Vingegaard indeciso: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

22.07.2024
4 min
Salva

NIZZA (Francia) – Nel raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti, Vingegaard comincia a pensare che forse tanto male non gli è andata. Essere arrivato secondo dietro un Pogacar così forte ha smesso di bruciare come nei primi giorni, quando non riusciva a capacitarsi che, nonostante i suoi numeri stellari, l’altro fosse così tanto più forte. Ora, messa insieme la consapevolezza di una preparazione frettolosa e il livello del rivale che invece continua a parlare di perfezione, anche le sue risposte suonano meno ferite. Anche se dentro si vede che ci sta male. E basta guardarlo negli occhi per capire che sta combattendo fra le sensazioni che prova e le parole che può dire.

«Arrivare secondo al Tour de France – dice – è sempre un grande risultato dopo quello che è successo. Quando avrò tempo di riflettere, magari fra qualche settimana, sarò anche orgoglioso di questo risultato. Ho creduto a lungo di poter vincere. Però a Isola 2000 mi sono sentito davvero male. Quando ho tagliato il traguardo ero davvero vuoto e quel giorno ho capito di dover cambiare la mia mentalità. Passare dall’attaccare al difendermi da Remco».

Con il ragionamento, Vingegaard ha capito che il suo secondo posto è una conquista
Con il ragionamento, Vingegaard ha capito che il suo secondo posto è una conquista

Voleva lasciare il segno anche nell’ultima crono ed è per questo che ce l’ha messa tutta. Aveva ancora negli occhi lo splendido giorno di Combloux al Tour del 2023, quando rifilò 1’38” a Pogacar. Ma gli anni non sono tutti uguali e questa volta il risultato si è invertito: Pogacar ha vinto e lui è arrivato secondo a 1’03”. L’ultima crono di un Grande Giro è il confronto fra energie residue ed è per questo che, in modo molto onesto, il podio di giornata ricalca quello nella classifica finale.

Hai pensato che non poteva essere tutto come prima, con quello che hai avuto?

Di sicuro non è stato facile tornare in gruppo. Non avevo paura, ma quando hai una caduta come quella, non sai mai come reagirai nelle varie situazioni. Essere in gruppo, magari in discesa. Sono stato per tre settimane super concentrato, certi giorni ho avuto un livello, certi giorni era diverso. Credo che con la preparazione che ho avuto, io abbia fatto anche bene.

Vingegaard ha chiuso il Tour in crescendo: la condizione sta arrivando. La caduta lo ha penalizzato
Vingegaard ha chiuso il Tour in crescendo: la condizione sta arrivando. La caduta lo ha penalizzato
Un fatto di qualità o di quantità?

Ho avuto solo un mese e mezzo di vero allenamento e in precedenza sono stato per due settimane in ospedale con otto giorni in terapia intensiva. Ho perso tanto lavoro. Questo mi fa credere che facendo la giusta preparazione, io posso fare molto meglio. Per il prossimo anno sarebbe già buono non rompermi ogni osso della parte superiore del corpo e non bucarmi un polmone. Essere sano sarebbe già un bel passo avanti, guardando anche i miglioramenti atletici e tecnici che magari posso ancora fare.

Hai pensato per qualche momento di poter riaprire il Tour?

Quando ho vinto la tappa a Le Lioran, ho creduto che avrei potuto vincere il Tour de France e magari anche qualche giorno prima. Poi a Plateau de Beille ho fatto i miei migliori 40 minuti, guardando i valori di potenza. Tadej è stato più forte. Per un po’ ho sperato che calasse, ma non è successo. Per questo ha meritato di vincere.

Adesso nella conta dei Tour, Pogacar guida per due a uno. Il 2025 è già nell’aria
Adesso nella conta dei Tour, Pogacar guida per due a uno. Il 2025 è già nell’aria
Il fatto di tornare competitivo è stato più mentale o fisico?

Bella domanda, ma direi mentale. Alla fine dell’anno, a novembre, ero così stanco che avrei avuto bisogno di diversi giorni per staccare completamente e invece non l’ho fatto. Partecipare alla Vuelta ha cambiato la mia stagione. Così quando si è trattato di ripartire dopo l’incidente, ero già stanco e ho dovuto affrontare un grande combattimento con me stesso. Non sapevo neanche se avrei mai più pedalato. Così sono arrivato già provato all’inizio del Tour. Ed è questo il motivo per cui questa volta non andrò alla Vuelta. Adesso ho davvero bisogno di riposare e capire che cosa sia meglio per me.

Notte fonda in sala stampa, arriva Pogacar. Stiamolo a sentire

21.07.2024
8 min
Salva

NIZZA (Francia) – Immagina di iniziare a scrivere il pezzo sulla vittoria di Pogacar al Tour alle 21,39. Hai poco da sviolinare, meglio andare sul concreto. Tadej entra nella grande sala stampa con tanta voglia di andare a festeggiare. Poi si siede e lo vedi che il rispondere alle domande di tante voci diverse lo riporta con il pensiero al fruscio della strada, il vociare del pubblico, l’adrenalina dei momenti. E allora per una ventina di minuti è come se davanti agli occhi scorressero le immagini di corsa, disegnate dal suo ricordo.

La conferenza stampa è l’ultimo atto di Pogacar in queste tre settimane trionfali
La conferenza stampa è l’ultimo atto di Pogacar in queste tre settimane trionfali
Hai di nuovo la maglia gialla, che effetto fa?

Non posso descrivere quanto sono felice dopo due anni difficili al Tour de France. C’è sempre stato qualche errore, quest’anno invece è andato tutto alla perfezione. Penso che questo sia il primo Tour in cui ho avuto piena fiducia ogni giorno. Anche al Giro ricordo di aver avuto una brutta giornata, ma non dirò quale. Invece il Tour de France è stato fantastico. Mi sono divertito dal primo giorno fino ad oggi. E avevo un così grande supporto dietro di me, che non potevo deludere nessuno, quindi mi sono divertito anche per loro.

Di quali errori parli?

Nel 2022 la Jumbo-Visma, con Roglic e Vingegaard, ha pizzicato l’unico giorno in cui non ero super e io li ho assecondati correndo male. Mi hanno stroncato. Così l’anno dopo volevo fare tutto alla perfezione. Ho fatto una stagione pazzesca. Ho vinto la Parigi-Nizza, il Fiandre, l’Amstel, la Freccia Vallone, poi sono caduto alla Liegi e mi sono rotto il polso. E’ crollato tutto, sono andato giù di testa. Sono arrivato al Tour senza fiducia ed è finita come avete visto. Quest’anno è stato tutto perfetto.

Avevi detto di volerti godere il pubblico e hai vinto la crono…

E’ stata una partenza davvero fantastico sulla griglia della Formula Uno. Uno dei migliori circuiti di Formula Uno al mondo, penso il migliore in assoluto. Durante la crono non ho avuto altri aggiornamenti tranne il primo intermedio di Remco, ma alla fine mi sentivo molto bene. In cima alla prima salita, stavo benissimo. Nella mia testa avevo tutte le volte che Urska mi ha odiato per averla costretta a fare la strada della crono in ogni allenamento. L’abbiamo provata così tante volte quest’anno, che non ho voluto sciupare l’occasione. Quando corri una tappa del Tour e ti alleni tanto sulle sue strade, vuoi anche vedere cosa puoi fare. La gente intorno mi ha dato una motivazione supplementare.

E alla fine è arrivata anche la doppietta Giro-Tour…

Non ci avrei mai pensato. Alcuni dicevano che il Giro sarebbe stato una rete di sicurezza casomai non fossi riuscito a vincere il Tour, ma questo è un anno incredibile. Vincere il Tour de France è un altro livello, fare le due cose insieme è ancora superiore. Sono super felice e davvero orgoglioso di averlo fatto. Il prossimo passo? Credo che Van der Poel stia benissimo con la maglia di campione del mondo, ma quest’anno voglio prenderla io. Vorrei avere almeno per una volta la maglia iridata, ma tutto sommato c’è tempo. Fare un bel mondiale sarebbe la ciliegina sulla torta.

Tanti non sono riusciti a gestire bene il tempo fra il Giro e il Tour, tu come lo hai passato?

In modo molto semplice. Dopo il Giro, ho passato un po’ di tempo con Urska, che mi aiuta a staccare mentalmente. Poi siamo andati insieme a Isola 2000. Lei si preparava per il Giro di Svizzera e i campionati nazionali. In Svizzera ha fatto una top 10 e in Slovenia ha vinto entrambe le maglie. E’ stata una preparazione che volevamo entrambi e che è andata bene. Un paio di allenamenti duri e il tempo è passato bene.

Hai detto più di una volta che si è trattato di un Tour pazzesco. Che momento di ciclismo stiamo vivendo?

Penso che negli ultimi due anni abbiamo detto spesso che questa è la migliore era del ciclismo, con le migliori gare di sempre. Se non fossi coinvolto io stesso, potrei anche dire che questa è la migliore era del ciclismo di sempre, almeno per le classifiche dei Grandi Giri. Il livello di questo Tour, con Remco, Jonas e Primoz finché c’è stato, è semplicemente incredibile. C’erano una grande attesa e grandi aspettative, per un grande spettacolo che indubbiamente c’è stato. Ognuno a un certo punto ha mostrato le palle. E’ stato un grande show. E alla fine sono felice e orgoglioso di esserne uscito vincitore. Penso che tutto il ciclismo ora possa festeggiare questo bel momento di competizione.

Qual è stato il momento più emozionante di questa serata?

La squadra è stata eccezionale. Siamo stati insieme tutto il Tour, una super atmosfera sul pullman, mai un momento di tensione. Questa squadra è il mio sogno che si è avverato. Devo dire che non ho ricordi molto chiari di questa giornata, ma stare sul podio con loro è uno dei momenti di gioia che porterò con me per il resto della mia vita. Il Galibier invece mi ha fatto capire che ero sulla strada giusta.

Perché fai sempre fatica a parlare di Marco Pantani?

Vorrei che Marco riposasse in pace. Non è stato un corridore del mio tempo. So che in Italia lo amano. Siamo passati su alcune salite dove lui si allenava. Il Giro ha la Salita Pantani. Quest’anno ho sentito tanto parlare di lui, in Italia. Non saprò mai come lo avete vissuto, ma credo che sia stato uno dei grandi. Diciamo che quest’anno è stato celebrato come merita.

Sembra che tutto ti riesca facile, non sembri neanche stanco: lo sei almeno un po’?

Sono super stanco, per questo ho bisogno di recuperare. Voglio vedere gli amici, la famiglia, stare con Urska, perché gli ultimi quattro mesi sono stati full gas. Quando a dicembre abbiamo fatto il programma e ho scelto il Giro non potevo prevedere sino in fondo quanto sarebbe stato pesante. Però abbiamo azzeccato il programma delle gare. Non ne ho fatto tante e alla fine con il giusto bilanciamento, è riuscito tutto alla perfezione. Ovviamente non guasta avere buone gambe (sorride, ndr).

Con la sua Colnago gialla sul palco: un altro muro abbattuto da Tadej Pogacar
Con la sua Colnago gialla sul palco: un altro muro abbattuto da Tadej Pogacar
Cavendish ha battuto il record, tu potresti attaccare quello dei cinque Tour…

Parliamo del record di Mark, perché tutti volevano che lo battesse e addirittura in gruppo tifavamo perché ne vincesse un’altra. Ci ha sempre creduto, anche quando aveva quasi smesso. Si merita il suo posto nella storia di questo sport. Quando ai record di Pogacar, non voglio vedermi nei record, forse lo farò a 30 anni. Ora voglio vivere giorno per giorno e se anche non tornassi più al Tour, sarò ugualmente soddisfatto.

Qualcuno ha parlato di te come di un extraterrestre. Pensi che sia giusto sospettare?

Ci saranno sempre dubbi, perché il ciclismo è stato devastato prima dei miei anni. Chiunque vinca ha gelosie e haters. Se non hai haters, non hai successo. Penso che nel ciclismo la WADA e l’UCI investano molti soldi per rendere questo sport pulito. Credo che il ciclismo sia uno degli sport più puliti in generale e lo è a causa di quello che è successo tanti anni fa. Ora non è più come allora, rischiare la salute è super stupido. La carriera arriva a 35 anni, poi c’è ancora un lungo periodo per godersi la vita. E’ stupido rischiare la vita per delle stupide corse. Vogliamo vincere, ci dedichiamo anima e corpo, ma alla fine è divertimento, vincere non è la cosa più importante. E’ importante essere in salute e non c’è motivo di spingere il corpo oltre i suoi limiti, usando chissà che cosa. E ora ragazzi, grazie, siete stati fantastici, ma io me ne vado.

Si alza. Si avvia con il suo giallo che illumina il cammino. Posa con dei bambini per una foto e poi si avvia con passo spedito verso l’uscita. L’applauso lo accompagna giù dalle scale. La sua serata speciale sta per iniziare. E se l’è davvero meritata.

A Torres la tappa. A Widar il Valle d’Aosta con brivido

21.07.2024
6 min
Salva

CERVINIA – Mamma mia se si era messa male per Jarno Widar. Una partenza shock per il belga della Lotto-Dstny Devo. E per fortuna che la pioggia gli piaceva. Il via in discesa sotto il diluvio ha fatto più danni forse dell’intero Giro della Valle d’Aosta. Dopo 6 minuti di gara c’erano corridori ovunque. E Widar era rimasto dietro. Tra l’altro è partito persino senza mantellina, tanto è vero che per un tratto aveva addosso quella di un altro team.

Caos nelle fasi iniziali, anche Dostiyev tira forte per rientrare sui primi. Poi ancora un frazionamento (foto Giro VdA)
Caos nelle fasi iniziali, anche Dostiyev tira forte per rientrare sui primi. Poi ancora un frazionamento (foto Giro VdA)

Paura Widar

Con la partenza in discesa sul bagnato può succedere di tutto. A perdere un quarto d’ora basta un attimo. Golliker e la Alpecin Deceuninck fanno il diavolo a quattro. Chi è dietro paga dazio. Va giù anche Ludovico Crescioli. Rojas è davanti. Dostyev non si sa. Il caos.

Dopo una mezz’ora di gara, grazie a Kamiel Eeman e al Saint Pantaleon le cose tornano a posto. Eeman, compagno di Widar, si ferma ad aspettarlo e poi inizia a menare come un fabbro per il suo capitano. E’ una manna questo apporto: anche se il distacco non si riduce, smette di dilagare. Kamiel darà talmente tutto che finirà fuori tempo massimo. 

Il resto lo ha fatto il folletto belga sulla salita. Richiude sui primi e di fatto termina lì sia la rincorsa, che il suo Valle d’Aosta ormai in cassaforte.

«Vero – racconta Widar – un inizio difficile in cui stava precipitando tutto. C’è stata una caduta del ragazzo davanti a me. Gli ero ad un metro e ho pensato: “Cavolo e adesso?”. A tanti ragazzi non importava di questo inizio e non tiravano. Così mi sono ritrovato a 20”. Ero arrabbiatissimo con me stesso, tutti cadevano in gruppo e io ero dietro. Non sarei mai riuscito a tornare sul mio compagno di squadra che mi stava aspettando. Kamiel ha fatto davvero un ottimo lavoro nel tenere il gruppo vicino. Poi sono rientrato e tutto è andato bene».

L’arrivo trionfante di Torres (classe 2005) a Cervinia dopo 36 chilometri di fuga solitaria (foto Giro VdA)
L’arrivo trionfante di Torres (classe 2005) a Cervinia dopo 36 chilometri di fuga solitaria (foto Giro VdA)

Torres che tempismo

E proprio mentre rientra Widar, ecco che scatta Pablo Torres, altro 2005 terribile. Il suo tempismo è eccezionale. Non dà modo all’unico corridore in grado di staccarlo di prendergli la ruota, affaticato com’era dalla lunga rincorsa.

Lo spagnolo della UAE Emirates Gen Z fa subito il vuoto. Lo abbiamo atteso per tutto il “Petit Tour” e alla fine è arrivato. Forse lo ha fatto anche grazie ai consigli di chi gli diceva di stare a ruota di Widar. Di pensare a risparmiare energie e a sfruttare il fatto di essere lontano in classifica. Ad esclusione delle ruote di Widar (che era dietro), lo spagnolo ha eseguito tutto alla lettera.

Sul traguardo raccoglie la testa fra le mani, quasi non ci crede: «Non ho iniziato il Giro della Valle d’Aosta nel modo migliore – racconta – ma ho sempre cercato di fare il meglio possibile per la generale. Ho finito bene e per questo sono super contento.

«In realtà dovevo attaccare nell’ultima salita, dovevamo vedere che ritmo c’era. Ma se il ritmo non fosse stato troppo veloce, avrei potuto attaccare nella salita precedente. E visto che sentivo di avere buone gambe ho deciso di partire lì, lontano».

Nel finale Torres, che ha sempre spinto un rapporto lungo, cede un po’, ma la salita di fatto terminava a due chilometri dall’arrivo.

«Non credevo fossi il primo, non ci credevo però ero contento. Sapevo che avevo i primi inseguitori più o meno a 2′, lo chiedevo alle moto, e di conseguenza mi regolavo anche sul loro passo. Solo nel finale avevo un po’ meno, ma ormai l’arrivo era vicino».

Con quella maglia Pablo Torres era osservatissimo dal pubblico aostano, d’altra parte è la stessa di Tadej Pogacar. «Per arrivare lì, con Pogacar, serve un grande lavoro. Nella WorldTour sono ad un livello altissimo. Cosa direi a Tadej? Che è un corridore fortissimo, che mi dà tantissima motivazione e che un giorno mi piacerebbe diventare come lui o arrivargli il più vicino possibile».

Anche oggi sul Saint Pantaleon Widar ha dato spettacolo recuperando oltre 1’30” alla testa della corsa (foto Giro VdA)
Anche oggi sul Saint Pantaleon Widar ha dato spettacolo recuperando oltre 1’30” alla testa della corsa (foto Giro VdA)

Podio di livello

Sul podio, ai lati di Widar, salgono il kazako Ilkhan Dostiyev, che ha attaccato Ludovico Crescioli, il quale si è staccato. Ma a sua volta Ludovico ha staccato Vicente Rojas, naufragato verso Cervinia. 

«Dopo aver ripreso i migliori – prosegue Widar – mi sono sentito tranquillo. Non li biasimo per avermi attaccato, fa parte delle corse. Ho anche pensato a vincere la tappa ad un certo momento, ma ormai Torres aveva quasi 3′ di vantaggio, quindi era finita. A quel punto ho semplicemente controllato ad un ritmo facile, salendo con Dostiyev».

A fare il bello e cattivo tempo quindi è stato Widar, ormai per tutti il Pogacar del Valle d’Aosta. Jarno fa quasi fatica a parlarne sotto il punto di vista tecnico e dei paragoni. Sa che è un accostamento importante. Ma è anche ambizioso e non nega di voler fare molto bene un giorno. Mentre è più espansivo quando gli chiediamo chi sia il suo campione preferito.

«I miei preferiti sono Pogacar e Van der Poel. Loro sanno dare spettacolo, attaccano da lontano e sono determinati in corsa. Non hanno paura di esporsi. Io ho sempre e solo pedalato sin da quando ero bambino. Il ciclismo è, ed è stato, il mio unico sport. Sono cresciuto guardando loro». E forse capiamo perché tiri così tanto!

E ora Avenir

Il Giro della Valle d’Aosta ci ha di nuovo regalato una corsa di grande livello come detto. Quasi tutti i protagonisti che abbiamo visto in questi cinque giorni saranno gli stessi che vedremo in Francia, all’Avenir (18-24 agosto). Crescioli vuol fare bene, Torres idem e chiaramente anche Widar che, proprio come Pogacar potrebbe siglare una doppietta storica. Intanto già ha messo nel sacco la doppietta Giro Next e Valle d’Aosta. L’ultimo a riuscirci fu Sivakov, che oggi vediamo dov’è.

«Ora farò un po’ di riposo – conclude Widar – poi andrò in Francia in ricognizione sulle tappe dell’Avenir e quindi ancora un po’ di allenamento a casa, dove proverò ad aumentare ancora un po’ la mia condizione».

Jarno, fiammingo, vive a Wellen, Est del Belgio, quasi al confine tra Fiandre e Vallonia. «Quando devo fare cinque ore e le salite vado in Vallonia, altrimenti se devo fare due ore facili resto nella pianura delle Fiandre. Le grandi salite? Le faccio nei ritiri invernali quando vado in Spagna».

Persico, la Cina e la prima vittoria: un viaggio nel viaggio

21.07.2024
5 min
Salva

“Vincere aiuta a vincere” è una frase tipica dello sport. Non perdere il feeling con la vittoria ti permette di sapere sempre cosa fare quando poi ti trovi lì, a giocarti tutto in 200 metri. Davide Persico ha tenuto allacciato il fil rouge con il successo al suo primo anno da professionista. Di per sé questa è già una buona notizia, non si tratta di un passo semplice. Il corridore bergamasco, passato nel 2024 tra le file della Bingoal-WB, aveva già sfiorato il gradino più alto del podio alla sua prima gara in Colombia. Solo un Gaviria in grande spolvero lo aveva preceduto. In Cina, al Tour of Qinghai Lake, Persico non ha trovato nessuno in grado di batterlo. Così per lui è arrivata la prima vittoria di stagione e, di conseguenza, la prima con i professionisti. 

«Una vittoria – spiega da casa mentre lotta ancora con il fuso orario e le sue conseguenze – che testimonia come abbia lavorato bene nell’ultimo periodo. Dopo qualche mese difficile in primavera ho ripreso il ritmo con le gare, prima in Slovacchia e poi, per l’appunto, in Cina. Vincere fa sempre bene, ogni tanto serve un buon risultato per continuare a lavorare. E’ come un’autovalutazione e devo dire che sono contento».

Una corsa in un Paese lontano diventa anche un modo per immergersi in quella cultura (foto Tour of Qinghai Lake)
Una corsa in un Paese lontano diventa anche un modo per immergersi in quella cultura (foto Tour of Qinghai Lake)
Anche se è una vittoria ottenuta dall’altra parte del mondo?

Non sarà una gara europea, ma come in ogni corsa devi avere le gambe buone, altrimenti non vinci. Magari non era il livello che si trova da noi e anche questo non è esattamente vero. Alla fine c’erano tante squadre professional oltre alla nostra: Burgos-BH, Caja Rural, Corratec e Vf Group Bardiani. Ed erano presenti anche due formazioni WorldTour: Astana e Alpecin.

Un livello che rimane alto. 

Lo si ripete sempre, ma non ci sono corse di secondo livello. Le squadre cercano punti per le classifiche UCI, poi certe corse sono il giusto palcoscenico per i giovani. 

I panorami sono stati spesso montani, viste le altitudini alle quali si svolgeva la gara (foto Tour of Qinghai Lake)
I panorami sono stati spesso montani, viste le altitudini alle quali si svolgeva la gara (foto Tour of Qinghai Lake)
Che corsa è stata per te?

A due volti. La gara si è svolta interamente sopra quota 2.500 metri con passaggi anche a 4.000 e si sentiva. Non avevo fatto un periodo di adattamento in altura prima di partire, quindi i primi giorni ho sofferto un pochino. Sono stato bravo a non spingere al massimo fin da subito, ho gestito gli sforzi e le gambe rispondevano bene, giorno dopo giorno. 

La svolta quando è arrivata?

Dalla quinta tappa, dove ho fatto un secondo posto che mi ha fatto capire di essere migliorato. Il giorno dopo è stato quello in cui mi sono sentito meglio in assoluto, anche se la tappa è stata parecchio dura. Era la più lunga, 206 chilometri, con un freddo invernale. Sembrava di essere tornati alle corse di marzo quando senti il profumo della canfora usata per scaldare i muscoli. 

Che tipo di percorsi avete trovato?

C’era tanto vento in generale e l’aria rarefatta faceva pesare alcuni sforzi. Nella tappa che ho vinto c’è stata fin da subito tanta confusione, con i ventagli che hanno spaccato il gruppo. Dal canto mio sono rimasto tranquillo fino all’ultimo GPM a quota 4.115 metri. Da lì è stata tutta discesa fino al traguardo e in volata ho preso le ruote di Zanoncello e sono riuscito a batterlo. 

Come ti sei trovato a correre per la prima volta così lontano da casa?

Partivo un po’ prevenuto. Tizza ed io ci siamo organizzati per portarci da casa molte cose che pensavamo ci sarebbero potute tornare utili. Abbiamo messo in valigia anche un fornelletto elettrico, un bollitore, caffè e pasta. Poi alla partenza ci trovavamo con gli altri italiani e scambiavamo qualche parola, c’era competizione, ma si è creato anche un bel gruppo. E’ anche capitato che la sera, dopo cena, ci trovassimo per mangiare un pezzo di crostata e parlare un po’. 

Nonostante fosse dall’altra parte del mondo non sono mancate le foto di rito con i tifosi
Nonostante fosse dall’altra parte del mondo non sono mancate le foto di rito con i tifosi
La gara com’era organizzata? 

Devo ammettere che sono molto bravi, a livelli a volte migliori delle corse europee. Le strade venivano chiuse molto prima del passaggio della corsa e a bordo strada c’era sempre tanta gente a vederci. Mi è capitato di vedere gente che vive a 3.500 o 4.000 metri nelle loro abitazioni tipiche. In quei momenti sei lì a correre con il freddo addosso e pensi che loro in quelle zone ci abitano, probabilmente è stata la cosa più strana che ho notato. 

Il fuso orario è stato pesante da gestire?

Il viaggio è lungo, ci abbiamo messo quasi due giorni. Così come al ritorno, considerando che la squadra aveva prenotato lo scalo ad Amsterdam e poi io avevo anche il volo per l’Italia. Ero in giro già da prima, avendo corso allo Slovacchia, avevo qualche preoccupazione riguardo a come avrei gestito praticamente tre settimane fuori casa. Alla fine è andata bene, l’ho vissuta giorno dopo giorno e sono rimasto piacevolmente colpito. 

Le strade larghe e il vento hanno scombussolato spesso lo svolgersi della gara (foto Tour of Qinghai Lake)
Le strade larghe e il vento hanno scombussolato spesso lo svolgersi della gara (foto Tour of Qinghai Lake)
Ora la fiducia c’è, va sfruttata?

Spero di recuperare bene dalle fatiche di queste trasferte e di arrivare allo Czech Tour in condizione. Non ci saranno grandi occasioni, visto che l’unico arrivo in volata sarà nella prima tappa. Ma vedremo come andrà.

Trevigliese, in Francia una trasferta che vale tanto

21.07.2024
5 min
Salva

Guardando l’ordine di arrivo de l’Ain Bugey Valromey Tour, prova a tappe francese del calendario juniores, si rimane impressionati: è un vero campionato del mondo per le corse di più giorni, con un podio regale (1° l’iridato Withen Philipsen, 2° il francese Seixas, 3° il nostro Finn) considerando che la partecipazione era riservata non a selezioni nazionali, ma a squadre di club. Fra questo c’erano anche due team italiani e uno di questi era la Ciclistica Trevigliese (in apertura foto Simona Bernardini).

Per la Ciclistica Trevigliese è stata la seconda esperienza in Francia. Nel 2023 vinse una tappa con Donati (foto Simona Bernardini)
Per la Ciclistica Trevigliese è stata la seconda esperienza in Francia. Nel 2023 vinse una tappa con Donati (foto Simona Bernardini)

Una presenza, quella della formazione lombarda, non casuale, come spiega il suo diesse Luca Damato: «Avevamo già partecipato lo scorso anno, prendendo contatti con la società organizzatrice. Ci siamo trovati bene e loro sono rimasti soddisfatti delle nostre prestazioni così abbiamo programmato il nostro ritorno, La gara francese è per noi la punta di uno sforzo che affrontiamo per tutto l’anno. Noi non puntiamo alle gare regionali, non c’interessa raccogliere il maggior numero di vittorie in gare facili, il nostro interesse è far crescere i nostri ragazzi in un contesto adeguato, far capire sin dalla loro giovane età che cos’è il ciclismo di alto livello».

Affrontate però un livello altissimo per questo…

E’ importante che i nostri si confrontino con il massimo della categoria, quindi con squadre che dietro hanno tutto il peso e l’esperienza delle formazioni WorldTour. Gare così, con un livello simile di partecipazione e con percorsi così selettivi, in Italia non le trovi. Al di là dei risultati, diventano esperienze di vita: alcuni di questi ragazzi proseguiranno e faranno del ciclismo il loro mestiere, altri un domani potranno dire di aver pedalato con i migliori, con quelli che in futuro, ne siamo sicuri, saranno protagonisti in tv.

Tommaso Bosio è stato il migliore del team lombardo, finendo 27° a 14’50” (foto Bernardini)
Tommaso Bosio è stato il migliore del team lombardo, finendo 27° a 14’50” (foto Bernardini)
Quanto costa una trasferta simile?

Considerando tutto abbiamo speso intorno ai 4.000 euro, il che in un budget come il nostro è un investimento importante, che ne assorbe una larga fetta. Ma come detto è importante per far crescere i nostri ragazzi, considerando anche che ormai si sa come procuratori, osservatori, team professionistici guardino alla categoria junior perché l’età generale si è abbassata.

Con quanti mezzi e quante persone siete partiti alla volta della Francia?

Eravamo con 6 corridori più io e un altro responsabile, un fisioterapista e un meccanico. Avevamo un furgone più l’ammiraglia. Ogni corridore disponeva di una bici per la gara più un muletto. Insomma, è stata una trasferta impegnativa, ma bisogna dire che rispetto allo scorso anno avevamo dalla nostra molta esperienza in più e sapevamo muoverci meglio.

La corsa a tappe francese è stata di livello elevatissimo, quasi un mondiale a tappe
La corsa a tappe francese è stata di livello elevatissimo, quasi un mondiale a tappe
A conti fatti che esperienza è stata?

Lo scorso anno siamo stati più fortunati a livello di risultati con una vittoria di tappa e la classifica dei traguardi volanti. L’avvicinamento però non è stato semplice, con 3 corridori, tra l’altro quelli su cui puntavamo per la classifica che hanno avuto problemi di salute proprio nell’immediata vigilia della gara. Agostinacchio poi ha avuto problemi alle tonsille che l’hanno costretto al ritiro nella prima tappa. I ragazzi si sono ben disimpegnati, Bosio ad esempio ha chiuso la prima giornata al 6° posto. In generale bisogna dire che i primi andavano davvero fortissimo e che le squadre principali hanno un po’ “cannibalizzato” la corsa. Al di là dei piazzamenti, come quelli di Bosio stesso e Donati nei primi 10, quel che conta è però aver visto i ragazzi crescere e migliorare dalla prima all’ultima giornata.

Confrontandosi con gli altri che deduzioni ne hanno tratto?

Che c’è una grande differenza rispetto alle normali corse che si affrontano, per i ritmi sostenuti e per i percorsi. E’ una corsa molto dura, quasi uno shock per le andature tenute e sì che i nostri erano tutti atleti con alle spalle esperienze anche in nazionale. C’è un grosso gap, ma dobbiamo considerare che molti di quelli affrontati erano team inseriti nelle filiere WT.

Anche in terra francese Albert Whiten Philipsen si è dimostrato pressoché imbattibile (foto Bardet)
Anche in terra francese Albert Whiten Philipsen si è dimostrato pressoché imbattibile (foto Bardet)
Da quest’anno però il calendario italiano presenta più appuntamenti a tappe…

E’ questa la strada per colmare quella distanza. E’ fondamentale investire sulle corse a tappe perché è lì che un corridore si forgia. Le prove regionali, le tante corse d’un giorno arricchiscono solo il numero delle vittorie, potranno far felice lo sponsor ma ai ragazzi servono poco. Dobbiamo anche prendere esempio da organizzatori come quelli dell’Ain Bugey Valromey, quasi un Tour in miniatura, con un’attenzione spasmodica per la sicurezza. Dobbiamo seguire l’esempio e investire anche in Italia sulle corse a tappe perché i percorsi per farlo ci sono. Per i team sarà un impegno economico non di poco conto, ma serve…

Gadret: un viaggio fra ricordi e osservazioni (sensate) sul Tour

21.07.2024
5 min
Salva

NIZZA (Francia) – Dopo lo stupore per i magnifici numeri sulle salite di questo Tour, trovarci davanti a uno scalatore puro mette addosso la tenerezza di una specie estinta. Lui è sempre uguale, minuto, pieno di tatuaggi, con lo sguardo gentile e insieme furbo. Da quando era magrissimo, ora ha messo i chili giusti, ma quando John Gadret inizia a parlare è come se il tempo non fosse passato (in apertura la sua vittoria di Castelfidardo al Giro del 2011, davanti a Rodriguez e Visconti).

La sua carriera si è conclusa nel 2015, con le ultime due stagioni alla Movistar e una vita intera alla Ag2R La Mondiale. Dal 2023 è direttore sportivo di una squadra dilettantistica alsaziana, il Velo Club Unité de Schwenheim. Inoltre collabora con ASO per alcune gare come Delfinato, Freccia e Liegi. Al Tour de France indossa i colori di E.Leclerc, catena di supermercati e ipermercati che da anni sponsorizza la corsa.

Gadret, classe 1979, è al Tour con E.Leclerc, una catena di ipermercati e supermercati francesi fondata nel 1949 da Edouard Leclerc
Gadret, classe 1979, è al Tour con E.Leclerc, una catena di ipermercati e supermercati francesi fondata nel 1949 da Edouard Leclerc

L’idea di farci due parole, oltre all’occasione per salutarlo, nasce proprio dalla premessa di questo articolo. Il ciclismo attuale ha ridisegnato le categorie. E’ raro che le squadre si accontentino di avere nelle proprie fila degli specialisti, fatti salvi cronoman e velocisti. Gli scalatori sono stati fagocitati dai passisti e a ben vedere in testa agli ordini di arrivo ci sono sempre più degli atleti completi. E se una volta la presa in giro era che il corridore completo è quello che va piano dappertutto, gli attuali vanno forte senza o quasi punti deboli.

Cosa ti sembra di questo Tour?

E’ stato velocissimo, anche nei suoi giorni più duri. I corridori hanno fatto uno spettacolo molto bello. E’ molto difficile oggi essere uno scalatore, anche essere un corridore deve essere tanto complesso. E’ quello che ho detto ieri ai miei ospiti e penso che sia dovuto ai materiali. C’è stata una grande evoluzione. Penso che al giorno d’oggi non potrei più fare il ciclista, perché è diventato un lavoro pieno di schemi. Ma obiettivamente vanno tutti molto veloce.

Vingegaard è diverso da Pogacar: è più leggero, uno scalatore moderno eppure anche lui super completo
Vingegaard è diverso da Pogacar: è più leggero, uno scalatore moderno eppure anche lui super completo
A Plateau de Beille abbiamo visto un nuovo record: quanto secondo te è dovuto agli atleti e quanto ai materiali?

Dicono che Pogacar abbia battuto Pantani, ma se guardiamo la classifica della tappa, ci sono 10 o 12 corridori che hanno fatto meglio. Per questo dico che dipende dai materiali, ma anche dal modo di essere corridori. Non voglio dire che siano più professionali di prima, ma di certo si giovano di una grande evoluzione.

Che cosa c’è nell’orizzonte del ciclismo francese?

Vinciamo tappe, ma nel complesso penso che purtroppo non vedremo presto un corridore francese vincere una classifica generale. A livello dilettantistico cerchiamo di allenarli correttamente, ma penso che poi diventi tutto più difficile al livello superiore. E poi forse anche i media ne fanno dei grandi campioni anche prima che diventino professionisti.

Però intanto Pinot ha smesso, Bardet resiste: non resta che aggrapparsi ai più giovani.

Il giovane che arriva e spinge di più è Romain Gregoire che corre alla Groupama-FDJ. Penso che Lenny Martinez possa diventare un corridore molto bravo anche in un Grande Giro. Quest’anno ha scoperto il Tour e penso che per lui sia stato difficile. Ma dopo loro due, bisogna davvero grattare e grattare ancora per trovare i corridori francesi che possano arrivare su un podio importante.

E.Leclerc è in carovana da anni come sostenitore del Tour (foto Ugo Breysse)
E.Leclerc è in carovana da anni come sostenitore del Tour (foto Ugo Breysse)
Si dice che Martinez cambierà squadra, la Bahrain Victorious sarebbe la sua scelta. Pensi faccia bene a lasciare la Francia così giovane?

Sì, penso di sì. Con tutto il rispetto che ho per Marc Madiot, penso che se cambia squadra, sia che vada in Bahrain o in un’altra squadra all’estero, per lui sarà una scelta molto importante. Penso che darà una spinta alla sua carriera.

Anche tu hai avuto i tuoi infortuni: pensi sia possibile che Vingegaard sia arrivato al Tour nella forma migliore?

No, penso che nella prima settimana sia stato bene, poi ha iniziato a perdere smalto. Ma davanti a quello che sta facendo in questo Tour de France, c’è da togliersi il cappello, perché la sua non è stata affatto una caduta banale. Il secondo posto non è ancora preso, manca la crono, ma ieri ero convinto che lo avrebbe perso. Lo avevo visto in difficoltà, invece ha saputo reagire benissimo.

Quali sono stati i giorni più felici della tua carriera?

Il più bello è stato quello di Castelfidardo in cui ho vinto al Giro d’Italia del 2011, con il terzo posto in classifica dopo la squalifica di Contador. Ho amato l’Italia. Quando ho saputo che il Tour de France sarebbe partito da Firenze, ero super felice. E poi siamo passati sulle strade di Marco Pantani, il mio idolo da giovane. Una partenza davvero intensa.

Martinez ha debuttato al Tour soffrendo. Cambierà squadra nel 2025?
Martinez ha debuttato al Tour soffrendo. Cambierà squadra nel 2025?
Un francese che ha ricordi migliori del Giro che del Tour?

Con i miei scatti e quella vittoria di tappa sentivo di aver guadagnato più carisma nel gruppo del Giro d’Italia piuttosto che qui in Francia. Scarponi era un gran burlone, ma un bel giorno mi disse: «Mi ricordi Pantani, hai il suo stesso aspetto». Le sue parole mi colpirono.

Vai ancora in bici?

Ci va mia nipote, quindi una volta a settimana devo andare a fare un giro con lei. Ma per il resto corro molto a piedi, col ciclismo ho chiuso: è troppo faticoso. Molto meglio guardarlo in tivù.

Sull’ultima salita, per Vingegaard l’onore delle armi

20.07.2024
7 min
Salva

COL DE LA COUILLOLE (Francia) – La faccia di Remco Evenepoel sul traguardo dice davvero tutto. Sbuffa. Sgrana gli occhi. In certi giorni sembra un personaggio dei cartoni. E’ partito dalla fornace di Nizza per mettere in croce Vingegaard e per un po’ c’è anche riuscito. Sul Col de la Colmiane, penultimo di giornata, la Soudal-Quick Step si è mossa come uno squadrone che prepara l’attacco. E quando poi sulla salita finale il belga ha mollato i tre colpi che a suo avviso avrebbero dovuto risolvere la partita, Vingegaard ha deciso di metterlo a posto. Quando Landa si è spostato e Vingegaard ha chiuso sul primo allungo, Remco s’è voltato e ha supplito la mancanza di altri gregari con il ritmo provvidenziale fatto da Almeida per Pogacar.

Il primo Tour

Per essere al primo Tour, Remco ha messo le cose in chiaro. E se domani, come si pensa, vincerà la cronometro, si potrà dire che la tenuta sulle tre settimane sia un problema risolto. Il prossimo step sarà capire se potrà vincere il Tour de France, ma su quello magari lavorerà il prossimo anno nella squadra che lo accoglierà. Parlano tutti della Red Bull, staremo a vedere.

«Abbiamo provato a mettere un po’ di pressione su Vingegaard – dice Evenepoel – ma sfortunatamente non ha funzionato. Abbiamo giocato e perso, ma possiamo essere orgogliosi di ciò che abbiamo dimostrato in questo Tour. Ho attaccato due volte, ma si è visto che Tadej e Jonas il Tour lo hanno già vinto. Hanno molta più esperienza, la loro cilindrata al momento è molto più grande della mia. Devo solo accettarlo, ma sono contento di quello che ho potuto mostrare. Penso che ho ancora tanto lavoro specifico da fare per seguire o addirittura attaccare quei due. E intanto domani voglio vincere la crono, voglio concludere il Tour con un bel ricordo. Spero di riuscirci».

Il sollievo di Jonas

Stamattina un divertente siparietto è stato colto dall’obiettivo del fotografo. Nell’incontro casuale andando alla partenza, Van Aert ha avvertito Remco di non fare brutti scherzi con il compagno Vingegaard. Punzecchiature fra giganti belgi, il più delle volte avversari. Lo sguardo di risposta di Remco è stato infatti da monello impertinente: era chiaro che avrebbe provato e lo ha fatto.

La Visma-Lease a Bike si è stretta attorno al piccolo capitano zoppicante. Da invincible armada che lo scorso anno vinse Giro, Tour e Vuelta, è bastato che perdessero uno sponsor come Jumbo e che la sfortuna ci mettesse mano e subito il loro mondo si è ridimensionato. Roglic è partito. Vingegaard e Van Aert sono caduti. Kuss s’è ammalato. Van Hooydonck ha smesso per i problemi cardiaci. Solo Jorgenson è parso all’altezza del progetto. E chissà che il mercato in corso non porti via altri pezzi pregiati.

Quando Evenepoel ha finito la spinta, Vingegaard ha contrattaccato, portando con sé Pogacar
Quando Evenepoel ha finito la spinta, Vingegaard ha contrattaccato, portando con sé Pogacar

«E’ stata una tappa dura e calda – dice Vingegaard – mi sono sentito molto meglio rispetto a ieri, quando ho avuto le gambe peggiori di sempre. Ero completamente vuoto. Sono contento di come sono andato oggi. E’ un grande piacere ritornare a questo livello. Mi sono sentito benissimo quando Evenepoel ha accelerato e ho deciso di rilanciare quando stava per attaccare di nuovo. Ed è quello che ho fatto.

«A quel punto ho corso principalmente per guadagnare su di lui e non necessariamente per la vittoria di tappa. Evenepoel è il miglior cronoman del mondo, tre minuti sembrano tanti, ma non si sa mai. Sono certamente felice di aver potuto guadagnare un minuto oggi. Domani farò tutto il possibile per mantenere il mio secondo posto. Tadej sempre a ruota? Ognuno ha la sua tattica, non lo giudico per questo. Probabilmente al suo posto avrei fatto lo stesso. Non aveva bisogno di tirare, gli stava bene così».

La quinta vittoria ha evidenziato la differenza di forze fra Pogacar e Vingegaard
La quinta vittoria ha evidenziato la differenza di forze fra Pogacar e Vingegaard

Pogacar, sono cinque

Alla fine infatti la vittoria se l’è presa Pogacar, come era prevedibile. Ce lo chiedevamo giusto ieri dopo il successo di Isola 2000: davvero qualcuno credeva che avrebbe corso al risparmio? Eppure lui lo conferma.

«E’ stato un giorno super duro – dice – per noi la fuga poteva andare. Eravamo tutti insieme e tenevamo il gruppo compatto, correndo da squadra. Quando la corsa è esplosa sulla Colmiane, la Quick Step ha fatto un grande ritmo e a quel punto ho capito che l’ultima salita sarebbe stata dura. Remco ha provato diversi allunghi. All’ultimo però, Jonas ha fatto un contrattacco ed io ero davvero al limite. Ho recuperato alla sua ruota. Pensavo che Carapaz avesse una chance, ma Jonas ha insistito per tenere lontano Remco e lo abbiamo preso.

«Perché ho vinto? Non si lasciano le tappe ai rivali più vicini. Abbiamo dato tempo alla fuga, che ha avuto grandi possibilità. In altre occasioni sono stati i velocisti a riprendere, non siamo stati sempre noi. Ma io sono pagato per vincere. E’ una pressione, devo portare a casa il risultato, altrimenti non va bene. Se puoi, fai bene a vincere».

L’onore delle armi

Vingegaard in parte l’ha colpito, quasi che anche lui fosse pronto a sottoscrivere il sorpasso di Evenepoel. E mentre annota che in fondo avrebbe preferito il finale dei Campi Elisi, perché domani partendo alle 15,45 la sua giornata sarà lunghissima, un pensiero va al rivale degli ultimi tre anni.

«E’ stato nuovamente un duello fantastico – dice Pogacar – bello da vedere. Penso che Jonas abbia avuto dei giorni difficili, invece oggi ha dimostrato di non essere facile da battere e di essere un vero combattente. Ha dato tutto. E alla fine, nonostante quello che ha avuto, ha fatto davvero un bel Tour».

Per Tadej si avvicina il momento della terza maglia gialla. La prima venne quasi per caso nel 2020 all’ultimo giorno. Voleva vincere la crono in salita per non tornare a casa a mani vuote, ma dice che il secondo posto era già tanto. La seconda, nel 2021, la vinse con una giornata a tutta nel diluvio di Le Grand Bornand, che gli permise di amministrare.

«Quest’anno invece – spiega – ho tenuto un livello più alto, nonostante avessi più pressione dopo due anni che venivo battuto. In quest’ottica, penso che la tappa più importante che mi ha dato più fiducia sia stata la prima sul Galibier. Una grande vittoria. Mi ha dato la speranza che avrei potuto davvero vincere il Tour».

La legge di Widar è una prova di forza. Tappa e maglia a Champoluc

20.07.2024
6 min
Salva

CHAMPOLUC – Lo vede è lì. E’ da 45 chilometri che lo insegue a testa bassa, spingendo come un ossesso. Due chilometri all’arrivo. Lo acciuffa. Meno di un chilometro all’arrivo: gli scatta in faccia e se ne va. Una grinta pazzesca, una forza delle natura. Jarno Widar è stato spietato oggi con Vicente Rojas. Per il belga della Lotto-Dstny Devo il più classico dei “tappa e maglia” al Giro della Valle d’Aosta.

Una tappa lunghissima. Difficile, che in tanti pensavano potesse mettere in crisi il re del Giro Next, rimasto con un solo uomo. E la stessa cosa Ludovico Crescioli, maglia gialla al via da Saint Vincent, visto che i suoi compagni non erano degli scalatori. Invece Jarno non ha fatto una piega. E già scattano i paragoni con Pogacar, per la fame, per la forza.

Partenza complicata. Alla fine ne esce una fuga a sette della quale fanno parte tra gli altri anche Vicente Rojas e Matteo Scalco della VF Group-Bardiani e anche Filippo Agostinacchio. Scalco fa un lavoro eccezionale per il compagno cileno. Il quale da parte sua si porta a casa quasi tutti i Gpm e a fine giornata si consola della beffa della vittoria con la maglia a pois.

VF Group all’attacco

Sullo Tsecore si decide, forse, l’intero Valle d’Aosta. Widar per un attimo smette di tirare, iniziano gli scatti e lui risponde con veemenza. Solo l’ex maglia gialla, Dostiev, lo tiene. Davanti anche Rojas resta solo. Inizia un lungo duello a distanza. Il cileno davanti, il belga dietro, con a ruota il kazako.

Nel vallone finale, in leggerissima ascesa, il vantaggio di Rojas è quasi di un minuto. Sembra fatta anche perché il vento è a favore. Invece…

«Invece nel finale ero un po’ stanco – ci racconta Rojas dietro al palco in attesa di vestire la maglia dei Gpm – e sono saltato sia di gambe che un po’ anche di testa. A mentre fredda posso dire sia andata così. Forse anziché insistere potevo farmi riprendere e giocarmi il finale in volata».

Rojas però è sereno. Sa di aver dato tutto e non ha poi tutti questi rimpianti. Domani ha ancora una chance.

«Verso Cervinia ci sarà ancora una tappa dura. Io poi vado sempre meglio con il passare dei giorni. Il ciclismo inoltre è sport di squadra e la mia è forte. A proposito, ringrazio i ragazzi che mi hanno dato una mano oggi. Domani ci riproverò».

E la squadra potrebbe essere l’unica crepa per far vacillare Widar. Lui infatti di compagni ne ha uno solo. Nel tratto pianeggiante iniziale potrebbe far fatica a difendersi. Però è anche vero che ha mostrato una forza incredibile e su Rojas vanta oltre 2′ di vantaggio.

Nel finale azione clamorosa di Widar che va a prendersi tappa e maglia
Nel finale azione clamorosa di Widar che va a prendersi tappa e maglia

Jarno o Tadej?

Widar invece davvero in certi momenti ricorda Tadej Pogacar. Stamattina al via, Jarno era il ritratto della tranquillità. Ad un tratto gironzolava per Saint Vincent e con tutta calma ci ha chiesto dove fosse il foglio firma. Poi eccolo spianato sulla sua Orbea. Mani fisse sulle leve e giù a stantuffare.

Ha demolito ad uno ad uno tutti gli avversari. Non si è innervosito quando nel falsopiano, adatto ai passistoni, il kazako non gli dava i cambi e all’ultimo chilometro ha dato un colpo da finisseur. E pesa appena 52 chili (per 167 centimetri di altezza).

Mentre divora gli ormai noti orsetti gommosi, Widar racconta: «E’ stata una tappa difficile, ma io ero tranquillo. Mi sono sempre sentito molto bene. Nel finale ho chiesto a Ilkhan Dostiyev di aiutarmi negli ultimi chilometri. Ha detto che non poteva farlo, che non ce la faceva e così ho fatto tutto io. Ma avevo paura. Non lo conoscevo molto bene, ma come abbiamo visto nella prima frazione è veloce».

Animale da gara

Come Pogacar, Widar dopo la tappa era quello più fresco. Segno che sta molto bene. Il suo finale famelico non è stato cosa da poco. Chiunque si sarebbe accontentato della maglia gialla. E avrebbe contestualmente risparmiato qualche energia in vista di domani.

«Negli ultimi chilometri – continua il suo racconto Widar – ci ho creduto. Però sono diventato strabico per un chilometro, guardavo avanti e dietro. Mi sono detto supero una rotatoria e vado. Ho aspettato il triangolo rosso dell’ultimo chilometro, appena l’ho visto mi sono detto: “Vediamo cosa succede” e sono andato».

«Il momento più difficile di oggi? Forse l’inizio della tappa. C’è stata una grande lotta per andare in fuga e io ero nelle retrovie. Avevo bisogno di andare davanti. Aspettavo le salite quindi. Sapevo che gli ultimi 50 chilometri erano una follia! E io queste salite non le conoscevo e neanche questa zona dell’Italia».

Domani verso Cervinia è attesa pioggia e lui da buon belga dovrebbe aver un certo feeling con il meteo avverso. «Va bene! Ovviamente a nessuno piacciono la pioggia e il freddo, ma la pioggia all’inizio è un’ottima cosa per me. Sì, penso che sia perfetto».

Crescioli tenace

Ma un plauso lo merita anche Ludovico Crescioli. Il suo sogno giallo è durato 24 ore. Certe pendenze sono troppo per lui. O più semplicemente è stato troppo questo Widar.

«Oggi – ha detto l’atleta della Technipes #InEmiliaRomagna – è stato un tappone molto duro. Mi sono staccato sullo Tsecore e ho cercato di gestirmi al meglio. Già avevo perso contatto nella salita precedente. Ero rientrato, ma poi non c’è stato nulla da fare. A quel punto mi sono ritrovato con Torres e ci siamo dati i cambi fino all’arrivo. E tutto sommato è un buon quarto posto alla fine. 

«All’inizio, visto il caos che c’è stato nei primi chilometri con mille tentativi di fuga ho provato anche io ad entrarci però non è andata. Da parte mia sono contento. Ho dato il massimo e ora sono terzo nella generale. Domani c’è un podio da difendere. Se si pensa all’Avenir? Sì, ma prima voglio finire al meglio questo Giro della Valle d’Aosta»

Giro d’Italia Women: il punto finale dall’interno

20.07.2024
5 min
Salva

A chiusura di un cerchio iniziato a gennaio, con la presentazione del primo Giro d’Italia Women, è il momento di trarre un bilancio conclusivo. Sono passati sette mesi da quel pomeriggio grigio nel quale dall’alto di Palazzo Regione, a Milano, è stata lanciata la Corsa Rosa al femminile. La prima sotto la gestione di RCS Sport & Events. La gara è ormai alle spalle e il successo di Elisa Longo Borghini, conquistato dopo otto tappe vissute sul filo dei secondi, brilla ancora nei nostri occhi (in apertura foto LaPresse). Per capire l’importanza di un passo del genere siamo entrati in ammiraglia con gli stessi diesse che ci diedero il loro parere sullo svolgersi del Giro d’Italia Women

Un passo in avanti

Di sicuro quel che emerge dai colloqui fatti con i diesse è la grande capacità della macchina organizzativa di RCS nel dare un Giro d’Italia all’altezza dei professionisti. 

«E’ un atto dovuto – spiega Fortunato Lacquaniti, diesse della Ceratizit-WNT – il movimento femminile è cresciuto parecchio. All’estero questo passo era già stato fatto, con A.S.O. che ha preso in mano il Tour de France Femmes. Per non parlare della Classiche del Nord. Mancava la risposta italiana, per fortuna è arrivata, ed è stata ottima. Possiamo dire di aver messo la marcia in più che mancava, ora tutti e tre i Grandi Giri sono al livello che questo movimento merita. Tornerà, con grande probabilità, la Milano-Sanremo femminile, sempre gestita da RCS. Che la gestione fosse in mano loro si è visto, il primo passo è stato fatto».

I servizi di motostaffette e giuria sono stati gli stessi del Giro d’Italia uomini
I servizi di motostaffette e giuria sono stati gli stessi del Giro d’Italia uomini

Il montepremi

La chiave di lettura di Walter Zini, diesse della BePink Bongioanni, si trova nel montepremi. Sembra una banalità ma in un mondo che cresce e gira veloce questi fanno la differenza. 

«Tutto è curato al meglio – spiega – a 360 gradi. La logistica degli arrivi, le partenze, gli hotel, ecc. Non ho mai avuto un’organizzazione così semplice e una gestione della corsa così facile. Gli anni scorsi era capitato di mandare il massaggiatore a preparare le stanze in hotel per i massaggi e che non fossero pronti o all’altezza. Quest’anno tutti erano al corrente delle nostre esigenze e ci sono venuti incontro. Poi il passo in avanti si è visto anche con il montepremi finale. Nel 2024 la vincitrice (Elisa Longo Borghini, ndr) ha portato alla squadra 250.000 euro. Gli anni scorsi c’era uno zero in meno. La volontà è chiara e sicuramente lo step positivo c’è stato».

La Isolmant di Giovanni Fidanza è stata l’unica continental, insieme alla BePink a terminare il Giro con tutte le atlete
La Isolmant è stata l’unica continental, insieme alla BePink a terminare il Giro con tutte le atlete

La gestione

Passare un evento in mano a RCS Sport vuol dire consegnarlo all’azienda che gestisce già il Giro d’Italia e le Classiche Monumento del nostro Paese, oltre a tante altre gare. La macchina organizzativa funziona ed è collaudata.

«E’ stato trasferito l’impianto di RCS al mondo del ciclismo femminile – afferma Giovanni Fidanza, diesse della Isolmant-Premac-Vittoria – e questo si è visto. Si tratta del primo organizzatore di gare di ciclismo in Italia. Sono contento per le ragazze, se lo meritavano davvero tanto. La differenza si è vista fin da subito: la sicurezza in corsa è altissima. Le strutture che usano per i professionisti sono state trasportate qui. Si vede che il personale è gente esperta e che conosce le esigenze delle squadre. Io arrivavo dall’esperienza con gli uomini quindi avevo già un’idea di quello che avremmo trovato. Ed è stata totalmente rispettata».

Barbara Malcotti è stata la rivelazione in casa Human Powered Health con il suo 15° posto finale
Barbara Malcotti è stata la rivelazione in casa Human Powered Health con il suo 15° posto finale

Qualche passo in più

Eppure si tratta della prima edizione, RCS avrà messo in moto la sua macchina dal motore potente e collaudato, ma si sa che il primo giro serve anche come riscaldamento. 

«A mio avviso – afferma Giorgia Bronzini, la quale ha condotto il Giro d’Italia Women dalla macchina della Human Powered Health – ci sono stati dei ritardi nella comunicazione. Gli hotel ci sono stati confermati una settimana prima, uno quando eravamo già partite. I posti riservati da RCS per il personale, in ogni struttura, erano cinque. Il problema è che il ciclismo femminile segue ormai le orme del maschile, quindi lo staff al seguito è di dodici persone. Non è stato facile trovare altri posti letto, e i costi non erano bassi. RCS ci ha messo a disposizione un’agenzia che faceva da tramite, ma i prezzi non erano esattamente accessibili. E’ il primo anno e anche loro devono prendere le misure, poi se si passa al discorso di organizzazione della gara non c’è niente da dire. Sono stati di altissimo livello, come sempre».