Tre maglie a casa e Viezzi ora riparte fra strada e mtb

08.02.2024
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«Tanti mi hanno fatto i complimenti, ma per fortuna non hanno fatto particolari feste. Non fanno molto per me, mi sarei sentito un po’ a disagio». Ieri Stefano Viezzi è tornato a scuola, il suo primo giorno da campione del mondo. Hai voglia a pensare che il ciclocross non sia così popolare: in Friuli lo è eccome. Poi i ben 19 anni di attesa prima del ritorno di una maglia iridata in Italia (l’ultimo era stato Davide Malacarne nel 2005, guarda caso sempre tra gli juniores) hanno alzato il livello dell’attenzione.

La vittoria di Tabor rende quasi necessario un approccio diverso con Viezzi, per conoscerlo meglio considerando che non capita spesso di avere prospetti simili nel mondo delle due ruote. Chiaramente però si parte dall’ultima magia, raccontata nell’intervallo tra una lezione e l’altra con i professori che, vista l’eccezionalità dell’evento, si mostrano più accondiscendenti del solito.

«So che molti mi guardavano come il grande favorito della gara e partire con tanta pressione addosso non è il massimo – racconta il ragazzo di Majano – ma la vittoria della settimana prima valsa la conquista della Coppa del Mondo mi aveva dato la consapevolezza di poter far bene. Avevo rimediato al disastro di Benidorm, il mio bilancio era già in attivo, anche se il mondiale era il mio vero obiettivo».

Il momento dell’attacco su Sparfel, stoppato da una foratura. Ma anche l’azzurro avrà i suoi problemi…
Il momento dell’attacco su Sparfel, stoppato da una foratura. Ma anche l’azzurro avrà i suoi problemi…
Anche a Tabor però le cose si stavano mettendo male…

Sono andato a sbattere contro una transenna e la ruota si è storta. A quel punto dovevo cercare di stare attento, badare soprattutto alla guida più che alla velocità, per non far prendere altri colpi. Se si fosse rotto il cerchio la gara sarebbe finita lì. Ho chiamato subito il team per farmi trovare la bici nuova, con cui ho fatto il mezzo giro finale.

L’olandese era quasi addosso a te, ti hanno avvertito?

Sì, ma lo sapevo. C’erano passaggi del circuito che permettevano di vedere chi c’era dietro. Quando ho cambiato la bici Solen era davvero vicino, ho capito che dovevo dare tutto per capitalizzare quei pochi secondi che mi rimanevano.

Ora hai ben 3 maglie a casa, a quale tieni di più?

Senza nulla togliere a quella tricolore, le maglie internazionali sono una grande soddisfazione, diversa. Quella di Coppa è il compendio di una stagione, che premia la costanza durante più mesi. Averla vinta in quella maniera, rimontando Sparfel nell’ultima gara, dà ancora più soddisfazione. La maglia arcobaleno è però un simbolo assoluto, che ti resta addosso per un anno. Io non potrò indossarla perché cambierò categoria, ma ha comunque un valore speciale. Forse anche maggiore dell’altra.

Proviamo a conoscerti un po’ meglio…

Lunedì ho compiuto 18 anni (e non potevo farmi regalo migliore…). Vengo da Majano, sono alto 1,90 per 70 chili di peso forma. Mio padre Luigi ha un’azienda di marmi, poi c’è mia mamma Michela e le mie sorelle Elisa e Alice, anche loro vanno in bici. O meglio, mia sorella maggiore ci andava, ma poi ha lasciato per concentrarsi sulla scuola, mentre la più piccola pedala anche lei. Io ho iniziato a 6-7 anni.

Il selfie del cittì Pontoni con Viezzi sul podio sta diventando una bella consuetudine…
Il selfie del cittì Pontoni con Viezzi sul podio sta diventando una bella consuetudine…
Fidanzato?

Sì, con Emma. L’ho conosciuta proprio attraverso il ciclocross, non abbiamo tanto tempo per vederci anche perché non abita vicino. Passiamo molto tempo in videochat, ma domenica era anche lei a Tabor e mi ha dato forza in più sapere che si è fatta ben 10 ore di macchina con la mia mamma per venire a vedermi. Poi ci sono i miei nonni Bruno e Valentino e mia nonna Marisa, loro sono rimasti a casa ma erano attaccati alla tv.

Quali altre passioni hai, fai altri sport?

Diciamo che mi piace sciare, per il resto non ho grandi hobby. Una cosa che amo è fare le passeggiate in montagna, raggiungere una baita dove prendere sole e aria, è qualcosa che mi rilassa molto e mi fa apprezzare il mondo che ho intorno.

La famiglia lo ha seguito fino a Tabor: 10 ore di macchina ben spese (foto Instagram)
La famiglia lo ha seguito fino a Tabor: 10 ore di macchina ben spese (foto Instagram)
Cinema, musica, videogames?

Mi piacciono i film action, ma non ne ho uno preferito né un particolare attore. Nella musica ascolto soprattutto il trap e il mio cantante preferito è Thasup. Videogames? No, proprio non mi piacciono. Ma devo dire che anche allo smartphone non dedico così tanto tempo. Lo uso, questo sì, ma senza esagerare.

Non segui neanche il calcio?

Pochissimo, non ho una vera e propria squadra del cuore, anche se mi piace il Real Madrid da quando ci giocava Ronaldo che per certi versi è un riferimento. Sicuramente con meno talento naturale di Messi, ma che con il lavoro è diventato quello che è.

L’abbraccio dopo l traguardo di Luca Bortoluzzo, meccanico della nazionale (foto Instagram)
L’abbraccio dopo l traguardo di Luca Bortoluzzo, meccanico della nazionale (foto Instagram)
Ora che sei campione del mondo, che cosa farai, sceglierai la strada o continuerai a fare la doppia attività?

Doppia? Anche tripla come consiglia il mio preparatore Mattia Pezzarini, che non ringrazierò mai abbastanza. Tra due settimane inizierò il mio ritiro prestagionale su strada con la Work Service, poi ai primi di marzo esordirò in gara, ma quest’estate sarà importante anche per gli appuntamenti in mountain bike. Non per niente il mio idolo è Van der Poel, che fa tutto e lo fa alla grande.

La tua più grande delusione?

L’europeo di quest’anno, dove ho commesso degli errori di valutazione che mi sono costati il podio. E’ stato il vero lato buio della mia stagione invernale.

E la più grande gioia?

Che dire, tra conquista della Coppa e il mondiale è stata una settimana da Dio, per dirla citando un titolo di film…

Damilano e la Rostese in Spagna: «Solo così si cresce»

07.02.2024
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La presenza della Ciclistica Rostese nelle corse a tappe in Spagna è praticamente una costante. Già nel 2023 i ragazzi, guidati dal diesse Beppe Damilano, erano stati più volte in terra iberica. Lì le corse di più giorni sono tante, tutte diverse e con un livello generale alto. Un bel banco di prova per i giovani del team piemontese che tra deserti e montagne si mettono in mostra, tornando a casa sempre con qualcosa di nuovo in valigia.

Tre giorni e altrettante gare nella Regione di Murcia per i ragazzi di Damilano
Tre giorni e altrettante gare nella Regione di Murcia per i ragazzi di Damilano

Alla ricerca di spazio

Questa volta la Rostese si è presentata al via della Vuelta Ciclista al Guadalentín, nella regione di Murcia. Tre tappe, tanto dislivello e un ritmo serrato. Damilano e i suoi sono tornati lunedì mattina dopo un viaggio intenso di quindici ore. 

«Il motivo dei nostri tanti viaggi in Spagna – racconta Damilano – è che là fanno le corse a tappe, qui in Italia no. Il livello medio è alto, ma non ci sono gli squadroni dei devo team del WorldTour. Quelli arrivano qui e fanno incetta di trofei e vittorie, ma non possiamo far correre tutti sullo stesso livello. Le potenzialità della Rostese sono molto limitate rispetto a quelle del WorldTour. Queste squadre prendono i migliori corridori al mondo, li allenano con i metodi dei professionisti e spesso li fanno correre insieme a loro. E’ normale che quando vengono tra gli under 23 vadano via come moto. Anche le continental fanno fatica a competere con loro, figuriamoci noi».

L’esperienza

La Rostese si è messa in testa di viaggiare, portare i propri ragazzi in giro per l’Europa, in modo tale da accumulare esperienze diverse. Uno degli obiettivi è andare in Portogallo e in Belgio, sempre quest’anno. Per respirare un ciclismo diverso. 

«In Spagna a correre con i miei atleti – dice Damilano – l’ho fatto per 17 anni di fila, anche prima di arrivare alla Rostese. Lì nascono i corridori da corse a tappe, ne hanno davvero tante, una sessantina all’anno. Qui in Italia ce ne sono poche e vengono prese d’assalto dai team internazionali. Ai miei ragazzi voglio insegnare, portarli dove possono imparare qualcosa e mettersi alla prova. Quindi ben vengano esperienze come quella appena fatta a Murcia.

«Un grande grazie – prosegue – va al nostro presidente Massimo Benotto che a volte, pur di far viaggiare i ragazzi, mette i soldi di tasca sua. Alla Rostese viviamo bene il ciclismo, è lui stesso a dirci che prima crei l’uomo, poi l’atleta. Se riesci a fare la prima parte sei già a metà del lavoro. E l’uomo si crea grazie a queste esperienze, dove i ragazzi hanno modo di mettersi alla prova».

I ragazzi della Rostese si sono mossi sempre per primi prendendo in mano la corsa
I ragazzi della Rostese si sono mossi sempre per primi prendendo in mano la corsa

Ciclismo iberico

A sentir parlare Damilano, viene voglia di mettersi in viaggio, intraprendere questa esperienza con i ragazzi e guardare dall’interno un ciclismo tanto diverso. Coglierne le differenze, i pregi e soprattutto imparare

«Nel 2023 – racconta ancora Damilano – siamo partiti con l’idea di provare a fare qualche gara a tappe in Spagna. Abbiamo iniziato con la Vuelta a Zamora e quella di Madrid, eravamo sotto prova, è andata bene e ci hanno invitati alla Vuelta Hispania. Allora quest’anno siamo voluti tornare e abbiamo mandato la richiesta per la Vuelta Ciclista al Guadalentín.

«Il livello generale delle corse è alto, ma non essendoci i team WorldTour ci sono più chance di mettersi in mostra. Ci sono tanti corridori under 23 forti, così come molti elite, che è un po’ la pecca di queste gare. Però l’esperienza passa anche dal correre con atleti di un certo livello, loro vanno forte e impari tanto nello stare accanto a loro. Lo vedo anche nella mia squadra, un atleta elite può insegnare molto ai giovani, Aimonetto ne è un esempio».

Un’altra esperienza in Spagna alle spalle, un modo per crescere e vedere un ciclismo diverso
Un’altra esperienza in Spagna alle spalle, un modo per crescere e vedere un ciclismo diverso

La corsa

Tre tappe, tutte combattute. I ragazzi della Rostese si sono messi all’opera, hanno combattuto, ci hanno provato e si sono fatti vedere. Provare a vincere è il miglior modo per imparare a farlo. I due volti in corsa sono stati Aimonetto e il giovane danese Lonsdale, classe 2003. 

«Loro due sono stati i nostri uomini di classifica – dice il diesse – nella prima tappa ci ha provato Aimonetto ma è stato ripreso sulla linea del traguardo. Nella seconda tappa, complici la sospensione a causa delle troppe cadute, abbiamo fatto più fatica a fare la differenza. Le strade erano molto tortuose e i miei ragazzi sull’ultima discesa hanno perso le ruote dei primi.

«Nella terza ed ultima tappa – conclude Damilano – abbiamo provato a ribaltare la classifica. Aimonetto è entrato nella fuga di giornata e avevamo l’occasione di prendere la testa della generale. Una volta che il gruppo ha chiuso lui ha provato ad allungare più volte ma è stato invano. Alla fine si è dovuto arrendere ed è arrivato ventesimo sul traguardo, con Lonsdale settimo. Siamo contenti di quanto fatto, soprattutto perché come previsto ci siamo messi alla prova e abbiamo provato a fare noi la corsa. Una cosa che aiuta i ragazzi a crescere. Andare all’estero a correre funziona e continueremo a farlo, e a tenervi aggiornati sulle nostre avventure».

Ravasi riparte dall’Austria e vuole indietro il suo posto

07.02.2024
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Edward Ravasi ha ritrovato l’equilibrio. Lo raggiungiamo in una sera di febbraio dopo una giornata dedicata alla palestra e ad una delle ultime sedute di corsa piedi: con l’avvicinamento del debutto, si tornerà alla bicicletta.

Dallo scorso anno il varesino di Besnate corre con la Hrinkow Advarics, continental austriaca con sede a Steyr, 170 chilometri a est di Vienna. C’è arrivato alla fine di quello che poteva sembrare un lento declino, invece vi ha ritrovato l’entusiasmo per il ciclismo. Si capisce dal timbro della voce e sarà più chiaro mano a mano che le risposte seguiranno le domande, anche le più scomode.

Ravasi è nato il 5 giugno del 1994 ed è professionista dal 2017, passato insieme ad altri tre talenti della Colpack: Ganna, Consonni e Troia. Ha corso per quattro stagioni con la prima UAE Emirates, poi due anni alla Eolo-Kometa. Quello che inizia è il secondo anche con il team austriaco.

Ganna e Ravasi, assieme a Consonni e Troia passarono nel 2017 in maglia UAE
Ganna e Ravasi, assieme a Consonni e Troia passarono nel 2017 in maglia UAE
Quando ricominci?

La squadra inizia con il Tour of Taiwan, io invece partirò a metà marzo con le gare di un giorno in Croazia e Slovenia. L’idea è di andare forte da maggio ad agosto, con un occhio di riguardo per il Tour of Austria, che sarà il centro della stagione. Vengo da un buon inverno, mi sono allenato senza problemi, mi sento già bene.

Come è stato ritrovarsi in una squadra continental a fare un’attività di secondo piano?

L’anno scorso venivo da un periodo difficile. Dentro di me facevo fatica a metabolizzare il cambiamento, poi mi sono accorto che quando partivo per le corse, i pensieri se ne andavano via. Magari preferisco correre il Giro d’Austria, perché è una 2.1 e mi ci trovo più a mio agio, usando le altre corse per fare la gamba. Però intanto l’anno scorso c’è scappata pure la vittoria, che mi ha dato morale e mi ha fatto ritrovare lo spirito dei bei tempi.

Edward Ravasi è nato il 5 giugno del 1994 ed è pro’ dal 2017. E’ alto 1.81 e pesa 61 chili (immagine Instagram)
Edward Ravasi è nato il 5 giugno del 1994 ed è pro’ dal 2017. E’ alto 1.81 e pesa 61 chili (immagine Instagram)
Sembri sorpreso…

All’inizio è stato difficile, ma ho trovato un buon mondo che non credevo. Leggevo nei giorni scorsi dell’idea di fare la Superlega, ma qui in Austria una Champions League se la sono già inventata. C’è un circuito di gare in cui l’anno scorso mi sono divertito, ritrovando la voglia di correre.

Come mai le cose con la Eolo-Kometa non sono andate?

Non ci siamo trovati su alcuni punti. Nel 2022 ho avuto una ciste e sono dovuto stare fermo per un mese. Non l’abbiamo operata, è passata con gli antibiotici. Poi ho avuto qualche acciacco al Giro di Sicilia, ma soprattutto a giugno è venuto a mancare mio padre. Era un punto di riferimento, mi sono ritrovato fra continui alti e bassi. E così sono arrivato a fine anno e onestamente credevo che mi sarei sistemato, ma senza risultati è stato impossibile. Invece, a dispetto di tutto, qui ho ritrovato la tranquillità personale e sono circondato dalle persone di cui ho davvero bisogno.

Nel 2023, Ravasi ha vinto la Osterreichische Meisterschaften Berg (immagine Instagram)
Nel 2023, Ravasi ha vinto la Osterreichische Meisterschaften Berg (immagine Instagram)
L’obiettivo è tornare in una squadra più grande?

Lo era anche l’anno scorso. Ad agosto mi hanno offerto un buon rinnovo del contratto con la clausola per potermi svincolare se trovassi una professional o una WorldTour. La mia idea è tornare di là e fare una o due stagioni buone. Già dall’anno scorso ho visto che i miei valori in salita sono tornati al livello dei migliori, per cui credo che potrei dire ancora la mia.

La tua carriera finora è andata per come te l’eri immaginata?

E’ stata più complicata del previsto e certo al di sotto delle aspettative. Al terzo anno con la UAE stavo anche andando bene, invece alla Vuelta Burgos ho avuto la frattura al collo del femore che mi ha bloccato. L’anno dopo c’è stato il Covid e poi gli anni alla Eolo sono passati via in fretta. Non credevo di fare tanta fatica, credevo di poter battagliare con quelli che sfidavo fra gli under 23.

Giro d’Italia 2021, arrivo di Sega di Ala: i due anni con la Eolo-Kometa non hanno dato i frutti sperati
Giro d’Italia 2021, arrivo di Sega di Ala: i due anni con la Eolo-Kometa non hanno dato i frutti sperati
Sei un nuovo Ravasi?

Ho ritrovato la passione per la bici e condivido il bello di fare sport con la mia ragazza, che fa corsa a piedi. Anche con il mio preparatore Luca Filipas dell’Endurance Academy c’è un rapporto ormai di famiglia e questo mi dà più energia e mi fa quasi sentire più giovane dei mei 28 anni. Credo di aver avuto una crescita atletica e anche psicologica. Diciamo che le bastonate servono a farti capire cosa bisogna fare.

Sei sempre parso eccessivamente magro, hai avuto un rapporto sereno col cibo?

Non ho mai avuto beghe, ma è vero che negli ultimi anni le dinamiche sono cambiate. Sono passato nel pieno del mito della magrezza, ora credo di aver trovato la quadra, avendo rimesso su la forza che mi serviva. Sono cose significative e non sempre quando sei giovane segui o ricevi i consigli giusti. Dopo che ci sbatti la testa invece, impari. Mangiavo il giusto, ma forse non era abbastanza. Ora mi sono irrobustito e mi sento più forte.

Dopo aver corso con la Eolo, nel 2023 Ravasi è passato nell’austriaco Team Hrinkow Advarics (foto Andrea D’Ambrosio)
Dopo aver corso con la Eolo, nel 2023 Ravasi è passato nell’austriaco Team Hrinkow Advarics (foto Andrea D’Ambrosio)
Resti un corridore per le salite?

Certamente, i numeri sono quelli. Ora sto lavorando sull’aerodinamica e la forza in pianura, affinché possa arrivare alle salite avendo ancora energie da spendere. L’obiettivo è il Tour of Austria, perché ne ho tutte le caratteristiche.

Tu vorresti tornare in una squadra più grande, sai che la tua Colpack dal prossimo anno sarà professional?

Lo so, lo so, ma è meglio non dire nulla. Concentriamoci sulle corse, al 2025 penseremo poi.

Protocollo “alte temperature”: il punto con Salvato

07.02.2024
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Come promesso a dicembre, in occasione dei mondiali di cross di Tabor, l’UCI ha ratificato  un nuovo protocollo per le condizioni meteorologiche estreme. Ma forse sarebbe meglio parlare di una nuova appendice. Un’estensione dovuta ai cambiamenti climatici e in particolare al surriscaldamento globale. Non a caso, questo supplemento si chiama “alte temperature”.

Fa sempre più caldo, lo vediamo costantemente sulla nostra pelle. Magari chi vive in pianura con l’alta pressione di questi giorni se ne è reso conto meno. Tuttavia bastava salire qualche centinaio di metri, in collina, per scoprire che era primavera. Zero termico a quote elevatissime, come dovrebbe accadere a luglio. Giusto due giorni fa sul Monviso, a 3.800 metri, c’erano 5 gradi. E siamo a inizio febbraio.

Caldo e acqua, sempre più spesso si vedono scene così. Qui, Pogacar al Tour
Caldo e acqua, sempre più spesso si vedono scene così. Qui, Pogacar al Tour

Cosa cambia

E così l’UCI ha ampliato l’Extreme Weather Protocol con un’appendice speciale per temperature estremamente elevate, il cosiddetto protocollo “alte temperature” appunto.

«Nei prossimi anni – si legge nel comunicato – sempre più gare saranno organizzate in condizioni climatiche molto difficili. E questo non farà altro che aumentare il rischio di incidenti dovuti al caldo».

Il nuovo protocollo prevede la creazione di cinque diverse zone termiche: bianca, verde, gialla, arancione e rossa. 

Vengono suggerite numerose possibili misure, come spostare la zona di partenza in un luogo ombreggiato. Consegnare bevande fredde e ghiaccio alle squadre durante la corsa. Avere più moto con bottiglie d’acqua. Modificare l’orario di partenza ed eventualmente neutralizzare alcune parti della competizione.

Qui però scatta la discussione: «Si tratta di raccomandazioni – chiarisce l’UCI – perché la responsabilità della decisione spetta sempre al gruppo di lavoro competente», insomma all’organizzatore.

Cristian Salvato (classe 1971) ex corridore, è oggi presidente dell’Accpi
Cristian Salvato (classe 1971) ex corridore, è oggi presidente dell’Accpi

Parola a Salvato

A questo punto abbiamo chiesto il parere di Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, con il quale tra l’altro avevamo toccato questo tasto già in passato. Lo avevamo fatto alla partenza del campionato italiano in Puglia del 2022, quando sotto un sole ad oltre 35 gradi già alle 9,30 del mattino partì una corsa rovente, durante la quale si toccarono i 43 gradi.

«Già all’epoca in Puglia – spiega Salvato – parlai di possibili cambi di orario di partenza. Ma il problema, come sempre, e ribadisco come sempre, è che servono regole univoche. Limiti certi. Numeri. E in base a quei limiti si stabilisce se partire o no. Altrimenti ogni volta ci troviamo a discutere con giudici, organizzatori, atleti…

«Se ci sono 2 gradi con pioggia gelata e il regolamento dice che da 3 gradi in giù non si può correre, non si corre. Se ce ne sono 5 si parte. Stop. Noi da tempo invochiamo regolare chiare. Anche per il vento, per esempio, non c’è un limite fissato. Nella vela esiste: oltre un certo numero di nodi non si gareggia. Sembra una cosa banale, ma è una faticaccia da mettere in atto».

Salvato insiste soprattutto sul discorso del freddo, quello per cui sono sempre nate le maggiori dispute. E i recenti casi del Giro d’Italia ne sono un esempio.

«Un vecchio adagio ciclistico – va avanti Salvato – dice: meglio sudare che tremare. Non ho mai sentito grosse lamentele rispetto al gran caldo. E’ soprattutto sul freddo che bisogna concentrarsi. Poi è chiaro che si deve prestare attenzione anche al caldo». 

Staff sempre più corposi e maggiori mezzi: i corridori hanno un costante apporto di acqua e ghiaccio anche da terra oltre che dall’ammiraglia
I corridori hanno un costante apporto di acqua e ghiaccio anche da terra oltre che dall’ammiraglia

Intervento banale?

Con Salvato si passa poi ad un commento degli interventi del protocollo “alte temperature”. Interventi che chiaramente, Cristian non giudica sbagliati, ma che forse a ben pensare rischiano di essere più di facciata che concreti. Almeno per il ciclismo ai più alti livelli.

Quando si parla di cercare location di partenze ombreggiate o più fresche, la chiosa di Salvato è semplice quanto ficcante: «Sì, okay partenze al fresco, ma oggi i corridori sono sul bus fino all’ultimo e lì c’è l’aria condizionata impostata alla temperatura ideale. Scendono per firmare e poi ritornano al bus o partono. In alternativa ci sono le aree hospitality che sono ombreggiate.

«E lo stesso vale per una moto in più per l’acqua. Oggi i corridori, con tutti i rifornimenti a terra che ci sono, non hanno problemi di approvvigionamento di acqua. Poi è chiaro che una moto in più non darebbe fastidio a nessuno. Non ce li vedo lamentarsi per questo».

Lonardi, due podi alla Valenciana. Per Zanatta è solo l’inizio

07.02.2024
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La prima trasferta si può proprio dire che sia stata positiva. In casa Polti-Kometa si fanno i conti dopo la trasferta in terra spagnola, per le corse di Mallorca e la Volta a la Comunitat Valenciana. In particolare quest’ultima ha regalato segnali positivi con i piazzamenti di Giovanni Lonardi, per due volte sul podio e le prestazioni generali di Paul Double e Davide Piganzoli, finiti a un soffio dalla Top 10.

Lo sprint per il 2° posto a La Valldigna. Consonni e Fiorelli battuti, ma Mohoric è già arrivato…
Lo sprint per il 2° posto a La Valldigna. Consonni e Fiorelli battuti, ma Mohoric è già arrivato…

Alla guida del team nella particolare occasione era Stefano Zanatta, decisamente soddisfatto per questa prima presa di contatto con le gare dopo settimane di preparazione: «Il primo test è andato bene, già nelle classiche maiorchine e di vigilia della Volta avevamo raccolto piazzamenti, ma soprattutto avevo visto i ragazzi vogliosi di essere protagonisti. E questo è un segnale importante anche per il prosieguo della stagione».

Al di là dei risultati, a che cosa hai guardato in particolare?

Intanto la gara aveva squadre di alto livello, molte presenze di team del WorldTour e quando ti confronti con loro, trovare spazi è sempre difficile. La cosa che mi è piaciuta di più, al di là dei piazzamenti, è stata vedere il carattere dei ragazzi, sempre in 3-4 nel cuore della corsa, anche nelle concitate fasi finali, sia per quanto riguarda la conquista delle tappe sia, con Paul e Davide (rispettivamente Double e Piganzoli, ndr), per dare un’occhiata alla classifica.

Stefano Zanatta, 60 anni compiuti da poco, è alla Polti-Kometa dal 2021
Stefano Zanatta, 60 anni compiuti da poco, è alla Polti-Kometa dal 2021
Il livello come ti è sembrato?

Molto alto e il podio finale, con corridori di Uae, Bahrain e Bora lo dimostra. Anche le squadre WT erano in Spagna per mettersi in evidenza e si è visto che corridori come McNulty e Vlasov erano già in ottima forma. Ma noi ce la siamo giocata, ci siamo fatti trovare pronti dopo la lunga preparazione invernale e siamo pronti a migliorare ancora.

I risultati migliori sono arrivati da Lonardi con due podi di seguito. Era il veronese la punta della vostra squadra?

Sapevamo che Giovanni era già in buone condizioni, ha fatto un proficuo lavoro invernale senza intoppi, il che è importante. La Volta a la Comunitat Valenciana aveva occasioni favorevoli, con le prime tre tappe quasi destinate alla volata, anche se le insidie non mancavano. Il primo giorno è rimasto staccato, ma nel secondo è rimasto sempre nel vivo della corsa e solo il colpo di mano di Mohoric in discesa l’ha privato di una possibile vittoria. Anche nel terzo giorno era lì nel vivo. Ma vorrei sottolineare anche la prova di Double e Piganzoli, che hanno anche provato a farsi vedere in salita e sono arrivati a ridosso dei più forti. Il risultato conta, ma mi conforta di più la prestazione atletica.

Paul Double, 27 anni, arriva dalla Human Powered Health. E’ corridore da gare a tappe
Paul Double, 27 anni, arriva dalla Human Powered Health. E’ corridore da gare a tappe
Lonardi lo scorso anno aveva chiuso con ben 15 piazzamenti nei dieci da Ferragosto in poi. Continua su quella scia?

Direi di sì, considerando anche che nella prima parte del 2023 era stato un po’ ai margini per problemi fisici. Conoscendolo – ormai è al terzo anno con noi – si nota la grande voglia di emergere, considerando anche che riesce ad adattarsi bene a differenti situazioni.

Ha un treno a disposizione per le volate?

Lonardi è un velocista atipico, non molto pesante considerando che ha un peso forma di 70 chili, ma questo lo favorisce su percorsi vallonati. Nella seconda tappa erano rimasti una cinquantina e lui c’era, a differenza di molti velocisti più di spicco, ma anche più pesanti. Un treno non possiamo permettercelo, saremmo pretenziosi al confronto con squadre come quelle presenti in Spagna. Giovanni aveva però a disposizione uno come Maestri che è molto abile a portarlo in posizione e con Munoz e Sevilla che si sono molto prodigati per aiutarlo. Non era proprio un treno, ma ha avuto un bel supporto.

Per Piganzoli un buon inizio stagione. Ora al Tour of Antalya conta di migliorare anche in classifica
Per Piganzoli un buon inizio stagione. Ora al Tour of Antalya conta di migliorare anche in classifica
Che cosa gli manca per emergere appieno?

Io gli dico sempre che dovrebbe essere un po’ più “cattivo”. Sta lavorando bene e la sinergia con Maestri penso che possa aiutarlo molto. E’ consapevole che, se ha fatto quel che ha fatto alla Valenciana con gente di primissimo rango, in corse leggermente minori può anche puntare al bersaglio grosso.

Lo vedi protagonista anche al Giro?

E’ chiaro che se lo confrontiamo con velocisti del calibro di Merlier o Milan, che oggi reputo il più forte in circolazione, Lonardi è uno scalino sotto. Le gerarchie però non sono intoccabili, nel senso che ogni corsa è a sé, anche i più forti possono sbagliare qualcosa e lui deve essere lì pronto. Io dico che può fare la sua figura e, perché no, pensare anche a vincere una tappa. Noi ci crediamo molto.

Prima vittoria di Milan con Lonardi terzo. Per Zanatta il friulano oggi ha una marcia in più
Prima vittoria di Milan con Lonardi terzo. Per Zanatta il friulano oggi ha una marcia in più
Ora che cosa vi aspetta?

Ormai l’attività è entrata nel pieno. Noi avremo due gruppi, uno ad Antalya e l’altro sempre in Spagna per Almeria e Andalucia. Giovanni sarà in Turchia, in una corsa a tappe forse anche più accessibile per le sue caratteristiche, con almeno tre occasioni a disposizione e una concorrenza certamente non come quella trovata alla Volta a la Comunitat Valenciana. Poi sarà a El Gran Camino, ma lì servirà mettere chilometri nelle gambe in vista di marzo e dell’inizio della stagione italiana alla quale teniamo particolarmente, con corse come la Milano-Torino che sono altre occasioni per emergere.

Sei neopro’ tutti d’oro per la Soudal-Quick Step del futuro

07.02.2024
5 min
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Prima o poi forse sapremo come sarebbe dovuta finire la fusione della Soudal-Quick Step e se davvero il partner prescelto fosse la Jumbo-Visma o piuttosto il Team Ineos Grenadiers innamorato di Evenepoel. In ogni caso anche la Soudal-Quick Step, che nel corso dell’inverno ha visto partire un bel numero di corridori (Ballerini e Bagioli, per restare fra i nostri), si è ritrovata in casa un gruppo di giovani a dir poco interessanti. E se una volta i panni del talent scout per il team belga li vestiva Matxin, oggi il ruolo è di Johan Molly, che questa volta ha dimostrato di avere la vista davvero lunga. Ecco allora come lo scopritore ha descritto i suoi ragazzi, alcuni prelevati dal devo team, altri pescati fuori dopo risultati importanti.

Johan Molly è il talent scout dei giovani per la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
Johan Molly è il talent scout dei giovani per la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)

Gil Gelders, 21 anni

Lo scorso anno il corridore di Asse (alto 1,79 per 66 chili) ha vinto la Gent-Wevelgem U23, la Ruota D’Oro a Terranuova Bracciolini e la 2ª tappa al Giro Next Gen. Quest’anno Gelders ha debuttato con il quinto posto nella Down Under Classic.

«Gil sarebbe potuto diventare professionista lo scorso anno alla Bingoal-WB – spiega Molly – ma ha fatto la scelta giusta. E’ rimasto un anno in più nel nostro devo team e questo gli ha permesso di fare un altro grande passo. Secondo me entro un paio di anni potrebbe essere vincente nelle cinque gare Monumento. Nella Gand U23 ha attaccato per tutto il giorno, fino a quando l’ultimo corridore ha dovuto lasciare la sua ruota».

In azione sulla salita di Mount Lofty al Tour Down Under: ecco Gil Gelders
In azione sulla salita di Mount Lofty al Tour Down Under: ecco Gil Gelders

William Junior Lecerf, 21anni

Se ne è andato dal 2023 vincendo il Piccolo Giro di Lombardia. E’ uno scalatore alto 1,69 per 54 chili: leggero ma anche bravo a muoversi in gruppo. Anche lui è figlio del devo team.

«I suoi risultati – dice Molly – parlano da soli. Lo scorso anno è stato molto regolare: quarto al Giro Next Gen, quinto al Tour de l’Avenir. Non vogliamo farne un secondo Isaac Del Toro, ma William in Francia ha impressionato. E’ importante per un corridore: sembrava che migliorasse ogni giorno».

Due maglie in casa Soudal all’AlUla Tour: Lecerf la bianca dei giovani, Merlier la rossa a punti
Due maglie in casa Soudal all’AlUla Tour: Lecerf la bianca dei giovani, Merlier la rossa a punti

Luke Lamperti, 21 anni

Il corridore americano è veloce e ha una struttura importante: alto 1,80 per 74 chili. Proviene dalla Trinity Racing e in squadra lo definiscono l’erede di Jakobsen, ma si immagina che in futuro sarà più di un semplice sprinter.

«Lamperti è un ottimo corridore – conferma Molly – ma non un vero velocista. Se deve trovare la sua traiettoria in uno sprint, ha ancora qualche difficoltà. Fortunatamente in quei casi avrà accanto dei corridori capaci di portarlo perfettamente nel punto giusto e a quel punto potrà giocarsi la volata. Un tipo alla Michael Matthews, capace in prospettiva di fare bene in corse come l’Amstel e la Freccia del Brabante»

Lamperti è arrivato alla Soudal-Quick Step dalla Trinity Racing
Lamperti è arrivato alla Soudal-Quick Step dalla Trinity Racing

Paul Magnier, 19 anni

Prima corsa e prima vittoria, al Trofeo Ses Salines a Mallorca (foto di apertura). Gran fisico (1,87 per 70 chili), il francese che arriva come Lamperti dalla Trinity College ha fatto sorridere quando, da ex atleta della mountain bike, ha confessato di non sapere chi fosse Lefevere. Il suo risultato più eclatante del 2023 è stato il terzo posto agli europei.

«Ho avuto il primo contatto con lui da junior nel 2022 – racconta Molly – durante il Valmorey Tour. A fine anno ha svolto uno stage con noi. Volevamo inserirlo nel devo team, ma alla fine tramite Specialized è andato alla Trinity Racing. E’ un talento davvero eccezionale. Ci piacerebbe portarlo alla Liegi U23 e al Giro Next Gen, ma non so se sarà più possibile visti i risultati che ha ottenuto tra i professionisti».

Warre Vangheluwe con Bramati all’AlUla Tour: un debutto faticoso
Warre Vangheluwe con Bramati all’AlUla Tour: un debutto faticoso

Warre Vangheluwe, 22 anni

Nel 2023 ha vinto la Gullegem Koerse e la Youngster Coast Challenge battendo in volata Alec Segaert dopo una fuga a due di 60 chilometri. Un metro e 89 per 79 chili, fiammingo purosangue, l’importante per lui è che la strada non sia in salita.

«Uno che non ha mai problemi a tirare per la squadra – dice Molly – ma che può anche ottenere risultati per se stesso. Se riesci a battere Segaert in quel modo, hai diritto sicuramente a un posto tra i professionisti».

Pepijn Reinderink ha vinto il campionato nazionale U23 dello scorso anno (foto Instagram)
Pepijn Reinderink ha vinto il campionato nazionale U23 dello scorso anno (foto Instagram)

Pepijn Reinderik, 21 anni

Alle sue spalle ci sono due anni nel Development Team DSM. Un metro e 79 per 67 chili, lo scorso anno ha vinto la prima tappa del Trittico Ardennese e il campionato olandese U23. Va forte in salita, ma non ha esperienza sulle grandi salite, al punto che forse gli avrebbe fatto bene un anno in più in una squadra U23.

«Alla DSM– spiega Molly – Pepijn era ormai in un vicolo cieco, finché Kevin Hulsmans lo ha portato nella nostra squadra, dove l’anno scorso ha impressionato fin da subito. E’ stato prezioso per Ethan Vernon nelle due vittorie al Tour of Rwanda. A dire il vero proprio lì ha avuto una brutta caduta, ma ha tenuto duro, mentre sono certo che altri si sarebbero fermati. L’intenzione era che passasse tra i professionisti solo nel 2025, ma a causa del programma ricchissimo e dei tanti giovani che abbiamo reclutato, abbiamo deciso di prendere un corridore in più».

Glivar, primo anno con Pogacar e già inizia a vincere

06.02.2024
5 min
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Di Gal Glivar avevamo già avuto modo di occuparci dopo il clamore suscitato lo scorso anno dalle sue vittorie nella prima parte di stagione. Si parlava di lui come del nuovo Pogacar, l’ennesimo talento emerso dal prolifico movimento sloveno. Da allora il 21enne ha cambiato squadra, entrando nell’universo della Uae attraverso la porta del devo team, ma sin dalle prime battute ha fatto vedere di che pasta è fatto, andandosi a prendere il Tour of Sharjah.

Miglior inizio di stagione non ci poteva essere: «Mi sono preparato bene durante l’inverno – racconta subito dopo il suo ritorno a casa – prima della partenza si era deciso che sarei stato il leader della squadra per via della mia forma. E’ stato bello arrivare con un piano alla corsa e seguirlo fino alla vittoria finale».

Seconda tappa del Tour of Sharjah, vince il francese Barbier. Alle sue spalle Bonifazio (a destra) e Glivar (a sinistra)
Seconda tappa del Tour of Sharjah, vince il francese Barbier. Alle sue spalle Bonifazio (a destra) e Glivar (a sinistra)
Che ambiente hai trovato nella corsa araba, che cosa ti ha colpito di più del Paese e della gente?

E’ un posto che sta davvero crescendo nel ciclismo ed è incredibile vedere tanti ciclisti lì tifare per noi e per la nostra squadra. Le persone erano fantastiche, ci hanno fatto sentire davvero a casa. Sono tutti così gentili ed è bellissimo correre in questo Paese. Abbiamo trovato molto pubblico alla partenza come anche alla fine delle tappe. C’erano tante persone, anche persone importanti degli Emirati Arabi Uniti, si vede che ci tengono alla gara e tengono che noi del team di casa facciamo bella figura.

Che livello di corsa era, quanta concorrenza hai trovato?

C’erano 165 corridori provenienti da molte nazioni. C’erano molte squadre asiatiche e alcune professional europee. Quindi il livello era piuttosto alto e questo mi incoraggia molto, so di aver fatto qualcosa d’importante.

Il podio finale con molti sceicchi del luogo. Glivar ha vinto con 22″ su Heidemann (GER) e 37″ su Budyak (UKR)
Il podio finale con molti sceicchi del luogo. Glivar ha vinto con 22″ su Heidemann (GER) e 37″ su Budyak (UKR)
Noi c’eravamo sentiti nello scorso giugno, tu da agosto sei alla Uae. Che cosa è cambiato?

Ho fatto qualche mese con la squadra maggiore, ora sono nel devo team. Questo è il nuovo progetto del gruppo arabo ed è un progetto straordinario, che permette di crescere e fare le proprie esperienze guardando anche ai più grandi. Io venivo dal team sloveno dell’Adria, passando in una realtà così grande sono rimasto attonito. E’ la migliore squadra del mondo con i migliori ciclisti. Ha tutto ciò di cui abbiamo bisogno, la migliore attrezzatura, la migliore alimentazione, il miglior allenatore. Non c’è situazione migliore per crescere.

In base a questi mesi e soprattutto all’ultima vittoria, continui ad essere un corridore per corse a tappe?

A dir la verità ho sì vinto la classifica generale, ma non mi vedo come un corridore da classifica generale. Le mie caratteristiche sono migliori per le classiche come le gare lunghe con salite brevi, come la Liegi-Bastogne-Liegi. Queste sono le gare che amo di più.

La gara negli Emirati ha visto la Uae Gen Z correre in protezione di Glivar (foto Tour of Sharjah)
La gara negli Emirati ha visto la Uae Gen Z correre in protezione di Glivar (foto Tour of Sharjah)
Come ti trovi a correre con Pogacar e quali sono i rapporti con lui?

E’ davvero un grande corridore, ma prima di tutto una brava persona, quindi è davvero bello allenarsi con lui. E’ rilassato e professionale ma anche molto veloce. Molto… Quindi se voglio allenarmi con lui devo dare il massimo tutto il giorno e io non sono al suo livello. Per questo non ci alleniamo molto insieme. Almeno per adesso, devo ancora crescere e migliorare.

Tutti dicono che la Uae è una squadra di campioni dove quindi è più difficile trovare spazio per un giovane. E’ vero?

Sì, la squadra ha molte stelle, ma anche molti aiutanti come il mio buon amico Domen Novak della squadra maggiore. Mi alleno molto con lui, ma la squadra è davvero ottima per lo sviluppo perché lavoriamo con le stesse persone e siamo davvero connessi con il team principale.

Lo sloveno ha capitalizzato il successo nella crono. Lo vedremo all’opera a Murcia e Almeria
Lo sloveno ha capitalizzato il successo nella crono. Lo vedremo all’opera a Murcia e Almeria
La seconda parte di 2023 non ti aveva visto protagonista come la prima. E’ stato il contraccolpo del passaggio di squadra?

Dopo i campionati nazionali ho avuto il Covid che mi ha lasciato dei problemi ai polmoni, mi allenavo ma non ritrovavo la mia forma. Essa è arrivata solo alla fine della stagione, ero di nuovo ad un buon livello al Giro della Croazia. A quel punto hanno deciso che mi avrebbero portato al devo team.

Tu sei considerato già l’erede di Pogacar anche se siete entrambi molto giovani. Ma ci sono in Slovenia altri ragazzi al vostro livello?

Non abbiamo un grande bacino di corridori come Italia, Spagna o Francia. Ma abbiamo molto potenziale in quelli che emergono e approdano fra i professionisti e penso che tra qualche anno il ciclismo sloveno salirà di livello anche dal punto di vista numerico.

Ora che cosa ti aspetti da questa stagione?

Il nostro programma prevede di vincere gare con il team Gen Z e di fare esperienza con tutti i corridori del team WT. Quindi farò metà gare con il team di sviluppo e metà con quello principale. Il tutto al fine di migliorare, fare esperienza e imparare il più possibile. Magari ripetendo quanto avvenuto negli Emirati anche un po’ più vicino a casa…

Aerosensor, la genialità di esserci arrivati prima

06.02.2024
5 min
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Il Team Lidl-Trek introduce nel ciclismo e utilizza l’Aerosensor, ovvero la tecnologia della galleria del vento portata all’esterno e su una bicicletta. Abbiamo chiesto di cosa si tratta nello specifico direttamente a Koen de Kort, responsabile dell’area tecnica e di sviluppo tecnologico, oltre a come viene approcciata questa tecnologia da parte degli atleti.

Le innovazioni portano sempre ad una separazione netta delle considerazioni. Ci sono i progressisti che accolgono in modo positivi i diversi step dell’avanzamento tecnologico. Ci sono i conservatori, che criticano e guardano con sospetto il cambiamento. Sta di fatto che la ricerca tecnologica non può essere fermata.

Non solo per le bici da crono (foto SeanHardy)
Non solo per le bici da crono (foto SeanHardy)

Cosa è l’Aerosensor

Aerosensor è il nome dello strumento, ma anche quello dell’azienda fondata da Barney Garrood, ingegnere aerodinamico della F1. Quello utilizzato dal Team Lidl-Trek è un sistema portatile che permette di leggere ed ottimare le performance aerodinamiche, utilizzabile su strada, sulle bici da crono e in pista. E’ composto da due terminali. Il primo, ovvero Aerosensor, è posizionato sul manubrio e misura la resistenza aerodinamica. Il secondo (Aerobody) è sull’attacco manubrio e valuta la posizione del ciclista.

Il sistema Aerosensor viene combinato al sensore di velocità ed al misuratore di potenza, soluzione che permette di valutare accuratamente il coefficiente di resistenza aerodinamica dell’atleta quando pedala. Il primo ostacolo da superare è proprio la resistenza aerodinamica, considerando che ad una velocità costante di 40 chilometri orari, l’atleta spende circa il 70/80% della potenza per vincere la resistenza dall’aria. Questa percentuale si dilata man mano che la velocità aumenta. Ottimizzare la posizione dell’atleta e renderla più efficace può essere una chiave di volta.

Come funziona l’Aerosensor?

E’ una sorta di piccola galleria del vento che viene montata sulla parte frontale della bicicletta, sotto il manubrio e che misura la velocità del vento in ingresso. Misura anche altri fattori, come ad esempio l’altitudine e altri, importantissimi ai fini di una valutazione precisa legata al performance. L’analisi non è strettamente legata a quanto forte spinga il corridore, ma quanto gli equipaggiamenti, la sua posizione in bici ed i componenti in genere influiscano sulla potenza erogata dall’atleta. Aerosensor è uno strumento di ultima generazione che può essere utilizzato in diverse situazioni, indoor e outdoor.

Ad esempio anche per le salite o quando le velocità sono ridotte?

Certo, assolutamente sì. Aerosensor non è dedicato esclusivamente ai cronoman, alla valutazione delle bici da crono e alle bici con dei concetti aerodinamici marcati. Grazie a questo strumento possiamo quantificare quanto incide ad esempio un set di ruote piuttosto che un altro, dal profilo basso, medio o alto, oppure la combinazione di altezze di cerchi diversi. Anche le basse velocità hanno delle componenti di aerodinamica che possono fare la differenza e analizzabili, quanto si parla di prestazioni di altissimo livello.

Il sensore frontale posizionato sul manubrio (foto SeanHardy)
Il sensore frontale posizionato sul manubrio (foto SeanHardy)
Permette di valutare ed eventualmente cambiare la biomeccanica dell’atleta?

Fornisce dei dati, poi dipende sempre anche dal corridore quante e quali prove vuole fare. Qui è importante anche il feedback diretto dell’atleta che può trovarsi a suo agio con un setting all’apparenza meno efficiente, ma che gli permette di erogare meglio e per un periodo più lungo. I test eseguiti con Aerosensor sono illimitati, possono essere ripetuti per più volte e all’aperto, quindi in una situazione reale ed ideale. Inoltre sono meno costosi rispetto a quelli eseguiti nella galleria del vento.

E’ possibile quantificare un margine di miglioramento?

E’ possibile quantificare quanto influisce ogni singolo componente della bicicletta, dell’abbigliamento e anche il casco, sull’economia della performance complessiva.

Il secondo sensore sullo stem, Aerobody (foto SeanHardy)
Il secondo sensore sullo stem, Aerobody (foto SeanHardy)
Quanto tempo viene utilizzato da ogni singolo atleta?

Dipende dall’atleta e anche dal focus che il team ha per quel corridore nello specifico. Gli specialisti delle prove contro il tempo hanno esigenze e obiettivi diversi da chi ha l’obiettivo di fare classifica in un grande Giro. E’ difficile dare una risposta, ma è importante dire che il test con l’Aerosensor è ripetibile e fattibile in qualsiasi momento, ovunque.

Quale è stato l’approccio dei corridori?

Tutti sono rimasti sorpresi da quanto influisce l’abbigliamento, non solo nelle prove a cronometro. Questo ha portato anche ad un interessamento da parte loro e la volontà di capire quello che utilizzano, facendo anche dei confronti sui materiali a disposizione. E’ molto motivante ed interessante e siamo solo all’inizio.

Anche gli ingombri sono minimi (foto SeanHardy)
Anche gli ingombri sono minimi (foto SeanHardy)
Dobbiamo considerarlo come un marginal gain?

Decisamente no, è molto di più. E’ un piano di lavoro vero e proprio. Lo strumento Aerosensor è solo quello che si vede e che permette di far entrare in dati che, una volta analizzati potranno realmente fare la differenza.

E’ utilizzato esclusivamente per i test e per i training, oppure anche in gara?

Solo per test di valutazione e durante il training, non sono stati pianificati degli utilizzi durante le competizioni.

Het Nieuwsblad in arrivo, ricordate quando vinse Ballerini?

06.02.2024
5 min
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Sulle strade fiamminghe inizia a ribollire l’attesa per la Omloop Het Nieuwsblad. La classica di apertura della stagione del Nord, prevista per il 24 febbraio, è un passaggio pressoché sacro per i tifosi di lassù e per i corridori che su quelle strade costruiscono la loro carriera. L’ultima vittoria italiana è del 2021, quando a sorpresa sbucarono le braccia alzate di Davide Ballerini. Questa volta però facciamo un salto molto indietro nel tempo, ricordando quando la corsa – allora più conosciuta col nome di Het Volk – la vinse l’altro Ballero: quello… vero!

Era il 25 febbraio del 1995 e Franco Ballerini era sulla porta della storia. Nella Roubaix del 1993 era arrivato drammaticamente secondo, mentre fu terzo l’anno dopo. Quelle corse erano il suo terreno, l’Het Volk era il primo test dopo l’inverno. In quel mattino davanti al velodromo di Gand, accanto a lui c’era Dario Nicoletti. E proprio all’attuale direttore sportivo della Biesse-Carrera ci siamo rivolti per avere un ricordo di Franco e di quei giorni.

Dario Nicoletti è alla terza stagione come diesse della Biesse-Carrera (foto facebook)
Dario Nicoletti è alla terza stagione come diesse della Biesse-Carrera (foto facebook)
Caro Dario, cosa vogliamo dire?

Era l’inizio, la prima trasferta in Belgio. Dopo l’abbinamento spagnolo con la Clas, quell’anno nella Mapei era entrato il blocco belga e la squadra era diventata Mapei-GB. Erano arrivati Lefevere e 6-7 corridori belgi. Non era neanche facile essere selezionati per quelle gare, tanto che io poi rimasi fuori dalla Roubaix. Ma la prima parte delle classiche la feci tutta.

Com’era andare lassù con Ballerini?

C’ero già stato nel 1994, sempre con lui. Aveva una classe… Alla Roubaix arrivò terzo, ma fu sfortunato, perché ebbe 3-4 forature e per due volte gli diedi io la ruota. Alla terza però ci pensò qualcun altro, perché io dopo il secondo rientro ero così finito che alzai bandiera bianca. Pioveva forte e vinse Tchmil. Per cui nel 1995, quando andammo lassù, sapevo cosa mi aspettava. La differenza rispetto all’anno prima era la presenza in squadra di Museeuw, Peeters, Bomans e Willems, gente tostissima.

Het Volk 1995, Ballerini fa corsa di testa: alla sua ruota, Giovanni Fidanza
Het Volk 1995, Ballerini fa corsa di testa: alla sua ruota, Giovanni Fidanza
Che giornata ricordi?

Tanto freddo, pioggia, vento. Eravamo partiti con Ballerini, Museeuw e Peeters come capitani. Nonostante Franco e Johan volessero vincere, in squadra c’era una bel clima. Io mi trovavo benissimo e penso anche Ballero. Con quei belgi dovevi essere onesto e loro ti davano tutto. Posso raccontarvi un aneddoto per farvi capire che uomini fossero?

Assolutamente!

Quello stesso anno, a luglio del 1995, due giorni dopo il funerale di Fabio Casartelli, io ebbi il brutto incidente per il quale alle fine smisi di correre. Non ero al Tour, per cui quando si seppe che Fabio era morto, mi precipitai a casa sua. Abitavo a 5 chilometri e trovai Annalisa, i genitori e quel grandissimo dolore. Con “Casa” avevo un rapporto speciale. Due giorni dopo i funerali, il 22 luglio, andai a fare cinque ore con Chiurato sul Lago di Como, con la tristezza addosso e un caldo incredibile. Eravamo a Como, quando una moto mi investì. Hanno stimato che andasse a 80-90 all’ora: la Polizia misurò 27 metri dal punto dell’impatto al mio atterraggio. Pensai di morire. Mi passò la vita davanti, poi si offuscò la vista e persi i sensi. Senza farla troppo lunga, rimasi all’ospedale di Como per 40 giorni e dopo circa tre settimane, entrarono in stanza Lefevere, Museeuw e Peeters. Erano in Italia per il Trittico Lombardo che si correva ad agosto e vennero a trovarmi. Alcuni compagni di squadra che abitavano a pochi chilometri da me non li vidi neppure.

Per Ballerini la vittoria nella classica di apertura, antipasto per la prima Roubaix
Per Ballerini la vittoria nella classica di apertura, antipasto per la prima Roubaix
Chissà che sorpresa…

Loro erano così, pane al pane e vino al vino. Bisognava essere onesti e sapere che c’erano delle gerarchie. Se facevi il tuo, non c’erano problemi.

Ballerini al Nord?

Ho un bellissimo ricordo, perché mi sceglieva quasi sempre come compagno di camera e queste sono cose che ti rimangono. Franco era un buono, uno serio, ma se c’era da fare casino, non si tirava indietro. Quando però si avvicinavano quelle gare, cambiava anche personalità. Quello era il suo mese, la sua Settimana Santa. Era molto concentrato e a stargli vicino imparavo sempre qualcosa.

Ad esempio?

Nel 1994, andando in ammiraglia alla partenza del Fiandre in cui avrebbe fatto quarto, mi fece sedere davanti. C’era un tempo infame, mi sembrava strano che il capitano fosse seduto dietro, finché a metà del viaggio mi disse: «Spegni il riscaldamento, siamo a 20 gradi e là fuori ce ne sono due, cominciamo ad abituarci, che dici?». E questo è solo un piccolo esempio di come non trascurasse nulla. 

Passato nel 1996 alla MG-Technogym, Nicoletti corre la Roubaix del 1997: sarà la sua ultima stagione
Passato nel 1996 alla MG-Technogym, Nicoletti corre la Roubaix del 1997: sarà la sua ultima stagione
Vince l’Het Volk con 6 secondi di vantaggio su Van Hooydonck e poi vince anche la Roubaix…

Ma io quella l’ho vista in televisione. Non ricordo tantissimo, solo che era caduto alla Gand e aveva problemi a una spalla. Però immagino che abbia trovato forze anche nel gran tifo che c’era per lui. Quando poi divenne commissario tecnico della nazionale, io lavoravo già in Mapei e lui veniva spesso a salutare il dottor Squinzi, ma passava sempre anche da me in ufficio. E quando cominciò a vincere i mondiali e ne vinse quattro, gli scrivevo dei messaggi e mi rispondeva sempre. «Al Nico si deve rispondere», sorrideva.

Tornando a quegli anni, andare al Nord non era ancora così scontato: non tutte le squadre italiane erano attrezzate…

Non era come adesso, vero. C’era l’impressione di un ambiente estremo, non so come dire. Al mio primo Fiandre, eravamo nella piazza sotto un misto di pioggia ghiacciata e mi ricordo i belgi appena più coperti del solito, che ridevano e scherzavano, mentre noi eravamo tutti incappucciati. Adesso è cambiato tutto, anche il clima. Ma Franco vinse due Roubaix. In quegli anni, quando al Nord arrivavano gli italiani, anche i tifosi del Belgio si toglievano il cappello.