Corsa rosa a Livigno: spot potentissimo per il territorio

13.10.2023
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MILANO – Il Giro d’Italia torna in Valtellina e lo fa con un programma di tutto rispetto. L’arrivo a Livigno dopo la partenza da Manerba del Garda, per la tappa più lunga della corsa. Il giorno di riposo del lunedì. E la ripartenza dell’indomani con lo Stelvio nei primi chilometri e l’arrivo in Val Gardena. Se già una crono all’indomani del riposo può dare qualche grattacapo, immaginiamo cosa potrà accadere con un tappone alpino di tale portata.

Chiusa la stagione estiva, Livigno si prepara ad accogliere gli sciatori. A maggio poi tornerà il Giro (foto Carpe Diem)
Chiusa la stagione estiva, Livigno si prepara ad accogliere gli sciatori. A maggio poi tornerà il Giro (foto Carpe Diem)

Valtellina e Giro d’Italia

Qui però spostiamo l’attenzione dal fronte tecnico (di cui leggerete a breve a firma di Filippo Lorenzon) verso quello turistico, per capire che cosa ci sia dietro l’arrivo del Giro d’Italia in un territorio già noto come quello di Livigno, centro d’eccellenza per gli sport invernali e ritrovo estivo per corridori e amatori. Per farci un’idea siamo saliti al 32° piano del Palazzo Lombardia, da cui Milano sembra una cartolina, per parlare con Massimo Sertori, classe 1968, Assessore agli Enti locali, Montagna, Risorse energetiche, Utilizzo risorsa idrica, nonché valtellinese purosangue (in apertura è sullo Stelvio). Per ispirazione o per una fortunata casualità, Sertori al cicloturismo crede da anni e sta approfondendo i progetti che puntano alla sua crescita.

«Fu quasi una cosa accidentale – ricorda – mi ritrovai in un’azienda agricola durante una presentazione. Proiettavano lo sviluppo del turismo bike e tutto quello che ci girava attorno in Paesi come Germania, Olanda, Austria. Stava vivendo una crescita esponenziale, ma in Italia ancora non era così. Si intuiva un bel futuro per la mobilità dolce. Ricordo che la cosa mi aveva entusiasmato, poi l’incontro con una persona competente come Gigi Negri (motore del turismo valtellinese, ndr) mi permise di mettere a fuoco esigenze e potenzialità del territorio».

L’incontro fra i due avviene quando Sertori è ancora presidente della Provincia di Sondrio e inizia presto a dare buoni frutti. Nasce una strategia volta a potenziare il legame fra ciclismo e turismo. Fra le azioni messe in campo, il passaggio del Giro d’Italia accende la luce con la potenza della diretta televisiva e le imprese dei campioni.

Il Sentiero Valtellina permette ai cicloturisti (anche dalla Svizzera) di pedalare dal lago di Como alla Valtellina
Il Sentiero Valtellina permette ai cicloturisti (anche dalla Svizzera) di pedalare dal lago di Como alla Valtellina
Quali effetti produce il Giro?

Si può capire dalla presentazione appena svolta a Trento. Noi lo abbiamo… utilizzato più volte come vetrina per un’area che ha passi storici e noti, che con il passaggio della corsa sono stati esaltati. D’altra parte, gli enti locali hanno spinto molto ad esempio sul Sentiero Valtellina e in particolare sul collegamento della Svizzera con il Lago di Como, una destinazione molto richiesta. In quest’ottica, la via ciclabile diventa un’infrastruttura, che ha aperto una serie di scenari dei quali inizialmente non eravamo consapevoli neppure noi.

Ad esempio?

Prima che ci fosse quel Sentiero, che percorre il territorio a ridosso dell’Adda, si pensava alla Valtellina soltanto in termini di montagna, terrazzamenti e passi alpini. Non si pensava quasi mai ai territori della bassa valle, conosciuti da pescatori, cacciatori e dai gestori dei silos. In realtà quel percorso ha offerto una nuova prospettiva. Io sono valtellinese, ma non essendo pescatore né cacciatore, conoscevo quelle zone perché i miei avevano un’azienda e andavano nella zona dei silos di sabbia. Oggi da quelle parti si fa dell’ottimo rafting, che propone la visione del paesaggio dal fiume.

E’ l’auspicata valorizzazione del territorio.

Non bisogna ragionare per comparti stagni, per cui adesso la prospettiva è quella di fare un sentiero a mezza costa, per riscoprire altre situazioni. Come ad esempio quella legata al vino, altro settore molto trainante dell’economia valtellinese. La mobilità dolce fa parte di questo movimento, tanto più che con l’avvento della pedalata assistita, anche gli strumenti a disposizione sono migliorati e tante persone possono avvicinarvisi. Negli anni 80 sognavamo tutti la moto, ora vedo ragazzi che sudano sulle bici e questo lo trovo molto azzeccato.

Non a caso infatti i numeri sono in crescita.

Io credo che l’Enjoy Stelvio Valtellina e più in generale la chiusura al traffico dei passi siano diventati importanti per il forte coinvolgimento del pubblico. Ma credo che sia ancora più importante il messaggio culturale che viene dato, perché la gente sta apprezzando sempre di più la qualità della vita, spesso legata non solo al mestiere che facciamo, ma anche a come utilizziamo il nostro tempo libero. 

Poco fa ha parlato del rapporto con gli svizzeri: c’è collaborazione su questo fronte?

Per anni la Val Poschiavo è stata la via di transito per le auto che andavano a Livigno e non si fermavano per niente. Il fatto invece di promuovere il ciclismo, cui anche loro tengono, fa sì che le presenze si dividano e che si lavori con un obiettivo comune.

I Laghi di Cancano sono fra le mete messe in risalto da Enjoy Stelvio Valtellina
I Laghi di Cancano sono fra le mete messe in risalto da Enjoy Stelvio Valtellina
Livigno richiama così tanto?

Livigno da sola fa il 50-60 per cento delle presenze turistiche di tutta la provincia. Negli anni 80 sono stati bravi a destinare le risorse che ricavavano dal fatto di essere una zona extra doganale. Hanno investito sul turismo, rifacendo quasi tutti gli alberghi e oggi vivono di luce propria. Non hanno più bisogno di auto e autocarri che salgono per fare il pieno a minor prezzo. Ma questo non può compromettere le strategie, anche turistiche, che invece bisogna fare assieme agli svizzeri. Il Giro d’Italia ci unisce. Se lavoriamo insieme ci possono essere dei benefici per entrambe le comunità.

E’ vero che state lavorando per portare a Livigno anche il Giro di Svizzera?

C’è del vero (ammette sorridendo, ndr) e sarebbe la prima volta che la corsa viene in Italia. Si sta lavorando. Si sono creati i contatti per portarlo e per creare una situazione positiva e virtuosa con la Svizzera. Ci teniamo molto.

Manca qualcosa perché la Valtellina raggiunga gli standard di quella presentazione della primisima ora?

Ci stiamo lavorando, non è ancora completa: i tasselli ci sono e adesso dobbiamo ordinarli. La nostra montagna ha dei potenziali incredibili ancora non espressi, ma indirizzati. Bisogna lavorare ancora molto per comporre l’immagine finale, puntando sempre di più sulla qualità e la sicurezza, piuttosto che sulla quantità.

L’Accademia del Pizzocchero di Teglio ha puntato forte sull’autunno, con successo. La bici è l’abbinamento ideale (foto Prima la Valtellina)
L’Accademia del Pizzocchero di Teglio ha puntato forte sull’autunno, con successo. La bici è l’abbinamento ideale (foto Prima la Valtellina)
Manca tanto invece perché il turismo estivo agganci come numeri quello invernale?

Un aspetto legato non solo alla Valtellina, ma più in generale al turismo della montagna, era che se lavoravi bene d’inverno, in estate potevi anche accontentarti. Poi si è capito che magari si poteva allargare il discorso, perché per chi gestisce un’attività ricettiva, un conto è avere 6-8 mesi di attività e altra cosa è poter lavorare tutto l’anno. La destagionalizzazione è sempre stata un cavallo di battaglia, che abbiamo sempre cercato di spingere anche politicamente. Basti vedere il successo che ha in autunno a Teglio l’Accademia del Pizzocchero. Tutto serve per valorizzare il territorio e così il collegamento con sport, mobilità dolce e bike diventerà sempre più semplice.

Busatto: il 2023 ai raggi X e tanta voglia di WorldTour

13.10.2023
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Il volo che ha portato l’Intermarché-Circus-Wanty da Parigi a Tokyo è partito mercoledì alle 19. Su quell’aereo c’era anche Francesco Busatto, alla sua prima trasferta intercontinentale con il team belga. Durante lo scalo nella capitale francese, Busatto ha il tempo di parlare e tracciare una linea tra il 2023 ed il 2024, anno in cui passerà nella formazione WorldTour dopo l’esperienza alla Circus-REuz (team Devo della Intermarché). 

«Tredici ore di volo, dove mi sa che mi tocca dormire – racconta Busatto prima di imbarcarsi – le ore giuste secondo un calcolo che ho fatto dovrebbero essere 7 o 8. La Japan Cup sarà l’ultima gara dell’anno, poi vacanze e testa al 2024».

Che cosa ti aspetti di trovare in Giappone?

Sinceramente non saprei, la corsa è difficile e lunga, con un circuito di 10 chilometri da fare 16 volte, dove si sale e si scende da una salita lunga un paio di chilometri con pendenza media del 6 per cento. Se guardiamo alla classifica del 2022, si notano nomi importanti davanti, mi aspetto che sarà così anche quest’anno. 

Con quali aspettative personali vai?

Correre al meglio e provare a fare bene. La squadra che portiamo è forte, sarà anche l’ultima corsa dell’anno, ma fino a quando non taglieremo il traguardo bisogna spingere a tutta. 

Prima volta in Giappone?

Sì. Sono curioso di vedere questo Paese così tanto diverso dal nostro. Il bello di queste gare è anche andare a vedere cosa c’è al di fuori, diciamo che tra tantissime virgolette possiamo definirla una prima “vacanza”. 

La prima vittoria 2023 è arrivata alla Liegi U23, un obiettivo fin da inizio stagione (foto Cyclingmedia Agency)
La prima vittoria 2023 è arrivata alla Liegi U23, un obiettivo fin da inizio stagione (foto Cyclingmedia Agency)
Come reputi il tuo 2023?

Penso sia stata una bella stagione dove ho raggiunto degli obiettivi e in alcuni casi sono andato anche oltre le mie aspettative. 

Quali sono questi obiettivi raggiunti e quali dove sei andato oltre?

Il primo è stata la Liegi U23, forse l’obiettivo più grande che mi ero prefissato e vincerla mi ha dato tanto in termini di fiducia e morale. Dove sono andato oltre le mie aspettative? Direi alla Freccia del Brabante, così come al Muscat Classic e al Giro dell’Appennino. Un po’ tutte le gare con i professionisti sono state una bella “sorpresa”.

Tanto che hai guadagnato la firma del contratto WorldTour già da metà anno. 

Ho realizzato quello che era il mio sogno fin da bambino. Di questo 2023 non cambierei nulla, è stato davvero una bella stagione. 

Al Giro Next Gen ha indossato la maglia di miglior italiano alla prima tappa, poco per le sue ambizioni
Al Giro Next Gen ha indossato la maglia di miglior italiano alla prima tappa, poco per le sue ambizioni
Ci sono momenti dove non sei andato come avresti voluto?

Non nascondo che mi sarebbe piaciuto vincere una tappa al Giro Next Gen, ci sono andato vicino più volte ma senza riuscirci. Così come mi sarebbe piaciuto fare un mondiale migliore, ma la sfortuna si è messa in mezzo. Peccato perché a Glasgow stavo bene, avrei potuto puntare ad un buon risultato. 

Tra i professionisti ti sei comportato bene, alla Tre Valli per esempio sei stato davanti fino a quando non sono arrivati i più forti, una bella soddisfazione…

Ho visto, durante la stagione, che con il passare del tempo sono maturato. Correre con i professionisti mi ha aiutato molto ed ora il loro passo non lo soffro più di tanto. Nelle corse di fine anno sono andato sempre meglio, questo vuol dire che posso ambire a qualcosa di più. Non c’è stata solo la Tre Valli, ma anche alla Coppa Sabatini e al Matteotti sono andato forte

Tante corse con i pro’ che ammortizzano il passaggio del prossimo anno?

Da un certo punto di vista il 2023 è stato un primo anno tra i professionisti, fare tante corse con loro mi farà sentire meno il salto di categoria. 

La crescita di Busatto è passata anche dalla nazionale, con cui ha vinto una tappa all’Orlean Nations Grand Prix (foto PT photos)
La crescita di Busatto è passata anche dalla nazionale, con cui ha vinto una tappa all’Orlean Nations Grand Prix (foto PT photos)
Dove pensi di dover migliorare?

In salita, il passo che hanno è importante, lo soffro soprattutto in quelle di media lunghezza come è stato al Gran Piemonte. Devo crescere molto in questo campo, così da avere più colpi a disposizione. 

I punti forti, invece?

Ho visto che spesso mi trovo davanti nei momenti giusti, magari mi mancano le gambe. Questo è un buon punto dove partire in vista del 2024, perché stare nelle prime posizioni mi permette di arrivare fresco nel finale, dove mantengo comunque un buono spunto veloce. 

Rispetto al 2022 hai corso molto, questo ha inciso sulle prestazioni di fine stagione? All’europeo eri sembrato meno “brillante”. 

In realtà no. L’europeo è stata una corsa particolare dove avevo una buona gamba. Semplicemente abbiamo sbagliato la gestione della corsa, sullo strappo finale ero in rimonta. E’ andata così, la fuga è arrivata perché in gruppo non siamo stati bravi ad organizzarci. 

Ora il ritmo dei professionisti non fa più paura e Busatto può guardare al 2024 con fiducia
Ora il ritmo dei professionisti non fa più paura e Busatto può guardare al 2024 con fiducia
Chiuderai la stagione con 60 giorni di corsa, numero giusto?

Ci siamo organizzati nella maniera migliore e la squadra mi ha dato un grande supporto. Abbiamo gestito alla perfezione i periodi di gara e di riposo, anche se ho fatto tante settimane di corsa ho sempre avuto modo di recuperare. 

Obiettivo del 2024?

Mi piacerebbe essere più più forte in salite più lunghe, quindi sopra i 3-4 chilometri, così da puntare a fare top 10 anche in corse impegnative. 

Però, dopo il Giappone, vacanze…

Andrò una settimana a Tenerife con gli amici a rilassarmi e poi per un paio di settimane starò a casa. Dopo una stagione a girare mi manca stare tranquillo insieme alla famiglia. Mi farò quasi un mese senza bici, serve pazienza e poi in inverno si lavorerà duramente.

L’ultima di Pinot, tra bolgia e lacrime. Emozioni al Lombardia

13.10.2023
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BERGAMO – Sorrisi e qualche lacrima. Ma soprattutto sorrisi, urla, tifo, bandiere, fumogeni, megafoni… Al Giro di Lombardia come al Tour de France si è rivista la “Virage Pinot”, la curva ultras dei tifosi di Thibaut Pinot. E si è vista per l’ultima volta con lui in gara.

E’ stata davvero un’emozione anche per noi poter assistere dal vivo alla celebrazione di questo atleta incredibilmente amato. Molto più amato e acclamato di tanti corridori che avevano o che hanno un palmares più importante del suo.

Marc Madiot saluta il suo pupillo… il manager della Groupama-Fdj era visibilmente toccato
Marc Madiot saluta il suo pupillo… il manager della Groupama-Fdj era visibilmente toccato

Tu chiamale emozioni

Ma è così. Lo sport regala emozioni e la gente s’innamora di chi queste emozioni le sa dare e soprattutto le sa trasmettere. Un emblema in tale senso è stato Gilles Villeneuve, pilota di Formula1, che ha vinto solo sei Gran Premi eppure è ricordato come uno dei migliori della storia per il suo modo di guidare. Ma restando in “casa nostra” c’è Raymond Poulidor, il nonno di Van der Poel, neanche un giorno in maglia gialla, tanti podi, tante lotte, “poche” vittorie, ma è forse più amato di Bernard Hinault. Bè, Pinot è decisamente su questa via.

Sin dalla partenza da Como è iniziata la sua celebrazione. Tanto che la corsa è partita con un po’ di ritardo proprio per l’abbraccio che gli è stato fatto. E mentre la folla lo applaudiva, dietro le quinte, o per meglio dire ai bus c’era il suo padre putativo che era visibilmente commosso, Marc Madiot.

«Oggi – ha detto ai tanti media presenti ai piedi del bus della Groupama-Fdj – si chiude un’era. Non mi aspetto molto tecnicamente dalla corsa di Thibaut oggi. Lui è stato sempre con noi: tutti i suoi 14 anni da pro’. La squadra andrà avanti anche senza di lui, ma sarà strano. Quando vorrà venire a trovarci la porta per lui sarà aperta. Riguardo la sua carriera non ci sono rimpianti. Thibaut era questo».

Le virage Pinot, una bolgia infernale. Migliaia di tifosi venuti dalla Francia, ma non solo. Incredibile (foto Instagram)
Le virage Pinot, una bolgia infernale. Migliaia di tifosi venuti dalla Francia, ma non solo. Incredibile (foto Instagram)

Vittorie e sconfitte

In corsa va in scena la parata. Nonostante i ritmi alti, tanti corridori sono andati a salutarlo. Una parola, una pacca sulla spalla. E’ l’omaggio e il rispetto per chi in carriera ha sempre dato tutto. Magari sbagliando tattiche e tempistiche – non ultima la tappa di Crans Montana al Giro – litigando con se stesso. Le paure, le lacrime, le gioie…

La gente ama ed ha amato questo “genio disperato”, fatto di emozioni, pochi social e tanto istinto. Riavvolgendo il nastro della sua carriera rivengono in mente le discese nell’anno in cui la Francia gli chiedeva la maglia gialla, ma lui non teneva la pressione ed era bloccato. Scendeva letteralmente coi freni tirati. Immagini che restano nella mente.

Oppure quando, quasi a sorpresa, nel 2019 stava per farlo davvero il colpaccio. La vittoria sul Tourmalet, la consapevolezza di aver staccato tutti in salita e poi un ginocchio che si gonfia come un pallone in seguito ad un banale colpo sul manubrio. O la febbre improvvisa al Giro del 2018, quando perse il podio verso Cervinia.

Ma Pinot ha anche vinto. La sua carriera è costellata sì di sconfitte e debacle clamorose, ma anche di tante corse importanti come appunto il Lombardia 2018 e le tappe in tutti e tre i grandi Giri.

L’arrivo in parata di Thibaut, scortato anche da campioni di altre squadre…
L’arrivo in parata di Thibaut, scortato anche da campioni di altre squadre…

Virage Pinot

La folla che c’era sul Petit Ballon al Tour de France, si è ritrovata sulle strade del Lombardia. E non da sola. A questa “orda” si è aggiunta una folta schiera di tifosi italiani e persino svizzeri, nazione dove Thibaut ha tantissimi fan. Tutti con le maglie di Pinot, con bandiere e tutti pronti a cantare il suo coro che parte quasi sottovoce e poi esplode in una bolgia di salti e urla a squarciagola. Per lo stesso Thibaut, le lacrime qualche metro oltre la linea d’arrivo, si sono trasformate in sorrisi. Aveva il megafono in mano e dal gradino del bus dettava il coro a centinaia di tifosi lì, tutti per lui.

Anche noi abbiamo avuto a che fare con loro. Una volta usciti dalla sala stampa ce li siamo ritrovati, parecchio su di giri, in una pizzeria. «Non potevamo non venire per l’ultima gara di Thibaut». Un altro ragazzo francese ha scritto su un social: «Mi ha telefonato la mia ragazza che stava vedendo al corsa in tv. E mi ha detto: “Adesso capisco perché ami il ciclismo”».

Tra i tanti, alle spalle di Pinot, si riconoscono il fratello Julien e Madouas
Tra i tanti, alle spalle di Pinot, si riconoscono il fratello Julien e Madouas

Nuove pagine

E lui cosa ha detto? Mentre lo aspettavamo alle spalle dei massaggiatori, del fratello Julien, di Valentin Madouas in maglia di campione francese, e scortato dai compagni Pacher e Molard, Thibaut si è lasciato andare.

«Non mi aspettavo ci fosse così tanta gente. Che spettacolo – ha detto – è stato un vero “casino”, come piace a me. Pazzesco. Un manicomio! Non sono il campione del mondo, ma penso di avere il miglior pubblico del mondo».

Nel “virage Pinot”, ma non solo, dove erano raccolti lo hanno quasi braccato al suo passaggio. E lui gli dava il cinque. Per terra avevano disegnato due frecce con la vernice e, scherzando ovviamente, avevano messo una freccia che indicava la strada sbagliata per i Jumbo-Visma e quella giusta per Pinot!

«E’ stato magnifico vivere questa esperienza – ha proseguito Pinot – molti corridori sono venuti a congratularsi con me durante la corsa. Mi sorprende sempre perché, come nella vita, sono piuttosto timido e piuttosto selvaggio. E’ un peccato non aver potuto legare con più corridori perché penso che ci siano ragazzi che valgono. Immagino che ora vivere sarà più facile, ma anche che non sarà semplice voltare pagina da un giorno all’altro, dopo 14 anni in questa squadra e molti di più tra allenamenti, viaggi, gare…».

Di certo, d’ora in poi avrà più tempo per stare con la famiglia, anche quella degli animali… e di prendersi cura dell’ultima arrivata: una capretta che gli ha regalato l’organizzazione del Giro di Lombardia.

Milan a Qin Zhou ruggisce per la squadra e per la fiducia

13.10.2023
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QIN ZHOU – Come quando sei sottacqua e vedi la superficie là in alto. Il fiato inizia a scarseggiare. Sei sotto da troppo e se non dosi bene il respiro, rischi di passartela male. L’alternativa, che richiede freddezza ed esperienza, è non farsi prendere dal panico. Gestirsi e risalire a un ritmo costante, fino alla luce e l’aria fresca. Dopo la volata di oggi a Qin Zhou, Jonathan Milan aveva la faccia di uno che è appena riemerso da un tempo molto lungo. Ha gridato. Ha inalato aria come se gli mancasse da troppo. E poi si è lasciato andare ad abbracci e festeggiamenti selvaggi e coinvolgenti.

La seconda tappa del Tour of Guangxi 2023 la vince il friulano del Team Bahrain Victorious e alle sue spalle non c’è Viviani, che ieri l’ha infilato giusto alla fine, ma De Kleijn della Tudor e Molano del UAE Team Emirates. Media di giornata 45,823.

Milan ha ringraziato il Team Bahrain Victorious che nel 2024 lascerà per la Lidl-Trek
Milan ha ringraziato il Team Bahrain Victorious che nel 2024 lascerà per la Lidl-Trek
C’è differenza rispetto a ieri?

Eh (ride, ndr), non sono partito lungo. Sono partito giusto. Ogni tanto si sbaglia, l’importante è imparare dagli errori. Oggi è andata bene. Devo dire però che i ragazzi si sono comportati in maniera eccezionale. Nel finale mi hanno supportato, mi hanno guidato fino agli ultimi metri e io ho dovuto solo sprintare. Sono contento. Ho detto che avevo buone sensazioni e volevo tornare a correre per vincere.

Si chiude un periodo un po’ storto con questa vittoria?

Un po’ storto… Sì, un po’. Dopo il Giro ho fatto fatica a trovare una condizione accettabile. Ma volevo tornare alla vittoria per fine stagione. Sapevo che ce la potevo fare e ci abbiamo messo tutti il massimo.

Ti dispiace un po’, in fondo, andar via da questo gruppo che funziona così bene?

Certo, non posso dire di no. Ho amici e tutto quello che abbiamo costruito insieme. Da una parte dispiace, dall’altra inizieremo una nuova avventura (Jonathan passerà alla Lidl-Trek, ndr). L’ho detto appena ho saputo che sarei venuto qua. Ho detto alla squadra che avrei voluto finire bene con loro e portare delle vittorie.

Il fatto di cambiare squadra è difficile da gestire?

Non è semplice, l’aspetto mentale conta tanto. Sono contento di aver vinto, perché dopo il Giro c’è stato un periodo un po’ così, però con il giusto allenamento e soprattutto con la calma, sono riuscito a rimettermi in sesto.

E’ importante chiudere vincendo?

E’ importante finire bene. Ed era importante per me mentalmente, perché so che anche per la squadra sarà una bella chiusura di stagione.

Milan è salito per 4 volte sul podio: la vittoria, la maglia a punti, quella bianca e la maglia rossa di leader
Milan è salito per 4 volte sul podio: la vittoria, la maglia a punti, quella bianca e la maglia rossa di leader
Hai parlato di calma: significa che dopo i mondiali ti sei fermato per fare un reset e poi sei ripartito?

Esatto. Ero stanco, mi sentivo affaticato, appesantito per la fatica. Non mi sono proprio fermato, diciamo che ho calato un attimo con gli allenamenti. Fermato completamente proprio no.

Ieri Viviani ha esultato urlando, tu lo stesso: fa parte della difficoltà di vincere a fine stagione?

Ognuno esulta a modo suo, ma ci sono vittorie e vittorie. Alcune nascono da dentro e hanno motivazioni particolari.

Con questa Jumbo, Kruijswijk avrebbe vinto il Giro 2016?

13.10.2023
4 min
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BEIHAI – Nel caldo torrido di questa città, che trovandosi più o meno alla stessa latitudine dell’Oman non poteva certo essere fredda, Steven Kruijswijk ha trovato riparo all’ombra del gazebo. La Jumbo-Visma è sbarcata in Cina con Olav Kooij, Milan Vader, i gemelli Van Dijke e il vecchio olandese, che di anni ne ha 36. Il tempo di vederlo ed è tornata in mente una domanda dei giorni della Vuelta, vinta da Sepp Kuss, come lui gregario. Con la Jumbo-Visma di adesso, Kruijswijk avrebbe vinto il Giro del 2016?

Sul traguardo di Risoul, 19ª tappa del Giro 2016: la caduta dell’Agnello gli fa perdere la maglia rosa
Sul traguardo di Risoul, 19ª tappa del Giro 2016: la caduta dell’Agnello gli fa perdere la maglia rosa

Una Jumbo inesperta

Sulla sua squadra se ne dissero di parecchie. Si puntò il dito verso l’ammiraglia inesperta, colpevole di averlo spinto a inseguire Nibali nell’attacco del Colle dell’Agnello, nonostante il suo vantaggio fosse più che ampio. La caduta contro quel muro di ghiaccio affossò le sue speranze e gli portò via la maglia rosa.

«Ci penso spesso a quel Giro – dice l’olandese – e come sarebbe finita se avessi avuto la squadra che siamo adesso. Avrei voluto avere dei compagni attorno a me in quel momento, ma ero solo. Eppure quel Giro è stato il vero inizio della nostra storia, per spingerci a fare un passo avanti. Di sicuro non eravamo forti come oggi. Sono convinto che altrimenti sarebbe stato un po’ più facile vincere il Giro. Ma questo fa parte del progresso e sono felice di essere stato partecipe e utile nel processo di sviluppo. Perciò ho preso l’abitudine di guardare indietro verso ciò che ho ottenuto e non ciò che avrei potuto ottenere».

Fra Kruijswijk e Kuss ci sono 7 anni di differenza: quelli che sono serviti per far crescere la Jumbo-Visma
Fra Kruijswijk e Kuss ci sono 7 anni di differenza: quelli che sono serviti per far crescere la Jumbo-Visma
Che cosa significa far parte di una squadra così forte?

Ne faccio parte da molto tempo, l’ho vista crescere e ho fatto anche io molti passi avanti a livello personale, anche se a un certo punto la squadra è diventata addirittura migliore di me (ride, ndr). E’ davvero bello sentirsi parte di un gruppo così grande. Le ultime due stagioni sono state incredibili per ciò che abbiamo ottenuto e ne sono davvero orgoglioso.

Siete così tanti e così forti che ci sono dei trials interni per andare al Tour e nelle grandi corse?

Non esattamente. La squadra si limita a stabilire gli obiettivi e la pianificazione invernale. Poi si valutano i percorsi delle grandi corse e si stabilisce la qualità delle gare necessarie per fare il miglior avvicinamento. Ovviamente prima delle prove davvero importanti, c’è sempre un po’ di competizione per entrare in squadra, ma penso che sia anche salutare.

In che modo?

Ci teniamo in forma l’uno con l’altro. Ci alleniamo insieme, ma è una bella competizione. Lo scopo non è gareggiare fra noi. Il risultato è che in ogni gara vista quest’anno, siamo stati i favoriti. In ogni gara ci assumiamo la responsabilità, lavoriamo l’uno per l’altro e così siamo pronti a battere chiunque.

Che stagione è stata questa per te?

Non proprio buona, proprio no. Soprattutto dopo lo scorso anno, quando la caduta al Tour mi ha costretto a chiudere la stagione in anticipo. Così ho iniziato a preparare il 2023. Andava tutto bene, avrei dovuto fare il Tour e non il Giro. Invece al Delfinato sono caduto nuovamente e questo mi ha portato fuori dal resto dell’anno. Compreso il Tour.

Kruijswijk è al Tour of Guangxi per aiutare Kooij negli sprint e per portarsi avanti nella stagione della preparazione
Kruijswijk è al Tour of Guangxi per aiutare Kooij negli sprint e per portarsi avanti nella stagione della preparazione
L’importante in questi casi è avere la mentalità giusta?

Sì, perché è sempre difficile perdere i grandi obiettivi della squadra, soprattutto quando puoi essere d’aiuto. E’ difficile perdere le gare più importanti per le quali ti sei preparato a lungo. Non è mai bello riprendersi da un infortunio mentre sono in corso le gare. Il segreto è restare concentrato su te stesso, cercando di guardare alla stagione successiva.

Hai degli obiettivi speciali da raggiungere per il 2024?

Spero solo di avere una stagione completa ed è anche per questo che sono voluto venire qui. Voglio arrivare all’inverno il più in forma possibile, per poi concentrarmi sull’anno che viene, sperando di trovare subito la condizione.

Quindi lo stacco sarà breve?

Non riposerò troppo, credo. Continuerò ad allenarmi e recuperare. Ho un lavoro molto importante da svolgere.

Volpi cambia tutto: «Ecco il mio team giapponese»

12.10.2023
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Ci vuole davvero grande coraggio per rimettersi in discussione a sessant’anni suonati. Alberto Volpi questo coraggio ce l’ha, tanto da lasciare un posto da diesse in uno dei team di vertice del WorldTour per mettersi alla guida (e usiamo questa frase non a caso, come si vedrà) di un pressoché neonato progetto giapponese, a livello continental. Qualcosa di piccolo che vuole diventare estremamente grande.

Volpi dal prossimo anno sarà il manager del JCL Team Ukyo. E’ una squadra rimodellata quest’anno nel Sol Levante per volontà di Ukyo Katayama, ex pilota di Formula 1 e secondo alla 24 Ore di Le Mans del 1999 (ecco il perché della guida…), che insieme a Seiko Hashimoto, presidente del comitato organizzatore di Tokyo 2020 ha voluto investire su una nuova creatura ciclistica. Obiettivo: farne il veicolo per far crescere il suo Paese anche nel ciclismo su strada, in una Nazione dove l’unico sfogo agonistico di vertice è nella pista e nella velocità in particolare, per il sistema delle scommesse ad essa legato.

«I contatti con Katayama – racconta Volpi che già dalla voce tradisce l’entusiasmo per la nuova avventura e la grande voglia di fare – risalgono al novembre 2022. Con Ukyo ci conosciamo da oltre 15 anni, l’ho anche ospitato sull’ammiraglia Barloworld al Giro d’Italia 2009, nella tappa di San Martino di Castrozza. Lo scorso anno mi parlò di questa idea che aveva avuto e gli sarebbe piaciuto coinvolgermi per la mia esperienza. Abbiamo continuato a sentirci nel corso della stagione, ho visto come ha agito la squadra in questo primo anno. Ukyo mi ha chiarito gli ambiziosi progetti e alla fine mi sono convinto».

Ukyo Katayama, 60 anni, è stato pilota di F1 dal 1992 al 1997. Nel 1999 è salito sul podio della 24 Ore di Le Mans (foto Miguel Bosch)
Ukyo Katayama, 60 anni, è stato pilota di F1 dal 1992 al 1997. Nel 1999 è salito sul podio della 24 Ore di Le Mans (foto Miguel Bosch)
Lasci però una realtà consolidata come la Bahrain Victorious: perché?

Perché dopo oltre 25 anni di ciclismo di vertice, sempre in grandissime squadre, avevo bisogno di nuovi stimoli. Alla Bahrain sono stato benissimo, avrebbero voluto che rimanessi. Mi accorgo però che gli anni passano e avevo bisogno di cambiare qualcosa per avere sempre quel sacro fuoco dentro. Questa è una grande sfida, c’è tantissimo da lavorare perché è qualcosa che va creato praticamente dal nulla.

Su alcuni media abbiamo saputo che la squadra verrà affiliata in Italia, è vero?

No e ci tengo a chiarire la questione perché sono uscite delle inesattezze. Il team continua ad avere la sua affiliazione in Giappone, ma da quest’anno svolgerà buona parte della sua attività in Europa e avrà la sua base in Italia. Precisamente a Colle Brianza, dove sono andato personalmente a visionare una sede adeguata. Ho scelto una confortevole casa dove i ragazzi e lo staff risiederanno per due periodi l’anno. Il primo da febbraio ad aprile e il secondo da agosto a ottobre. Per il resto svolgeranno la loro attività seguendo il calendario asiatico. Il Giro del Giappone sarà l’obiettivo primario, per il team e per chi lo finanzia.

Benjamin Prades, spagnolo di 39 anni, è il più esperto. E’ in Giappone dal 2016 (foto team)
Benjamin Prades, spagnolo di 39 anni, è il più esperto. E’ in Giappone dal 2016 (foto team)
Come sarà composta la squadra?

Parliamo di un team continental che già al suo primo anno ha avuto 11 corridori di cui 3 stranieri. Siamo orientati a mantenere la stessa struttura, con l’esperto australiano Nathan Earle, 35 anni, che resterà al fianco di un gruppo di corridori giapponesi. Sto lavorando però per portare nel team altri 3 corridori europei e non mi dispiacerebbe se fra loro ci fosse anche un italiano. I contatti li sto definendo in queste settimane.

Perché questa struttura internazionale?

E’ una precisa strada che abbiamo intrapreso e che è alla base del progetto. Il team deve servire a far crescere il ciclismo giapponese, portando i migliori prospetti del Paese a affrontare il ciclismo vero, quello che si fa nel Vecchio Continente, ma serve anche il confronto interno, quotidiano, con realtà diverse, culture diverse. Vogliamo che i ragazzi capiscano e imparino che ciclismo significa anche alimentazione corretta, allenamenti mirati, gestione della giornata nelle sue 24 ore vivendo da ciclista. Il team sarà comunque sempre di un massimo di una dozzina di corridori, più un meccanico, un massaggiatore e un accompagnatore.

Il JCL Team Ukyo è è stato reimpostato quest’anno, ma esisteva già dal 2012 (foto team)
Il JCL Team Ukyo è è stato reimpostato quest’anno, ma esisteva già dal 2012 (foto team)
Qual è il progetto alla base del team?

Katayama mi ha spiegato che l’obiettivo è arrivare più in alto possibile: entrare nel futuro come prima squadra giapponese del WorldTour, essere invitati al Tour de France, competere per il podio. Già nel suo primo anno il team ha preso parte al Tour of Oman e al Saudi Tour arrivando addirittura a vestire virtualmente la maglia di leader. Sono primi passi, nel 2024 vedremo di fare qualche altro piccolo passo in avanti, ma è chiaro che le idee restano tali se non ci sono finanziamenti a supportarle.

Stai trovando interesse nella tua ricerca di corridori?

Il mio telefono intanto non smette di squillare per le chiamate dei procuratori che mi stanno proponendo di tutto e di più… Quando poi vai a stringere, è chiaro che è difficile: i corridori di fronte alla chiamata di una professional non hanno dubbi, ma noi per ora siamo una continental e qui poi c’è davvero da mettersi in gioco in toto. Trovare gli elementi giusti, sia ciclisticamente che dal punto di vista umano non è facile, ma sono ottimista.

Masaki Yamamoto, laureatosi quest’anno campione nazionale dopo il 2° posto a cronometro (foto team)
Masaki Yamamoto, laureatosi quest’anno campione nazionale dopo il 2° posto a cronometro (foto team)
Parlavi di due periodi dei ragazzi in Europa. Anche tu però dovrai trasferirti per un periodo in Giappone…

Sicuramente. Sto cercando un diesse che segua la squadra in tutto il suo cammino, ma io come general manager sono il garante del team di fronte a Ukyo e all’intera proprietà. Vorrò esserci, vedere tutto, capire il più possibile di questa realtà. Già nei prossimi giorni partirò per il Giappone per conoscere gli sponsor e le strutture a disposizione in loco.

C’è anche il problema della lingua…

Masuda, che con i suoi 39 anni è il più anziano del gruppo, è stato con me alla Cannondale nel 2013. Parla bene inglese e anche un po’ italiano, nel gruppo fa da traduttore, ma abbiamo anche un factotum che parla bene italiano e ci aiuterà nei periodi qui. Anche a questo serve la multinazionalità del team, per uscire da certi schemi e comunicare il più possibile. Ma è tutto in divenire, intanto abbiamo stretto un rapporto con la Subaru Italia, che tramite la casa madre giapponese fornirà le auto del team e l’assistenza. Il progetto va avanti e vuole andare molto lontano.

Rui Oliveira sempre più stradista (e apripista)

12.10.2023
5 min
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Certe volte si pensa che il corridore che arriva ultimo non sia forte. In realtà – ed oggi più che mai – le cose non stanno così. Specializzazione in ruolo, dosaggio delle energie (ricordate cosa ci avevano detto Cimolai e Dainese?), qualche acciacco… fanno sì che in coda alle classifiche sia facile trovare dei pesci grossi. E di pregio. E’ stato il caso di Rui Oliveira alla Vuelta.

Rui è un corridore da scoprire in un certo senso. I suoi progetti sono in evoluzione. Pistard con una vena sempre più stradistica. Apripista, ma non solo… Per conoscerlo meglio partiamo dall’ultima Vuelta.

Uomo squadra

Il portoghese del UAE Team Emirates ha chiuso la corsa spagnola in “maglia nera” a 4 ore 32’55” da Sepp Kuss. Eppure il bilancio della sua prova non è stato affatto negativo. Spesso è stato nel vivo della corsa e in un caso è stato persino decisivo. Ci riferiamo al giorno in cui il suo compagno Sebastian Molano ha vinto la tappa.

«L’ultimo posto – ha detto Oliveira – non ha alcuna importanza. Ciò che conta è fare il miglior lavoro possibile per la squadra ed essere sempre presenti quando si è chiamati in causa. E sotto questo aspetto io ci sono sempre stato. Ovviamente non sono abituato ad essere l’ultimo!».

E il portoghese c’è stato a tal punto da terminare la Vuelta con un braccio fratturato. Caduto nell’ultima settimana, nella tappa dell’Angliru, Rui sentiva dolore, ma è comunque riuscito ad arrivare a Madrid. E’ stata la nazionale portoghese a scoprire della sua frattura. Doveva infatti essere una pedina importante per gli europei in Olanda, ma chiaramente una volta rilevata la frattura tutto è saltato.

«Mancavano un paio di tappe dure e a quel punto nonostante il dolore al braccio bisognava arrivare a Madrid. Bisognava tenere davanti i nostri leader», aveva detto Rui ai media locali.

I fratelli Oliveira impegnati agli ultimi mondiali su pista nell’americana. Entrambi hanno un contratto con la UAE fino al 2027
I fratelli Oliveira impegnati agli ultimi mondiali su pista nell’americana. Entrambi hanno un contratto con la UAE fino al 2027

Dalla pista…

Un grinta affatto scontata e costruita anche in pista, dove le “botte” non mancano. Rui, insieme al fratello Ivo, di un anno più grande, è uno dei maggiori esponenti del parquet portoghese. I due corrono insieme nell’americana. E lui ama molto anche l’eliminazione, dove è stato tanto – per citare solo l’ultimo risultato – argento agli europei di Grenchen.

Americana ed eliminazione sono le specialità di contatto per eccellenza della pista. Ma queste oltre a fornire grinta forniscono altre due doti fondamentali per un velocista: il colpo di pedale e il senso della posizione. Elementi tecnici che se sei un leadout, come si dice ora, cioè un apripista sono fondamentali.

Quel giorno a Zaragoza, nella vittoria di Molano, c’era tanto di tutto ciò.

«È stata una tappa in cui tutto è andato alla perfezione – ci ha raccontato Oliveira – già gli altri giorni avevo sentito di avere buone gambe, quindi è stata una questione di fiducia. Siamo riusciti a sorprendere gli altri al momento giusto». Quel giorno Rui si è schiacciato sulla bici e ha portato fuori Molano ad una velocità altissima e con la strada libera soprattutto. A quel punto il colombiano doveva “solo” continuare a spingere.

Rui viaggia dunque spedito su questo ruolo di apripista. Per il prossimo anno la UAE Emirates perde Ackermann e Molano avrà più chance come velocista. Va da sé che Rui avrà più spazio al suo fianco. Bisognerà vedere però se e quali grandi Giri potrà fare, ma è chiaro che questa coppia potrà lavorare parecchio insieme.

Rui Oliveira (classe 1997) in coda al gruppo con il braccio sinistro fasciato, durante le ultime tappe della Vuelta
Rui Oliveira (classe 1997) in coda al gruppo con il braccio sinistro fasciato, durante le ultime tappe della Vuelta

Alla strada

Tuttavia il suo impiego potrebbe non essere circoscritto al ruolo dell’ultimo uomo. Lo stesso Oliveira, quando gli abbiamo chiesto del suo futuro in pista, ci ha risposto senza troppi giri di parole che punta sulla strada. E ha aggiunto anche: «Le gare che mi si addicono di più sono le classiche. Mi piacciono molto quelle con il pavé. Ma adoro anche fare le gare di tre settimane». Potrebbe dunque rivestire un ruolo di appoggio (e non solo) in certe gare d’inizio stagione.

Corridori così versatili e grintosi sono una risorsa per un team. Insomma, non capita sempre di vedere un atleta che va avanti nonostante un braccio rotto.

E già adesso il ruolo di Rui è andato oltre quello del solo apripista. Nelle tappe più impegnative è stato chiamato a lavorare nelle prime fasi anche per  gli uomini di classifica. Se poi uno di questi è Joao Almeida, connazionale e compagno anche già dai tempi della Hagens Berman Axeon, tutto assume un altro sapore.

«Con Joao – ha detto Rui – siamo spesso in stanza insieme. Siamo compagni di squadra ma soprattutto amici, abbiamo molte cose in comune. Lui è un bravo ragazzo e un ciclista che lavora duro. Per me è un piacere lavorare anche per lui». Questo “anche” finale la dice lunga…

Lampo d’azzurro su Beihai: Milan si lancia, Viviani lo infila

12.10.2023
6 min
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BEIHAI – Dedicato a Marco Villa, pensiamo non appena Viviani e Milan sfrecciano accanto andando a fermarsi in fondo allo stradone liscio, dritto e caldo. La prima tappa del Tour of Guangxi parla italiano, come meglio non si poteva sperare, il tecnico della pista azzurra avrà gongolato vedendo davanti due dei suoi. La gente è assiepata alle transenne, calde per il sole. I fotografi sono pronti e la volata è un esercizio di tattica e potenza. Giocano pulito. E Milan involontariamente si trasforma nel perfetto leadout per Viviani. Parte infatti ai 300 metri e il veronese trova lo spunto per passarlo. Nei giorni scorsi gli avevamo chiesto come mai non avesse preso Morkov, poi finito all’Astana.

«Evidentemente – sorride accaldato – il progetto di Cavendish era più concreto. Credo che Mark farà il record di tappe al Tour, come credo che anche io con un buon supporto e le giuste gambe, posso essere competitivo contro i migliori sprinter. Sono sempre stato anche realista, però oggi ho dimostrato che ci sono».

Il Trofeo del Tour of Guuangxi è esposto la mattina al foglio firma, sorvegliato da guardiani speciali
Il Trofeo del Tour of Guuangxi è esposto la mattina al foglio firma, sorvegliato da guardiani speciali

Un lampo di Milan

Primo Viviani, secondo Milan. Il gigante friulano ha pagato care le fatiche del Giro e da maggio ha messo insieme appena nove giorni di corsa, faticando a trovare ritmo e sensazioni Anche i mondiali di Glasgow su pista non lo hanno mostrato ai livelli che ben conosciamo.

«Sono contento che sia tornato a sprintare – dice Viviani – perché essendo nello stesso gruppo della nazionale, sappiamo anche come ci vanno le cose. E Jonathan dal Giro non ha più ritrovato le sensazioni che voleva. Dopo l’arrivo gli ho fatto i complimenti. Alla fine l’ho passato solo io, perché mi sono trovato nella situazione perfetta per farlo. Ma tutti gli altri sono rimasti dietro ed è partito a 300 metri. Qualche mese fa, contro i miei stessi interessi, gli avevo detto che avrebbe dovuto finire bene l’anno, perché il prossimo per lui comincia una nuova avventura da leader e non sarebbe facile iniziare con l’ultima vittoria fatta a maggio. Sono felice di averlo visto fare una volata lunga e bella. Quanto a me, sono contento di essere tornato a vincere nel WorldTour una cosa che mi mancava da tanto».

Questa prima tappa a Beihai è stata la 47ª giornata di gara per Milan, appena la 9ª dopo il Giro
Questa prima tappa a Beihai è stata la 47ª giornata di gara per Milan, appena la 9ª dopo il Giro

Contento a metà

Milan sorride. E’ contento per la vittoria dell’amico, ma proprio perché non vince da maggio e da tutto questo tempo non azzecca una bella corsa, non gli sarebbe dispiaciuto affatto alzare le braccia. Gli chiediamo che effetto faccia veder vincere il… vecchiaccio.

«Sono contento sinceramente che mi abbia passato lui – sorride a denti stretti – e non qualcun altro. Oddio, contento, insomma… E’ stata una giornata bella calda, ma l’andatura non è stata particolarmente sostenuta, a parte i primi chilometri quando voleva partire la fuga. I ragazzi mi hanno scortato per tutto il tempo e nel finale mi hanno lasciato al punto giusto, anche se forse mi sono trovato davanti troppo presto. Non potevo aspettare nessuno, perché non volevo essere riassorbito e quindi sono partito lungo. Mi aspettavo qualcuno da dietro, ho cercato di dare tutto fino all’arrivo, però ci sono ancora 5 giorni. Non saranno tutti arrivi per me, ma sicuro cercherò di fare bene».

La testa e le gambe

Per un motivo o per l’altro, entrambi hanno buttato in questo sprint un anno di bocconi più o meno amari. E tutto sommato il fatto che siano ancora qui a lottare in questa caldaia cinese significa che sono in cerca di riscatto. Milan ha ammesso di non essere stanco tanto nelle gambe, quanto psicologicamente e Viviani è sulla stessa lunghezza d’onda.

«Ieri ho letto un tweet che ricordava le 18 vittorie del 2018 – ricorda Viviani – e non è semplice passare a zero nel 2020, sette nel 2001, due l’anno scorso e vincere la prima del 2023 solo la settimana scorsa… Ovvio che sono cose differenti, cambia tutta la dimensione, non bisogna mollare e non è mai facile. Servono le gambe, ma la testa fa la differenza. Non è stato facile passare la settimana scorsa tra il Croazia e la partenza per la Cina. C’erano 10 giorni a casa e allenarsi non è stato facile. Devi capire bene il tuo corpo per decidere quali allenamenti fare e accorciare le ore. A fine stagione è inutile farne 5-6, meglio 4 di qualità. Ho trovato anche dei giorni per andare in pista con la scusa di test sui materiali e per fare allenamenti di qualità. Quindi la settimana è passata bene, però senza le gambe non ti inventi niente».

La Ineos è in Cina con i due Hayter, Leonard, Narvaez, Plapp e Rowe: tutti per Viviani
La Ineos è in Cina con i due Hayter, Leonard, Narvaez, Plapp e Rowe: tutti per Viviani

Destinazione Parigi

Milan è come se avesse sentito e racconta di non aver avuto sensazioni ottime, ma discrete. Dice di aver fatto dei buoni allenamenti prima di partire e qualche lavoretto specifico ieri nel provare il percorso di tappa. E poi, mentre il compagno di nazionale si avvia verso altri giornalisti, Milan gli riconosce il merito di aver sempre creduto nella doppia attività, fra strada e pista.

«Essere il portabandiera della doppia attività – risponde Viviani a distanza – mi fa sentire orgoglioso. E’ un gruppo cresciuto negli anni insieme, quindi è ovvio che vediamo dei punti di riferimento in uno o nell’altro. E’ bello che anche gli altri siano cresciuti alternando la doppia attività e che vadano ad affrontare una stagione importante come quella olimpica. Jonathan è diventato campione olimpico a vent’anni, non è una cosa da tutti, non è una cosa che si dimentica. E l’anno prossimo torneremo a essere lo stesso gruppo che ha fatto belle cose negli ultimi anni in pista».

Ci arriverà a capo di un inverno composto da 2-3 settimane di stacco e poi tanto lavoro per la strada. Nessuna Sei Giorni, al massimo qualche gara Classe 1. Molto probabilmente non sarà neppure agli europei pista di gennaio, per non dover anticipare troppo la preparazione. L’obiettivo sarà arrivare pronto al Tour Down Under e poi di partecipare alla prima Coppa del mondo su pista. Ma adesso c’è questa storia cinese da portare a compimento. Domani si riparte in maglia di leader, il resto si vedrà giorno dopo giorno.

L’urlo di fine stagione. Oioli riparte da qui

12.10.2023
5 min
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C’è tanto dietro la vittoria di Manuel Oioli domenica al Gran Premio Del Rosso, una delle ultime classiche della stagione under 23. Un successo davanti a sei compagni di fuga, tutti di team di categoria mentre il corridore di Borgomanero è del Team Development Q36.5 e già questo è un motivo di ragionamento. Poi perché il successo diciamo che mette a posto un po’ di cose, dopo un’annata nella quale il corridore era spesso stato in evidenza, portando a casa tanti piazzamenti tra cui la piazza d’onore alla Piccola Sanremo, ma era sempre mancata la vittoria.

Un successo che rinsalda anche le convinzioni di Oioli (nella foto di apertura Pettinari Communications), alle porte di una stagione delicata, quella che dovrà sancire il suo passaggio al professionismo al termine di un percorso nella categoria coperto per intero, con convinzione, ma anche con tante ambizioni ancora da realizzare e per certi versi guadagnarsi.

«A dir la verità questa vittoria l’aspettavo da due anni – esordisce Oioli – praticamente è dal Lunigiana 2021 che attendevo, non ero mai riuscito a trovare la zampata giusta, pur portando a casa molti buoni risultati. E quando manca la vittoria è come se ti venisse un blocco mentale, pensi sempre di sbagliare tutto. Per me questo successo è stato una liberazione che vale tantissimo».

Il successo nella volata ristretta del GP Del Rosso, su Garavaglia e Bortoluzzi (foto Pagni)
Il successo nella volata ristretta del GP Del Rosso, su Garavaglia e Bortoluzzi (foto Pagni)
Che gara è stata?

Non tanto dura e non propriamente adatta alle mie caratteristiche, con la salita di Vico che era uno strappo di 3,5 chilometri da coprire otto volte, ma che non faceva così tanta selezione. Io però sentivo di stare bene e la corsa si è messa nella maniera migliore con un gruppetto in fuga. So che in quelle situazioni sono sufficientemente veloce per giocare le mie carte. Sapevo che era un’occasione da non farsi sfuggire.

Tu hai svolto un calendario abbastanza articolato, fra gare italiane ed estere. Che idea ti sei fatto?

Con il team abbiamo disputato quasi tutto il calendario delle gare internazionali in Italia, poi alcune gare all’estero che ho affrontato anche con la nazionale. Ho avuto l’opportunità di gareggiare anche contro i professionisti, come a Fourmies. Mi sono accorto che tra le gare internazionali di categoria, soprattutto all’estero e quelle contro i “grandi” non c’è poi questa grande differenza di ritmo e conseguentemente di livello. Mi sono anche dato una risposta: è merito proprio dei team Devo come il mio, dove si acquisisce l’abitudine a un certo tipo di ciclismo.

Quest’anno il piemontese ha assaggiato anche le sfide con i pro’, in Francia e Germania
Quest’anno il piemontese ha assaggiato anche le sfide con i pro’, in Francia e Germania
Trovi quindi differenza, a parità di età e valore, tra il gareggiare per una formazione di categoria e un team Devo?

Sì, senza alcun dubbio. E’ un vantaggio perché non devi sbatterti oltremisura per trovare un passaggio fra i pro’, è come se la tua strada fosse tracciata. Certo, bisogna andar forte, bisogna meritarselo, ma non devi star lì sempre a dimostrare qualcosa, sei più libero di testa. A me ad esempio, la mancanza di vittorie stava pesando, ma il team non ha mai smesso di credere in me.

Durante la stagione ti è mai venuto qualche dubbio sulla tua scelta di passare alla Q36.5 lasciando la Fundacion Contador?

Sinceramente no, è stata una scelta pienamente consapevole e che continuo a reputare giusta. Mi trovavo bene nel team, ma correvo poco e in un calendario, basato soprattutto sulle gare spagnole, che non era adatto alle mie caratteristiche. Nieri (Daniele Nieri, diesse del team, ndr) mi ha cercato molto lo scorso anno, il team mi è stato vicino anche in momenti difficili. Come detto c’è un clima di fiducia che aiuta a crescere.

Manuel Oioli è nato il 12 maggio 2003 a Borgomanero. Quest’anno ha colto 12 top 10 e una vittoria (foto Instagram)
Manuel Oioli è nato il 12 maggio 2003 a Borgomanero. Quest’anno ha colto 12 top 10 e una vittoria (foto Instagram)
Che voto daresti alla tua stagione?

Mi merito un 7,5 soprattutto per quest’ultima parte dell’anno. Avevo iniziato anche bene, ero anche salito sul podio nel prologo del Giro d’Algeria, ma a fine marzo, dopo che sentivo che qualcosa non andava, mi hanno diagnosticato la mononucleosi. Ho continuato a gareggiare, ma gli effetti mi hanno accompagnato per molte settimane. Sentivo di non andare come volevo, al ritiro estivo di Livigno sono addirittura svenuto in allenamento e i dirigenti temevano avessi qualche problema al cuore. Per fortuna è tutto passato e nel finale ho ricominciato a sentirmi come volevo io.

Che atmosfera c’è nel team development?

Molto serena, non c’è quell’ansia di risultato che per forza di cose un po’ si respira nella prima squadra, dove c’è bisogno di punti Uci anche per dare risposte agli sponsor che investono. Qui si pensa a crescere. La mia ad esempio è stata la prima vittoria in assoluto del team, ma non per questo le cose sono andate male, sappiamo tutti di lavorare per un progetto più grande.

Oioli nel 2021 era stato 5° agli europei e 7° ai mondiali. Ora vuole un’altra chance
Oioli nel 2021 era stato 5° agli europei e 7° ai mondiali. Ora vuole un’altra chance
La tua stagione è quindi finita al meglio…

Sì, le gare sono terminate, ora farò ancora qualche uscita di… decantazione in bici e poi un paio di settimane di totale stop per andare in vacanza. Non di più, poi riprenderò gradatamente con palestra e mtb per ritrovare un po’ di brillantezza in vista della preparazione invernale.

Che obiettivi ti poni per il 2024?

Uno solo e non è una gara specifica. Voglio passare professionista a fine anno, guadagnarmi la mia chance fra i grandi. La scelta di fare tutto il triennio di categoria la reputo indovinata, obiettivamente a oggi quel salto ancora non è nelle mie corde. Vorrei un 2024 più brillante, magari tornare in nazionale ma non come quest’anno, dove non potevo fare altro che aiutare i compagni. Vorrei farlo da protagonista, ancor meglio se all’europeo o al mondiale.