corridore vero.
«Sì – racconta il classe 2003 – è andata bene verso la Clavalité, è stata la giornata più dura. Sono stato spesso davanti ma non sono andato in fuga, credevo che dopo la prima discesa tecnica gli arrivassimo vicino e che il gruppo chiudesse, invece non è andata così. Ma lo devo accettare: le corse sono anche queste».
E Del Toro ci ha provato anche verso Cervinia. L’attacco “cattivo” che ha messo in difficoltà Rafferty è stato il suo. Non si era arreso anche se consapevole che non era facile scalzare l’irlandese. Una reazione e una continuità di rendimento davvero importanti.
Del Toro marcava stretto Rafferty in maglia gialla. Isaac è andato forte fino a fine Valle d’Aosta (foto A. Courthoud)Del Toro marcava stretto Rafferty in maglia gialla. Isaac è andato forte fino a fine Valle d’Aosta (foto A. Courthoud)
Corridore moderno
Del Toro scalatore, Del Toro discesista: che tipo di corridore è dunque questo atleta? Di certo è di quei fisici moderni: alti, filiformi. Un po’ alla Vingegaard se vogliamo.
«Io – spiega Isaac – non so se sono questo o quello. Io sono un ciclista e sono felice così. Penso ad andare forte ovunque… se posso anche negli sprint». Il suo team manager Alejandro Rodriguez, ex biker professionista, ci spiega che Del Toro è bravo anche negli sprint a ranghi ristretti.
Divertimento è la parola d’ordine, ma anche serietà e consapevolezza. Ci dicono infatti che Isaac è preciso nelle sue sedute di allenamento. Sa che nessuno gli regalerà nulla. Di professionismo non parla – anche se abbiamo avuto la sensazione che non ne volesse parlare, che è diverso – dice che per ora nessun team professionistico si è fatto avanti, ma aggiunge anche che è fiducioso.
Il messicano prima di salire sul podio del VdA. Si era ben comportato anche al Sibiu Tour
Sulle orme del fratello
La storia di Isaac, anche se Oltreoceano, è molto simile a quella di tanti altri ragazzi. Lui vive nella parte a Nord del Messico.
«In un luogo di mare, non lontano dal confine con gli Stati Uniti. Ho iniziato intorno ai 12 anni. Andava in bici mio fratello Angel, che è di due anni più grande di me. Ricordo che lo guardavo pedalare e mi piaceva molto. Così ho pensato che sarebbe stato bello anche per me.
«All’inizio non ci pensavo molto però. La bici era lì. Io pensavo alla scuola, agli amici. Poi quando ho compiuto 15 anni, ho visto che c’era un opportunità importante e mi sono impegnato molto».
Isaac ci parla del piacere di correre e di farlo in Europa soprattutto. Anche perché sono ormai tre anni che corre solo nel Vecchio Continente. In Messico ci si torna solo per recuperare e per allenarsi con temperature migliori all’inizio dell’inverno.
«Da voi in Europa il livello è più alto – spiega Del Toro – e la mentalità è diversa, più professionale. Certo, è duro, ma il ciclismo vero è quello europeo ed è qua che bisogna insistere».
COMBLOUX – Nel giorno del lancio, abbiamo passato qualche minuto con il loro progettista William Juban. Di lì a poche ore, le nuove ruote Capital SL di Syncros avrebbero debuttato ufficialmente nella cronometro del Tour de France sulle Scott del Team DSM-Firmenich. Alle loro spalle un lavoro davvero lungo, frutto di una collaborazione con la squadra. E se l’obiettivo per la WorldTour di Bardet e compagni era arrivare a un set di ruote per la crono (nello stesso giorno debuttava anche la lenticolare posteriore), la genesi del progetto Capital risale ad almeno 5 anni fa. Il debutto infatti risale a un terreno diametralmente opposto: quello della mountain bike. La stessa tecnologia era alla base delle Silverton SL, portate in gara da Nino Schurter e con cui Pidcock ha vinto le Olimpiadi a Tokyo.
Il progetto delle ruote da strada nasce dalle SIlverton SL con cui ha corso Nino Schurter in MTBAnche le Silverton SL hanno il cerchio monoblocco in carbonio con il mozzo in alluminioLa ruota che se ne ricava è resistente ed elastica: anche per questo è nata la versione gravelCon le stesse ruote, Tom Pidcock è andato a prendersi l’oro alle Olimpiadi di TokyoIl progetto delle ruote da strada nasce dalle SIlverton SL con cui ha corso Nino Schurter in MTBAnche le Silverton SL hanno il cerchio monoblocco in carbonio con il mozzo in alluminioLa ruota che se ne ricava è resistente ed elastica: anche per questo è nata la versione gravelCon le stesse ruote, Tom Pidcock è andato a prendersi l’oro alle Olimpiadi di Tokyo
Da dove vogliamo cominciare?
Dal fatto che queste ruote sono piuttosto diverse dal solito. Sono realizzate in un unico pezzo di carbonio. Non ci sono raggi e non ci sono nipples. E’ un pezzo unico, dal centro e fino al cerchio. Solo il mozzo dove alloggiamo i cuscinetti è in alluminio ed è incollato nella struttura. Il resto è una vera costruzione in un unico pezzo, con la novità che possiamo variare ugualmente tensione nei raggi, che quindi si comportano come in una ruota tradizionale.
Come è possibile?
Grazie a un processo brevettato di Syncros. Nella fase in cui inseriamo il mozzo nella parte centrale della ruota e lo incolliamo, riusciamo a portare la tensione nei raggi. Nella ruota normale, lo fai tirando i nipples, qui lo facciamo attraverso il mozzo e tirando le due flange della ruota. E’ tutto ottimizzato al meglio.
Ottimizzato cosa?
L’interazione fra tutte le parti che compongono la ruota. La forma dei raggi, il numero di raggi, la posizione dei raggi perché lavorino perfettamente con la forma del cerchio. Lavorando su un unico pezzo, non abbiamo dovuto integrare una serie di componenti, ma abbiamo sviluppato una singola entità.
La ruota è un unico pezzo in carbonio: la tensione dei raggi avviene tramite il mozzoIl mozzo è incollato alla struttura e la tensione che si crea durante l’incollaggio determina quella dei raggiEcco il momento dell’inserimento manuale del corpo del mozzo all’interno del centro della ruota SyncrosLa ruota è un unico pezzo in carbonio: la tensione dei raggi avviene tramite il mozzoIl mozzo è incollato alla struttura e la tensione che si crea durante l’incollaggio determina quella dei raggiEcco il momento dell’inserimento manuale del corpo del mozzo all’interno del centro della ruota Syncros
Ci fai un esempio?
Non avere i nipples significa ad esempio che non abbiamo bisogno di rinforzare l’area in cui i raggi si inseriscono nel cerchio. E’ tutto nello stesso layup. Guardando con attenzione, si può notare la fibra del raggio che arriva alla flangia. Il raggio che proviene dal mozzo va verso il cerchio e lo attraversa. Anche i raggi si incrociano, ma non sono incollati uno sull’altro. Sono davvero fibre che si sovrappongono e si fondono insieme. Il carbonio o i compositi danno il meglio quando vengono utilizzati sotto tensione e il raggio per natura è sotto tensione. Quindi l’uso dei raggi in carbonio aveva molto senso e ci ha permesso di mettere a punto la geometria e la forma dei raggi in modo che abbiano un profilo aerodinamico.
Quale forma hanno?
Sono schiacciati, ma abbiamo aumentato un po’ la loro sezione, arrivando a renderli il 35% più resistenti di un raggio d’acciaio. Questo ci ha permesso di ridurne il numero, infatti abbiamo solo 16 raggi e grazie ai quali otteniamo anche un ottimo risultato aerodinamico. La stessa assenza dei nipples concorre a questo risultato, grazie a forme assolutamente fluide.
Ruote hookless per tubeless: unica opzione?
Crediamo che sia il futuro. La ruota per la crono è larga 23 millimetri, questa che vi sto mostrando è da 25, per cui la dimensione minima del pneumatico da utilizzare è 28. Non abbiamo bisogno di nastro sulle ruote perché escono dallo stampo perfettamente lisce. In questo modo il team sta risparmiando qualcosa fra i 300 e i 400 grammi rispetto alla configurazione che avevano prima e ne sono entusiasti.
Nessuna soluzione di continuità fra raggio e cerchio: l’aerodinamica ne risulta miglioreIl cerchio è hookless e tubeless ready: unica ricetta possibile secondo SyncrosNessuna soluzione di continuità fra raggio e cerchio: l’aerodinamica ne risulta miglioreIl cerchio è hookless e tubeless ready: unica ricetta possibile secondo Syncros
Quali feedback avete avuto dai corridori in termini di resa?
Prima si sono stupiti per la reattività delle ruote, perché sono più leggere di quelle che avevano prima. Poi, dopo averci pedalato più a lungo, si sono molto sorpresi dalla stabilità. Quindi abbiamo lavorato molto nello sviluppo dell’aerodinamica per assicurarci che i venti trasversali non influiscano troppo sulla stabilità di guida e le loro valutazioni vanno tutte in questo senso. Un altro aspetto che li ha sorpresi è il comfort. Le ruote possono sembrare un po’ troppo rigide, ma non lo sono. Rimangono elastiche e confortevoli.
Sono ruote per il solo uso crono?
No, in realtà sono state sviluppate anche per l’uso gravel, ovviamente con pneumatici più grandi. Abbiamo appena detto che la misura più redditizia di pneumatico sia la 29, in realtà si può arrivare fino a pneumatici da 50. Tuttavia, queste non sono ruote da mountain bike, quindi bisognerebbe restare in un corretto utilizzo gravel. E poi ovviamente si potranno usare nelle gare su strada. Qui al Tour abbiamo portato la versione più leggera, quindi con cerchio da 40 millimetri, ma si può salire senza problemi.
Al Tour ha debuttato anche la nuova ruota a disco.
Parte da una base simile a quella della ruota anteriore, come ci è stato richiesto dal team. Dopo i primi test di giugno 2022, infatti, ci hanno chiesto di sviluppare la lenticolare posteriore. In pratica partendo da un disco da 40, abbiamo applicato due copertureaerodinamiche, una per lato.
Lui è l’americano Kevin Vermaerke, migliore del Team DSM-Firmenich nella crono di ComblouxQuesta la Plamsa RC da crono del Team DSM-Firmenich con entrambe le ruote SyncrosLa lenticolare nasce dalla base dell’anteriore, con l’aggiunta dei due dischi laterali: peso di 970 grammiLui è l’americano Kevin Vermaerke, migliore del Team DSM-Firmenich nella crono di ComblouxQuesta la Plamsa RC da crono del Team DSM-Firmenich con entrambe le ruote SyncrosLa lenticolare nasce dalla base dell’anteriore, con l’aggiunta dei due dischi laterali: peso di 970 grammi
Quindi il disco non è portante?
No, c’è sotto la struttura in carbonio. Gazie a questa costruzione e alle nostre ruote super leggere come base, abbiamo raggiunto la ruota a disco più leggera del mercato. Quindi il peso finale è di 970 grammi con specifiche molto moderne, quindi canale da 25 millimetri, cerchio hookless tubeless ready. Questo per noi è il futuro.
Sono serviti davvero 5 anni?
Cinque anni di sviluppo, da quando abbiamo lanciato le Silverton SL. Avevamo appena iniziato lo sviluppo della versione strada. Nel 2018 siamo passati nella galleria del vento, distaccando sul progetto due ingegneri che ci hanno lavorato a tempo pieno per cinque anni. Ora le ruote esistono e vengono prodotte come i nostri telai in Asia, perché sono i migliori partner e hanno la tecnologia più avanzata. In Europa non esistono realtà industriali di questo livello.
Al primo anno da direttore sportivo, Marco Marcato guida l'ammiraglia UAE Emirates che ogni giorno va in avanscoperta. E intanto scopre mille cose nuove
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Difficile dire se Tadej Pogacar abbia trovato in Jonas Vinegaard la sua bestia nera. I segnali ci sono, ma lo sloveno scherzando ha raccomandato di non avere troppa fretta. Ha ragione, ma crediamo che nel suo team si dovrà fare un’attenta valutazione dei margini su cui intervenire per rendere lo sloveno ancora più incisivo.
Il 27 luglio del 2014, Nibali vince il Tour. La preparazione fu perfetta, ma anche molto impegnativaIl 27 luglio del 2014, Nibali vince il Tour. La preparazione fu perfetta, ma anche molto impegnativa
Come Nibali contro Sky
Pogacar è un talento straordinario, bello da veder correre, entusiasmante negli scatti e nelle volate, ma gli è arrivato fra le ruote un bel bastone nocchiuto e spesso. Un avversario che riesce a imporsi sacrifici quasi monacali, che ha numeri da grande scalatore e alle spalle una squadra che vive le sfide allo stesso modo. Per Pogacar non è semplice staccare in salita un corridore costruito nei dettagli come il danese. C’è bisogno di lavori specifici, probabilmente servirà scendere di peso, forse cambiando in parte le sue caratteristiche.
In qualche misura sembra di rivivere il dilemma di Nibali, quando decise di puntare con decisione sul Tour de France. Non che prima non lo avesse fatto, ma la legge di Sky era inesorabile. E quando nel 2012 Vincenzo arrivò terzo a quasi 7 minuti da Wiggins e Froome, si capì che per sfidarli sul loro terreno sarebbe stato necessario avere la loro stessa maniacalità. Il Tour del 2014 nacque in questo modo. Vincenzo si trasformò in una vera macchina da guerra. Non rinunciò alla sua imprevedibilità, ma è certo che si presentò al via tirato e allenato come mai fino a quel punto e come mai sarebbe tornato negli anni successivi.
Prima del Tour, Vingegaard e Pogacar si sono incontrati alla Parigi-Nizza, poi strade diversePrima del Tour, Vingegaard e Pogacar si sono incontrati alla Parigi-Nizza, poi strade diverse
Obiettivi da scegliere
Non crediamo che il problema di Pogacar sia tanto nelle troppe corse di primavera. Conteggiando anche i giorni del Tour, Tadej ha 42 giorni di gara contro i 46 di Vinegaard. Tadej ha partecipato a 2 corse a tappe prima del Tour e le ha vinte entrambe. Vingegaard ne ha corse 4 e solo in una è finito secondo (dietro Pogacar alla Parigi-Nizza) e le altre le ha vinte.
Quel che c’è di diverso forse è il recupero fra una gara e l’altra e il tempo per costruire la forma del Tour. Quante giornate ha dedicato Vingegaard ai sopralluoghi delle tappe? Tante, a sentire i suoi racconti. Probabilmente più di quelli dedicati da Pogacar. E’ chiaro che il danese ha potuto farlo avendo nel Tour il suo obiettivo primario, un po’ come Froome a suo tempo, che vinceva le gare a tappe WorldTour (dal Catalunya al Delfinato), ma solo come passaggi verso il traguardo superiore.
Pogacar dovrà rinunciare a giocarsi il Fiandre e la Liegi? Questa è sicuramente la sfida che dovrà raccogliere e affrontare.
Quando corre Pogacar, il resto della UAE Emirates può solo tirareQuando corre Pogacar, il resto della UAE Emirates può solo tirare
Un solo capitano
Il Tour è fatto di una costruzione maniacale. Se tutti seguissero lo stesso calendario, allora forse il talento sarebbe sufficiente per fare la differenza. Ma così non è e anche il talento immenso di Pogacar rischia di non bastare se messo al confronto con l’approccio metodico della Jumbo-Visma. E qui il discorso segue un’altra ansa.
Crediamo che anche Vingegaard potrebbe essere protagonista alla Liegi o alla Freccia Vallone, ne ha tutte le qualità. Però ha scelto (finora) di concentrarsi sul Tour e la squadra ha dirottato verso le classiche altri atleti che si chiamano Van Aert, Laporte, Benoot e a volte anche Roglic. Alla UAE Emirates invece questo non succede. I corridori ci sarebbero, ma quando corre Pogacar, agli altri tocca tirare. Lo sanno, lo accettano, difficilmente potrebbero fare altrimenti. Ma tutto questo va a favore di Pogacar?
Mentre Vingegaard lavora per il Tour, alle classiche pensano Van Aert e gli altriMentre Vingegaard lavora per il Tour, alle classiche pensano Van Aert e gli altri
Strade diverse
Certo il suo palmares è da stella assoluta e può di certo bastargli. Ha vinto due Tour, il Fiandre, la Liegi, la Freccia Vallone. Ma gli sta bene arrivare secondo al Tour, dietro uno che nella Grande Boucle ha scelto di specializzarsi? La scelta da fare è questa e deve farla Pogacar, non certo i suoi capi. Anche perché, visto il suo approccio meraviglioso al ciclismo, viene da chiedersi se Tadej sarebbe effettivamente capace di imporsi quello stile di vita così schematico nel nome della grande conquista. O se invece questo finirebbe con il logorarlo.
Già pochi mesi fa, Tadej ammise che una carriera non può durare tanto correndo sempre al 100 per cento e questa è una considerazione applicabile più a lui che al rivale. I più esperti dicono che la fine dipenda più dall’usura mentale che dal logorio atletico. E se il rischio è che Tadej, svuotato del divertimento, molli improvvisamente tutto, allora vale la pena fare un supplemento di riflessione. Vale la pena snaturarsi per inseguire Vingegaard al Tour?
Forse no, ma diventa necessario se quello è l’obiettivo. Se invece l’obiettivo è dare spettacolo, divertirsi e far appassionare ancora più tifosi, allora qualcuno potrebbe proporgli strade alternative. Esistono anche il Giro d’Italia o la Vuelta, restando lontani dall’ossessione del Tour, che già troppi talenti ha stremato per amore di quel giallo così squillante.
Lo scatto di Tiberi non cambierà la storia del Giro, ma forse inizia a scrivere quella di Antonio. Pogacar vince a Prati di Tivo, dietro qualcosa si muove
Mentre i principali team (invero più esteri che italiani) si davano battaglia al Giro della Valle d’Aosta, il Trofeo Bottecchia disputato a Fossalta di Piave ha messo in mostra un diciannovenne che a dispetto dell’età è già una vecchia conoscenza per gli appassionati. Mirko Bozzola ha colto sulle strade venete la sua seconda vittoria da under 23 e non è una cosa da poco, visto che parliamo del vincitore del Gran Premio Liberazione 2022 da junior, l’autore di quella fuga a lunga gittata che lasciò molti a bocca aperta, considerando le caratteristiche del percorso romano.
Da allora Bozzola è cresciuto, ha cambiato categoria, si è posto di fronte a un mondo nuovo, a un nuovo team (la Zalf Euromobil Desirée Fior), a nuovi compiti con grande umiltà, ma col passare delle settimane e la crescita di condizione sono riemerse le caratteristiche che lo avevano messo in evidenza lo scorso anno.
«In questi mesi – racconta il piemontese – sono cambiate molte cose, mi sono dovuto adattare a un ciclismo diverso, fatto di nuove tabelle di preparazione, di gare su distanze più lunghe, di un modo di correre al quale non ero abituato. In fin dei conti mi sono ambientato in fretta, ora posso dire che il periodo di ambientamento è finito».
Bozzola intervistato dopo la vittoria, la seconda quest’anno dopo quella di giugno al Memorial Maule (Photors)Bozzola intervistato dopo la vittoria, la seconda quest’anno dopo quella di giugno al Memorial Maule (Photors)
Ti aspettavi di più o di meno dal cambio di categoria?
Penso di essere andato al di là delle mie previsioni: non avrei mai detto che sarei arrivato a metà luglio con due vittorie individuali più una cronosquadre e qualche piazzamento ai vertici. Il bilancio è ben più che positivo.
Eppure un periodo di apprendistato è stato necessario…
Non poteva essere altrimenti. Le gare sono più dure, bisogna imparare a gestirsi, nelle energie e anche mentalmente. Con il caldo poi è importante bere spesso e fare tutto quel che il team consiglia, la cotta è dietro l’angolo. Io riesco a muovermi bene e devo dire che rispetto allo scorso anno sono anche meno controllato, forse perché sono un novizio della categoria.
Lo scorso anno all’indomani della tua vittoria romana dicevi di dover migliorare su molti aspetti. Dopo un anno noti di aver fatto progressi?
In generale sì, ma c’è ancora molto da fare. Sicuramente devo lavorare ancora molto sul mio rendimento in salita, a inizio stagione pagavo dazio più frequentemente di quanto avviene ora, ma so che posso fare molto meglio. Lo spunto veloce è rimasto, anzi posso dire che noto dei miglioramenti nella potenza e nei wattaggi, ma non voglio certo fermarmi.
Ottimo passista, Bozzola deve ancora migliorare il suo rendimento in salita (Photors)Ottimo passista, Bozzola deve ancora migliorare il suo rendimento in salita (Photors)
Che cosa ti è piaciuto di più della tua ultima vittoria?
Non è stata facile. Era una corsa piatta e lunga nella quale si era avvantaggiato un gruppetto di otto atleti. Io ho fatto un grande sforzo per riaccodarmi e visto che nessuno dava nuova linfa alla fuga ho attaccato insieme a Giovanni Gazzola (Sissio Team), per poi staccarlo e farmi gli ultimi 30 chilometri da solo, con il gruppo sempre vicino, ma alla fine ho conservato una decina di secondi di vantaggio.
A ben guardare non è una meccanica di corsa molto diversa da quella del Liberazione 2022, è quasi diventata un tuo marchio di fabbrica…
E’ questo il modo che preferisco, non mi piace aspettare la volata, voglio prendere io l’iniziativa, anche perché poter arrivare da soli al traguardo, godersi quegli ultimi metri sapendo di non essere più raggiunto ha un sapore particolare, dolcissimo, impagabile.
Il piemontese è al suo primo anno alla Zalf, nella quale si è ben integrato nei suoi meccanismi (Photors)Il piemontese è al suo primo anno alla Zalf, nella quale si è ben integrato nei suoi meccanismi (Photors)
Come ti trovi alla Zalf?
Molto bene, è un team unito nel quale si corre molto per la squadra pensando sempre a fare risultato. Il principio di base è che quel che conta è il team, non è un caso se la mia sia stata la dodicesima vittoria dall’inizio dell’anno.
I più anziani ti hanno preso sotto la loro ala?
Non vedo tantissimo i miei compagni, se non in occasione delle gare, visto che mi alleno a casa. In corsa ci si aiuta tutti ed è normale ad esempio che un quarto anno si metta al servizio di un primo. Devo dire comunque che è capitato spesso come i più anziani mi abbiamo dato utili consigli per approcciarmi a questo mondo, è anche per questo che alla Zalf mi trovo bene.
A Fossalta di Piave il novarese ha preceduto di 10″ il gruppo regolato da Zurlo (foto Italiaciclismo)A Fossalta di Piave il novarese ha preceduto di 10″ il gruppo regolato da Zurlo (foto Italiaciclismo)
Con una prima stagione da under 23 già briillante, iniziano a farsi sentire le sirene dei team professionistici, soprattutto di quelli con una filiera alle spalle per far crescere i propri atleti più giovani. Stai già pensando a un futuro da pro’ o pensi che ci sia tempo?
Forse sarò all’antica, ma credo che un paio d’anni nella categoria siano necessari, per fare esperienze e crescere anche mentalmente. Il prossimo anno se ne parlerà, non dico certo di no a un team Devo con alle spalle una grande squadra magari del WorldTour, ma passare adesso sarebbe un salto nel buio, credo di dover ancora imparare tanto e nel team attuale posso farlo.
Oltretutto c’è ancora da “svezzarti” a livello di corse a tappe…
Ho fatto il Giro del Veneto ed è servito molto per crescere di condizione, ma una corsa a tappe è qualcosa di completamente diverso dalle gare alle quali si partecipa abitualmente, ci sono molti aspetti da considerare, imparare a gestirsi. Lì mi è stato molto utile essere a contatto con chi aveva più esperienza, ma ho anche capito che ho molto da imparare.
Non deve essere facile stare in piedi lì accanto per il secondo anno consecutivo. Ci sono corridori che potrebbero costruirsi la carriera su un secondo posto al Tour e due tappe vinte, se però ti chiami Tadej Pogacar, forse non basta. Perciò quando parla nell’ultima conferenza e nelle dichiarazioni spizzicate qua e là, sembra che torni a casa da un impegnativo viaggio di istruzione.
«Ovviamente il desiderio era vincere – dice – ma considerando tutto, penso che il secondo posto sia un risultato davvero straordinario per la squadra e anche per me. Quindi sì, sono super felice di essere di nuovo qui a Parigi, soprattutto sul podio. E per l’ultima volta in maglia bianca. Non sono più giovane… (sorride, ndr)».
La maglia bianca e quella a pois: una stretta di mano con Ciccone alla fine del TourLa maglia bianca e quella a pois: una stretta di mano con Ciccone alla fine del Tour
Come te la sei cavata a gestire alti e bassi?
Sapevo che prima o poi sarebbero venuti giorni come quello di Courchevele, se non giorni, magari dei momenti. Non credo che rimarrà l’ultima volta in cui qualcuno mi spingerà al limite. Credo di poter imparare qualcosa da quanto è successo. E se dovesse capitare ancora, saprò cosa aspettarmi.
Si sta parlando molto della tua rivalità con Vingegaard, che cosa si può dire di più?
Stiamo correndo in un ciclismo bellissimo e ci spingiamo l’un l’altro al limite. Penso che in questo momento possiamo essere tutti felici per come stiamo correndo. Al contempo, dobbiamo anche pensare che è solo una gara ciclistica e che dobbiamo goderci ogni momento che possiamo avere.
Sabato, verso Le Markstein, il primo giorno di sensazioni come nella prima settimana. Vingegaard nella sciaSabato, verso Le Markstein, il primo giorno di sensazioni come nella prima settimana. Vingegaard nella scia
Parli bene, ma sei il primo a storcere il naso. Ieri hai ricevuto le congratulazioni per la vittoria di tappa, pensi di meritarle oggi per il secondo posto?
Nessuno dovrebbe congratularsi con me (ride, ndr), se non ne ha voglia. Sono molto contento di tutto ciò che questo Tour mi ha portato. Due vittorie di tappa, due di noi sul podio, il secondo posto per la squadra nella classifica finale e ancora la maglia bianca. Per me questo rimane un buon Tour e un’ottima stagione. Qualcosa di cui vado fiero, nonostante gli alti e bassi.
Che cosa c’è stato sabato di diverso, che ti ha permesso di vincere?
Mi sono sentito di nuovo me stesso, è stata questa la grande differenza. Non lo sono mai stato nell’ultima settimana e le persone più vicine se ne erano accorte. Sul Joux Plane e prima sul Grand Colombier, non avevo un bell’aspetto e infatti non mi sentivo benissimo. Giorno dopo giorno stavo peggiorando. Ma per quello che mi è successo sul Col de la Loze, davvero non ho spiegazioni.
Gianetti ribadisce che Pogacar è il più forte al mondo perché lotta in tutte le gareGianetti ribadisce che Pogacar è il più forte al mondo perché lotta in tutte le gare
Come lo hai affrontato?
Tutti sperimentano qualcosa di simile ad un certo punto della loro carriera. Uno di quei giorni in cui ti senti inutile. Per questo sono felice di essermi ripreso a fine Tour. Sono andato in giro pallido per una settimana, ora sulla mia faccia c’è di nuovo colore.
Dopo quelle sconfitte, ti è venuto in mente di programmare diversamente la stagione?
Non so perché dovrei, mi piacciono le sfide. Quest’anno la mia grande sfida è stata vincere prima la Parigi-Nizza e poi fare del mio meglio nelle tre grandi classiche: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre e Liegi-Bastogne-Liegi. Ho provato a vincerle tutte e tre. Faremo diversamente il prossimo anno? Adesso è troppo presto. Tutto quello che posso dire è che al 90 per cento tornerò al Tour e proverò a vincerlo di nuovo.
Nella tappa di Parigi, Pogacar ha lavorato negli ultimi giri per tenere davanti i compagni allo sprintNella tappa di Parigi, Pogacar ha lavorato negli ultimi giri per tenere davanti i compagni allo sprint
Intanto Giannetti continua a definirti il miglior ciclista del mondo, perché fai tutte le gare.
Adoro il ciclismo e a primavera sono sempre in forma. Perché non usare quella forma per una gara come il Giro delle Fiandre? Ecco chi sono, cosa mi piace fare e ciò di cui sono orgoglioso. Posso competere in molte competizioni diverse, su tutti i terreni.
Hai imparato qualcosa da questo Tour?
Che quando mi sento super male, posso ancora soffrire: questa per me è la lezione più grande. Ho imparato anche che vale la pena continuare a mordere. Per questo voglio anche ringraziare tutti coloro che hanno continuato a motivarmi: la mia squadra, la famiglia, i fan, persino le persone sui social media… Devi sopravvivere al brutto momento e continuare a sperare in momenti migliori. Alla fine ne vale la pena.
La crisi di Courchevel è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo: con lui è rimasto Marc SolerLa crisi di Courchevel è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo: con lui è rimasto Marc Soler
Verrai al Giro?
Il Giro è una delle mie corse preferite e non sono mai riuscito a farlo. Posso dire solo che è difficile. Il Tour resta il Tour, il più grande di tutti. E combinarli e fare per due volte la classifica generale, è quasi impossibile nel ciclismo moderno. Inoltre, la mia fame di vincere ancora il Tour dopo questi due secondi posti è solo aumentata.
Sarai ai mondiali?
Se me lo aveste chiesto due giorni fa, avrei sicuramente detto di no. Ora non lo so. Vedremo come mi sento quando torno a casa la prossima settimana e mi rilasso un po’. Il fatto è che il mondiale di quest’anno è complicato, arriva in un brutto momento. D’altra parte, mi è sempre piaciuto correrlo. Quindi non prometto niente, ma vorrei andarci.
SAINT JEAN DE MAURIENNE – Le ultime tre tappe del Tour de l’Avenir si correranno sulle Alpi. E’ da queste parti che si deciderà la corsa a tappe under 23 più prestigiosa. La nazionale di Marino Amadori oggi approda in terra francese, approfittando della vicinanza con il ritiro di Sestriere, per ispezionare due tappe: 7a e 7b. La prima è una cronoscalata di 11 chilometri, la seconda è una semitappa che si correrà nel pomeriggio. 80 chilometri tutti movimentati con arrivo al lago del Mont Cenis, dove i volti e le fatiche degli atleti si specchieranno nelle acque gelide.
Ore 9,30 prima della partenza per visionare le due tappe dell’Avenir una sistemata agli ultimi dettagliOre 9,30 prima della partenza per visionare le due tappe dell’Avenir una sistemata agli ultimi dettagli
La cronoscalata
L’ammiraglia con all’interno lo staff della nazionale parte alle 9,30 dal parcheggio di questo paesino francese, in cui vengono prodotti da sempre i celebri coltelli Opinel. Noi ci accomodiamo sul sedile posteriore ed entriamo nel clima del ritiro. Le casette color pastello contornano la strada fino all’attacco della salita: 11 chilometri verticali, tosti ma regolari.
«La pendenza è costante – dice Piganzoli una volta ritornati in hotel – in 11 chilometri si sale di 900 metri. Sarà una mezz’ora importante di sforzo continuo, i tanti tornanti daranno una mano a respirare e tenere alta la velocità».
«Saranno da gestire bene i wattaggi – gli fa eco Romele – sicuramente daremo il massimo per fare bene. Si potrà fare maggiore differenza nell’ultima metà, dove le pendenze, forse, diventano un po’ più impegnative e la fatica aumenterà. Il fatto che poi nel pomeriggio ci sarà una semitappa renderà tutto ancora più difficile».
Dalla macchina Amadori osserva e parla con i ragazzi, il primo ad affiancarsi alla macchina è De Pretto, che sembra soddisfatto della tappa. «E’ una bella salita – dice dopo il breve colloquio il cittì – non è per tutti. Nella linea della corsa potrebbe scombussolare la classifica»
Amadori: «Te gusta la cronoscalata?» L’espressione di Piganzoli fa intuire facilmente la rispostaIn cima una breve sosta e un confronto sull’alimentazione e i prodotti usatiAmadori: «Te gusta la cronoscalata?» L’espressione di Piganzoli fa intuire facilmente la rispostaIn cima una breve sosta e un confronto sull’alimentazione e i prodotti usati
Parola d’ordine: recupero
La mattina, quindi, gli atleti saranno impegnati nella cronoscalata, mentre nel pomeriggio partirà la semi-tappa. Il riposo ed il recupero saranno importanti, anzi, fondamentali. Soprattutto per chi dovrà curare la classifica generale, ed in breve tempo sarà chiamato a fare due sforzi importanti.
«Saremo a fine Avenir – racconta Bruttomesso – non sarà facile accumulare ancora tanta fatica nelle gambe. Recuperare dopo lo sforzo della cronoscalata sarà importante, in più bisognerà integrare, così da non arrivare scarichi alla fine. E’ un giorno da 91 chilometri totali con 3.000 metri di dislivello, non banale ecco».
Ore 11, seconda sosta, questa volta in valle, dove il vento è a favoreOre 11, seconda sosta, questa volta in valle, dove il vento è a favore
Fattore vento
Poche ore dopo lo sforzo della cronoscalata quindi si torna in sella, direzione Mont Cenis. Arrivo in quota: 2.053 metri. Una tappa corta ma esplosiva, con tanta salita e il fattore vento pronto a mischiare le carte nel mazzo.
Nel trasferimento verso il Mont Cenis, Amadori viene chiamato da Coden, diesse di Jacopo Venzo alla Campana Imballaggi, lo junior deceduto sulle strade del Giro dell’Austria. Dall’altra parte del telefono ci sono anche i genitori del ragazzo, il silenzio cala subito e le parole sono difficili da trovare in un momento così. Tornare concentrati sul lavoro è difficile, ma bisogna trovare le forze per farlo, davanti i ragazzi ignari continuano a pedalare.
«Questa mattina – spiega Pellizzari – in valle c’era vento a favore, una cosa che ci ha aiutato. E’ anche vero che le condizioni del vento potrebbero cambiare e rischiamo di averlo frontale».
«Bisogna capire da che parte gira il vento nella valle al pomeriggio – analizza Bruttomesso – non è detto che cambi. Anche qui ci è capitato di tornare a un orario ed avere il vento a sfavore. Mentre il pomeriggio successivo, alla stessa ora, era diventato favorevole. Se nella valle del Mont Cenis ci troveremo vento a favore, partiremo ancora più a blocco. Con il vento contro la corsa potrebbe essere più facile da controllare, perché appena esci rimbalzi indietro. A queste condizioni la fuga potrebbe far fatica a guadagnare minuti, mentre in gruppo si risparmiano energie».
I ragazzi di Amadori hanno coperto la salita finale ognuno con il proprio ritmo, a seconda dei lavori da svolgereNon è mai mancato il buon umore, nonostante l’attenzione sia alta, l’Avenir non è una corsa da sottovalutareI ragazzi di Amadori hanno coperto la salita finale ognuno con il proprio ritmo, a seconda dei lavori da svolgereNon è mai mancato il buon umore, nonostante l’attenzione sia alta, l’Avenir non è una corsa da sottovalutare
Due salite intermedie
Nella seconda semitappa le salite saranno tre, compresa la scalata finale al Mont Cenis. Le prime due salite si imboccano dalla statale. Nella prima la strada si restringe ed al termine c’è una discesa non facile da interpretare.
«Discesa nervosa – parla Romele – strada stretta ed arrivi in fondo e la strada torna subito a salire. Il rischio è che il gruppo nella discesa si allunghi a causa della carreggiata stretta ed una volta tornati sulla statale si possa frazionare, soprattutto se il vento sarà contrario. Le posizioni saranno importanti, la salita si farà ad alta velocità ma a ruota si sta bene, difficile allungare il gruppo. Anzi la lotta per la testa del gruppo diventerà serratissima».
«Nella prima salita – replica Bruttomesso – si può fare velocità, è da rapporto. Anche la seconda non è difficile, e la strada sarà più larga. Una volta in cima si scende un po’ ma poi si risale subito. Parlavamo con Busatto, la carreggiata è larga, ma il fondo non è regolare, quindi non sarà semplice scendere bene, si dovranno tenere gli occhi aperti».
Al secondo stop per riempire le tasche e le borracce Amadori fa notare il ritmo basso secondo lui. Piganzoli risponde con i dati, in tre ore media di 29 chilometri orari e 2.200 metri di dislivello. Un buon passo per essere una perlustrazione.
L’arrivo della 2ª semitappa arriva dopo quattro chilometri dallo scollinamento del passo del Mont CenisOre 14, gli azzurri completano le sue tappe, discesa e ritorno in ItaliaL’arrivo della 2ª semitappa arriva dopo quattro chilometri dallo scollinamento del passo del Mont CenisOre 14, gli azzurri completano le sue tappe, discesa e ritorno in Italia
Il Mont Cenis
Una volta tornati sulla strada principale partirà la scalata al Mont Cenis. Non una salita dura, ma una volta arrivati all’inizio della scalata le fatiche nelle gambe saranno molte.
«la scalata finale – dice Piganzoli – è difficile, non dura, ma sale tanto all’inizio e alla fine. Poi una volta scollinati, gli ultimi quattro chilometri sono un continuo su e giù accanto al lago. Se in quel punto non hai calcolato bene lo sforzo e ti trovi vento contrario, fai prima a girare la bici e tornare indietro. E’ un tratto dove comunque si deve spingere per fare velocità».
«La semi-tappa del pomeriggio – conclude Romele – non sarà troppo dura, ma arriva dopo una serie di sforzi non indifferenti. La differenza vera la farà il ritmo con la quale sarà corsa, se una squadra decide di andare forte fin da subito si possono fare tanti danni. La vedo più come una serie di fatiche che nel giorno successivo, dove scaleremo l’Iseran, si faranno sentire».
I ragazzi di Amadori scendono fino a valle e mettono insieme cinque ore di allenamento. Una volta cambiati e risaliti sul pulmino ridono e scherzano sulla giornata. Si apre Strava per controllare i segmenti e le prestazioni degli altri. Staune-Mittet, uno degli avversari più temuti per l’Avenir, ha messo insieme sei ore di allenamento con più di 4.000 metri di dislivello. La sfida si accende.
Due squadre italiane sono state protagoniste del Tour of Qinghai Lake, corsa a tappe che ha rappresentato il ritorno in Cina del ciclismo dopo molto tempo (foto Facebook in apertura). Con la prova che durava ben 8 giorni, si può dire che il lungo periodo legato al Covid sia finalmente alle spalle anche nel ciclismo e che si riapre un filone di gare che fino al 2020 era stato fondamentale per una larga fetta del movimento al di sotto del WorldTour.
Non si tratta di gare dal livello eccelso, questo è chiaro, ma molte squadre hanno sempre avuto nel mercato cinese un approdo importante, una buona parte della propria attività, grazie anche agli inviti degli organizzatori e ai contributi alle spese generali. In quest’occasione c’erano 5 squadre professional, fra cui due italiane, Team Corratec e Green Project Bardiani Faizané e attraverso i loro diesse presenti al via – Francesco Frassi e Luca Amoriello – abbiamo voluto saperne di più, non solo degli aspetti agonistici della corsa, ma anche di tutto il contorno.
Per Mulubrhan secondo giro a tappe vinto nel 2023 dopo il Tour of Rwanda (foto Tour of Qinghai Lake)Per Mulubrhan secondo giro a tappe vinto nel 2023 dopo il Tour of Rwanda (foto Tour of Qinghai Lake)
Che Cina avete trovato dopo tre anni?
FRASSI: «Io ero alla mia settima volta in Cina e, se devo essere sincero, differenze non ne ho trovate. Ho visto tantissimo entusiasmo per il ritorno delle ruote europee e un’organizzazione impeccabile».
AMORIELLO: «Ho trovato un’organizzazione ben allestita e molto precisa. Quante differenze con la mia prima esperienza nel 2012, soprattutto come alberghi tutta un’altra storia… Sul piano della sicurezza poi i cinesi sono vere macchine da guerra, un’attenzione perfino maniacale. E rispetto a prima del Covid ho visto anche molti miglioramenti come pulizia dei locali».
Quanto conta ritrovare le gare cinesi nel calendario?
FRASSI: «Molto, è importante per un team come il nostro anche perché danno molti punti per il ranking Uci, noi ad esempio ne abbiamo portati a casa 293, un bottino mica male… Questa poi era importante perché ci permetteva di riempire il mese di luglio, solitamente un po’ scarno di gare».
AMORIELLO: «Avere queste gare è un’appendice fondamentale per la nostra attività, accresce l’esperienza internazionale in contesti molto diversi da quelli a cui siamo abituati. A gare simili puntiamo molto».
Maltempo fuori, cena in camera cucinando in proprio…Il team della Corratec al via, alla fine due vittorie di tappa e podio finale per BaldacciniLa pasta è stata l’alimento primario, per non correre rischiLa vittoria di Baldaccini nella terza tappa, battendo fagundez (URU)Alla partenza ecco la grande calca di tifosi e giornalisti cinesiLa volata di Viviani nella sesta tappa, con Zanoncello terzoMaltempo fuori, cena in camera cucinando in proprio…Il team della Corratec al via, alla fine due vittorie di tappa e podio finale per BaldacciniLa pasta è stata l’alimento primario, per non correre rischiLa vittoria di Baldaccini nella terza tappa, battendo fagundez (URU)Alla partenza ecco la grande calca di tifosi e giornalisti cinesiLa volata di Viviani nella sesta tappa, con Zanoncello terzo
In quanti vi siete mossi per la trasferta e con quanto materiale?
FRASSI: «Noi eravamo una dozzina, con 7 corridori, due massaggiatori, due meccanici. L’organizzazione ci ha messo a disposizione, come per tutte le squadre, un’ammiraglia e un camion per i materiali. Avevamo a disposizione 11 bici, poi ci siamo portati dietro pezzi di ricambio, ruote e molto cibo. Diciamo che ci siamo affidati all’esperienza che avevo assommato nelle mie tante presenze precedenti».
AMORIELLO: «Siamo partiti dall’Italia in 12, trovando poi Henok Mulubrhan direttamente in Cina, proveniente dalla sua Eritrea. Avevamo 7 corridori in tutto, tre massaggiatori, due meccanici e il sottoscritto. Ci hanno dato un’auto e un camioncino, poi i corridori erano portati direttamente con pullmini agli alberghi. Questa è stata la grande novità: le gare finivano dove sarebbero ripartite il giorno dopo, con alberghi in zona. Questo ci ha fatto guadagnare molto tempo e risparmiare energie».
Per il mangiare come vi siete regolati?
FRASSI: «Abbiamo portato molto cibo da casa: pasta, tonno e carne in scatola, parmigiano oltre a tanti integratori. Ci preparavamo da mangiare da soli, un giorno tra l’altro pioveva così tanto che siamo rimasti nelle camere e ci siamo arrangiati lì, d’altronde ci eravamo portati anche una piastra a induzione proprio per essere indipendenti».
AMORIELLO: «Le esperienze del passato ci sono state utili, abbiamo portato tutto il necessario, dalla pasta alle scatolette di tonno e salmone e tanto altro. Cucinavamo direttamente nel ristorante, una pentola di un paio di chili di pasta, poi univamo verdure cotte, unica concessione alla cucina locale considerando che era molto speziata e non volevamo correre rischi».
I tantissimi bagagli della Green Project all’aeroporto di partenzaPrima della gara visite mediche per tutti, qui NieriL’arrivo della carovana a Qilian, con grandi feste locali (foto Tour of Qinghai Lake)La piastra a induzione si è rivelata fondamentaleGrandi strade e spazi enormi, pedalando sempre oltre i 2.000 metriPer il team 2 vittorie di tappa, classifica generale e maglia di miglior scalatore (foto Tour of Qinghai Lake)I tantissimi bagagli della Green Project all’aeroporto di partenzaPrima della gara visite mediche per tutti, qui NieriL’arrivo della carovana a Qilian, con grandi feste localiLa piastra a induzione si è rivelata fondamentaleGrandi strade e spazi enormi, pedalando sempre oltre i 2.000 metriPer il team 2 vittorie di tappa, classifica generale e maglia di miglior scalatore (foto Tour of Qinghai Lake)
Che tipo di corsa avete trovato?
FRASSI: «Non era una gara facile, anche perché oltre alla lunghezza bisogna mettere in conto che si viaggiava sempre in altura, mai sotto i 2.000 metri. I nostri ragazzi venivano da uno stage a Livigno, praticamente hanno continuato la loro permanenza in altura. Un dato interessante è che abbiamo monitorato i nostri durante l’intera corsa: la loro saturazione d’ossigeno non saliva mai sopra i 93, considerando che normalmente si è a 98-100. Quando si abbassa così ci vuole adattamento, ma lavorando tutti i giorni in fuorisoglia non sale».
AMORIELLO: «Nel calendario cinese questa è la corsa più corta, ma l’altitudine ha un grande influsso, si arriva anche a 4.000 metri. Henok era favorito, venendo dai 3.200 metri di casa in Eritrea. Un plauso va fatto ai percorsi, sempre su strade di almeno 2-3 corsie. Abbiamo trovato caldo, salvo un giorno di pioggia dove le temperature sono crollate».
Come giudichi i risultati portati a casa?
FRASSI: «Nella prima tappa abbiamo cercato di difenderci, evitando di fare azioni proprio per ambientarci e considerando che già la seconda era una tappa importante. Abbiamo vinto due tappe con Davide Baldaccini e Attilio Viviani e nell’ultima tappa abbiamo anche provato a ribaltare la corsa. Sapevamo che era una frazione con molto vento e potevano crearsi dei ventagli, a 30 dall’arrivo ne abbiamo sfruttato uno per scatenare la fuga giusta e alla fine Baldaccini e Murgano sono risaliti fino al 3° e 4° posto, ma la cosa che più mi è piaciuta è che la strategia che avevamo pensato, i ragazzi sono riusciti a metterla in pratica».
AMORIELLO: «Non possiamo davvero lamentarci. Sapevamo che Mulubrhan era uscito bene dal Giro e ha lavorato molto in Eritrea per mantenere la condizione, in Cina ha sfruttato la situazione. Ho poi rivisto il Luccadello scorso anno e sono sicuro che farà un gran finale di stagione. Zanoncello ha vinto una tappa, ma poteva conquistarne almeno un’altra il primo giorno, solo che con Henok non si sono intesi nel tirargli la volata. Avrei voluto che Colnaghi potesse lottare in volata, ma ha avuto la febbre e si è ritirato. Nieri da parte sua ha portato a casa la classifica dei GPM, insomma si sono tutti distinti».
Terza vittoria Stagionale per Zanoncello dopo quelle a Taiwan e in Serbia (foto Tour of Qinghay Lake)Terza vittoria Stagionale per Zanoncello dopo quelle a Taiwan e in Serbia (foto Tour of Qinghay Lake)
Obiettivamente la gara di che livello era?
FRASSI: «Secondo me era molto buono: oltre alle 5 squadre professional c’erano i colombiani del Team Medellin a proprio agio su quei percorsi, poi formazioni belghe, norvegesi, australiane, il China Glory che è una vera multinazionale con corridori forti oltre a varie nazionali asiatiche».
AMORIELLO: «Non ci sono differenze rispetto a prima del Covid, la concorrenza era molto qualificata con tanti europei. Io dico che era assimilabile a una delle tante gare a tappe che si corrono nel Vecchio Continente».
Tornerete?
FRASSI: «Sicuramente, abbiamo già ricevuto l’invito per il un’altra gara a tappe per metà settembre e per il Tour of Hainan. Ora la nostra attività torna a essere completa».
AMORIELLO: «Molto volentieri, ora che l’attività è ripresa appieno valuteremo gli inviti per poter allargare l’attività a due-tre gruppi anche contemporaneamente. Quello cinese è un mercato importante».
Reduce dal Giro Donne, Rachele Barbieri continua i suoi allenamenti assieme al compagno Manlio Moro, corridore della Zalf Eurobil Fior, due volte campione europeo nel quartetto e, a quanto si dice, promesso al Movistar Team. Dopo i racconti di Elisa Longo Borghini sulle volate al cartello con Jacopo Mosca, ci è venuta la curiosità di chiedere all’emiliana che cosa le dia allenarsi con il suo ragazzo. E lei ci racconta così il ciclismo “di coppia” e i suoi prossimi, stancanti, appuntamenti.
Nella valorizzazione di Rachele Barbieri su strada c’è la forte impronta di Giorgia BronziniNella valorizzazione di Rachele Barbieri su strada c’è la forte impronta di Giorgia Bronzini
Condividere il lavoro con la persona che ami…
E’ stato qualcosa un po’ di inaspettato. Mi sono sempre detta «Assolutamente no ciclisti», per la paura di non poter mai staccare la testa quando sono a casa e nei momenti impegnativi. Alla fine le cose capitano e non puoi farci nulla, sono molto contenta. Non è sempre semplice. L’aspetto positivo è sicuramente quello di condividere lo stesso sport, allenarsi insieme e goderci di conseguenza la giornata insieme. Lo stile di vita è lo stesso: dal cibo al riposo. Con un altro tipo di ragazzo, non è sempre semplice farsi capire da questo punto di vista. Tra gli aspetti negativi, invece, c’è il fatto che quando parto io, torna lui, torno io e parte lui: non ci vediamo spesso. Questo, però, ti porta a vivere intensamente il tempo insieme. Sono molto contenta, ci capiamo tanto, capiamo le necessità reciproche e ci aiutiamo.
Durante gli allenamenti insieme…
E’ molto bravo, solitamente sono io quella un po’ peggio, ho meno pazienza (ride, ndr). Quando dobbiamo fare distanza, che non richiede esercizi specifici, usciamo insieme e a volte lui mi deve aspettare e fare un po’ di avanti e indietro. Alla fine quando torniamo a casa lui ha sempre qualche chilometro in piu’ rispetto me, anche se il giro è lo stesso (sorride, ndr). Cerchiamo sempre nei momenti di difficoltà di spronarci a vicenda.
Barbieri e Moro si allenano insieme, anche se lavori e distanze sono spesso incompatibiliBarbieri e Moro si allenano insieme, anche se lavori e distanze sono spesso incompatibili
Fate anche parte della nazionale della pista.
Anche lì è bello supportarci, ma vedere anche momenti di rabbia e tristezza in allenamento dell’uno e dell’altro inevitabilmente fa stare un po’ male. Ci sono dei pro’ e dei contro.
Cosa hai imparato, ciclisticamente parlando, grazie a Manlio ?
Sicuramente la resilienza. Lui è un ragazzo molto professionale, si impegna tantissimo, soprattutto negli allenamenti più duri dove io, di testa, tendo a cedere. Lui mi motiva e mi aiuta, mi insegna a crederci anche quando ci sono momenti no. Mi ha insegnato a portare sempre a termine l’allenamento anche se si è nella giornata o periodo no. Avere un esempio davanti, nonostante sia più giovane di me e dovrebbe essere il contrario, è un valore aggiunto.
L’abbraccio fra Moro a Rachele all’arrivo di Modena. Momento ritratto anche nella foto di aperturaL’abbraccio fra Moro a Rachele all’arrivo di Modena. Momento ritratto anche nella foto di apertura
L’abbraccio al Giro d’Italia…
Mi ha fatto una sorpresa. Aveva fatto una settimana un po’ di recupero perché non stava bene e non mi aspettavo che venisse a vedermi al Giro d’Italia Donne, glielo avevo chiesto ma mi aveva detto che non poteva. Mi era un po’ dispiaciuto sinceramente. Prima di partire tra tifosi e parenti dicevo proprio di essere triste perché Manlio non sarebbe venuto. In salita, invece, ad un certo punto l’ho visto, ci speravo tantissimo, mi sono messa a ridere nonostante la fatica. Vederlo, poi, all’arrivo e abbracciarlo è stata come un po’ di carica e grinta in piu’.
Cosa ti è rimasto di più del Giro d’Italia ?
La fatica (ride, ndr)! Dopo l’anno scorso, sapevo che sarebbe stato un Giro più impegnativo, c’era più salita e meno pianura, però non mi aspettavo così tanta fatica e sofferenza. Sicuramente si è alzato un po’ il livello perché siamo sempre andate ad andature elevatissime nonostante il dislivello. In molte tappe già si sapeva in partenza che sarebbe arrivato il gruppetto all’arrivo, senza imprevisti e senza quelle situazioni che non si possono calcolare, che a me piacciono tanto…
Assieme a Consonni nella madison agli ultimi mondiali: le prove iridate su pista sono u obiettivo anche nel 2023Assieme a Consonni nella madison agli ultimi mondiali: le prove iridate su pista sono u obiettivo anche nel 2023
I prossimi obiettivi…
A breve partirò per il Tour Femmes e ci sono ben poche tappe piatte, forse la prima. Sarà dura e il livello sarà ancora più alto del Giro. Se tutto va bene dovrei partire poi per il mondiale su pista, ma è tutto un po’ accavallato e non è sempre semplice riuscire a far coincidere tutto. Sono stata in ritiro a Livigno prima del Giro e ho fatto avanti e indietro da Montichiari per allenarmi in pista. Il Giro è stato duro e fare tanti spostamenti e allenamenti diversi sarebbe stancante. Prima di partire per il Tour sicuramente farò qualche allenamento in pista. L’anno scorso fare europei, Giro e Tour mi ha portato bene e la condizione era sempre in crescita, ma c’era un po’ più di spazio tra i vari appuntamenti. Quest’anno se farò il mondiale, non parteciperò alle ultime due tappe del Tour per rientrare prima. Valuteremo giorno per giorno.
Abbiamo chiesto a Diego Bragato quali siano le abitudini di integrazione degli atleti del quartetto. Sali e zuccheri. Si punta al perfetto piccolo glicemico