L’inglese e il Tour, la realtà e i sogni: parliamo con Martinez

20.02.2025
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L’ultima volta lo avevamo incrociato quasi di sfuggita a dicembre mentre assieme a Kreuziger usciva dal garage dell’hotel Cap Negret di Altea, dove si stava svolgendo il ritiro del Team Bahrain Victorious. Ne avevamo approfittato per parlare con tutti i corridori raggiungibili, ma su Lenny Martinez era stato posto un veto irremovibile. Quale che fosse l’accordo o il disaccordo con la Groupama-FDJ, vigeva il divieto assoluto di intervistarlo e fotografarlo fino al nuovo anno. Per cui il saluto era stato fugace e non privo di sguardi.

Lenny Martinez, il figlio di Miguel, ha 21 anni, è alto 1,68 e pesa 52 chili: la quintessenza dello scalatore. E’ entrato nel WorldTour a 19 anni nel 2023 e ha già vinto sei corse, fra cui l’ultimo Trofeo Laigueglia. A distanza di due mesi da quell’incontro fortuito, la stagione del giovane francese è iniziata di buona lena alla Valenciana vinta dal compagno Buitrago (in apertura, eccolo in salita seguito da Piganzoli). E nell’imminenza della Classic Var di domani, stamattina siamo riusciti finalmente a parlarci, prima che uscisse in allenamento.

Lenny ha sempre il suo buon umore coinvolgente, anche se è sensibile l’aumentare delle attese rispetto a quando lo incontrammo per la prima volta in un Giro della Lunigiana che sembra lontano cent’anni, invece era appena quello del 2021.

Il 28 febbraio 2024, ancora a vent’anni, Lenny Martinez vince così il Trofeo Laigueglia
Il 28 febbraio 2024, ancora a vent’anni, Lenny Martinez vince così il Trofeo Laigueglia
Come procede l’integrazione in questo nuovo team in cui si parlano l’inglese e l’italiano, ma quasi per niente il francese?

Sono molto contento. L’integrazione sta andando molto bene. Ora ogni cosa passa per l’inglese, ma sto riuscendo a inserirmi. Ci sono alcuni dello staff che parlano un po’ di francese, come il mio allenatore e un’altra persona: si possono contare su due mani. Ma non credo che parlare inglese sia un problema. Al contrario, è qualcosa che mi arricchisce molto e che mi aiuterà a crescere, anche come uomo. Perché qui non c’è scelta, è così e basta e di certo nei prossimi anni sarò in grado di parlarlo molto bene.

Hai notato altre differenze rispetto a Groupama?

Certo che ci sono, ma sono comunque differenze minime e credo che sarebbe stato così in qualunque squadra fossi andato. Si tratta di piccole percentuali che possono determinare la differenza tra vincere o meno. La Groupama-FDJ è un’ottima squadra e lo è anche il Team Bahrain. Insomma, stiamo facendo più o meno lo stesso lavoro. Direi che per me la differenza principale è che qui sono veramente in un gruppo internazionale, sia in termini di corridori che di staff. La Groupama invece ha un DNA totalmente francese.

Sei in grado di dire a che punto sei della tua crescita?

A 21 anni si può fare un bilancio, ma ho ancora molti anni di professionismo davanti a me e molti anni di progressi da fare, quindi voglio prendermi il mio tempo anche per fare il punto. Serve pazienza, devo continuare a lavorare e progredire.

Martinez ha debuttato nel 2023 nel WorldTour a 19 anni. Ne compirà 22 l’11 luglio
Martinez ha debuttato nel 2023 nel WorldTour a 19 anni. Ne compirà 22 l’11 luglio
A che punto della scorsa stagione ha deciso di cambiare squadra?

Prima che iniziasse. Con la Groupama avevo iniziato a parlare da parecchio, era giusto ovviamente parlare prima con loro. Lo abbiamo fatto a lungo, ma ho preso la mia decisione poco prima della prima gara, diciamo intorno a febbraio (singolare notare che il team francese abbia continuato invece a tenere aperta la possibilità di rinnovo fino all’estate inoltrata, ndr).

Chi è il tuo allenatore ora al Bahrain?

Il mio allenatore è Loic Segart, il fratello di Alec: quello che corre alla Lotto Dstny e va come un treno nelle cronometro, saprete certamente chi sia. La cosa buona è che Loic parla francese ed è stato molto bello scoprire che avrei lavorato con lui perché su certi aspetti molto tecnici è bello poter parlare la mia lingua. In più è un allenatore molto giovane e questo lo trovo positivo. Invece non ho ancora un direttore sportivo di riferimento. Potrei pensare a Roman Kreuziger, perché quando c’è un problema, gli mando un messaggio. E’ presente a quasi tutte le gare, quindi direi che forse è lui.

Come è passato l’inverno?

Molto bene, direi. Siamo stati in ritiro in Spagna come già con la FDJ l’anno scorso. Ho fatto più o meno la stessa preparazione e lo stesso allenamento, forse un po’ diverso per dei dettagli, dato che ogni allenatore ha metodi di allenamento diversi. Nel complesso, ho fatto forse qualche ora in più e abbiamo variato alcuni lavori specifici. Il corpo ha avuto bisogno di un po’ di tempo per adattarsi e ora dobbiamo vedere se tutto questo funziona bene anche su di me, ci vorrà un po’ di tempo.

Lo scorso anno, Martinez ha debuttato al Tour. Nel 2023 aveva corso la Vuelta, vestendo per due giorni la maglia di leader
Lo scorso anno, Martinez ha debuttato al Tour. Nel 2023 aveva corso la Vuelta, vestendo per due giorni la maglia di leader
Nell’intervista fatta ad Altea a dicembre, Rod Ellingworth ci ha parlato di un progetto Tour de France legato a te. Puoi dirci di cosa si tratta?

Credo che per un corridore francese come me, il Tour de France sia importante e penso che nei prossimi anni sarà la corsa più importante del mio calendario. E’ vero, c’è un progetto che coinvolge me, ma anche altri corridori come Santiago Buitrago e Antonio Tiberi, che sono entrambi leader per le classifiche generali. Poi ci sono gli altri corridori. L’obiettivo è migliorare ogni anno e fare in modo che tra qualche anno io sia competitivo al Tour de France.

Come descriveresti oggi il tuo rapporto con Marc Madiot?

Con Marc Madiot vado molto d’accordo, non ho avuto conflitti o altro. Ci siamo scambiati messaggi di auguri per capodanno, quindi non c’è nessun problema. Le nostre strade si sono separate, ma credo che la vita sia così. Però è sempre stato una persona molto buona e lo ringrazio per tutti questi anni.

Che effetto fa pensare che Romain Gregoire sarà di nuovo un rivale come quando eravate juniores?

Non è un problema, è un avversario come ce ne sono tanti altri. Non credo che dovrei concentrarmi su uno solo. Spero che Romain stia bene, è in una buona squadra e farà i suoi risultati. Resta un ottimo amico, ma non voglio passare tutto il tempo a lottare con lui. Ma so che è molto forte e gli auguro di vincere tante corse. Come lo auguro anche a me…

La Technipes al Tour d’Algerie: storia di un viaggio

20.02.2025
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I ragazzi del team Technipes #InEmiliaRomagna sono tra i pochi atleti delle squadre continental italiane ad aver già messo il numero sulla schiena. Lo hanno fatto nel Nord del continente africano, più precisamente in Algeria. Una scelta fatta per trovare ritmo e mettere chilometri nelle gambe, ma anche per lavorare in maniera diversa rispetto a quello che si fa di solito nei training camp in Spagna. Un viaggio, iniziato l’8 febbraio con una prima corsa in linea e passato attraverso il Tour d’Algerie, ma non ancora terminato. Il tutto finirà sabato con il Grand Prix de la Ville d’Alger. Il diesse di riferimento per i ragazzi del Team Technipes #InEmiliaRomagna è Francesco Chicchi che nel giorno di pausa alla fine del Tour d’Algerie ci racconta le motivazioni di questa avventura (in apertura Luca Bagnara miglior attaccante della corsa, foto Facebook/Tour d’Algerie). 

«Siamo quasi in dirittura d’arrivo – spiega il toscano – mancano due gare e si torna in Italia. Siamo partiti a inizio mese e torniamo quasi venti giorni dopo: un periodo lungo, ma formativo per i ragazzi e anche per me. Vedere, scoprire e respirare un ambiente nuovo e una cultura diversa fa bene a tutti».

A sinistra Francesco Chicchi insieme ai cinque ragazzi che hanno preso parte al Tour d’Algerie (foto Facebook/Tour d’Algerie)
A sinistra Francesco Chicchi insieme ai cinque ragazzi che hanno preso parte al Tour d’Algerie (foto Facebook/Tour d’Algerie)

Viaggi divisi

Per arrivare alla partenza del Tour d’Algerie i ragazzi e il diesse della formazione continental hanno viaggiato in maniera differente. La prima gara, in realtà, è stato il Grand Prix Sakiat Sidi Youcef. Partito poco fuori dal confine algerino, dalla Tunisia. 

«Arrivare in Algeria – racconta ancora Chicchi – ci ha messo davanti a un lungo viaggio. I ragazzi sono venuti in aereo e hanno dovuto fare tre scali. Mentre io e un meccanico siamo partiti da Faenza con un pulmino per arrivare ad Alicante, poi un traghetto ci ha portato ad Algeri e da lì altre sei ore di guida per arrivare alla partenza della prima gara. Al ritorno faremo la stessa cosa. Infatti i ragazzi tornano a casa sabato, io e il meccanico mercoledì».

Come mai avete deciso di andare a correre in Algeria?

La gara ce l’ha consigliata Daniele Nieri, lui era venuto qui a correre con i ragazzi della Q36.5 Continental. Gli organizzatori delle gare in Spagna non avevano accettato la nostra richiesta e così abbiamo fatto domanda per il Tour d’Algerie. Ci hanno detto che potevamo venire, ma avremmo dovuto partecipare a tutte le corse previste, ed eccoci qui.

Il furgone era necessario?

La corsa è organizzata molto bene, ci hanno dato tutto: ammiraglie e tanti altri supporti. Era la prima volta che venivamo qui e per non rischiare abbiamo deciso di prendere un furgone per portare tanto materiale di scorta. Non sapevamo neanche com’erano le strade, invece sono perfette. Abbiamo forato una volta sola in dodici giorni di corsa. 

Cosa vuol dire correre in Algeria?

Che le strade sono dritte e con poche curve. Ci sono rettilinei per chilometri e chilometri, poi una svolta e ancora lingue infinite d’asfalto. Nelle città e nei paesini di partenza e arrivo ci sono tantissimi curiosi, poi lungo il percorso non troviamo tanta gente. Però quando si passa da un centro abitato la gente a bordo strada arriva. 

Paesaggisticamente cosa ti ha colpito?

La bellezza delle città e dei paesini, tanti luoghi sono davvero unici. Poi il deserto è simile a quello del Medio Oriente, dove ho corso anni fa, non c’è tanta vita (ride, ndr)! Però penso che per i ragazzi sia un’esperienza unica, perché stanno via da casa per tre settimane abbondanti in un Paese che non ha nulla di simile a quello che sono abituati a vivere e vedere. 

Cosa vi siete detti?

Prima di partire ho consigliato loro di iniziare questo viaggio con il giusto spirito di adattamento. Non dovevano di certo aspettarsi pasti di primo livello o le solite condizioni. La gara è bella, organizzata bene e anche per il cibo ci siamo trovati bene, però serve essere predisposti e i miei ragazzi da questo punto di vista sono stati bravi. 

Com’è stato per loro vivere così tanto tempo fuori casa?

L’esperienza è particolare, ma formativa. L’organizzazione è super efficiente. Per fare ogni cosa si è sempre scortati dalla polizia, per arrivare alla partenza, per andare in hotel dopo la gara e per allenarsi. Ieri i ragazzi sono usciti per una sgambata e avevano la macchina della polizia e il medico dietro. Anche io se voglio andare a fare benzina vengo scortato. Tanto che ho chiesto loro se fosse così pericoloso muoversi in Algeria. Mi hanno risposto che non lo è, ma l’organizzazione è responsabile per ognuno di noi e hanno voluto fare tutto al meglio

Che ciclismo avete trovato?

Un livello medio, abbastanza buono. Dei novanta corridori alla partenza la metà di loro ha delle belle qualità. Ci sono delle continental forti come China Glory e Team Storck, che è una formazione tedesca. Poi le squadre algerine che sono sei, compresa la nazionale, sono abbastanza forti. Una di queste, la Madar Pro Cycling Team ha fatto il bello e cattivo tempo. L’Algeria mi dà l’impressione di un Paese dove si sta puntando tanto sul ciclismo. Ogni giorno alla partenza delle tappe c’erano il Ministro dello Sport e il presidente della Federazione ciclistica nazionale. 

Compreso il tanto pubblico, caloroso?

Sembrava di essere tra i professionisti. I ragazzi dovevano essere scortati al podio perché venivano presi d’assalto dai tifosi per una foto o un autografo. Luca Bagnara, che ha vinto anche una corsa a tappe in Portogallo e qui è salito sul podio qualche volta, mi ha detto: «Mi sembra di essere al Tour de France». Penso sia bello per i ragazzi vedere che il ciclismo può muovere tanto interesse.

Arrivate alle prime gare del calendario italiano con tanti chilometri nelle gambe…

L’obiettivo era proprio questo. Presentarsi alle corse di fine febbraio e inizio marzo con una condizione importante. Non nascondo che venire qui e portare Bagnara è stata una scelta volta a far crescere la sua condizione in vista della Coppi e Bartali. Se avessimo fatto il solito calendario, sarebbe arrivato con quattro o cinque giorni di corsa, invece ora ne ha messi insieme già tredici. 

Restare per più di tre settimane in Algeria è un’esperienza che permette anche di conoscere un Paese diverso (foto Facebook/Tour d’Algerie)
Restare per più di tre settimane in Algeria è un’esperienza che permette anche di conoscere un Paese diverso (foto Facebook/Tour d’Algerie)
I percorsi erano impegnativi?

Di per sé no. C’era tanto vento che faceva comunque aumentare il tasso tecnico e la fatica in corsa. Le medie poi erano elevate, si parla di 43 chilometri orari mediamente nelle varie tappe. La gara è partita dalla zona nord dell’Algeria per poi scendere a zig zag e arrivare al confine con il deserto. Dal punto di vista altimetrico non era una corsa impegnativa, quello che doveva essere un arrivo in salita si è dimostrato uno strappo di poco meno di un chilometro. 

Tornerete?

Non è da escludere, chiaro che se si vuole fare bene si deve portare una squadra di passisti veloci. Però è un bell’appuntamento anche per mettere tanti chilometri alle spalle. Sono curioso di vedere con quale condizione arriveranno i ragazzi che hanno corso qui alle prime gare in Italia. 

Narvaez torna in Europa, con le certezze dell’Australia

20.02.2025
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Una toccata e fuga. Jhonathan Narvaez ha esordito con la nuova maglia della Uae dimostrando subito di che pasta è fatto, conquistando al Santos Tour Down Under quel successo finale che gli era sempre sfuggito in una corsa di livello WorldTour. Già solo quel risultato porterebbe a dire che la scelta di lasciare la Ineos dopo ben 6 anni è stata giusta. Jhonatan è tornato in Ecuador, riconfermandosi campione nazionale e poi ha continuato ad allenarsi in altura, nella “sua” altura. Doveva venire in Europa per le corse iberiche, ma poi si è scelto di posticipare alle prime classiche belghe.

Per parlare con lui lo abbiamo praticamente buttato giù dal letto, fissando un appuntamento quando da lui erano le 7 del mattino. Eppure era già sveglio e pronto, davvero desideroso di raccontare la sua nuova dimensione e di riassaporare presto quel mondo messo solo provvisoriamente da parte.

Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Che cosa ha rappresentato per te la vittoria in Australia?

Per me è stata una vittoria importante perché è un appuntamento prestigioso. Ci tenevo particolarmente per dimostrare di essere un buon elemento per quel tipo di corse, lunghe una settimana. Sapevo che aveva le caratteristiche giuste, con salite non troppo lunghe. Lo scorso anno la vittoria finale mi era sfuggita per 9”, pensavo che dovevo solo fare le cose per bene e avrei colto il bersaglio grosso. Così è stato.

Qual è stato il momento più bello e quello più difficile?

Sicuramente il penultimo giorno, quello di Willunga perché c’era un vento molto forte che ha spaccato in due il gruppo e io mi sono ritrovato nella seconda metà. Ho pensato che non saremmo più riusciti a rimettere insieme i pezzi, che la corsa era ormai andata. Ma poi ho pensato anche che dovevo mantenere la calma, infatti sono rientrato e nell’ascesa finale ho messo insieme il tutto e ho vinto. Quindi nella stessa tappa c’è stato anche il momento migliore.

La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
Le corse a tappe come il Santos Down Under sono la tua dimensione ideale come ciclista?

Credo di sì. Per me è una gara dura, ma non prevede lunghe salite da 20 minuti, quindi è adatta a me. Si tratta di fasi esplosive in cui bisogna essere veloci. Quindi posso dire che è una gara che si adatta alle mie caratteristiche. La cosa che mi dispiace è che di corse così, di una settimana intera, non troppo lunghe né brevi, non ce ne sono altre in cui potrò essere leader. Il che significa che avevo solo un colpo in canna…

Come ti sei trovato a fare il leader alla Uae?

E’ stato molto positivo, mi hanno dato fiducia sapendo che potevo essere un valido candidato al successo. Ho già fatto gare come capitano, gestendo la squadra, so come muovermi anche nei momenti difficili, ma il team mi ha dato molta sicurezza e soprattutto i compagni hanno lavorato in maniera splendida. Non dimentichiamo che era comunque una gara WorldTour, non si può mai dire come andranno le cose in un livello così alto.

L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
Tu hai sorpreso tutti al Giro d’Italia battendo Pogacar il primo giorno: ripensa a quella tappa non come avversario ma come compagno di Pogacar, come potreste lavorare insieme nella stessa situazione?

Questa domanda non mi è mai passata per la testa, ma non so davvero cosa sarebbe successo in quello scenario, se lui fosse stato il mio socio e compagno di squadra. E’ un tema interessante, per trovare una risposta adeguata dovrei trovarmi a gareggiare insieme e non è ancora successo. Ho fatto solo dei training camp in cui abbiamo condiviso piccoli momenti in bici, in hotel e niente di più. Devo imparare a conoscerlo, sarà anche importante in vista del Tour.

Che tipo è e come ti trovi a essere un suo aiutante, magari proprio alla Grande Boucle?

Partiamo col dire che il Tour è un pensiero che mi entusiasma, perché non l’ho mai affrontato. Per me è molto importante portare a termine la gara. Ed è ancora più bello farlo in una squadra come la sua, accanto al campione in carica, quindi sarà una bellissima avventura e speriamo di arrivare in buone condizioni.

Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Le tue vittorie in Ecuador che risalto hanno avuto?

Ora il ciclismo sta crescendo poco a poco. Sia per quanto riguarda i giovani corridoi che per gli appassionati, c’è molto più fermento rispetto a sei anni fa, oggi il ciclismo è molto diffuso. Anche le corse sono molto più seguite. Le mie vittorie mi hanno reso piuttosto popolare, il successo in Australia ha avuto risalto. Prima non era così. Soprattutto nella zona in cui vivo, quella montuosa dell’Ecuador. Qui si va molto in bicicletta.

Tra poco torni in Europa: lasciare casa che sensazioni ti dà?

Non è tanto un peso perché viaggio sempre con la mia famiglia, ho mio figlio che ha un anno e quindi posso seguirlo insieme a mia moglie. Ci siamo adattati bene alla vita europea. Apprezzo i benefici della mia professione: tutta la mia vita è quasi organizzata e non mi costa nessuno sforzo tornare indietro. Ovviamente mi manca il mio Paese, poi in questo momento è bellissimo perché il clima è molto buono, ma fa parte del raggiungimento dei propri obiettivi professionali, è un sacrificio che faccio volentieri.

Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Tu farai tutto il periodo delle classiche, qual è quella che ti piace di più e con che ambizioni le affronti?

A me piacciono tutte molto, ma soprattutto quelle fiamminghe che meglio mi si adattano, ad esempio il Giro delle Fiandre. Ma anche quelle delle Ardenne mi piacciono molto. Le affronto tutte con molta ambizione, puntando a fare bene e portare a casa qualcosa, d’altronde un corridore non va avanti con l’ambizione. So che ci saranno gare dure, ma arriverò nelle migliori condizioni possibili, ho lavorato per quello.

Hai vinto due volte al Giro d’Italia: che differenza c’è tra il Narvaez del 2020 e quello dello scorso anno?

Ora riconosco di essere un corridore un po’ più maturo. Nel 2020 ho commesso ancora molti errori come professionista, forse un po’ di ignoranza su cosa bisogna fare in allenamento e a riposo. Negli ultimi anni ho lavorato meglio, sono stato più disciplinato con l’alimentazione, l’allenamento, il riposo e questo mi ha fatto fare un salto in avanti. Penso che la chiave sia cercare di fare le cose bene per poter emergere.

Dopo dieci anni torna il Giro e Vicenza fa le cose in grande

20.02.2025
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Il prossimo 23 maggio Vicenza tornerà ad ospitare un arrivo di tappa del Giro d’Italia dieci anni dopo l’ultima volta. Nel 2015 a vincere sul traguardo di Monte Berico (lo stesso di quest’anno) fu Philippe Gilbert che nel diluvio staccò di 3″ la maglia rosa Alberto Contador e Diego Ulissi (immagine di apertura). La tappa del 2025 prenderà il via da Rovigo e terminerà nella città del Palladio dopo 180 chilometri, gli ultimi 60 dei quali nello scenario dei Colli Berici, le colline a sud di Vicenza.

Una tappa da passisti veloci o da velocisti resistenti, con l’ultimo chilometro, quello che porta al Santuario di Monte Berico, che tira decisamente all’insù. Comunque andrà quest’anno, la città veneta si sta già preparando ad accogliere la carovana con il comitato di tappa della “Tappa dei Berici”, presieduto da Mario Carraro e di cui fa parte, tra gli altri, anche l’ex professionista Angelo Furlan. Abbiamo parlato con loro per farci raccontare quanto è importante un evento di questa portata per il territorio vicentino.

Vicenza è da sempre un grande territorio di ciclismo, con moltissimi praticanti e sede di tante importanti aziende (@laviadeiberici)
Vicenza è da sempre un grande territorio di ciclismo, con moltissimi praticanti e sede di tante importanti aziende (@laviadeiberici)
Carraro, abbiamo visto che il percorso abbraccia buona parte dei Colli Berici, ci racconta com’è nato?

Abbiamo lavorato assieme a Rcs Sport per massimizzare l’impatto scenografico, di concerto con i Comuni dei Colli Berici, per regalare ai tifosi delle immagini mozzafiato. Il grande successo è stato proporre un circuito che contiene alcune delle salite dei colli più amate tra noi amatori, come l’ascesa della Pila fino ad Arcugnano, che sarà l’ultimo trampolino di lancio prima del finale. Prima del circuito poi si farà la salita che da Barbarano porta a San Giovanni in Monte, il punto più alto dei Berici. Il circuito permetterà al pubblico di arrivare in gran numero, e noi contiamo di avere un’affluenza straordinaria. 

Quindi più del 2015?

Nel 2015, in un giorno di pioggia infrasettimanale, sono state stimate 200mila persone. Quest’anno puntiamo sicuramente più in alto, diciamo il doppio. Anche perché in quei giorni verrà organizzato un village in Campo Marzio con un megaschermo per tutto il fine settimana, che speriamo diventi un punto di riferimento per gli appassionati che arriveranno.

La tappa con arrivo a Vicenza attraversa nel finale i Colli Berici, frequentatissimi da ciclisti di ogni disciplina (@laviadeiberici)
La tappa con arrivo a Vicenza attraversa nel finale i Colli Berici, frequentatissimi da ciclisti di ogni disciplina (@laviadeiberici)
Vicenza è territorio di ciclismo e sono moltissimi i campioni nati in questa provincia: da Pozzato a Battaglin, da Rebellin ad Alessandra Cappellotto e Tatiana Guderzo, per non parlare di Tullio Campagnolo.

E non solo, anche Selle Italia e Royal e Wilier, e altri. Ma è sufficiente venire qui un sabato mattina, anche in inverno basta che ci sia il sole per vedere quanta passione c’è per il ciclismo. Una cosa che ci fa particolarmente piacere è che sta diventando anche uno sport molto femminile, un trend che è particolarmente visibile qui da noi soprattutto nel mondo del gravel, che permette di vivere tutti i benefici di questo sport lontano dai pericoli della strada.

Su queste stesse strade, assieme all’amico Pozzato che lo organizzava, due anni fa Angelo Furlan fece passare il primo mondiale gravel. Essendo stato corridore e continuando a pedalare come se lo fosse ancora, il vicentino è l’uomo giusto per entrare nei primi dettagli tecnici.

Angelo Furlan, da ex corridore e profondo conoscitore di queste strade, dove consigli di piazzarsi per godersi la tappa dal vivo? 

Un punto può essere sulla prima salita di giornata, quella della Scudelletta da Barbarano che porta in cima ai colli, un posto bellissimo anche paesaggisticamente. Poi nel circuito, dove ci saranno gli attacchi, magari a metà della rampa finale.

Monte Berico e i suoi portici: lassù Gilbert vinse la tappa al Giro del 2015
Monte Berico e i suoi portici: lassù Gilbert vinse la tappa al Giro del 2015
A proposito, com’è la rampa che porta all’arrivo?

E’ lunga 1,4 km al 5,7% di media. Quindi sicuramente non da velocisti puri, da corridori veloci che tengono sugli strappi, gente da classiche. Non a caso nel 2015 vinse Gilbert. Attenzione al giovane Busatto, lo conosco bene ed è vicentino, l’ho visto alla Veneto Classic e mi ha fatto una grande impressione. Non lo dico solo per essere di parte, è proprio un commento tecnico.

Il generale in percorso non sembra molto duro, per gli standard attuali

Non durissimo forse, ma che darà sorprese, perché è una tappa che si adatta ai colpi di mano. E’ a metà giro, i corridori inizieranno ad essere stanchi. La prima parte è tutta pianeggiante, a 50 km dall’arrivo invece cambia radicalmente. La prima salita non sarà di passaggio perché è corta e dura, e se qualcuno volesse alzare il ritmo potrebbero restare in pochi. Dalla cima il percorso poi non è lineare, è un saliscendi continuo, un toboga, non c’è più respiro anche dal punto di vista planimetrico. C’è spazio per gli uomini da fuga come per gli attaccanti, come anche perché i big si inventino qualcosa. Insomma gli scenari sono moltissimi, come non poteva che essere in un territorio variegato e ricco come quello dei Colli Berici.

Corti e troppo avanzati: bocciatura secca del biomeccanico

20.02.2025
6 min
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La premessa di Mauro Testa, biomeccanico e responsabile scientifico di Biomoove Lab, è di quelle che da una parte ti mettono a tuo agio e dall’altra annunciano un lungo viaggio. Ci siamo rivolti a lui per fare nuovamente il punto sulle posizioni estreme in bicicletta. Prima avevamo parlato con Alessandro Mariano, che aveva ricondotto tutto al superiore lavoro dei ciclisti in palestra. Poi con Diego Bragato, secondo cui certi assetti sono possibili proprio perché i ciclisti sono atleti molto più completi di un tempo. Ed è stato proprio lui a suggerirci di parlare con Mauro Testa, raccontandoci il lavoro fatto con la nazionale per studiare la contrazione muscolare.

«La figura del biomeccanico in Italia è sconosciuta – dice subito Testa – e si confonde spesso il con il bike fitter, che è una figura completamente differente. Il bike fitter prende il soggetto e lo integra con la bicicletta, ma non tiene conto assolutamente dei parametri fisiologici, neurofisiologici, né morfologici. Il biomeccanico invece è in grado di farlo perché si è formato all’Università e ha studiato anche l’anatomia. Il bike fitter è un ergonomo, passatemi il termine, che cerca di posizionare l’atleta sulla bicicletta. Il problema è che ogni atleta è fatto a modo suo ed è sbagliato fare delle generalizzazioni».

Nel suo book spiccano 300 brevetti, fra cui la prima sella col gel per Selle Italia del 1994, il sistema My Own con Prologo, lo studio di validazione della bici crono di BMC, i rulli Rizer e Justo di Elite, i lavori con Aprilia e con Ferrari, lo studio delle piste di atletica Mondo, gli interni del Frecciarossa ETR100 e varie altre collaborazioni con la Fifa e la Fidal. Non poteva mancare chiaramente quella con la FCI.

Mauro Testa, piemontese, è il responsabile scientifico del centro Biomove e titolare di oltre 300 brevetti
Mauro Testa, piemontese, è il responsabile scientifico del centro Biomove e titolare di oltre 300 brevetti
Ogni atleta è fatto a modo suo, ripartiamo da qui?

Se dico che tutti gli atleti sono più trofici perché lavorano con i pesi, faccio una generalizzazione. Inoltre, dal mio punto di vista è sbagliato, perché i pesi non riproducono la specificità del movimento. Che cosa succede se avendo reso più trofiche le loro masse muscolari (invece di renderle più elastiche e quindi pronte alla contrazione o accorciamento), li portiamo avanti, accorciando il soggetto rispetto ai suoi punti di vincolo? Succede che spostiamo il centro di massa del corpo e non solo.

Con quale conseguenza?

Si ottimizza la spinta, ma questo va a svantaggio del comfort e conseguentemente della capacità di endurance. Quindi può andare bene per un attacco in salita, dove tutti si spostano sulla punta della sella, utilizzando le catene muscolari deputate per la parte di sprint e di accelerazione nel percorso breve, ma non per un lavoro di resistenza.

Il lavoro in palestra è ormai una presenza fissa, ma secondo Testa non è del tutto funzionale
Il lavoro in palestra è ormai una presenza fissa, ma secondo Testa non è del tutto funzionale
Serve un passaggio di anatomia, per capire meglio…

Esistono degli sport che hanno una doppia componente di attivazione muscolare. Una fase è chiamata eccentrica, in cui è possibile esprimere dei livelli di forza addirittura tripli rispetto a quella che avviene nella sola contrazione. Ad esempio nel calcio o in atletica leggera, quando ci sono degli sprint, delle forti accelerazioni a piedi, dei balzi. Nel ciclismo questa fase eccentrica non c’è, esiste fisiologicamente solo la fase concentrica.

Che cosa significa?

La tendenza del muscolo non è quella di rilasciarsi completamente, tende a rimanere contratto, per cui il soggetto alla fine risulta estremamente corto dal punto di vista muscolare. Se distendi un corridore sul lettino a pancia in su e gli sollevi una gamba, vedrai che tende a muoversi anche l’altra, anche se il muscolo non è sottoposto a contrazione. Se lo accorcio ancora, cioè avvicino i segmenti tra di loro spostando il corridore in avanti, riduco ulteriormente la possibilità di rilassamento. In altre parole se riduco la distanza tra i segmenti corro il rischio di accorciare, in modo sicuramente parziale, il ventre muscolare (il corpo centrale del muscolo, ndr). Il ciclo dei ponti tra actina e miosina si trova di fatto più pronto alla contrazione (si parla del meccanismo stesso della contrazione muscolare, ndr). E’ come se comprimessi una molla, che genera immediatamente forza ed è pronta per esprimerla ai massimi livelli.

Michele Bartoli, Giro d’Italia 1998: il peso è decisamente centrale sulla bici
Michele Bartoli, Giro d’Italia 1998: il peso è decisamente centrale sulla bici
Quali sono gli effetti di questo tipo di lavoro?

Nell’immediato ho una percezione di forza superiore, perché essendo più corto sono in grado di contrarre più rapidamente il muscolo e quindi di percepire più rapidamente la spinta. In realtà, da un punto di vista della forza, essendo il muscolo una struttura elastica e non essendoci il ciclo completo del rilassamento e della contrazione, non sono in grado di stoccare energia potenziale elastica. Il muscolo funziona come una molla, si diceva. E alla lunga, a forza di contrarlo, non ha più la stessa capacità di risposta.

Chiariamo meglio il concetto di energia potenziale elastica?

Quando pedaliamo, immagazziniamo energia potenziale elastica nell’organismo e ogni volta la rilasciamo, in modo che nelle pedalate successive io non faccia fatica come nella prima. Non devo più vincere la forza di inerzia per spingere e creare velocità, le pedalate successive devono essere fluide sfruttando il più possibile questa forma di energia, legata alla capacità contrattile e di rilassamento del muscolo. Se me lo impedisci, io ho una sensazione di beneficio immediato, ma ho una caduta dell’endurance e a lungo termine ho anche una caduta della capacità di generare forza. Inoltre una scarsa capacità del soggetto ad “estendersi” (perché accorciato nei suoi punti di vincolo) incrementa i sovraccarichi e quindi le condropatie che sono un problema tipico del ciclista.

Vuelta a Murcia 2025, tutti in sella allo stesso modo: è davvero corretto? Il biomeccanico dice di no
Vuelta a Murcia 2025, tutti in sella allo stesso modo: è davvero corretto?
Quindi se anche un campione si trovasse bene con questo assetto, sarebbe un’eccezione?

Il ciclista non ha bisogno di un picco elevato di forza per un tempo breve, a meno che ovviamente non debba fare degli sprint in pista. Ha bisogno di un picco di forza, magari anche più basso in termini di intensità, ma che duri nel tempo. Serve che il muscolo non perda capacità contrattile, non avendo possibilità di rilassarsi completamente. Quindi per me la tendenza di accorciarli è una stupidaggine. E poi c’è un altro problema.

Quale?

Nell’accorciamento, si riducono i bracci di leva. Questo mi rende anche meno abile nella capacità di gestire la guida della bicicletta. Se ho le braccia contratte quindi avvicinate al tronco, con il gomito molto flesso, non ho una rapidità di esecuzione sulla correzione della traiettoria, che invece potrei avere se il braccio è un attimino più rilassato. Quindi ne va di mezzo anche la sicurezza. Per non parlare dei carichi sulla schiena, di cui poco si parla.

Questa posizione quasi fetale, spiega il biomeccanico, di fatto accorcia la colonna e limita la possibilità di guida
Questa posizione quasi fetale di fatto accorcia la colonna e limita la possibilità di guida
In termini di vibrazioni?

Pochi nell’ambito dello sport tengono in considerazione gli aspetti vibratori. La bicicletta da corsa è fatta in fibra di carbonio, una struttura che trasmette le vibrazioni, perché non è in grado di assorbirle. Inoltre le strade non sono perfette, per cui le sollecitazioni sono costanti. Accorciando il corridore e portandolo in posizione quasi fetale, nella colonna vertebrale si incrementa la cifosi. Disponendo di quel poco spazio, l’adattamento fa sì che le vertebre si avvicinino tra di loro, rendendo la struttura meno elastica e meno capace di assorbire le vibrazioni che arrivano dalle gambe e dalle braccia. Per cui anche da un punto di vista strettamente biomeccanico, l’accorciamento in sé non ha dei reali benefici, a meno che non sia la morfologia dell’atleta a richiederlo.

Come detto in precedenza, a ciascuno la sua biomeccanica?

E’ importante sottolinearlo, non generalizziamo né nel senso dell’accorciamento né dell’allungamento come si era invece portati a fare anni fa. Lo sport e la scienza ad essa applicata compiono spesso l’errore di costituire delle mode e seguirle. Dovremmo invece vedere ogni atleta, amatore o professionista, come unico e solo, adattandoci e adattando la posizione in bici alle sue specifiche peculiarità, necessità e caratteristiche. Questo è quello che fa un buon biomeccanico.

Borgo nel WorldTour: tra emozioni e gambe che girano

19.02.2025
5 min
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Il devo team della Bahrain Victorious in questi giorni è in ritiro a Udine per preparare le prime gare del calendario under 23. La formazione che fino all’anno scorso era CFT Victorious ha cambiato il nome ma non le abitudini. Tra le differenze che si trovano rispetto allo scorso anno possiamo menzionare la maggior possibilità di scambio con il team WorldTour. Essere diventato devo team della Bahrain Victorious permette ai ragazzi di Boscolo uno scambio continuo con la formazione principale. Questo si trasforma in esperienze per i giovani della squadra under 23 che possono essere chiamati tra i pro’ per alcuni appuntamenti. 

La prima gara del 2025 di Alessandro Borgo è stato il Tour de la Provence con la formazione WorldTour
La prima gara del 2025 di Alessandro Borgo è stato il Tour de la Provence con la formazione WorldTour

Un passo tra i grandi

Questa occasione è toccata prima ad Alessandro Borgo al Tour de la Provence, e ora a Bryan Olivo alla Volta ao Argarve. Per entrambi si tratta dell’esordio stagionale, e a portarci con sé in questo debutto tra i grandi è Borgo

«Stiamo facendo questo ritiro a Udine – spiega – prima dell’inizio delle gare under 23. Ho raggiunto il gruppo ieri, visto che sono tornato da poco dalla Francia. Questi giorni insieme ci servono per fare gruppo e prendere le misure per i vari treni e situazioni di gara. Non manca molto alle gare e bisogna farsi trovare pronti».

Una prima esperienza per prendere le misure: eccolo in testa a tirare per i compagni
Una prima esperienza per prendere le misure: eccolo in testa a tirare per i compagni
Tu hai già iniziato…

Ho ricevuto la prima chiamata dalla squadra WorldTour. E’ stata un’emozione davvero grande, indescrivibile. Indossare quella maglia tra i professionisti è un onore, che sarà doppio visto che mi hanno chiamato anche per fare tre gare in Belgio a inizio marzo. 

Che esperienza è stata?

Bella, entusiasmante e che mi ha permesso di vedere un mondo diverso da quello che sono abituato a vivere. Prima di partire ero sicuro che avrei trovato tante differenze, ma l’impatto è stato strano.

Borgo si è messo a disposizione dei capitani, trovando in Mohoric una figura di riferimento
Borgo si è messo a disposizione dei capitani, trovando in Mohoric una figura di riferimento
In che senso?

Nel WorldTour sei trattato come un principe. L’organizzazione è massima e anche lo staff è lì per te e farti trovare tutto in ordine. Anche gli hotel sono eccezionali. Tutto funziona ed è sistemato alla perfezione. Non mi sarei mai aspettato di avere subito accanto lo chef e il nutrizionista che mi dicono cosa mangiare. 

Come ti sei sentito?

A mio agio. Di italiani eravamo Buratti e io. Come riferimento, in corsa e non, ho trovato un gran maestro in Mohoric. Ho avuto modo di conoscerlo al Tour de la Provence ed è una persona dalla quale imparare davvero tanto. E’ uno che parla molto volentieri e poi sa benissimo l’italiano. 

Sei stato fortunato ad avere un mentore come Mohoric.

Assolutamente, è un corridore estremamente intelligente che ha la pazienza e la voglia di correggere anche i più piccoli errori. Fin dalla prima tappa mi ha dato tanti piccoli spunti sui quali lavorare e migliorare. Ad esempio nello sprint della terza tappa ho sbagliato una cosa nel fare il treno e subito dopo la gara ne abbiamo parlato. 

Il Tour de la Provence è stato un testa a testa tra Mohoric e Pedersen
Il Tour de la Provence è stato un testa a testa tra Mohoric e Pedersen
Pedalare in gruppo insieme ai professionisti come ti ha fatto sentire?

Bene. Non ero agitato. La squadra sapeva che non ero nella miglior forma e mi ha lasciato sereno. Mi sono messo a disposizione dei compagni per tirare o andare alla macchina a prendere borracce e tanto altro. Mi sono goduto questo esordio, dal quale spero di aver imparato tanto per essere un buon braccio destro per i miei capitani. Portare una borraccia o uno smanicato a Mohoric è un onore e spero possa essere solo l’inizio

Raccontaci qualcosa anche degli attimi prima della gara, la presentazione delle squadre, il foglio firma…

E’ tutto bello. Magari la gente non ti conosce, ma questa maglia sa cosa rappresenta e quindi vieni trattato come tutti gli altri. Ti chiedono autografi e foto, cosa che magari capita anche qui ma in quel contesto tutto è amplificato. Ero convinto però di non farmi prendere dalle emozioni, sapevo di non avere pressioni esterne e non volevo mettermene troppe. Prima di partire mi sono detto: «Se mi trovo qui vuol dire che qualcosa di buono l’ho fatto».

Nella terza e ultima tappa Borgo ha evitato la caduta ed è riuscito a trovare un buon ottavo posto
Nella terza e ultima tappa Borgo ha evitato la caduta ed è riuscito a trovare un buon ottavo posto
Qualcosa di buono è uscito anche dalla corsa, visto l’ottavo posto nell’ultima tappa. 

In quella frazione dovevo tenere sotto controllo la corsa nella prima parte, per evitare di far andare via grosse fughe. Dopo un’oretta e mezza di gara c’era un traguardo volante importante, poi dopo è andato via un gruppetto e la corsa è rimasta tranquilla. Gli ultimi venti chilometri sono stati da MotoGP, non siamo mai scesi sotto i sessanta chilometri orari. Questa è stata la cosa che mi ha colpito maggiormente. Poi nella volata finale c’è stata confusione e una caduta, io ero davanti e continuando a pedalare sono arrivato ottavo. Mohoric, nonostante l’errore nel treno di cui abbiamo parlato, mi ha fatto i complimenti perché ero davanti e ho dimostrato di avere gamba. 

Ora tocca alle gare al Nord. 

Sono contento di andare e farò in modo che possano essere un’altra bella esperienza. Mi serviranno per abituarmi alla distanza e per capire cosa vuol dire correre sul pavé e i muri del Belgio con i professionisti.

Muzic-Labous, due amazzoni al fianco di Vollering

19.02.2025
5 min
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Non solo Vollering e Guazzini, nella FDJ-Suez che ingaggiando la campionessa olandese punta con decisione sul Tour de France ci sono anche Evita Muzic e Juliette Labous. Il general manager Stephen Delcourt si è detto certo che le sue tre leader collaboreranno per l’obiettivo comune e anche le dirette interessate sembrano in perfetta sintonia. La foto di apertura ritrae le tre leader della squadra francese sul podio della Vuelta Burgos 2022, vinta da Labous su Muzic e Vollering. Sono sempre state rivali, questa volta divideranno i gradi nella stessa squadra.

Abbiamo parlato con loro al via della stagione, cogliendo nelle loro parole l’entusiasmo per la nuova avventura (anche per Muzic che c’era già dal 2017, questo nuovo corso è una ventata d’aria fresca) e per la grandezza del progetto in cui sono state coinvolte.

Muzic che batte Vollering

Evita Muzic è francese e ha 25 anni. Nel 2020, quando ne aveva 21, vinse la tappa di Motta Montecorvino al Giro d’Italia Donne. Invece lo scorso anno ha staccato proprio Vollering sul traguardo di La Laguna Negra alla Vuelta.

«Una vittoria che mi ha dato grande fiducia – dice – e che mi ha fatto arrivare al Tour de France con obiettivi molto ambiziosi, per cui poi sono rimasta piuttosto delusa per il quarto posto. Ma quando ora mi guardo indietro, sono orgogliosa di quello che ho fatto. Sono stata per tutto l’anno leader della squadra e per me era la prima volta. Ho dovuto affrontare molta pressione e alla fine ho dato il massimo».

Vuelta 2024, Muzic vince la sesta tappa a Laguna Negra precedendo la leader Vollering
Vuelta 2024, Muzic vince la sesta tappa a Laguna Negra precedendo la leader Vollering

Gli onori di casa

Muzic si è ritrovata nei panni del leader mentre la squadra aspettava e sperava nel ritorno di Marta Cavalli. Con l’arrivo di Vollering, per la francese si prospetta un ruolo di minore esposizione, che potrebbe persino farle bene.

«Per me Demi è la benvenuta – sorride – abbiamo un buon rapporto e trovo sia bello avere una delle migliori atlete al mondo nella nostra squadra. Avere anche Juliette Labous ci spingerà tutti ai massimi livelli. Impareremo l’una dall’altra, ci aiuteremo a vicenda e correremo per la vittoria. Penso sia più facile avere Demi come compagna che come avversaria, questo mi permette di dire che andremo al Tour de France con l’obiettivo di centrare la maglia gialla. Quanto a me, mi accontenterei di vincere una tappa, che davvero mi manca».

Il 7 luglio 2022 Labous conquista il Passo Maniva del Giro Donne, dopo 100 chilometri di fuga
Il 7 luglio 2022 Labous conquista il Passo Maniva del Giro Donne, dopo 100 chilometri di fuga

Labous in risalita

Juliette Labous, campionessa di Francia, sorride e ci sarà da capire se dividere i gradi con due compagne sia quello che si aspettava o l’abbia scoperto durante la trattativa. Alla DSM era stata la giovane leader per i Giri, alla FDJ-Suez potrà puntare magari al Giro d’Italia, ma sul Tour grava l’ipoteca di Vollering.

«Ho inizato la stagione al UAE Tour – racconta Labous – e mi sono trovata bene, nonostante l’inverno sia stato abbastanza duro, perché mi sono ammalata spesso. Ho sentito che siamo una vera squadra perché abbiamo avuto alcune difficoltà, alcune cadute e qualche malattia, eppure siamo rimaste sempre unite. L’ho sentito anche nel modo di correre aggressivo ed è stato fantastico. Fisicamente per me, i primi due giorni sono andati bene, ma nella tappa di salita la cosa si è fatta più dura (a Jebel Hafeet ha chiuso a 2’11” da Longo Borghini, ndr). Il team però ha detto che non dubitano di me, che ho bisogno di calma per crescere e che abbiamo tutto il tempo necessario».

Con questa immagine sul sito della squadra, la FDJ-Suez lancia il 2025 delle sue tre leader
Con questa immagine sul sito della squadra, la FDJ-Suez lancia il 2025 delle sue tre leader

Seguire l’istinto

Dopo la dichiarazione di intenti degli sponsor, non c’è dubbio che per la squadra francese la chiamata al successo sia inevitabile, anche se non sembra che il management in questo momento stia attuando un particolare pressing sulle atlete.

«Abbiamo bisogno di essere unite – spiega Labous – e abbiamo lavorato su questo per tutto l’inverno. Penso che ci aiuterà a raggiungere grandi successi e non vedo l’ora di farlo. Per me sarà sicuramente diverso. Nei miei 8 anni con la DSM, all’inizio sono stata una giovane che poteva aiutare, poi sono diventata un po’ più leader e negli ultimi anni sono stata la leader solista. C’era molta pressione, per cui non vedevo l’ora di condividerla con altre leader. Voglio fare nuovi passi nella mia carriera, perché penso di aver fatto un sacco di top 5 e un sacco di top 10 e ora voglio solo vincere di più e aiutare la squadra a farlo. Penso di potermi divertire anche a seguire il mio istinto».

Corsa a piedi e distanza: l’insolito allenamento di Van Aert

19.02.2025
4 min
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Wout Van Aert lo ha fatto ancora: una corsa a piedi prima di un allenamento in bici. Non un allenamento qualsiasi, ma una distanza di 240 chilometri. Il belga della Visma-Lease a Bike non è nuovo a questa pratica e, ancora una volta, ha riacceso il dibattito sul valore del running per i ciclisti.

Si è detto che la corsa a piedi possa rafforzare la densità ossea, che nel ciclismo non viene particolarmente stimolata a causa dell’assenza di impatti. Ma con Fabrizio Tacchino, coach esperto sia nel ciclismo che nel triathlon, abbiamo analizzato la questione da un punto di vista più ampio. Tacchino parla di forza, di adattamenti muscolari e anche di zuccheri, sempre più centrali nell’approccio all’allenamento.

Wout Van Aert in tenuta da running qualche tempo fa (foto Twitter)
Wout Van Aert in tenuta da running qualche tempo fa (foto Twitter)
Fabrizio, torniamo sul tema corsa a piedi più ciclismo. Commentiamo l’allenamento di Wout Van Aert…

Fino a qualche anno fa si riteneva che i ciclisti dovessero evitare di correre a piedi o comunque di praticare sport differenti. Questo perché la corsa prevede una componente eccentrica dell’azione muscolare, dovuta agli impatti con il terreno, che nel ciclismo è assente. Dopo una corsa a piedi, un ciclista poco abituato avverte un forte indolenzimento muscolare, con gambe pesanti per uno o due giorni. Di conseguenza, per anni i direttori sportivi hanno scoraggiato la corsa, ammettendola solo nel periodo invernale.

Adesso però questa “dicotomia diabolica”, non è più così diabolica appunto…

No, non più. La nuova generazione di atleti, come Van Aert e Van der Poel, ma anche Roglic e altri atleti di spicco, ha sdoganato questa pratica. Nel caso di Van Aert e Van der Poel, la corsa a piedi è utile anche per le competizioni di ciclocross, tuttavia l’hanno inserita in modo strutturale nei programmi di allenamento, arrivando a praticarla quasi quotidianamente, anche prima di colazione, specie Van Aert.

Per te che benefici ha corsa a piedi per un ciclista?

Inizialmente ero scettico, ma poi alcuni miei atleti hanno voluto provare e ho visto che ne traevano vantaggi. La corsa a piedi è il primo esercizio di forza a carico naturale che un ciclista può fare senza bisogno di attrezzature. Il lavoro eccentrico stimolato dalla corsa ha un impatto positivo sulla muscolatura e gli atleti stessi avvertono un miglioramento nelle sensazioni sulle gambe. E’ anche una questione di sensazioni. Se l’atleta sta bene perché impedirglielo?

Il doppio allenamento di Van Aert: corsa al mattino presto e dopo poche ore ecco la distanza in bici
Cioè?

Molti allenatori aspettano evidenze scientifiche per adottare nuove metodologie, ma io credo che il metodo si sviluppi proprio dall’esperienza diretta degli atleti e poi si cerchi una spiegazione scientifica. Se un corridore prova e avverte benefici, non vedo motivo per non integrare la corsa nei programmi di allenamento. Io stesso per cercare di capire, di avere dei feedback ho fatto delle sessioni di corsa prima di salire in sella.

Perché Van Aert ha corso proprio prima di un lungo in bici? Insomma 240 chilometri non sono pochi. Non poteva farlo un altro giorno?

Non credo sia stata una scelta legata specificamente alla distanza. Per quanto ne so, Van Aert lo fa regolarmente, so che ha corso anche durante il Tour de France. Per lui è un’abitudine, un modo per stimolare il metabolismo prima di colazione e innescare una serie di processi biochimici che migliorano la gestione degli zuccheri.

Spiegaci meglio…

Anche alcuni miei corridori, dapprima su mia indicazione e poi per loro scelta, hanno inserito una corsa leggera prima di colazione. Inizialmente si trattava di una corsa senza ritmo preciso, poi ho introdotto anche parametri di intensità per sfruttarne al meglio i benefici. La corsa a piedi prima di iniziare l’attività principale consente di “accendere” organismo e intestino e far assorbire meglio gli zuccheri e gli altri nutrienti. E il principio è sempre lo stesso: svuotare le riserve di glicogeno e preparare il corpo ad assorbire meglio i nutrienti nella colazione successiva.

Anche strutturalmente Van Aert è ormai abituato alla corsa, merito anche del ciclocross
Anche strutturalmente Van Aert è ormai abituato alla corsa, merito anche del ciclocross
Secondo te Wout effettua questa corsa a digiuno?

Da quello che ho letto sì, Van Aert corre prima di colazione. Magari prende un caffè zuccherato, quindi con un piccolo apporto di zuccheri, per stimolare certi processi metabolici, proprio per innescare il processo di cui sopra. Il modo di alimentarsi nel ciclismo moderno non si basa più sul semplice conteggio calorico, ma sulla gestione dei macronutrienti.

Quali rischi ci sono nell’integrare la corsa nel ciclismo in modo strutturato come fa Van Aert? Ammesso ci siano…

L’unico rischio è il sovraccarico. La corsa a piedi è molto più impattante della bicicletta e, se non gestita bene, può portare a infiammazioni o infortuni muscolari. I ciclisti devono approcciarsi con cautela e senza esagerare nei volumi. Se fatta con criterio, però, la corsa alternata alla bici può diventare un ottimo strumento di allenamento. Anche per questo si vedono sempre più corridori che la praticano abitualmente, sia in inverno che in stagione.

Ultima gara, primo centro per Casasola, con dedica speciale

19.02.2025
5 min
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Ormai soppiantato dalle prime prove su strada, il ciclocross ha chiuso domenica scorsa la sua stagione dedicata ai grandi circuiti e l’ultima tappa dell’X2O Badkamers Trofée nel bellissimo scenario dei giardini dell’Università di Bruxelles ha finalmente regalato a Sara Casasola quella vittoria inseguita per tutta la stagione. Proprio in extremis la friulana, che mai aveva vinto una classica internazionale, ha messo la ciliegina sulla torta di una stagione importante, la sua prima nelle file di un grande team internazionale.

La friulana a Bruxelles ha preceduto in volata Marion Norbert Riberolle, terza la Brand a 39″ (foto CorVos)
La friulana a Bruxelles ha preceduto in volata Marion Norbert Riberolle, terza la Brand a 39″ (foto CorVos)

E’ vero, alcune delle principali protagoniste hanno già virato verso la strada, cosa che anche lei è pronta a fare, ma il successo, anche per l’importanza stessa dell’evento, irradia tutta la sua stagione di una luce nuova.

«La inseguivo dall’inizio – racconta appena tornata a casa, mettendo da parte tutto l’armamentario da ciclocross per preparare la nuova stagione – sapevo di essere in buona condizione e volevo tanto chiudere l’annata senza sentire in bocca l’amaro di un’occasione sprecata. Ci avevo già provato il giorno prima a Sint Niklaas finendo a soli 4” dalla Brand, l’ultima occasione è stata quella buona».

Per Sara Casasola 25 gare, con l’argento iridato nel Team Relay e ben 8 Top 10
Per Sara Casasola 25 gare, con l’argento iridato nel Team Relay e ben 8 Top 10
Che gara era quella nella Capitale?

Non semplice, su un percorso abbastanza diverso da quelli soliti belgi. Non c’era tanto da spingere, ma era molto tecnico anche perché sotto il fango si era formato uno strato di ghiaccio e quindi bisognava guidare bene per non incorrere in cadute. Infatti per gran parte della gara è stata davanti la mia compagna di squadra Norbert Riberolle che sa guidare davvero bene. Io non ero partita benissimo, ma poi l’ho agganciata e nel finale ho sfruttato una piccola rampa per prendere qualche metro, utile per conquistare il successo.

Che giudizio dai a questa stagione, quella del grande cambiamento?

Direi che è stata al di sopra delle mie aspettative. Soprattutto considerando come l’avevo iniziata, con la condizione che non arrivava. D’altro canto era la prima da ciclocrossista vera, impegnata per tutto l’anno e sempre nelle classiche: ho disputato 25 gare, ma in Italia ho corso solo lo sfortunato campionato italiano. In totale per oltre metà delle gare sono stata nella top 5, collezionando molti podi. L’unica vera delusione è stata la tappa di Coppa del mondo a Namur.

A Namur l’unica prestazione negativa in Coppa, dopo una brutta influenza
A Namur l’unica prestazione negativa in Coppa, dopo una brutta influenza
E va considerato anche che nel periodo delle Feste, quello notoriamente più ricco di eventi e più agognato dai grandi specialisti, eri al palo…

Sì, ho preso una brutta influenza che mi ha lasciato strascichi. Ai campionati italiani ero al rientro e c’era una forma fisica tutta da ritrovare. Per questo sono contenta di aver chiuso bene la mia stagione, proprio per riscattare quel periodo buio.

Ora però, mentre negli scorsi anni ti approcciavi alla stagione su strada con relativa tranquillità, si prospetta davanti a te una stagione impegnativa, nel WorldTour…

E’ vero, ma in questo incide molto il team, le sue prospettive, la sua impostazione. Mi ritroverò a fare gare di altissimo livello e credo che principalmente sarò impegnata come aiutante della capitana di turno, ma spero di potermi togliere qualche soddisfazione. Di sicuro non parto per vivacchiare, ma per fare in pieno il mio dovere e cogliere le occasioni se si presenteranno.

In azzurro Casasola ha colto il 4° posto europeo e 6° mondiale, sfidando le olandesi alla pari
In azzurro Casasola ha colto il 4° posto europeo e 6° mondiale, sfidando le olandesi alla pari
Hai aspettative alte?

Sì, certamente superiori a quelle degli scorsi anni. Partirò con la Strade Bianche, poi farò tutte le classiche italiane con un punto di domanda ancora per la Sanremo. Dopo andrò in ritiro in Spagna per preparare le classiche delle Ardenne e dopo faremo il punto della situazione.

Il che significa che tiri dritto senza prendere fiato…

E’ normale, considerando anche la sosta a Natale, nella quale per una settimana non ho neanche preso in mano la bici. Non tutte le ciclocrossiste proseguono senza fermarsi, ma a me conviene. Inoltre il fatto di esordire con la Strade Bianche è un vantaggio, perché è la più affine alla nostra attività. Lì penso che correremo per la Pieterse che su quel percorso può davvero vincere, ma io voglio fare la mia parte. Più avanti si vedrà quali altri impegni assolvere, penso che poi nella seconda parte cominceremo anche a dosare le energie per arrivare alla stagione di ciclocross già in forma.

Foto di gruppo alla Guerciotti, con la friulana in alto a sinistra e Di Tano a destra
Foto di gruppo alla Guerciotti, con la friulana in alto a sinistra e Di Tano a destra
Al di là della stagione e anche del prestigio intrinseco della gara di Bruxelles, hai detto che il successo colto ha per te un significato particolare: perché?

Sinceramente avrei voluto poterlo dedicare a Vito Di Tano, ma purtroppo sono arrivata tardi. Vito è stato per me, come per altre, un mentore, una persona preziosa. Ricordo che quando arrivai in Guerciotti ero piena di dubbi, dicevo che non avevo abbastanza basi di velocità per vincere. Lui mi ha preso da parte, mi ha caricato col risultato che ho vinto le prime due gare e proprio in volata. E lui lì: «Hai visto quanto sei veloce?». Con la sua bontà, ha  toccato l’animo di molte atlete, infatti continuavamo a sentirci quasi ogni settimana e speravo davvero che rimanesse con noi ancora un po’. Questa vittoria è anche sua.