Chi accompagna la maglia rosa all’aeroporto? Una storia del Giro

08.06.2025
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Non capita spesso, anzi non capita quasi mai. Per questo quando a Valerio Bianco e Jean Francois Quenet, due ragazzi dell’ufficio stampa del Giro d’Italia, è arrivata la singolare richiesta, non ci hanno pensato e hanno subito accettato. Erano a Sestriere, alle prese con l’ultimo comunicato di tappa. Il Giro d’Italia, dato ormai per consegnato fra le giovani mani di Del Toro, era stato appena ribaltato dall’attacco di Simon Yates. Sul colle torinese si stava abbattendo un temporale estivo molto violento, quando Luca Papini, event manager del Giro, si è reso conto che i pullman per l’aeroporto di Torino dovevano partire e la nuova maglia rosa non avrebbe fatto in tempo a salirci.

Missione compiuta: a distanza di 7 anni, Yates si riprende la maglia rosa attaccando sul Colle delle Finestre
Missione compiuta: a distanza di 7 anni, Yates si riprende la maglia rosa attaccando sul Colle delle Finestre

Il pullman deve partire

Fatta l’ultima tappa di montagna, il Giro d’Italia aveva previsto che dopo le docce in un hotel, dei pullman trasportassero gli atleti all’aeroporto di Caselle, dando così modo ai mezzi delle squadre di partire dopo il via da Verres e arrivare in tempo per accogliergli a Roma. Sta di fatto che fra premiazione, conferenza stampa, zona mista e antidoping, Yates non avrebbe fatto in tempo e così Papini ha chiamato l’ufficio stampa e ha chiesto se potessero accompagnare la maglia rosa all’aeroporto. L’operazione è nata così ed è scattata che ancora Valerio Bianco doveva ultimare il lavoro. Perciò Quenet si è messo alla guida, Bianco sul sedile del passeggero scriveva e alle loro spalle Yates e il dottore della Visma-Lease a Bike hanno approfittato del passaggio.

«Anche noi saremmo andati a Roma in aereo – ricostruisce Valerio Bianco – ma eravamo prenotati sul terzo volo, mentre Simon aveva quello delle 21,15. E siccome siamo partiti alle 18, c’era da correre, anche se Google Maps diceva che saremmo arrivati in tempo. Yates là dietro era totalmente frastornato, non aveva ancora capito cosa stesse succedendo. Maneggiava il telefono, rispondeva, era ancora commosso come durante la conferenza stampa…».

Nascosto alle interviste

Schegge di memoria durante la discesa da Sestriere, lavorando al computer e di tanto in tanto buttando lo sguardo dietro verso quell’ospite così speciale. Sul Colle delle Finestre, il britannico si era da poco ripreso la vittoria che sette anni prima Froome gli aveva portato via con un attacco storico, al pari di quello messo in atto da lui.

«Mentre lo ascoltavo – prosegue Valerio Bianco – mi sono reso conto di come fossero cambiate le cose. Al mattino il nostro compito è chiamare i corridori e portarli nella zona mista, quando qualche giornalista chiede di parlare con loro. Con lui è stato piuttosto complicato, perché si nascondeva alle interviste. Ma da dopo la maglia rosa, è diventato la persona più disponibile del mondo, davvero molto simpatico. Anche quando il lunedì dopo il Giro siamo andati a inaugurare il murales sulla metro di Roma, è parso super disponibile. Ha dedicato del tempo ai media del Vaticano e così quando a un certo punto gli ho chiesto di fare un selfie perché la mia ragazza non credeva che fossimo con lui, si è prestato senza esitazione».

Valerio Bianco e un selfie con Yates da far vedere alla compagna
Valerio Bianco e un selfie con Yates da far vedere alla compagna

Simon, ho perso l’aereo

E’ stato come se per certi istanti, Yates stesse riavvolgendo il nastro della memoria, mentre l’auto superava gruppi di cicloturisti resi fradici dalla pioggia inaspettata. Scambiava poche parole con il dottore, ma senza particolari riferimenti ad aspetti tecnici.

«Gli ho sentito dire una frase – ricorda Valerio Bianco – che si sposa con quello che ha raccontato nella conferenza stampa, sul suo rapporto con il Giro d’Italia. A un certo punto ha detto: “Dopo questo, potrei anche smettere!”. Ha sospirato ricordando la maglia rosa sfumata sette anni fa sul Finestre. Ma il siparietto più carino c’è stato quando lo ha chiamato la sua compagna. La aspettava a Roma per l’indomani, invece lei con tutto il candore possibile gli ha detto che per seguire la tappa, non era uscita in tempo e aveva perso il volo. La reazione di Yates? Ha sollevato gli occhi al cielo. Io stavo lavorando, ho capito cosa fosse successo, mi sono voltato e lui aveva gli occhi al cielo. Ma anche in questo, per tutto il tempo mi è parso di parlare con un bambino felice, che aveva la testa fra le nuvole».

Pogacar torna al Delfinato: serenità, prudenza e tanto lavoro

07.06.2025
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In qualche modo Tadej Pogacar riesce a stupire anche attraverso lo schermo di un computer. Avete presente la serenità? Beh, se non ce l’avete, possiamo dirvi che era impersonificata nel volto di Tadej. Lo sloveno, nella videoconferenza che introduceva al Critérium du Dauphiné, per tutti il Delfinato, era pacioso, tranquillo… appunto sereno. Cappellino con visiera all’indietro, la sua Colnago appoggiata a una parete bianca sullo sfondo, e via a rispondere alle domande dei giornalisti.

Una scena che ci ha colpito tanto più se pensiamo alle stesse conferenze che sempre la UAE Emirates ha tenuto al Giro d’Italia. Isaac Del Toro e Juan Ayuso, con ai lati Matxin e Baldato… pronti a supportare i due ragazzini terribili.

Tra l’altro proprio sul Giro, Pogacar ha detto che Del Toro è stato bravissimo, che ha imparato tanto da questa gara, ma si è anche svincolato alla grande.

«Ho seguito il Giro tutti i giorni. La squadra lo ha sempre supportato e lui ha quasi vinto. Siamo orgogliosi di Isaac. E’ stato bello vederli in azione. Sono accadute molte cose al Giro. Puoi prenderle da te e studiarle un po’. Magari il Delfinato potrà essere simile in alcune cose e diverso in altre… Tutti abbiamo imparato qualcosa da questo Giro».

Pogacar nella videoconferenza di oggi: pressione zero
Pogacar nella videoconferenza di oggi: pressione zero

Delfinato, a noi

Al Delfinato Pogacar mancava dal 2020. In quell’occasione, era l’anno del Covid, fu quarto, poi sappiamo come andò il Tour de France: vinse sfilando la maglia gialla al connazionale Roglic all’ultimo giorno. Quanto è cambiato da allora. Era davvero un “bimbo”. Anche le sue gambe erano ben meno formate di adesso e, se facciamo un paragone (fuoriluogo forse), anche meno formate di coetanei come Del Toro o Ayuso.

Inizia così domani la corsa che vedrà per la prima volta dall’anno scorso la sfida fra i “tre tenori”: Pogacar appunto, Remco Evenepoel e soprattutto Jonas Vingegaard. Secondo tutti, il rivale più accreditato.
Otto tappe: una facile, quattro da ondulate a ondulatissime, una crono e due tapponi di montagna a chiudere il tutto. E’ il grande antipasto del Tour de France. E tutti già si chiedono se i tre si sfideranno a gas (e viso) aperto. O se qualcuno si nasconderà mantenendo qualcosa per la Grande Boucle.

«Il Delfinato – ha detto Pogacar – è una competizione fantastica, è quasi come un Tour de France per la classifica generale. Ci saranno difficoltà, ma devo ricordarmi che vengo da un grande blocco di allenamenti. E noi qui stiamo lavorando di più per il Tour de France. Se qualcosa non va bene e non vinco questa gara, non sarà un problema, non avrò più pressione. Così come non ho la pressione della vittoria. Cercherò di gustarmi la corsa, di fare il meglio possibile e quindi cercherò di vincere. Ma se non succederà pazienza. Molte volte abbiamo visto che vincere il Delfinato non è un segnale sincero. Intanto pensiamo a iniziare bene domani».

Preparazione al centro

Gran parte dell’incontro con Tadej ha riguardato il suo approccio al Tour e di conseguenza la sua preparazione. C’è qualcosa di diverso nel suo allenamento rispetto alla doppietta Giro e Tour dell’anno scorso? Il fulcro delle domande è questo.


«L’anno scorso – spiega Tadej – avevo un piano simile al 2023. Ma poi ho avuto il problema del polso e non ho potuto allenarmi come volevo. Questa è la prima volta che esco dalla stagione piena classica. Mi sono ritrovato a Sierra Nevada abbastanza presto. Ho fatto un buon allenamento. Un allenamento di qualità. Per avere la certezza che tutto sia al meglio, vorrei avere ancora più tempo per fare altre cose: magari un giorno di più sulla bici da crono o un giorno in più per degli interval training. Ma finora il percorso è stato buono. Vediamo se ci sarà spazio per migliorare ancora un po’ o se mi potrò rilassare dopo il Delfinato.

«Ho cambiato un po’ il mio allenamento negli ultimi due anni. Non dico che questi allenamenti siano migliori, ma un po’ di novità dopo quattro anni è stata buona. Questo mi ha fatto migliorare. Non posso comparare quest’anno con l’anno scorso, perché avevo fatto il Giro. Dopo il Giro ho dovuto riposare e recuperare, poi ho fatto alcune sessioni in quota, ma di fatto mi ero già preparato per i Grandi Giri. Quest’anno invece, come dicevo, vengo dalla stagione delle classiche, quindi ho intrapreso una preparazione diversa, più esplosiva e non adatta ai Grandi Giri. Poi siamo stati a Sierra Nevada, dove c’erano la maggior parte dei team. Avremmo potuto fare una gara! Tra l’altro è stato molto caldo, quindi abbiamo avuto un buon adattamento a quel che ci aspetterà».

Pogacar torna al Delfinato cinque anni dopo la sua prima ed ultima apparizione. Era il 2020 e terminò quarto. Guardate quanto è cambiato da allora
Pogacar torna al Delfinato cinque anni dopo la sua prima ed ultima apparizione. Era il 2020 e terminò quarto. Guardate quanto è cambiato da allora

Tra prudenza e duelli

Oltre alla tranquillità, Pogacar ci ha un po’ sorpreso con il suo insolito realismo. Vale a dire che dall’anno scorso ha fatto solo una corsa a tappe, il UAE Tour a febbraio. Questo, per uno come lui, può significare anche zero, tuttavia è un fatto. E il livello dei competitor non è stato certo fermo nel frattempo.

«Devo ridurre la mentalità che ho di vincere questa gara – sembra quasi frenare se stesso, Tadej – perché non faccio una corsa a tappe da mesi. E’ un approccio completamente diverso. Ma sapete il motivo per cui l’ho fatto? Perché voglio sperimentare cose nuove e non fare sempre la stessa cosa, altrimenti credo che non durerei molto. Questo è il principale motivo.
«Anche fare gare differenti è stato importante, questo fa esperienza. Corse diverse, velocità diverse, tattiche diverse e tanti tipi di terreni. Parigi-Nizza, Catalunya, Paesi Baschi, Delfinato, Svizzera… questo tipo di gare hanno più o meno sempre lo stesso risultato. Le classiche invece sono più interessanti, secondo me».

Infine eccolo finalmente parlare anche dei suoi avversari. Se con Remco, Tadej ha incrociato le ruote nelle Ardenne, con Vingegaard la sfida manca da undici mesi, proprio dal Tour.

«Sono davvero entusiasta – ha detto Pogacar – di rincontrarlo. Jonas sembra in buona forma, è ciò che ho visto in ritiro (anche Vingegaard era a Sierra Nevada, ndr), quindi penso che possiamo aspettarci che sia ad un livello davvero buono. Sono davvero contento di vederlo, perché ha avuto un’esperienza difficile. Possiamo combattere io e lui, ma non devo dimenticare gli altri. La sfida non si concentra solo su Jonas, ma anche su altri atleti, come Remco per esempio. Spero che sarà divertente vederci in TV. Speriamo di avere delle grandi battaglie sulle salite e non solo. Vedremo cosa succederà da domani».

Bike Academy Marchini, primi passi nel ciclismo che conta

07.06.2025
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L’impegno dell’Albania nel ciclismo non si è esaurito con le tre tappe del Giro d’Italia. Subito dopo la conclusione della corsa rosa, infatti, si è disputato il giro locale e tra le squadre protagoniste ce n’era anche una italiana, la Bike Academy Costruzioni Marchini. Un riferimento in Toscana, ma per il quale una trasferta all’estero non è propriamente cosa di tutti i giorni.

Nicola Parenti, 29 anni, non solo ciclista ma anche preparatore della squadra
Nicola Parenti, 29 anni, non solo ciclista ma anche preparatore della squadra

Un’avventura partita nel 2022

A far parte della squadra c’era anche Nicola Parenti, che oltre a essere uno dei corridori (capace anche di chiudere 6° nella prima tappa) è anche preparatore atletico e coordinatore per il team di Lucca: «Il nostro sodalizio è relativamente recente, è nato tre anni fa come appendice del negozio omonimo di Marco Isola con sede a Guamo. A Lucca è da molti anni un’istituzione che da sempre ha vissuto sulla sua pelle il ciclismo locale, collaborando con team giovanili e amatoriali. Nel 2022 però si è deciso di aprire una propria squadra dedita soprattutto all’offroad, che in questo breve lasso di tempo ha conquistato 7 titoli regionali».

L’impegno del team inizialmente non prevedeva molto la strada, privilegiando il ciclocross d’inverno e il gravel nelle altre stagioni: «Abbiamo anche preso parte a ben tre edizioni del mondiale di specialità, come anche di quello E-bike, ma poi lo scorso anno si è posta la possibilità di gareggiare anche su strada. Abbiamo posto le basi del team irrobustendo innanzitutto la parte economica con l’aiuto di sponsor quali l’impresa edile Marchini Costruzioni, lo Scatolificio Nardini, Ambianti Arredamento, Tecnocostruzioni, Toscofibre e Gelateria Taba, poi pensando alla parte tecnica».

Il team toscano è partito nel 2022 dall’offroad, quest’anno ha però allargato le proprie prospettive
Il team toscano è partito nel 2022 dall’offroad, quest’anno ha però allargato le proprie prospettive

Far crescere i ragazzi tra strada e gravel

La squadra toscana è composta da 10 elementi, tutti italiani tranne il ventiduenne ucraino Dmytro Rudyi: «Io e Simone Massoni siamo gli unici Elite, poi abbiamo tutti Under 23. Il direttore sportivo è Fausto Dainelli, a lungo con quest’incarico all’U.C.Pistoiese. Abbiamo iniziato la nostra stagione con la Firenze-Empoli e siamo andati avanti, quella in Albania è stata la nostra prima trasferta estera ma ne faremo un’altra in Belgio. La nostra idea è proporre un’attività composita, nella quale la strada ha un valore di per sé ma è anche propedeutica per le altre discipline, in questo modo permettiamo ai ragazzi di fare le esperienze più diverse».

L’idea di base del team lucchese è proprio quella di essere una palestra per i giovani del territorio e farsi le ossa, anche attraverso competizioni all’estero che, come anche la gara albanese ha dimostrato, hanno non solo una qualità, ma anche una gestione tattica diversa: «La nostra filosofia – riprende Parenti – è dare un tetto ai ragazzi per crescere, dando la possibilità a ognuno di trovare la sua collocazione nel mondo del ciclismo. Chi ha i mezzi per emergere deve anche avere una vetrina per mettersi in evidenza. Ma ha bisogno di farlo conoscendo quel che è il ciclismo al di fuori dei nostri confini.

Filippo Cecchi, per lui due Top 10 al Giro di Albania, finendo 13° in classifica finale
Filippo Cecchi, per lui due Top 10 al Giro di Albania, finendo 13° in classifica finale

Un’alternativa all’abbandono

«Fare gare a tappe in Italia, per un team come il nostro, è quasi impossibile, ma è anche un’esigenza imprescindibile per crescere. Il nostro impegno su strada nasce però anche dalla volontà di fornire un’alternativa: noi vediamo che tanti, o trovano una strada verso il professionismo o smettono. Noi però possiamo dare nuove possibilità, fare della strada un veicolo per continuare con l’agonismo contemplando anche altre scelte, come il gravel. Così magari quella chance che non era emersa prima torna a galla…».

Se chiediamo chi sono gli elementi più in vista del team, Parenti mette in evidenza innanzitutto un ragazzo di 19 anni, Leonardo Sica, che è finito nono nella prima tappa proprio dietro di lui: «E’ un primo anno, naturalmente  va ancora a scuola e in questi pochissimi  mesi di attività ha mostrato un grande adattamento, ha ottime prospettive. Inoltre c’è Federico Nesi che dopo alcune esperienze negative sta ritrovando entusiasmo e si sta adattando velocemente alla strada venendo dal mondo della mountain bike. Ecco, Federico è la perfetta esemplificazione di quel concetto di multidisciplina che è alla base della nsotra attività. Non saremo mai stradisti tout court…».

Il gruppo in Albania, riconoscibili Parenti (numero 61), Cecchi (62), Sica (63) e Nesi (65, foto organizzatori)
Il gruppo in Albania, riconoscibili Parenti (numero 61), Cecchi (62), Sica (63) e Nesi (65, foto organizzatori)

Un programma a lunga scadenza

Infatti nei programmi del team gli impegni nelle altre discipline hanno la preponderanza: «Abbiamo già partecipato a due prove internazionali gravel e ne faremo un altro paio, inoltre contiamo di prendere parte ai campionati italiani E-bike e alla World Cup per le bici a pedalata assistita. Noi ci siamo dati un programma biennale lo scorso anno proponendoci di prendere parte alle gare internazionali, ma contiamo di andare avanti perché nel ciclismo di oggi non ottieni  nulla se non programmi a lunga scadenza. Questi sono solo i nostri primi passi…».

Marcellusi: sei fughe, tanta grinta e Van Aert sul Sestriere

07.06.2025
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ROMA – A Martin Marcellusi una volta chiedemmo quale fosse un suo punto di forza e lui ci rispose: la grinta. Che non mollava l’osso facilmente. E in effetti il romano della VF Group-Bardiani in questo Giro d’Italia la grinta l’ha sfoggiata in tante occasioni. Sei volte in fuga, un settimo e due sesti posti (anche se poi in uno dei due è stato declassato all’85°).

Tante volte ha lottato su terreni anche non congeniali. Di certo quello di Marcellusi è uno dei nomi più gettonati che ci ha regalato la corsa rosa. Dalle volate (quasi) di gruppo in Albania, all’arrivo in montagna di Sestriere, fino allo show di Roma. Pensate che proprio prima della partenza della tappa nella Capitale ci aveva detto: «E’ andata, ma non è ancora finita». Covava qualcosa…

Martin Marcellusi (classe 2000) ha concluso il suo terzo Giro d’Italia
Marcellusi (classe 2000) ha concluso il suo terzo Giro d’Italia
Martin, come giudichi dunque il tuo Giro?

Positivo. Se non mi avessero tolto il piazzamento, il sesto posto nella terza, tappa sarei stato ancora più contento, perché per me e per noi erano punti importanti. Purtroppo mi è rimasto un po’ l’amaro in bocca, però mi sono rifatto bene…

Hai lottato per tutte e tre le settimane e da come eri partito sappiamo che non ti sentivi al top: te lo aspettavi un Giro così gagliardo?

C’era un’incognita un po’ sulla condizione, però nei primi giorni ho visto che stavo bene. Sinceramente non pensavo di poter arrivare alla terza settimana così bene… ma ci sono arrivato, per fortuna! Ora l’obiettivo è mantenere anche questa condizione per le prossime gare, già a metà mese sarà di nuovo in gara. Porto via una buona condizione.

Questa gamba va sfruttata. Possiamo ripartire da qui per ottenere qualcosa d’importante?

Sì, sicuramente dopo Sestriere ho capito che la condizione è buona. La tappa è stata durissima e sono riuscito a ottenere un buon risultato su un percorso che sicuramente non era adatto alle mie caratteristiche. Quindi spero proprio di sfruttarla questa gamba, come dite voi… Il programma prevede, dopo un po’ di recupero, il rientro il 13 giugno a Gippingen, che è una corsa abbastanza dura. L’obiettivo da qui in poi è cercare di mantenere il livello di attenzione elevato fino a lì. E poi ci saranno anche i campionati italiani a fine mese. Quindi si tira dritto.

Hai detto: «Quella di Sestriere non era il mio percorso». Però in più di qualche tappa all’attacco non eri sul tuo percorso. Cosa significa?

Voglio dire che la gamba c’è sicuramente. Ho fatto dei risultati in volata, in salita. Mi manca la cronometro, ma quella penso che non arriverà mai, e quindi penso di essere combattivo un po’ ovunque, anche se al Giro poi ottenere un successo è complicato.

Il romano di Corcolle (paese appena ad Est della Capitale) in fuga nella tappa finale
Il romano di Corcolle (paese appena ad Est della Capitale) in fuga nella tappa finale
Se dovessi fare un’autoanalisi di questo Giro, come ne esce Marcellusi? Che corridore sei?

Scalatore no, passista nel senso stretto neanche, direi uno scattista… sto un po’ nel mezzo.

Raccontaci qualcosa che solo tu e pochi altri che l’avete vissuto da dentro potete fare. Ti sei ritrovato nell’epilogo del Giro con Van Aert e Simon Yates…

Incredibile veramente! Personalmente non stavo molto bene prima del Colle delle Finestre, poi quando sono arrivato lì sotto e ho visto il GPX che dava 18 chilometri di salita, ho pensato che fosse solo questione di testa. Quindi mi sono messo lì del mio passo, e piano piano riprendevo corridori, e ho scollinato a poco da Van Aert. Sapevo che poi avrebbe aspettato Simon Yates. Mi avevano comunicato dalla radio che Simon era dietro e stava risalendo. Così per non saltare ho lasciato andare Van Aert e in un certo senso ho aspettato Yates.

In un certo senso…

Non l’ho aspettato perché volessi, ma perché le gambe erano quelle che erano. A quel punto ho cercato di gestirmi tra la sua risalita e la distanza dal GPM. Credo di aver scollinato dieci secondi davanti a lui. Così in discesa ci siamo ricompattati: Yates, Van Aert ed io. Con Wout che tirava.

E come tirava! Dalla tv sembrava una locomotiva che man mano ha ripreso tutti gli altri della fuga…

Mamma mia, il computerino nel fondovalle segnava 370-380 watt… a ruota. Un ritmo asfissiante, tanto è vero che poi li ho mollati quando è ripresa la salita finale perché ero veramente al limite.

A Sestriere l’arrivo davanti a Carlos Verona… dopo averlo redarguito con il più classico dei richiami romani: «Ahò?!»
A Sestriere l’arrivo davanti a Carlos Verona… dopo averlo redarguito con il più classico dei richiami romani: «Ahò?!»
A proposito di salita e di arrivo, abbiamo saputo di un siparietto con Verona…

Ma no, è stata una battuta – e intanto ride Marcellusi – eravamo lì sul rettilineo finale, quando ai 200 metri lo vedo che mi affianca e mi passa, dopo che avevo tirato io gli ultimi chilometri, perché lui mi aveva detto che non poteva. Allora…

Ti è uscito un delicatissimo “ahò” romanesco. Ce lo ha raccontato Roberto Reverberi…

Esatto. Mi è uscito spontaneo questo “ahò”… E infatti poi si è rimesso dietro. Più che altro mi ero preoccupato perché eravamo ben messi, si lottava per un buon piazzamento (il sesto posto, ndr) e c’erano dei bei punticini in palio, che per noi della VF Group-Bardiani sono importanti.

Non avete vinto una tappa però alla fine qualche bel punto l’avete portato a casa, no?

Abbiamo fatto il conto giusto stamattina. E se i calcoli sono giusti dovremmo aver racimolato 400 punti, pertanto siamo soddisfatti. Purtroppo è mancata la vittoria e secondo me poteva anche arrivare, però si sa che il Giro d’Italia è complicato, che il livello è alto e bisogna avere anche un po’ di fortuna.

Yates c’era, ma nessuno l’ha visto. Affini spiega il capolavoro Visma

07.06.2025
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Affini ammette di non essere uno che dorme tanto, ma che un paio di giorni di letargo dopo il Giro gli sono serviti. Adesso si tratta di preparare un’altra valigia, perché i corridori non si fermano mai, ma prima un ritorno sulla corsa conquistata da Yates ci sta tutto. Quello che ci interessa capire con il mantovano della Visma-Lease a Bike è cosa abbia rappresentato la conquista della maglia rosa per la squadra che nel 2023 aveva vinto Giro, Tour e Vuelta e l’anno successivo si è trovata a fare i conti con infortuni, sfortune e piazzamenti troppo piccoli per le attese generate nell’anno delle meraviglie.

«Diciamo che il 2023 è stato qualcosa di probabilmente irripetibile – dice Affini – poi il 2024, venendo da una stagione del genere, è stato un’annata più complicata, ma non da buttare via completamente. Alla fine, se guardi, non eravamo scomparsi dagli ordini d’arrivo, però è chiaro che una differenza c’è stata. Quest’anno siamo ripartiti abbastanza bene, anche se siamo mancati nelle classiche Monumento al Nord. Siamo stati presenti, ma è mancato il risultato pesante. Per cui venire al Giro e riuscire a portare a casa tre tappe e la maglia rosa credo che sia stata una bella botta di fiducia».

Si prepara la valigia per l’altura, senza conoscere ancora il programma del ritorno alle gare, ma con un’ipotesi Tour che segnerebbe il suo debutto e il giusto riconoscimento per un atleta che più forte e concreto non si può. Affini dice che gli piacerebbe fare il campionato italiano a crono, perché potrebbe correrlo con la maglia di campione europeo, ma altro non è stato ufficializzato e si dovrà attendere la metà di giugno per avere i piani dell’estate.

Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sei stato uno di quelli che ha incitato Yates perché ci credesse: lo avevi in testa da prima oppure è stato una scoperta giorno dopo giorno?

Ho corso con la allora Mitchelton-Scott in cui c’era anche Simon. Lo conoscevo già, anche se quando è arrivato da noi, era chiaro che fosse stato preso più come rinforzo per Jonas (Vingegaard, ndr). Però allo stesso tempo gli avevano dato carta bianca per giocarsi le proprie carte in certi appuntamenti. E’ partito con l’idea del Giro già dall’inverno e quando siamo arrivati a Tirana c’era l’idea di fare una bella classifica. Volevamo fare tutto il possibile per metterlo nelle condizioni di ottenere un risultato. Poi strada facendo, è cresciuta sempre di più la fiducia che potesse arrivare qualcosa di grande. Per cui direi che abbiamo sempre visto Simon come un uomo per fare classifica e lo abbiamo protetto come meglio potevamo.

Ha raccontato di essere rimasto da solo soltanto nelle crono, mentre per il resto del tempo lo avete tenuto al sicuro…

Il mio compito era di tenerlo il più coperto e il più a lungo possibile, fintanto che in certe tappe il mio fisico me lo consentiva. Invece nei finali veloci, era sempre (tra virgolette) un casino, nel senso che eravamo divisi. Avendo Olav Kooij, Van Aert e io eravamo più concentrati su di lui, almeno nei finali di corsa quando cominciava l’avvicinamento alla volata, quindi negli ultimi 5-6-10 chilometri. In quei casi, il resto della squadra si stringeva attorno a Simon.

Tu hai vissuto il Nord con Van Aert e probabilmente ne hai condiviso le delusioni. Come è stato vederlo vincere la tappa di Siena?

Forse ne ho già parlato con qualcun altro, non mi ricordo bene con chi, ma sostanzialmente non è che in primavera Wout non ci fosse. Era sempre lì, solo che s’è trovato davanti degli altri corridori che in quel momento gli erano superiori. Però a guardare bene, la sua continuità è stata un segnale importante. Poi è chiaro che soprattutto in Belgio la stampa si aspetta tanto e a volte esagera. Però ci sono anche gli altri, non solo lui. Vederlo vincere una tappa, soprattutto quella di Siena che per lui è da sempre un posto importante, è stato un bel momento. Ha fatto un grande lavoro in tutte le tappe, ma vederlo vincere è stato bello per tutti noi. Eravamo tutti contenti, tutta la squadra quella sera ha festeggiato.

Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Si racconta che dopo la sconfitta del 2023, lo scorso anno Pogacar fosse davvero super determinato. Si percepisce una rivalità fra Visma e UAE?

Forse andrebbe chiesto ai diretti interessati, quindi Jonas e Tadej. Però noi, come squadra, sappiamo quali sono i corridori che effettivamente devi considerare rivali al 100 per cento. E’ normale che quando hai gli stessi obiettivi, diventi automaticamente il rivale numero uno. Allo stesso modo, quando hai due corridoi come Vingegaard e Pogacar, la rivalità diventa più forte. Ovviamente ce ne sono anche altri, il Giro ad esempio ha mostrato Del Toro e Ayuso, ma avere dei riferimenti come loro è una spinta reciproca. Ogni squadra cerca di migliorarsi, magari nel trovare quello 0,5 per cento per andare un po’ più forte. E questo riguarda i corridori, ma anche lo staff. Alla fine, se il livello è alto, lo scontro è elevato, come nel calcio.

Eppure, pur conoscendovi, è parso che nella tappa di Sestriere la UAE Emirates abbia sottovalutato Yates: a Martinelli è parso incredibile…

Per quello forse è stato bravo Simon con la sua esperienza, a gestirsi in quella maniera. Come ha detto anche lui, non ha preso un filo di vento e nessuno quasi lo ha visto. Il nostro scopo sin dall’inizio era portarlo avanti nel Giro senza che facesse troppa fatica. Praticamente c’è sempre stato, ma era come se non ci fosse e così ha gestito al meglio le sue energie.

Nel Giro della Bahrain: un “nuovo” Tiberi e il solito grande Caruso

07.06.2025
5 min
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La Corsa Rosa della Bahrain Victorious ha subito un forte rimescolamento nell’ultima settimana di gara. I ragazzi guidati da Franco Pellizotti erano partiti dall’Albania poggiando le loro speranze sulle giovani spalle di Antonio Tiberi, forte del quinto posto dello scorso anno. Con il passare dei giorni la corsa si è fatta sempre più difficile da gestire a causa dei tanti momenti di stress. Proprio una di queste circostanze concitate ha portato alla caduta di Antonio Tiberi nella tappa di Gorizia. Da lì il Giro d’Italia del team Bahrain Victorious è cambiato e i gradi di capitano sono passati sulle spalle del più esperto Damiano Caruso. Il siciliano è stato capace di raccogliere quanto seminato e di portare a termine un Giro d’Italia nel quale ha dato prova, qualora ce ne fosse stato bisogno, delle sue grandi qualità.

«In corsa – racconta Franco Pellizotti – il capitano è sempre stato Caruso, mentre il leader era Tiberi. Abbiamo lavorato così anche lo scorso anno. Una volta che Tiberi è caduto tutte le responsabilità sono passate a Caruso».

Antonio Tiberi era arrivato al Giro per curare la classifica per la Bahrain e con grandi ambizioni
Antonio Tiberi era arrivato al Giro per curare la classifica per la Bahrain e con grandi ambizioni

Recuperare

Pellizotti analizza e racconta, intanto in sottofondo si sente un gran strofinare e spazzolare. Il diesse sta lavando la bici di sua figlia Giorgia, che domani correrà in una gara di mtb e anche in questo caso si deve arrivare pronti. 

«Una volta sceso dall’ammiraglia – continua – ho lasciato da parte il lavoro del diesse e mi sono dato a quello del papà, che poi ci sia sempre di mezzo una bici cambia poco. Oggi (venerdì per chi legge, ndr) Giorgia ha l’ultimo giorno di scuola e domani andrà a fare una gara. Da una corsa come il Giro si torna a casa stanchi, ma bisogna recuperare il tempo perso in famiglia. Anche perché poi venerdì prossimo riparto: direzione Tour de Suisse».

Ecco Tiberi, Caruso e Pellizotti: leader, capitano in corsa e diesse
Ecco Tiberi, Caruso e Pellizotti: leader, capitano in corsa e diesse
Torniamo al Giro, eravate partiti con grandi ambizioni…

Vero. Con Tiberi l’obiettivo era di salire sul podio e di provare a vincere una tappa, poi la caduta di Gorizia ha fermato il tutto. Meno male che Caruso ci ha tolto le castagne dal fuoco conquistando un ottimo quinto posto. La nostra punta era Tiberi, ma Caruso aveva dimostrato di stare bene. 

Com’era stato impostato il Giro del siciliano?

Caruso quando è in condizione non è capace di lasciarsi sfilare e uscire di classifica, non fa parte del suo carattere. Lui stesso era consapevole del suo stato di forma. Si è trattato di un Giro d’Italia strano, il primo vero arrivo in salita è arrivato all’inizio della terza settimana. Solo in quel momento ci siamo resi conto delle reali forze in campo

Dopo la caduta nella 15ª tappa Tiberi ha mollato definitivamente il colpo a Bormio, cedendo dieci minuti ai primi
Dopo la caduta nella 15ª tappa Tiberi ha mollato definitivamente il colpo a Bormio, cedendo dieci minuti ai primi
Dopo la caduta di Gorizia si è mai pensato di fermare Tiberi?

No. Ha preso una bella botta, ma il suo cammino al Giro non era a rischio. Avevamo Caruso in classifica ed è stato giusto che Tiberi restasse in corsa per dare il suo contributo. Quando Antonio è arrivato in squadra da noi è stato subito elevato a leader, ma per un ragazzo giovane come lui è stato giusto fare anche questo tipo di esperienza. Un conto è fare il leader, un altro è sapersi muovere da gregario

Spiegaci meglio.

In passato non ha mai ricoperto questo ruolo, ma se vuole diventare un corridore capace di curare la classifica al 100 per cento è una parte fondamentale. Nei due Giri d’Italia corsi con noi, Tiberi è sempre stato il leader, ma il ruolo di capitano lo ha ricoperto sempre Caruso. 

Cosa cambia?

Che Caruso aveva il compito di guidare la squadra, parlare con l’ammiraglia, usare la radio. Tiberi, invece, doveva preoccuparsi solamente di andare forte. In quest’ultima settimana di Giro ho visto Antonio cambiare negli atteggiamenti.

Già a San Valentino Tiberi aveva perso terreno, per Caruso era arrivato il via libera
Già a San Valentino Tiberi aveva perso terreno, per Caruso era arrivato il via libera
In che senso?

L’ho visto più presente in corsa, spesso parlava alla radio, comunicava con i compagni quando si creava la fuga. Insomma ha preso consapevolezza che esiste anche l’aspetto di gestione della gara. Avere accanto un corridore come Caruso sicuramente gli ha dato una mano a capire come si fa.

E’ mancato il risultato ma è stato un Giro comunque importante…

Per questi aspetti appena elencati credo che finire questa corsa sia stato fondamentale per Tiberi. Ha visto e messo in pratica aspetti nuovi. 

Damiano Caruso ha concluso il Giro d’Italia in quinta posizione, è stato il migliore degli italiani
Damiano Caruso ha concluso il Giro d’Italia in quinta posizione, è stato il migliore degli italiani
Spendiamo anche qualche parola per Caruso?

Che dire, ha fatto un grande Giro d’Italia. Conosciamo bene le sue doti, che lo hanno portato a essere uno dei corridori più forti sul fondo. Ha passato un 2024 non semplice e aveva tanta voglia di tornare a fare bene. Ha curato diversi aspetti e si è dato da fare ancora di più. Dopo la scorsa stagione aveva anche pensato di smettere, quindi era partito per questo 2025 con l’obiettivo di voler finire bene la carriera. 

E invece ha prolungato di un altro anno.

Al Tour of the Alps mi aveva già accennato qualcosa a riguardo. Ci eravamo detti di aspettare il Giro. Per fortuna nostra correrà insieme a noi per un’altra stagione. Credo che il 2026 potrà essere un anno fondamentale per il nostro team, ma non abbiamo fretta. Prima c’è la Vuelta e sia Tiberi che Caruso arriveranno agguerriti.

Davide Frigo cresce, vince e Salvoldi lo chiama in nazionale

06.06.2025
6 min
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Davide Frigo è uno dei protagonisti di questo inizio di stagione nella categoria juniores, il fratello minore di Marco che abbiamo iniziato a conoscere dopo la vittoria alla Coppa Montes ha aggiunto un altro tassello al suo percorso di crescita. Il veneto al suo secondo anno da junior ha messo in tasca anche il Giro del Friuli (in apertura foto Bolgan) e per lui è arrivata la chiamata dal cittì della nazionale Salvoldi per la prossima prova di Nations Cup: il GP Dino Baron. 

«In realtà – ci racconta mentre si sta dirigendo al lago Le Bandie – Salvoldi mi aveva chiamato per correre la Corsa della Pace, ma un malanno mi ha impedito di partire. Mi è dispiaciuto, ma sono felice e onorato che il cittì mi abbia chiamato per questa gara. Siamo partiti giovedì (ieri per chi legge, ndr) e abbiamo fatto una prova del percorso. Domani faremo scarico mentre sabato e domenica si corre».

Davide Frigo insieme ai compagni del Team Tiepolo dopo la vittoria al Giro del Friuli Venezia Giulia Juniores (foto Bolgan)
Davide Frigo insieme ai compagni del Team Tiepolo dopo la vittoria al Giro del Friuli Venezia Giulia Juniores (foto Bolgan)

Vestire l’azzurro

I primi mesi di questa seconda stagione nella categoria juniores ci hanno fatto apprezzare le qualità di Davide Frigo, fratello minore di Marco Frigo, professionista con la Israel Premier Tech. I due si somigliano molto, ci ha raccontato lo stesso Marco un mesetto fa. Ma ora, visti anche i risultati e le qualità dimostrate, è il momento di conoscere personalmente Davide Frigo. Chi è il giovane veneto che si sta facendo conoscere a colpi di pedale e che è entrato nell’orbita della nazionale?

«Innanzitutto – precisa Davide Frigo – ci tengo a ringraziare Dino Salvoldi per la fiducia. Essere qui con la nazionale è bellissimo. Ho sempre visto mio fratello e devo ammettere che anche avendoli a casa non ho mai voluto indossare i vestiti della nazionale. Dentro di me pensavo fosse un “peso” e che avrei dovuto meritarmeli. Ora che sono stato convocato e che andrò a correre con l’azzurro addosso sono doppiamente felice».

Davide Frigo ha corso in maniera costante rimanendo con i migliori nella tappa decisiva, dimostrando ottime doti in salita (foto Bolgan)
Davide Frigo ha corso in maniera costante rimanendo con i migliori nella tappa decisiva, dimostrando ottime doti in salita (foto Bolgan)
Chi saranno i tuoi compagni di avventura al Baron?

Barutti, Magagnotti, Pedritti, Turconi e Rosato. Ho incontrato più o meno tutti nelle varie gare, soprattutto Magagnotti e Rosato che sono delle mie zone (Davide Frigo abita a Bassano del Grappa, ndr). Con loro due corro da quando ero giovanissimo, praticamente. Non li conosco molto bene, ma in questi giorni rimedieremo. 

La convocazione con la nazionale arriva dopo una prima parte di stagione davvero positiva…

Già dalle prime gare avevo ottenuto ottimi risultati, poi è arrivata la vittoria alla Coppa Montes, gara internazionale. Penso che quel successo abbia fatto svoltare un po’ la stagione, tanto che Salvoldi mi ha convocato in nazionale. Mi ha detto che gli era piaciuto come avevo corso alla Piccola Liegi delle Bregonze, ero andato in fuga e avevo attaccato spesso. Il cittì quel giorno era in moto a seguire la gara da dentro ed è rimasto colpito da mio spirito battagliero. 

E’ il tuo modo di correre?

Diciamo di sì. Anche perché in volata sono fermo, quindi se voglio provare a fare qualcosa devo muovermi in anticipo e provare a staccare tutti. 

Il punto debole di Davide Frigo è la volata, nello sprint a tre della terza tappa è arrivato terzo (foto Bolgan)
Il punto debole di Davide Frigo è la volata, nello sprint a tre della terza tappa è arrivato terzo (foto Bolgan)
Cosa che alla Coppa Montes ti è riuscita, invece com’è andata al Giro del Friuli?

Trattandosi di una gara a tappe, lo svolgimento è stato un po’ diverso. Non sono mai arrivato da solo, ma sono riuscito a rimanere davanti in tutte e tre le tappe. Durante la cronometro iniziale mi sono difeso bene. Invece nella tappa più difficile, la terza, sono rimasto con Proietti Gagliardoni e Frizzi che però erano dietro di me in classifica generale. 

In cosa ti senti migliore rispetto allo scorso anno?

Credo di essere maturato tanto, sia fisicamente che mentalmente. Già nel 2024 avevo notato un miglioramento, ma la mia priorità era aiutare la squadra e i miei compagni più grandi. Non cercavo il risultato personale, mentre quest’anno ho cambiato un po’ mentalità visto che sono passato secondo anno juniores. Sono partito con l’idea di finalizzare e ci sto riuscendo, anche con un po’ di fortuna. 

Cosa vuol dire indossare la maglia della nazionale per te?

Un onore. Cercherò di farmi vedere e di onorarla al meglio lavorando al meglio per la squadra. Anche quando si corre con una maglia così prestigiosa la cosa importante è pensare alla squadra. Vedremo di fare delle belle gare, per me vedo più adatta quella di domenica. 

Davide Frigo è cresciuto con l’esempio e i consigli del fratello maggiore Marco, professionista con la Israel Premier Tech (foto Bolgan)
Davide Frigo è cresciuto con l’esempio e i consigli del fratello maggiore Marco, professionista con la Israel Premier Tech (foto Bolgan)
Come mai?

Si addice alle mie caratteristiche, è davvero dura. Sono un corridore che in salita va bene e ha un buon passo in pianura. 

E tuo fratello ti ha dato qualche consiglio prima di questo importante esordio?

Me ne dà sempre tanti. Abbiamo un bellissimo rapporto e mi suggerisce anche piccole cose che, messe insieme, mi aiutano a capire tanto del ciclismo e mi fanno crescere. Forse il consiglio che ricordo di più è di mangiare tanto per riempire la gamba (sorride, ndr). 

Nel 2024 Davide Frigo si era messo a disposizione dei compagni più grandi, ora tocca anche a lui mostrare le sue doti (foto Bolgan)
Nel 2024 Davide Frigo si era messo a disposizione dei compagni più grandi, ora tocca anche a lui mostrare le sue doti (foto Bolgan)
Che ragazzo è Davide Frigo fuori dalla bici?

Sono uno abbastanza tranquillo, non mi piace andare tanto alle feste o stare dove c’è molta gente. Ho pochi amici ma li ritengo validi proprio per questo. Quando non vado in bici mi piace comunque guardare diversi sport. In famiglia siamo appassionati di motori. 

Tu e tuo fratello in bici avete davvero caratteristiche così simili o c’è qualcosa in cui siete diversi?

Ora sono più leggero di lui, quindi credo di essere uno scalatore migliore. E’ anche vero che non ho ancora smesso di crescere, magari in futuro diventerò anche io un passista come Marco. Nella vita credo che lui sia leggermente più testardo, riesce a fare le cose anche da solo, invece io mi faccio aiutare da qualcuno. Quando ho bisogno, chiedo spesso a mio papà. Per noi la famiglia viene prima di tutto, siamo molto uniti.

Moschetti a Roma, un terzo posto che sa di ritorno

06.06.2025
4 min
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Terzo sul traguardo di Roma. Davanti a lui Kooij e Groves, dietro Pedersen. Il Giro d’Italia di Matteo Moschetti si è concluso con un sorriso amaro, perché quando arrivi sul podio vuol dire che avresti potuto anche vincere. Eppure dentro quel piazzamento ci sono così tante sfumature, che se ne può anche essere contenti. Pochi giorni prima, il corridore della Q36.5 aveva il morale quasi nero. Ecco perché abbiamo parlato di sorriso amaro. Ed ecco perché ne parliamo proprio con il milanese, che da lunedì ha cercato di recuperare quanto più possibile, prima di buttarsi nelle prossime corse.

«Onestamente fino a Roma – dice – non avevo avuto grandissime sensazioni. E’ stato un Giro con tre occasioni per le volate e fino a quel momento non ero riuscito a esprimermi come volevo. Sentivo che potevo dare di più, volevo riscattare un Giro che non era stato così buono. Ci tenevo tanto, ma francamente speravo in una vittoria che dopo tre settimane ci sarebbe stata davvero bene».

A destra c’è Kooij, al centro Moschetti, a sinistra Groves: la strada sale al 5%. Alla fine Matteo sarà terzo
A destra c’è Kooij, al centro Moschetti, a sinistra Groves: la strada sale al 5%. Alla fine Matteo sarà terzo

Un arrivo inedito

La volata di Roma si presentava meglio di quella di Cesano Maderno, dove le salite della prima parte avevano lanciato Nico Denz, lasciando alle sue spalle il gruppo frantumato e non certo schierato per lo sprint. La differenza rispetto alle edizioni precedenti, è che nell’ultima tappa non si sarebbe sprintato sul solito arrivo dei Fori Imperiali, ma sullo strappo sopra al Circo Massimo. Duecento metri al 5 per cento: roba per gambe forti, soprattutto alla fine del viaggio.

«Avevamo studiato bene il percorso – prosegue Moschetti – e anche se il Gran Premio Liberazione non passa su quel rettilineo, la salita che facevamo dopo la conoscevo già, quindi sapevo a cosa potesse somigliare il percorso. Poi non ci sono riuscito, perché ha vinto il più forte che è stato pilotato alla perfezione. Sarebbe stato importante, l’ultima tappa vale di più, ma la squadra era contenta. Chiudere il nostro primo Grande Giro con una nota positiva è stato una bella soddisfazione».

Valona, terzo giorno del Giro in Albania: Mosca e Moschetti. Il via non è stato dei migliori
Valona, terzo giorno del Giro in Albania: Mosca e Moschetti. Il via non è stato dei migliori

La volata finale

La prima grande corsa a tappe per il Q36.5 Pro Cycling Team si era aperta con la grandissima attesa di Tom Pidcock, terzo nel giorno di Matera e 16° nella classifica finale, che tuttavia non è mai stato all’altezza delle attese e tantomeno della sua reputazione.

«Non so che valutazioni farà la squadra – dice Moschetti – ma di sicuro avevamo aspettative alte. Volevamo fare bene, anche per onorare la corsa. Per quanto mi riguarda, qualche occasione in più per fare volate potevano anche prevederla, ma le dinamiche di gara sono state imprevedibili e si andava così forte che era impossibile tenere la corsa sotto controllo. E’ positivo che l’ultima tappa abbia previsto la volata, è gratificante per i velocisti che finiscono il Giro e diventa il motivo migliore per arrivare in fondo. Chiaro che essendo stati invitati, nessuno di noi si sarebbe sognato di andare a casa prima per fare meno salite, ma sono cose che succedono».

Pidcock al Giro, una presenza sotto tono. Qui è terzo dietro Pedersen e Zambanini a Matera
Pidcock al Giro, una presenza sotto tono. Qui è terzo dietro Pedersen e Zambanini a Matera

Dubbio tricolore

Il futuro più immediato parla di una corsa in Belgio a metà giugno, poi il nuovo evento Copenhagen Sprint di WorldTour e a seguire i campionati italiani da San Vito al Tagliamento a Gorizia. Sul percorso ci sono ancora pochi dettagli. Si dice che sia stato disegnato a misura di Jonathan Milan, ma lo stesso Moschetti è perplesso sul fatto che la zona di Gorizia possa avere strade così pianeggianti.

Sorridendo dice che adesso tornerà a dormire, perché tre settimane di Giro ti restano addosso a lungo, ma che certo gli piacerebbe mettere a frutto la condizione che ti lasciano nelle gambe. Il resto dipenderà dalle valutazioni della squadra, a partire dalla partecipazione alla Vuelta. Anche se in Spagna le occasioni per i velocisti saranno ancora di meno.

Pedersen, il Giro da protagonista (e da giornalista)

06.06.2025
5 min
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ROMA – E’ stato senza dubbio uno dei grandi protagonisti dell’ultimo Giro d’Italia: quattro tappe vinte, la maglia ciclamino, la maglia rosa per un giorno e una quantità di fughe pressoché infinite. Avrete capito che stiamo parlando di Mads Pedersen. Il gigante della Lidl-Trek è stato un personaggio in corsa e anche fuori.

Ricordiamo il taglio di capelli al compagno Jacopo Mosca nelle prime frazioni e il suo atteggiamento da vero uomo squadra.

A Roma, quando è arrivato in mixed zone e il buon Manuel Codignoni di Radio Rai Sport stava intervistando Lorenzo Fortunato, lui ha preso lo smartphone dalla tasca e, come un giornalista qualunque, si è infilato tra di noi mettendo il cellulare sotto la bocca di Lorenzo. A quel punto Codignoni, che è stato al gioco, gli ha detto: «Mads, fai tu una domanda a Lorenzo». E Pedersen non si è certo tirato indietro.

La Lidl-Trek ha dato una dimostrazione di forza: hanno avuto contemporaneamente maglia ciclamino, maglia rosa e maglia bianca
La Lidl-Trek ha dato una dimostrazione di forza: hanno avuto contemporaneamente maglia ciclamino, maglia rosa e maglia bianca

Giornalista mancato

Insomma, Pedersen oltre che corridore è anche giornalista mancato? Chissà… per ora meglio nelle sue vesti da atleta. Per fare il commentatore tecnico per una radio o tv danese avrà tempo.
Ieri, il team manager della Lidl-Trek, Luca Guercilena, ci ha parlato del grande spirito di squadra che si era creato in seno alla formazione e anche del carisma di Mads. Oggi tocca a lui raccontare tutto questo.

«Il mio giudizio sul nostro Giro – dice Pedersen – è molto alto. Io ho ottenuto quattro vittorie e due miei compagni altre due. E’ molto più di ciò che ci saremmo aspettati. E non so quante squadre potranno fare qualcosa di simile. Voglio ringraziare i ragazzi. Abbiamo condiviso degli splendidi momenti tutti insieme e nelle tappe finali è stato molto importante per me aiutarli. Ci siamo divertiti tantissimo».

Mads parla e ti dà l’impressione di essersi divertito per davvero durante le tre settimane rosa. Chiaro, con una gamba del genere è “facile” divertirsi… ma lui questo Giro l’ha proprio vissuto. Se l’è sentito addosso sin dall’inverno e non si è presentato in Italia svogliato o con l’atteggiamento di chi avrebbe preferito correre il Tour.

A Vicenza la quarta (e forse più bella) vittoria di Mads in questo Giro
A Vicenza la quarta (e forse più bella) vittoria di Mads in questo Giro

Fra Giro e Tour

E infatti un giornalista gli ha chiesto proprio questo: «A molti grandi atleti non piace il Giro, preferiscono il Tour. Anche per te è così?».
E Pedersen, con grande naturalezza, ha risposto: «Ho sempre amato il Giro, propone sempre belle tappe e ottime chances. Sì, è un po’ più tranquillo rispetto al Tour de France. In Francia c’è molta pressione e spesso ce la mettiamo noi corridori stessi, ma deriva anche dalla gestione degli sponsor. Qui in Italia c’è più libertà e puoi “giocare” un po’, rischiare. Mettiamoci anche che quest’anno noi della Lidl-Trek siamo stati fortunati. Nei primi cinque giorni abbiamo subito ottenuto tre vittorie e questo ci ha aiutato a stare sereni e a provare in corsa quello che volevamo. No, no… mi piace molto il Giro».

Tanto per restare in tema di grandi Giri, Pedersen ha detto che quest’anno non farà il Tour. Il che ci sembra anche normale, visto che veniva da una lunga campagna del Nord, dove è stato protagonista. «Quest’anno farò la Vuelta», ha detto.

Con questo Giro d’Italia, Mads ha rispolverato la sua bacheca. E’ stato il primo corridore danese ad indossare la maglia rosa. E’ diventato il corridore danese con più vittorie in assoluto: è arrivato a 54, superando le 51 di Rolf Sorensen. E’ anche grazie a lui (e ad Asgreen) che la Danimarca ha ottenuto il maggior numero di vittorie in un singolo grande Giro: cinque. Fino a quest’anno si era fermata a quattro.

E per il gran finale di Roma, una t-shirt commemorativa per tutta la Lidl-Trek. E c’era anche Giulio Ciccone (foto Instagram)

Il gruppo e il suo leader

A Roma si è così concluso il suo primo, enorme, blocco di stagione. Forse un filo appagato, forse anche stanco. «Semplicemente non avevo le gambe giuste per saltare Kooij».
In fin dei conti era stato in fuga anche nelle ultime tappe di montagna, un po’ per guadagnare gli ultimi punti per la maglia ciclamino, che era ormai in cassaforte, il che la dice lunga su come abbia onorato la corsa rosa, e un po’ per aiutare i suoi compagni, come aveva promesso.

Quelle t-shirt viola indossate da tutto il team Lidl-Trek, staff incluso – maglie con il suo faccione sul davanti e i nomi dei compagni sul retro – parlano di una squadra affiatata. Pensate che a Roma è venuto a trovarli persino Giulio Ciccone, che si era ritirato quasi dieci giorni prima.

«Un momento difficile? Adesso non posso dirlo». Da quel che siamo riusciti a capire, dovrebbe essere stata la sera di Gorizia, quando il ginocchio gli si è gonfiato dopo una caduta. Ma evidentemente era nulla in confronto a quello che stava passando Ciccone. Anche in quel caos, la Lidl-Trek, arrivando in parata attorno a Giulio, mostrò un grande affiatamento.

«Mi è dispiaciuto molto quando si è ritirato Ciccone», aveva detto Pedersen. E qui andrebbero riprese le parole dell’altro Lidl-Trek Daan Hoole, il quale aveva raccontato come Mads, la sera del ritiro di Ciccone, avesse tenuto un discorso motivazionale alla squadra. Un discorso da vero leader. E di come, la sera della vittoria di Verona, fosse più felice per quel successo che non per i suoi personali.

Infine una battuta sull’inatteso incontro con il Papa. Inatteso, almeno così da vicino. «E’ stato piuttosto imbarazzante, devo dirlo – ha confessato Pedersen – non sapevo cosa dire. Ci hanno detto di sorridere per le foto».