Malori: «Pedivelle corte ideali per brevilinei e per chi va agile»

27.01.2024
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La scelta di Remco Evenepoel di passare a pedivelle da 165 millimetri anche su strada e non solo nella crono ha catturato l’attenzione di esperti e appassionati della tecnica. Nella mtb già da un po’ le pedivelle si sono “accorciate”, anche a fronte di atleti piuttosto longilinei. L’ex tricolore marathon, Juri Ragnoli (tra l’altro ingegnere) fu tra i primi ad utilizzarle, nel ciclismo su strada è invece una nuova frontiera. Ma quando questa frontiera è esplorata da atleti del calibro di Evenepoel allora le cose cambiano e diventa tendenza.

Ne abbiamo parlato con Adriano Malori. Il grande ex cronoman, oggi dirige il suo centro di preparazione 58×11 a Parma. Quando si toccano determinati tasti è la persona giusta.

Adriano Malori (classe 1988), ex pro’, è oggi un apprezzato tecnico e coach
Adriano Malori (classe 1988), ex pro’, è oggi un apprezzato tecnico e coach
Remco utilizzava le pedivelle da 165 millimetri sulla bici da crono. Si è trovato bene e ha deciso di provarle anche su strada. Cosa ne pensi?

E’ principalmente una scelta legata alle sue caratteristiche fisionomiche. Mi spiego: lui è un brevilineo, ha gambe più corte rispetto al busto e quindi ci sta che si trovi bene con delle leve più corte. Un tempo si credeva che per girare i rapporti più lunghi, lo pensavo anch’io, servisse una leva più lunga. In realtà non è così, ma dipende dalle misure delle gambe.

E’ quindi questione di misure antropometriche…

Principalmente sì. Una gamba più lunga ha bisogno di più spazio per completare il giro di pedale. Quindi l’arto sale e scende di più, viceversa fa una gamba più corta. Se Remco avesse utilizzato pedivelle più lunghe avrebbe avuto una “dispersione” di tempo in questa rotazione. E’ un po’ come se avesse allungato il tempo morto della pedalata. E quindi avrebbe perso efficienza. Però ci sono anche altri fattori in ballo.

Tipo?

La posizione generale in bici e più in particolare quella della sella: se si è più alti o più bassi, più avanzati o più arretrati. Anche questo incide sulla dinamica della pedalata. Per fare un esempio, Vingegaard ha gambe lunghe e pedala piuttosto basso anche se è longilineo. Non distende molto la gamba e mantiene degli angoli piuttosto chiusi e per lui quasi avrebbe senso la pedivella corta. Ma con le sue caratteristiche fisiche non la sfrutterebbe bene. E lo stesso vale per Alaphilippe.

Remco ha optato per le pedivelle da 165 mm per aumentare l’agilità nei tratti più ripidi
Remco ha optato per le pedivelle da 165 mm per aumentare l’agilità nei tratti più ripidi
A proposito di angoli, di ginocchia che salgono… Remco contestualmente alle pedivelle più corte ha alzato la sella di 6 millimetri. Perché?

Primo, per mantenere proprio certi angoli della gamba. Secondo, perché vuol sfruttare appieno quel che gli possono dare le pedivelle corte. Vale a dire una migliore cadenza, un giro di pedale più rapido e una spinta con la quale si trova meglio. Perché poi, ricordo, questa scelta così come quella della posizione delle tacchette per esempio, è molto soggettiva. Io tanto per restare in tema, impazzivo se non avevo le tacchette in punta.

Chiaro, le sensazioni contano…

Oggi è dimostrato che non è così. Ma siamo nell’era dei marginal gains e per rosicchiare qualcosa si va per tentativi: vale per le tacchette, per le leve… ma non è detto che poi certe soluzioni vadano bene per tutti. Io, tornando alle tacchette, se non sentivo quel gioco di caviglia non mi sentivo bene. Oppure Pogacar al Lombardia. Quando è rimasto solo, se ricordate, cambiava in continuazione la posizione delle mani: ora su, ora giù… quello è un chiaro segno di scomodità. Ma pur di avere una posizione efficiente rinunciava ad un po’ di comfort. Per dire che la scienza va bene, ma poi conta il lato soggettivo. 

Ci sono relazioni tra i rapporti più lunghi come l’ormai collaudato 54-40 e la scelta delle pedivelle?

No, come ripeto dipende dalle misure degli arti. Semmai conta di più il tipo di cadenza che si ha. Per un Thomas, a prescindere dalla sua altezza, una pedivella corta avrebbe poco senso visto che va sempre duro. S’imballerebbe.

Secondo Malori, Roglic è il profilo ideale per le pedivelle corte: non è troppo alto, va agile e si alza poco sui pedali. Non andrebbero invece bene per Thomas
Secondo Malori, Roglic è il profilo ideale per le pedivelle corte: non è troppo alto, va agile e si alza poco sui pedali
Quindi le pedivelle da 165 millimetri a chi convengono?

Ai brevilinei e a chi va agile e non tanto a chi è più o meno potente. Per me il corridore ideale per le pedivelle corte è Roglic: anche se non è un brevilineo non è comunque troppo alto, va agile, non si alza spesso sui pedali… sembrano fatte a posta per lui. Senza contare che pedala basso e ha poca estensione della gamba e questo favorisce la rapidità del giro di pedale.

Remco ha scelto queste pedivelle anche per rendere meglio in salita. Si alzerà più spesso sui pedali?

In teoria non dovrebbe alzarsi proprio se vuole sfruttarle al massimo. O comunque dovrebbe farlo molto poco.

E per Nairo Quintana? Il colombiano, di cui sei stato compagno di squadra, è basso ma ha un femore molto lungo. Andrebbero bene per lui?

No, e infatti ricordo che a crono Nairo utilizzava pedivelle da 175 millimetri e la corona da 58. Il femore è la parte che più incide per me in questa scelta.

Pogacar tra Giro, Tour, mondiale e la nostalgia di casa

26.01.2024
4 min
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ABU DHABI (Emirati Arabi Uniti) – Trovarsi di fronte Tadej Pogacar per caso e rubare 3 minuti del suo tempo. A volte capita anche questo e come è facile immaginare, non ci siamo fatti scappare l’occasione.

Il Giro d’Italia, la passione per la bici, ma senza essere maniaco. La tripletta dei tre grandi Giri? Per ora non è neppure un sogno nel cassetto.

Un 2024 parecchio intenso per Pogacar, che debutterà alla Strade Bianche
Un 2024 parecchio intenso per Pogacar, che debutterà alla Strade Bianche
Finalmente ti vedremo al Giro d’Italia! Hai già puntato qualche tappa in particolare?

In realtà ho sempre desiderato di fare il Giro e questo è il momento giusto per esserci. Per quanto riguarda le tappe, abbiamo iniziato adesso ad entrare nel dettaglio del percorso. Quindi è difficile essere precisi in questo momento. Quello che posso dire è che ci saranno diverse frazioni impegnative e in diversi momenti, dall’inizio alla fine.

La scelta di essere al Giro potrebbe condizionare la tua prestazione al prossimo mondiale?

Per il mondiale è necessario capire come andrà la stagione. L’accoppiata Giro e Tour deve essere gestita e saranno anche le mie gambe a parlare. Vorrei esserci, questo è sicuro, ma prima di tutto voglio fare bene al Giro.

Pogacar tra i vertici dello sport di Abu Dhabi e dell’UCI
Pogacar tra i vertici dello sport di Abu Dhabi e dell’UCI
E invece in ottica Olimpiadi?

Non è il tracciato più adeguato alle mie caratteristiche. Il calendario di gare che abbiamo costruito non ruota attorno alle Olimpiadi. Nel 2024 gli obiettivi saranno Giro, Tour e mondiale.

Hai mai pensato alla tripletta Giro, Tour e Vuelta?

Ad oggi no, mai dire mai, ma non è tra le priorità.

Come sarà guardare gli altri competere nella prima parte di stagione?

Devo entrare nell’ottica e di sicuro è una cosa nuova per me, anche se l’inizio del mio programma di gare non è poi così lontano. Sarò comunque molto impegnato con una preparazione diversa dagli altri anni e con le ricognizioni.

Ti piace allenarti simulando la gara?

Si, mi piace la simulazione della gara durante l’allenamento e la sfida con i miei compagni. Se fatto nella giusta maniera è uno step che ti aiuta anche nell’approccio alla competizione vera e propria.

Lo sloveno, sempre attento alla sua bicicletta
Lo sloveno, sempre attento alla sua bicicletta
Nei giorni scorsi ti sei allenato con Van Der Poel? Una coincidenza?

Siamo buoni amici, ci scriviamo spesso, ma l’incontro durante il training camp è stato pura coincidenza, ci siamo incontrati per strada.

Quanto sei maniaco con la bici e con il materiale in genere?

Mi piace la bici, sono un appassionato di tecnica e di tutto quello che utilizziamo. Non mi definisco un maniaco, però mi piace provare e pensare a cose nuove, a soluzioni che possono dare quel qualcosa in più.

A tuo parere i materiali di oggi portano dei vantaggi?

Portano dei vantaggi per quanto riguarda un incremento e un miglioramento generale delle prestazioni, ma ritengo che nel World Tour siamo tutti ad un livello simile. Qualche team ha un abbigliamento più performante, altri hanno delle ruote più veloci, ma la realtà è che siamo tutti ad un livello altissimo.

Un ragazzino, difficile vedere Pogacar senza il sorriso
Un ragazzino, difficile vedere Pogacar senza il sorriso
Hai mai utilizzato i rulli per fare degli allenamenti indoor?

Sì certo, nel periodo del Covid era l’unico modo possibile di allenarsi in modo adeguato con l’obiettivo di mantenere uno stato di forma ottimale. Uno dei nostri sponsor è MyWhoosh e in quel periodo abbiamo provato anche diverse soluzioni poi utilizzate in seguito per la piattaforma.

Quale è la parte più difficile del mestiere del corridore?

Siamo fortunati e mi ritengo molto fortunato, ma come tutti i lavori dei sogni anche il ciclismo professionistico ha i suoi lati discutibili. Talvolta mi pesa stare lontano da casa e dalla famiglia per lunghi periodi. Questa è la parte del mio lavoro che mi pesa di più.

Moro e il keirin: «E’ tutta questione d’istinto»

26.01.2024
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Delle 6 medaglie conquistate dall’Italia agli europei su pista di Apeldoorn, quella di Stefano Moro nel keirin è stata la più sorprendente e quella dal più alto significato storico. Mai l’Italia era infatti salita sul podio continentale nella specialità, considerata ancora relativamente nuova anche se è ormai da più edizioni nel programma olimpico. Il suo bronzo è un altro passo verso la rinascita del settore velocità, ma soprattutto è l’esplosione di un talento arrivato alla sua maturità dopo aver trovato tardi la disciplina più adatta per esprimersi.

Moro ammette che il primo a essere rimasto sorpreso è stato proprio lui: «Ero partito nel torneo, che si disputa nell’arco della stessa giornata – dice – con l’obiettivo di raggiungere le semifinali. Mai avrei pensato di cogliere addirittura il bronzo. E’ stato un crescendo, l’andamento della semifinale mi ha gasato, mi ha fatto partire in finale con la voglia quantomeno di provarci ed è andata come meglio non poteva».

Per Moro quella del keirin è stata la prima medaglia da quando è passato alla velocità
Per Moro quella del keirin è stata la prima medaglia da quando è passato alla velocità
Vedendo il tuo torneo, la sensazione è stata che con il passare delle prove tu abbia trovato la strategia giusta, come una sorta di combinazione utile per emergere…

Un po’ è vero, nel senso che in semifinale ho visto che quando è partito il polacco Rudyk, riuscivo a tenerlo. Così ho pensato che se in finale prendevo la sua ruota, potevo arrivare davanti perché è uno che va davvero forte, ma è ancora “fra gli umani”.

E Lavreysen?

Ecco, questa è la differenza, l’olandese non lo tieni, è talmente potente che quando parte ti lascia sul posto. Seguirlo sarebbe stato un suicidio. Ho battezzato la ruota giusta…

Che impressione ti ha fatto gareggiare con questi atleti con una posta così importante in palio?

Non mi sono posto troppi pensieri alla partenza, sarebbe stato controproducente. Al via siamo tutti uguali, partiamo dalla stessa linea, poi ci sono le differenze, ma ci si lavora. Voglio dire che chiaramente l’olandese in questo momento è ingiocabile, ma io credo che in futuro potremo lottare ad armi pari. Serve però tanto lavoro, tanto…

Il momento decisivo della sua finale, quando ha seguito l’attacco del polacco Rudyk, poi argento
Il momento decisivo della sua finale, quando ha seguito l’attacco del polacco Rudyk, poi argento
Quanto influisce il fisico?

E’ una componente. Chiaramente se si guarda noi della nazionale e gli olandesi, la differenza balza all’occhio. Ma noi abbiamo dalla nostra l’età, parlo soprattutto dei miei compagni del settore. Chi ha atleti dello stesso livello così giovani?

Il keirin è la specialità che più ti si addice fra quelle della velocità?

Direi proprio di sì, è più nelle mie corde. Ho iniziato ad affrontarla seriamente solo da pochissimi mesi, ma vedo che si adatta bene alle mie caratteristiche, si lavora sul lanciato. Nello sprint ci vogliono qualità da scattista che io, venendo dall’endurance, non ho. Il keirin è soprattutto istinto, se cominci a pensare a che cosa devi fare ti freghi da solo. Devi aspettarti di tutto, è come la roulette…

Quindi come lo si affronta?

Concentrandoti su te stesso, su quel che devi fare. E’ importante come ti muovi tu piuttosto che quello che fanno gli altri. Questo risultato mi ha fatto capire che la mia scelta era stata giusta e che devo continuare a interpretarlo così, acquisendo sempre più consapevolezza dei miei mezzi.

Nel 2020 Moro aveva colto l’argento nel quartetto e il bronzo nella madison con Lamon
Nel 2020 Moro aveva colto l’argento nel quartetto e il bronzo nella madison con Lamon
A livello strettamente matematico, con questo bronzo saresti ancora in corsa per un posto a Parigi…

Sì, ma è oltremodo complicato, anche perché non ho abbastanza punti. Ho fatto una sola gara di Nations Cup e sono caduto. La prossima tappa in Australia dovrò saltarla, spero di gareggiare nelle altre. E’ chiaro che finché la matematica non mi condanna, io ci proverò. Realisticamente però i miei obiettivi sono più lontani, intanto vorrei avere abbastanza punti per qualificarmi per i mondiali. Quello è un target più alla mia portata.

E Los Angeles 2028?

Certamente è più fattibile, ci sono 4 anni per continuare a migliorare. So che con il duro lavoro arriveranno i miglioramenti e quindi potrò anche arrivarci. Io però sono abituato a pormi obiettivi a breve termine, fare un passo alla volta. Per questo ora voglio pensare a entrare nei 24 che faranno i mondiali.

Tu fai parte del progetto Arvedi, ma il tuo manager Rabbaglio ha specificato come per te non siano previsti impegni su strada.

No, la mia attività è concentrata sulla pista. Su strada vado solo per allenamenti, ma la parte principale della preparazione si divide fra la palestra e la pista stessa. Oltretutto non c’è solo il keirin, i tecnici vogliono che continui a migliorare soprattutto nella partenza e nelle fasi di lancio per poter essere utile anche in ottica velocità a squadre. D’altronde come detto faccio quest’attività da ancora troppo poco tempo.

Per Moro decisiva è la spinta di Quaranta, che lo ha convinto a cambiare specialità
Per Moro decisiva è la spinta di Quaranta, che lo ha convinto a cambiare specialità
Come fai con gli allenamenti su pista? Montichiari non basterà…

Infatti mi alleno molto al velodromo di Dalmine che è davvero a pochissimi chilometri da casa, poi da poco è stato inaugurato anche l’impianto di Crema, quindi le possibilità non mancano.

Allargando il discorso, tu fai parte di un settore rilanciato da Quaranta solo un paio d’anni fa e lavori con ragazzi ancora più giovani di te. Come vedi il futuro?

Io sono molto ottimista. Dobbiamo dire grazie alla Federazione che ha investito su questo settore facendolo ripartire da zero, con un tecnico come Quaranta e la supervisione di Villa. Ma il mio bronzo ha tanti padri: vorrei ricordare le Fiamme Azzurre che mi permettono di fare quest’attività, con l’appoggio di Onori, Masotti e Buttarelli. Poi la famiglia e la mia fidanzata Martina, che mi sostengono e sacrificano tempo per me. Infine il mio preparatore atletico Nicola Nasatti. E’ una medaglia di gruppo, anche se a salire sul podio sono stato solo io…

Il tuo ottimismo su che cosa si basa?

Su un semplice ragionamento legato al mio excursus. Quando mi affacciai in nazionale, nel 2014, il quartetto dell’inseguimento era lontanissimo dai vertici e guardate che cosa ha ottenuto. Con gente come Predomo, Bianchi, Napolitano, Tugnolo e Minuta abbiamo un gruppo che può fare lo stesso percorso. Dateci solo qualche anno.

Gobik, tra festa e affari, ragionando su Ineos e Movistar

26.01.2024
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BENIDORM (Spagna) – Mentre tutto intorno è in pieno svolgimento la Coppa del mondo di ciclocross e ormai si attende solo la grande sfida tra Van der Poel e Van Aert, nel villaggio Gobik, ricavato a margine dell’area VIP, si respira aria di festa. L’azienda di abbigliamento spagnola che ha sede a Yecla, a un centinaio di chilometri da qui verso l’interno, ha portato allegria, cibo, cerveza e un clima decisamente domenicale. La leggerezza tuttavia non tragga in inganno: in questa giornata di ciclismo e risate, si intrattengono clienti e si approfondiscono relazioni.

«E’ una festa – dice Mariana Palao Ureña, Sports Marketing – ed è anche lavoro. Ho la fortuna di trovarmi in un’azienda che ci permette di vivere il lavoro come una festa. Adoro il ciclismo, è la giornata ideale».

Mariana Palao Ureña e David Martinez sono in Gobik responsabile alle vendite e della comunciazione
Mariana Palao Ureña e David Martinez sono in Gobik responsabile alle vendite e della comunciazione

Movistar + Ineos

Da quest’anno Gobik veste anche il Team Ineos Grenadier e per questi stessi giorni la squadra britannica ha chiesto un incontro a porte chiuse in azienda per fare il punto della situazione e concordare strategie. La curiosità è tanta, soprattutto per capire in che modo Gobik riuscirà a seguire anche il Movistar Team, cui sono legati dalla bandiera spagnola e dall’amicizia. Ci risponde David Martinez, responsabile della comunicazione, originario proprio di Yecla e con orgoglio sottolinea che grazie a Gobik, la sua piccola città s’è guadagnata un posto sulle carte geografiche.

«Abbiamo lavorato con altre grandi squadre – dice – in precedenza anche con la UAE Emirates e la FDJ-Suez delle donne. Come siamo arrivati a Ineos? Le squadre parlano fra loro, si creano sinergie e capita che i contatti avvengano grazie a questi scambi di opinioni. La qualità dei prodotti è buona e lo è anche la capacità produttiva. E tutto questo è ottimale per una squadra che ha tante esigenze in termini di capi, numero di capi e caratteristiche tecniche. Non ci sono grandissime differenze fra i due team. Entrambi gareggiano d’estate, quindi maniche corte e pantaloncini. Poi d’inverno e sotto la pioggia. Il livello tecnico è molto alto e da diversi anni utilizziamo attrezzature professionali che danno un risultato molto soddisfacente».

Ogni squadra ha il suo livello oppure esiste un livello Gobik, che va bene per tutti? Il Team Sky aveva costruito attorno a sé il mito della ricerca estrema…

Quando si lavora con i team, alla fine non c’è uno che prevale sull’altro. Per noi diventa l’occasione di creare nuovi capi su cui applicare e poi testare ogni volta le caratteristiche tecniche migliori. Capita che un corridore di Ineos o Movistar abbia improvvisamente bisogno che la giacca protegga di più dal vento oppure che sia più stretta o più lunga, perché in questo modo ripara dalla pioggia. Quando poi, grazie alla loro collaborazione, vengono realizzati e rifiniti i nuovi capi, questo sviluppo finisce nella collezione dell’anno dopo e può essere apprezzato dal cliente finale.

Movistar ha la squadra di gravel, Ineos ha ciclocross e mountain bike: ci sono somiglianze o sono due cose diverse?

Alla fine il ciclocross e la mountain bike sono più competitivi. Si gareggia con indumenti attillati come su strada, a parte alcune piccole differenze. Nel caso di Ineos, ad esempio, si usano due maglie diverse. Qui a Benidorm, Pidcock utilizza lo speciale kit da ciclocross, diverso dal design da strada e mtb, che abbiamo realizzato per loro, con tonalità più arancioni e con specifiche tecniche diverse rispetto a quello da strada.

Invece per il gravel?

Nel caso di Movistar, la squadra fuoristrada è concepita come un test per i corridori più avventurosi e amanti delle lunghe distanze, che quindi non sono così competitivi. Per loro sviluppiamo un abbigliamento adeguato alle esigenze. Quindi maglie meno attillate e tasche più ampie in cui riporre i rifornimenti, perché sono prove molto lunghe che richiedono l’autosufficienza. Quindi il discorso è un po’ diverso.

Ganna in azione nella Surf Coast Classic in Australia, vestito con i nuovi materiali Gobik
Ganna in azione nella Surf Coast Classic in Australia, vestito con i nuovi materiali Gobik
La quantità di materiale per Ineos e Movistar è simile?

Lo stesso, praticamente identica. Anche il gruppo impegnato nella produzione è lo stesso. Lavoriamo tutti insieme per garantire le stesse risorse a un team e all’altro.

A che cosa serve incontrarsi con Ineos a inizio stagione?

Serve per pianificare, a livello di comunicazione, che cosa sarà il 2024. Se c’è qualche azione speciale che vogliamo fare durante l’anno, è bene pianificarla in modo da poter iniziare a lavorarci. Anche qui abbiamo realizzato l’evento con Tom Pidcock (foto Gobik Wear/davideacedo in apertura), che prevedeva un’esperienza nell’area VIP, la possibilità di incontrare Tom prima della gara e un tour all’interno del pullman della squadra.

Quanto è importante la comunicazione oggi?

Restando nell’ambito dell’abbigliamento, dico sempre che possiamo anche realizzare i capi migliori e con lo sviluppo tecnico più all’avanguardia, ma alla fine se il corridore non lo prova e lo comunica, la gente non lo saprà mai. Quindi per me la comunicazione ben fatta è una delle cose più importanti. Al pari di saper fare dei prodotti di prima qualità.

Motostaffette e scorta tecnica: un mondo da scoprire

26.01.2024
4 min
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Il mondo che circonda una gara di ciclismo è immenso, attorno ai corridori gravitano tantissime figure: ciascuna con il suo ruolo e la sua importanza. Durante una corsa, quando si attende con ansia il passaggio degli atleti, si possono veder sfrecciare gruppi di moto. Queste sono le motostaffette e la scorta tecnica, due ruoli importanti ma molto diversi

Ci siamo imbattuti, tramite i social, in una foto interessante postata dalla società Fontanafredda Scorte Tecniche. Uno scatto che immortalava un corso per motostaffette, allora abbiamo preso lo spunto e siamo andati a chiedere direttamente a loro come lavorano queste figure nell’ambito di una corsa di ciclismo. 

In foto il corso per motostaffette tenuto ad Azzano Decimo
In foto il corso per motostaffette tenuto ad Azzano Decimo

Parola all’esperto

Alle nostre curiosità risponde Roberto Bertolo, da dieci anni componente della commissione nazionale direttori di corsa e sicurezza

«Intanto – spiega subito Bertolo – c’è da dire che la foto dalla quale nasce l’intervista è stata fatta durante il corso di aggiornamento per motostaffette. E’ un corso biennale, obbligatorio, di quattro ore nel caso di rinnovo della licenza oppure di sei ore se si è nuovi. Lo tiene direttamente la Federazione, che si appoggia alle varie società, come la nostra. Il periodo dell’aggiornamento va da novembre a febbraio e viene fatto annualmente in modo tale da garantire a tutti gli staffettisti di poterlo rinnovare in base alla scadenza».

La scorta tecnica anticipa i corridori, in modo da garantire la massima sicurezza sul percorso
La scorta tecnica anticipa i corridori, in modo da garantire la massima sicurezza sul percorso
Invece, per la scorta tecnica?

Quello è un corso ministeriale, di otto ore e il protocollo disciplinare, redatto dal Ministero dell’Interno, per il momento prevede un aggiornamento ogni cinque anni. Il corso viene gestito sempre dalla Federazione, che riceve una delega dal Ministero. E’ un corso ministeriale perché la scorta tecnica diventa, a tutti gli effetti, un sostituto della Polizia Stradale. Questo vuol dire che in corsa, e solo in quel caso, opera con gli stessi poteri. 

Facciamo un passo indietro e distinguiamo le due figure, partiamo dalla scorta tecnica…

Vengono definiti dei “poliziotti laici” perché sono abilitati a fermare il traffico e non solo. Chi partecipa a questi corsi deve superare un esame, che si tiene presso il proprio comparto di Polizia Stradale. E’ diviso in due parti: una scritta e l’altra orale, l’argomento è il Codice della Strada. 

Il colore arancione contraddistingue le motostaffette
Il colore arancione contraddistingue le motostaffette
Che ruolo ha in corsa?

In gara sono distribuite fino a un paio di chilometri davanti ai corridori. Li potete distinguere perché indossano una pettorina di colore giallo. Hanno il compito di controllare gli incroci e regolare il traffico, controllano che il personale a terra sia ben disposto. Se ci sono situazioni di emergenza, come auto sul percorso, si occupano di farle spostare sul lato destro, quello sicuro ai fini della gara. Il loro compito è di presidiare la sicurezza in gara, dalla macchina di inizio corsa e quella di fine.

Il numero di moto della scorta tecnica come si decide?

E’ il direttore di corsa che si occupa del numero. Di solito si sta sulla ventina di moto, ma molto dipende dal percorso. Se è un circuito, che è più facile da presidiare servono meno uomini della scorta tecnica. 

In corsa rimangono più a contatto con i corridori visto che trasportano operatori e tecnici (photors.it)
In corsa rimangono più a contatto con i corridori visto che trasportano operatori e tecnici (photors.it)
E per quanto riguarda le motostaffette?

Loro in gruppo indossano le pettorine di colore arancione. A differenza della scorta tecnica li riconoscete perché hanno un passeggero a bordo. Portano figure legate alla gara, come i giudici, i fotografi e i cameramen. Inoltre, sono loro che gestiscono radiocorsa e il servizio di segnalazione, cioè la lavagnetta. Le motostaffette, quindi, sono quelle che rimangono più a contatto con i corridori, visto che trasportano persone che “vivono” la gara. 

Nei corsi, come quello appena effettuato, di cosa si parla?

Gli argomenti sono vari. Si parla in primis della normativa vigente e si ripassano le funzione ed il comportamento da tenere in gara. In questo caso facciamo vedere tanti video dove qualcuno commette un errore e lo commentiamo. Serve per far capire come si lavora e quali sono le fasi più critiche. 

Un altro servizio effettuato dalle motostaffette è quello della lavagna (photors.it)
Un altro servizio effettuato dalle motostaffette è quello della lavagna (photors.it)
Ad esempio?

Una moto che passa sotto al traguardo, è un errore grave. Oppure la scorta tecnica che presidia un incrocio e al posto di guardare il traffico rivolge lo sguardo alla corsa. E’ accaduta una situazione del genere e l’automobilista è partito entrando sul percorso, questo è un altro errore grave. Il nostro ruolo è proteggere, in particolare quello della scorta tecnica, e per farlo serve essere attenti, in ogni situazione. 

U23, le tante piccole squadre che in Italia servono eccome

26.01.2024
5 min
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Calzaturieri Montegranaro, Team Gragnano, Cablotech Biotraining, Lan Service, Uc Pregnana… Sono solo alcune delle tante piccole squadre che compongono il tessuto del movimento dilettantistico italiano degli under 23. Parliamo sempre delle migliori, delle più storiche, delle più grandi come Colpack-Ballan, Zalf o CTF che giustamente sfornano i campioncini del domani e pertanto hanno una determinata struttura e godono di una certa visibilità, ma anche queste squadre più piccole sono importanti per il movimento.

E lo sono soprattutto in Italia. Sono necessarie. Hanno ancora un senso. Il nostro ciclismo ha bisogno di loro, al netto della difficoltà storica e globale che sta vivendo la categoria U23. Ma questo è un altro discorso. Delle piccole squadre abbiamo parlato con il commissario tecnico U23 Marino Amadori. Ma già in passato avevamo toccato l’argomento, con Marco Toffali, diesse del Sissio-Team.

Il commissario tecnico Marino Amadori, qui con Milesi, dirige gli “azzurrini” U23 dal 2009 (foto FCI)
Il commissario tecnico Marino Amadori dirige gli “azzurrini” U23 dal 2009 (foto FCI)

In molti Paesi del Nord Europa, il ciclismo degli U23 è qualcosa di elitario. Pensiamo alla Norvegia per esempio. Ha pochissime corse, una trentina di atleti che sono portati avanti dalla Federazione o dalla Uno-X e corrono quasi solo all’estero. Sono i ragazzi che fanno parte di un progetto federale, come in Slovenia del resto. O in Danimarca fino a qualche anno fa.

Marino, dicevamo delle piccole squadre. Oggi per questi team forse è ancora più difficile che in passato tirare avanti…

Sicuramente il ciclismo è cambiato, lo abbiamo detto in tutte le salse. Ed è cambiato anche il dilettantismo, ma io credo che in Italia ci sia spazio anche per queste squadre più piccole. E c’è perché abbiamo ancora la fortuna di avere un calendario importante di gare regionali. In questo modo queste squadre hanno la possibilità di fare una buona attività. 

Parli del numero delle gare?

Del numero di gare, ma anche del fatto possono far correre ragazzi che chissà per quale motivo non sono ancora pronti del tutto, che hanno bisogno di più tempo per maturare. Possono prendere (e dare una speranza, ndr) a quegli juniores che non sono riusciti ad emergere. Danno a tutti loro la possibilità di correre 3-4 anni. Poi magari se alcuni di questi ragazzi vanno bene possono passare in una continental, in una squadra più grande under 23 o, perché no, al professionismo. Ci sono degli esempi.

In Italia le gare regionali per U23 sono state oltre 70 nella passata stagione
In Italia le gare regionali per U23 sono state oltre 70 nella passata stagione
Quali?

Senza andare troppo indietro penso a Nicolò Buratti, il quale prima di approdare al Cycling Team Friuli era in una squadra piccola. Ha fatto il primo anno al Pedale Scaligero e poi è andato al CTF. Questo vuol dire che la possibilità c’è. Poi è chiaro che queste squadre fanno fatica a mantenere i corridori più validi.

E forse neanche è il loro obiettivo… Come s’interfaccia il tuo lavoro di cittì con questi team più piccoli? 

Io guardo le loro gare. Vado spesso alle corse regionali. Non seguo solo le gare nazionali ed internazionali. Se individuo qualche ragazzo che ha delle buone attitudini, magari lo convoco per qualche rappresentativa, lo porto ai ritiri. Magari non lo porto al mondiale perché lì ci si ritrova con gente che corre nel WorldTour e la forbice è gigantesca, ma in qualche modo lo coinvolgo. L’esempio è Ludovico Crescioli (Mastromarco-Sensi passato alla Technipes-#InEmiliaRomagna, ndr): nella passata stagione l’ho portato alla Coppa delle Nazioni e in ritiro. Insomma, che si corra nella Garlaschese o nella Pregnana non si preclude nulla a nessuno.

Sono poi tanto diverse queste squadre più piccole rispetto alle più grandi di categoria?

Sì, parliamo di altri mezzi, altri budget, altri materiali, staff più all’avanguardia… Però al tempo stesso in quelle squadre c’è anche più “esasperazione” ed è normale. Alla fine hanno, tra virgolette, l’obbligo di vincere, di ottenere risultati. Cosa che nei piccoli team regionali non c’è. In team minori i ragazzi possono crescere e vivere le loro stagioni più tranquillamente. Poi è anche vero che per gli stessi ragazzi il confronto non è facile. Però se qualcuno di loro riesce a mettersi in mostra, se la squadra riesce a farlo crescere bene, allora tutto vale doppio.

I ragazzi della Cablotech Biotraining, piccola squadra bolognese che con Nicholas Tonioli ha ottenuto due vittorie (foto Facebook)
I ragazzi della Cablotech Biotraining, piccola squadra bolognese che con Nicholas Tonioli ha ottenuto due vittorie (foto Facebook)
All’estero forse questo tessuto di squadre non c’è. E’ da noi che per ragioni storiche, culturali, anche campaniliste se vogliamo, esiste e resiste.

Io credo che qualcosa ci sia anche all’estero. So per esempio che in Belgio, ci sono diverse gare molto piccole, delle kermesse in pratica, in cui i ragazzi corrono anche da individuali. Magari adesso le cose sono cambiate anche lì, ma chiaramente da noi questo sistema è più forte. Per i team continental c’è il limite di poter schierare nelle corse regionali solo gli atleti di primo e secondo anno. Io eliminerei anche questa possibilità, ma poi per questioni diverse come numero di partenti, impegni scolastici e altro questa regola resta e va bene così. Ma, come dicevo, abbiamo un certo quantitativo di organizzatori regionali che consentono a questi team piccoli di fare un calendario abbastanza corposo.

C’è qualche squadra di quelle più piccole con cui si lavora bene o che tu vedi lavorare bene?

Eviterei di fare nomi. Con tutti, chi più e chi meno, si lavora bene. I costi oggi sono molto elevati anche solo per andare a correre e quindi il loro margine di manovra e di organizzazione è molto ridotto. Però sono tutte squadre dirette da persone che hanno una grande passione e anche una grande esperienza. Credono nella loro attività, nel dare una possibilità ai ragazzi. Ci credono nonostante le limitate disponibilità finanziarie e per questo sono da elogiare. Alla fine parliamo di 30-35 squadre e non sono poche.

L’incidente e 4 operazioni, ma ora Iacomoni vuole ripartire

25.01.2024
4 min
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Ventuno novembre del 2023. Un giorno che Federico Iacomoni non scorderà più. Uno di quelli che segnano l’esistenza, che in un attimo cambiano gli stati d’animo e le prospettive. Ancora oggi, riparlandone, il giovane talento appena approdato alla Zalf Euromobil non nasconde le sue emozioni.

Un’uscita di allenamento come tante sulle strade nei dintorni di Mosana, in Val di Cembra. Strada normale, senza buche o avvallamenti. Il problema è che in senso contrario si è formata una lunga fila. E come sempre c’è il furbo che passa invadendo l’altra corsia. Federico gira la curva, l’auto è proprio di fronte: impatto pieno. Il ragazzo è sbalzato di almeno una decina di metri, verso un piccolo burrone.

I terribili esiti dell’incidente. Oggi la ripresa è finalmente iniziata, con tanta fisioterapia
I terribili esiti dell’incidente. Oggi la ripresa è finalmente iniziata, con tanta fisioterapia

«Ricordo poco di quei momenti – racconta – so però che l’automobilista non è scappato, si è fermato a prestare soccorso. Non riuscivo a muovermi. Mi hanno portato subito all’Ospedale Santa Chiara di Trento, dove mi hanno riscontrato una grave frattura all’omero, spezzato in più punti e frantumato vicino al gomito. Per rimetterlo insieme mi hanno preso un pezzo d’osso dal bacino, anche quello da rimettere a posto. Inoltre mi ero rotto anche ulna e radio, sempre a sinistra. Sono rimasto in ospedale quasi due mesi, durante i quali mi hanno operato per ben 4 volte con anestesia totale».

Hai già iniziato la fisioterapia?

Proprio nell’ultimo fine settimana. I tempi sono lunghi, ma spero entro breve di poter almeno iniziare a salire sui rulli, sarebbe già un passo avanti. Per il momento è importante curare non solo l’aspetto fisico, ma anche quello psicologico perché anche da quel punto di vista è stata una bella botta. Cerco di guardare tutto in positivo, già essere di nuovo a casa mi ha dato una bella carica.

Iacomoni ha iniziato a vincere molto presto (qui a San Pietro in Cariano nel 2018, photobicicailotto)
Iacomoni ha iniziato a vincere molto presto (qui a San Pietro in Cariano nel 2018, photobicicailotto)
Il team ti è stato vicino?

Molto, sono rimasti davvero scioccati da quanto avvenuto, anche perché ero molto carico per il passaggio alla Zalf. Gianni Faresin è venuto più volte a trovarmi e siamo in contatto pressoché quotidiano, mi hanno fatto sentire subito della famiglia. Ma devo dire che anche il vecchio team, la Sias Rime Drali, mi ha dato supporto.

Che stagione hai vissuto con loro?

Buona, con bei risultati. Ho anche vinto la classifica a punti al Giro del Friuli, ma sinceramente mi sono divertito tanto al GP Industria e Artigianato Carnaghese. Queste sono le gare dove ho fatto meglio, nella seconda parte di stagione. E questo mi dà conforto pensando al tempo che ci vorrà per raggiungere la forma migliore, evidentemente quello è un buon periodo per me. Lo scorso anno avevo staccato dopo Brescia, in estate, per oltre un mese. E’ chiaro che ora la preparazione andrà completamente rimodellata.

La vittoria a Carnago, con un’azione di forza, precedendo Piccolo ed Epis di 16″ (Photors)
La vittoria a Carnago, con un’azione di forza, precedendo Piccolo ed Epis di 16″ (Photors)
Quando sono nati i contatti con la Zalf, sono figli di questi risultati?

No, già in aprile avevamo preso contatti e sicuramente sapere di essere seguito da un team così importante mi ha dato la tranquillità per affrontare la stagione puntando a emergere il più possibile. E’ un passo fondamentale per puntare al professionismo e sapere che sono della famiglia – ribadisco questo concetto – mi dà la voglia di mettermi in gioco dopo quello che mi è successo.

Che corridore sei?

Un passista che ha per caratteristica quella di voler sempre attaccare, prendere le corse di petto. Ora nel nuovo team molto può cambiare e dovrò prendere le misure. Io mi aspetto una crescita prestativa, che non passa solamente attraverso i risultati. Spero molto di poter far bene nella seconda parte di stagione, anche con il team siamo d’accordo nel non affrettare i tempi, perché i danni sono stati seri.

Il trentino punta con forza alla seconda parte di stagione, storicamente la più favorevole per lui
Il trentino punta con forza alla seconda parte di stagione, storicamente la più favorevole per lui
Hai assorbito il colpo?

Non del tutto, ma diciamo che ci sto lavorando. E’ stato duro, i primi giorni sono stati tremendi. Io tra l’altro sono iscritto all’Università e avevo in programma esami a dicembre che sono forzatamente saltati. Per fortuna in queste giornate riesco ad avere più tempo per studiare, quindi conto di poter dare quegli esami e anche altri appena possibile. Ma quel che conta per me è poter salire presto in bici, non sapete quanto mi manca…

La crescita, le ambizioni e la tecnica di Matteo Bianchi

25.01.2024
6 min
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Un anno e mezzo dopo quel 59.661 e l’argento europeo di Monaco nel chilometro da fermo, Matteo Bianchi ha conquistato il primo titolo europeo di sempre di un corridore italiano in questa specialità. Le sue qualità tecniche hanno già riempito articoli e interviste e abbiamo imparato a conoscerle apprendendone la portata. Abbiamo però deciso di mettere sotto la lente d’ingrandimento questa sua crescita che è culminata con un successo storico per il movimento della velocità italiano. Con lui abbiamo analizzato le differenze e gli ambiti su cui ha lavorato insieme al team della nazionale per arrivare al titolo europeo. 

Da quel risultato sfiorato all’europeo di Monaco 2022 è nata la consapevolezza che potevi aspirare anche all’oro?

Sicuramente sì. Quell’anno lì mi ha aiutato a crescere, a capire il mio livello internazionale. In realtà non è che avessi preparato più di tanto il chilometro, perché lavoriamo più che altro sul team sprint e quindi di conseguenza anche sul chilometro. Sono tornato a essere terzo frazionista e quindi è un tipo di sforzo molto simile al chilometro.

L’anno scorso invece hai fatto quinto Grenchen…

Sì, l’anno scorso ero arrivato fuori forma, nel senso che la gara collocata così presto nel calendario mi aveva colto un po’ impreparato e quindi non ero al top della mia condizione e si è visto. 

Da lì è cambiato qualcosa o è sempre la stessa preparazione, stessa alimentazione?

No, sapevo come prepararmi a un appuntamento così presto nell’anno, perché ovviamente avere delle gare d’estate o in inverno cambia, soprattutto a livello di preparazione. Allenarmi su strada mi dà una grossa mano quindi ovviamente è diverso in certi periodi. Però sento di avere avuto una crescita generale con il team sprint. Anche grazie al mio preparatore che mi segue su strada da ormai un po’ di anni e collabora con Ivan Quaranta. Loro si organizzano e pensano a quello che è meglio per me. 

Hai trovato una tua dimensione e stai notando una crescita costante?

Sì, è la conseguenza di lavori costanti. Per stare dietro al team sprint bisogna migliorare per forza, quindi questo porta ad avere tempi migliori anche nel chilometro probabilmente.

Lato tecnico, cura delle traiettorie, posizione, stai imparando sempre di più una specialità così tecnica come il chilometro e anche la velocità a squadre?

Ogni giorno si cerca di limare qualcosa, che siano le traiettorie durante la prova oppure l’uscita dal blocco. Ce ne sono di cose da migliorare anche a livello aerodinamico. Rispetto al 2022 ho cambiato sia bicicletta che posizione. Se si guardano due foto a confronto tra europeo 2022 e quello 2024 le posizioni sono abbastanza diverse. In più sto usando un casco diverso. Questo è frutto del lavoro che fanno gli atleti endurance. Perché abbiamo la fortuna di avere uno dei settori top a livello internazionale, dove si investe molto e si fanno studi su posizioni, materiali e preparazione. Io sto utilizzando la loro stessa bicicletta e posso bene o male adattare un po’ quello che fanno loro.

Quaranta insieme a Bianchi dopo il successo
Quaranta insieme a Bianchi dopo il successo
Tu infatti utilizzi la Bolide con una forcella differente. Sai se ci sono nuovi modelli in arrivo?

E’ già uscito un altro modello nel senso che c’è il telaio, diciamo quello da corsa a punti classico, quindi non da inseguimento che l’anno scorso è stato riadattato sulle nostre esigenze per il team sprint. Sono venuti gli ingegneri di Pinarello per sviluppare questo telaio che ci sta dando dei vantaggi rispetto al materiale di prima. Invece la nuova Bolide ha delle misure un po’ particolari che stiamo cercando di adattare.

Hai parlato di un nuovo casco…

Kask ha visto che in galleria del vento, per chi ha le spalle un po’ più larghe come me, conviene utilizzare il modello Mistral LW. E’ un casco leggermente più grande, dentro è imbottito per avere lo stesso comfort a livello di calotta. La sua peculiarità è appunto quella di essere visibilmente più grande e questa cosa a livello aerodinamico, abbinata alla mia posizione, dà dei vantaggi. In più si aggiunge la lente, che ne aumenta la rendita. 

A livello di posizione cosa hai cambiato rispetto al 2022?

Ho il telaio di una taglia più grande. Le protesi non sono più dritte, ma le punte sono più verso l’alto, quindi ho le mani più alte così come i gomiti, per coprire meglio il busto. Tutto qui, so che può sembrare poco, ma fa già molta differenza.

Come sei arrivato a questi miglioramenti? Sei mai andato in galleria del vento?

Non sono ancora andato, però diciamo che è in previsione. Tutti i consigli sono basati su aspetti che i tecnici hanno analizzato e che funzionano a livello generale, anche guardando la concorrenza.

In una precedente intervista ci raccontasti che non senti la pressione pre-gara. E’ ancora così?

Sì, è una mia caratteristica. Negli appuntamenti importanti riesco sempre a mettermi nella situazione mentale non proprio di comfort, però riesco ad entrare in uno stato di tranquillità e consapevolezza di cosa devo fare.

Quaranta dopo il tuo successo ci ha detto che l’abilità più importante per fare quei risultati è il “peggiorare di meno“, visto che adesso ci sono molte prove in poco tempo, è così?

Sì, se prendiamo come esempio questo europeo, io in realtà pensavo di fare un tempo migliore nella seconda prova. Poi ho visto che un po’ tutti sono peggiorati o comunque non c’è stato nessuno che ha migliorato in maniera particolare. Se devo analizzare la mia seconda prestazione, direi che non è stata al top. Sono riuscito a portare a casa un buon risultato però non mi ha del tutto soddisfatto. Probabilmente ho sbagliato qualcosa sul recupero dopo la prima prova. Si poteva fare meglio.

Bianchi terzo frazionista sarà determinante per la qualificazione alle Olimpiadi di Parigi
Bianchi terzo frazionista sarà determinante per la qualificazione alle Olimpiadi di Parigi
Cosa pensi di avere sbagliato?

Sono sceso di pista che non stavo così male, quindi non ho fatto troppi rulli. Quando in realtà solitamente facevo esercizi 3-5 minuti sotto il medio intorno ai 200 watt, solo per smaltire più velocemente l’acido lattico. Diciamo che forse è stata questa la mancanza. 

Obiettivi imminenti in Coppa del mondo?

Adesso abbiamo la prima di tre prove. Partiamo domenica prossima e vediamo cosa riusciamo a portare a casa. Il nostro obiettivo sarà quello di ottenere la qualifica olimpica nel team sprint, visto che il chilometro non rientra tra le specialità olimpiche. Al momento siamo fuori dagli otto che vanno a Parigi. 

La velocità a squadre è sempre quella più trainante per tutto il reparto velocità…

Sì, nel senso che stiamo preparando prevalentemente quello e poi tutto quello che viene è frutto della preparazione che facciamo lì.

Van Petegem: il ciclismo moderno e il nuovo ruolo alla Bingoal

25.01.2024
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Nel ritiro spagnolo della Bingoal-WB era presente, in una nuova veste, Peter Van Petegem. L’ex corridore fiammingo ricopre dal 2024 il ruolo di Sport & Business Development Manager. Il suo arrivo ha un gran significato. La sua storia, il suo carisma ed il suo nome vanno di pari passo con la crescita della professional belga. Nello specifico il ruolo ricoperto da Van Petegem è quello di trovare sponsor e di coordinare l’attività della Bingoal. 

Peter Van Petegemè il nuovo Sport & Business Development Manager della Bingoal-WB (foto Instagram)
Peter Van Petegemè il nuovo Sport & Business Development Manager della Bingoal-WB (foto Instagram)

Sempre più costi

Abbiamo così contattato direttamente il due volte vincitore del Giro delle Fiandre e di una Roubaix per farci raccontare di questa sua nuova avventura. 

«Lavoro a stretto contatto con Christophe Brandt, General Manager del team – spiega Van Petegem – ieri abbiamo fatto un meeting a proposito dei prossimi impegni. Entro ufficialmente in squadra da quest’anno, ma già dal 2023 ho collaborato con loro. La ragione per la quale mi trovo qui è far crescere la Bingoal, vogliamo provare a fare un passo in avanti. Mi occupo di trovare gli sponsor e recuperare così il budget. Non è semplice, anche qui in Belgio. I costi crescono sempre di più e non è facile trovare qualcuno che ha così tanti soldi da mettere. Parliamo anche di cifre di 2-3 milioni di euro per il top sponsor».

Van Petegem insieme a Christophe Brandt, General Manager del team (photonews)
Van Petegem insieme a Christophe Brandt, General Manager del team (photonews)
Il costo per una squadra di ciclismo sta aumentando sempre di più…

E’ vero, come detto servono sempre più soldi. I costi si alzano costantemente e molta parte del budget viene spesa per la gestione. Ci sono sì gli stipendi dei corridori, ma ormai gli staff diventano sempre più grandi e questo fa lievitare i costi.  

Tra le spese ci sono anche i training camp, siete rientrati da poco dall’ultimo in Spagna.

I viaggi hanno un prezzo elevato. Devi trasportare tantissimo personale, una cosa che ha un peso sul budget. Considerate che anche noi abbiamo fatto un ritiro a dicembre e uno ora a gennaio. Tutto è cresciuto rispetto a qualche anno fa: staff, costi per il cibo, viaggi…

Com’è stato tornare in un ritiro?

Bello, è sempre una sensazione speciale, anche se vissuta in maniera diversa. I ragazzi si allenano molto, anche a dicembre e gennaio, ma è giusto così, ora si parte presto a correre. Quello che vogliamo fare è costruire un ambiente familiare, far sentire ognuno di loro come se fosse a casa. Arriveranno anche le corse di casa, quelle del Nord, e per una squadra come la nostra è sempre qualcosa di speciale. Speriamo arrivi anche qualche bella prestazione. 

Van Petegem è stato presente ad entrambi i ritiri invernali della Bingoal a Calpe (photonews)
Van Petegem è stato presente ad entrambi i ritiri invernali della Bingoal a Calpe (photonews)
Anche in Belgio, patria del ciclismo, si fa fatica a trovare sponsor?

Ci sono tante persone interessate nel mondo del ciclismo, questo non cambia. Però quello che nel tempo si è modificato è il budget per fare un certo tipo di attività. La passione delle persone resta, ma quando parli di soldi c’è chi si tira indietro, magari anche giustamente. 

La Bingoal come reagisce a tutto questo?

Anche solo la mia presenza all’interno del team aiuta. Alla Bingoal piace questa cosa, i corridori mi chiedono tante cose e vedo un ambiente sereno. Il mio obiettivo è far sì che il team cresca, non è facile perché molti ragazzi giovani ora chiedono contratti sempre migliori. 

“Colpa” dei Devo team del WorldTour?

Sicuramente i ragazzi ora hanno maggiori occasioni di entrare nell’orbita di certe squadre. I ragazzi giovani e forti ci sono, chiaro che quando arriva una squadra WorldTour competere diventa complicato. Il nostro obiettivo rimane comunque lavorare con i giovani. Lo facciamo da tempo e la nostra filosofia non deve cambiare. 

La Bingoal punta tanto sui giovani, come Villa e Persico, appena arrivati dall’Italia
La Bingoal punta tanto sui giovani, come Villa e Persico, appena arrivati dall’Italia
Il ciclismo belga, invece, conta su tanti atleti forti, ognuno diverso: Evenepoel, Van Aert, Philipsen e il giovane De Lie.

Vero, il periodo è piuttosto bello per il ciclismo belga, negli ultimi cinque anni ci sono stati tanti giovani che sono emersi. E’ emozionante guardare le corse e sapere di avere tanti corridori che possono fare bene. I risultati forse potrebbero essere migliori, ma c’è tempo per crescere e raccogliere i frutti del lavoro fatto fino ad adesso.