Oggi le differenze fra scalatori e passisti tendono ad assottigliarsi sempre di più, almeno pensando alle classifiche dei grandi Giri. E forse uno dei motivi dipende anche dall’evoluzione tecnica dei mezzi, a cominciare dai rapporti. Basta pensare ai primi passaggi sul Mortirolo o sullo Zoncolan. Chi andava agile aveva un 39×25 (sviluppo di 3,29 metri) a metà degli anni ’90, e 39×29 (sviluppo 2,94 metri) una decina di anni dopo. E per tutti più o meno era così. Invece il 34×32 con i suoi 2,39 metri cambia un bel po’ le cose.
Ma questo implicava una bella differenza tra Pantani e Indurain. O tra Simoni e i suoi rivali. In qualche modo queste soluzioni tecniche esaltavano le caratteristiche dei corridori. In salita lo scalatore poteva fare… lo scalatore. E a crono il passista poteva dare sfogo ai suoi watt con i rapportoni.
Rapporti più corti
Con l’arrivo delle corone compatte e dei rapporti sempre più corti, anche i corridori più pesanti si sono potuti salvare sulle pendenze più arcigne. In qualche modo sono riusciti a “annullare” il gap dovuto dal peso maggiore e sono riusciti ad esprimere la loro forza. Oggi Pantani avrebbe staccato Ullrich e Tonkov se avessero avuto una compatta?
E allora ci si chiede: perché non porre un limite allo sviluppo minimo dei rapporti in gara? Avrebbe un senso? In fin dei conti esiste il limite al peso (i fatidici 6,8 chili), il limite all’aerodinamica (carenature bandite) e persino il limite sul alcune misure (i 5 centimetri di arretramento). Perché quindi non può esserci un limite ai rapporti, tanto più se questi possono agevolare lo spettacolo?
Di questo parliamo con tre esperti: un preparatore, Pino Toni, un corridore, Mattia Cattaneo, e un tecnico, Giampaolo Mondini.
Parola al preparatore
«Una limitazione la vedo un po’ come una forzatura – dice Pino Toni – l’evoluzione tecnica ha permesso di tornare a registrare dei tempi sulle salite che si realizzavano in periodi di grande sospetto. Anni fa c’era un solo grande produttore di rapporti, adesso ce ne sono tre. E questo ha portato ad un regime di concorrenza, di spinta verso la ricerca. Una volta c’era il 23… e con quello dovevi andare su! Però per me le differenze sempre minori dipendono da un discorso più in generale di preparazione. Adesso tutti sono ben allenati, tutti sanno cosa devono fare e come arrivare ai propri limiti».
«Semmai uno dei motivi per cui tra scalatori e passisti c’è meno differenza non è tanto da ricercare in salita quanto in pianura. Adesso sul piano si va fortissimo e lo scalatore arriva sotto la salita più stanco. E infatti quando ci sono le cronoscalate le differenze tornano ad esserci eccome. E lì lo scalatore resta scalatore e il passista resta passista».
«Un Tom Dumoulin col 39×27 sul Mortirolo? Perderebbe ugualmente terreno. E’ fisica. Pesa di più rispetto ai rivali scalatori. Una cadenza più elevata lo avvantaggerebbe? Sì, forse su un muro al 20% ma per il resto delle salite no. E poi ripeto, le preparazioni sono migliorate e anche la biomeccanica si è evoluta. Gli atleti spingono meglio. E’ un discorso molto ampio che non si può legare solo ai rapporti».
Parola al corridore
Mattia Cattaneo forse meglio di tutti può entrare nel merito. Primo perché è un corridore forte e in piena carriera, secondo perché è la tipologia di ciclista moderno: forte in salita, fortissimo a crono.
«Con i percorsi attuali – dice il corridore della Deceuninck-Quick Step – è molto difficile attuare questa ipotesi del limite dei rapporti. Si potrebbe forse fare nelle corse di un giorno, ma non nei grandi Giri dove vengono inseriti sempre più spesso passaggi particolari, salite super ripide… E con certi rapporti “vecchio stile” la vedo dura. Per me poi non ci sarebbero grandi differenze».
Poniamo un’ipotesi a Cattaneo. Se sullo Zoncolan lui e Bernal, scalatore puro (o quasi), si trovassero spalla a spalla entrambi col 39×29 avrebbe meno chances di resistergli se invece avesse a disposizione un 34×30?
«Magari con un 34×30 resisto a Bernal un po’ di più – replica Cattaneo – ma le differenze sarebbero minime. Anche perché sapendo che si ha disposizione un limite di rapporto cambierebbe anche la preparazione. Tutti si allenerebbero in base a quello sviluppo metrico minimo e il gap resterebbe tale.
«Io lo vedo: quando facciamo le salite abbiamo sempre tutti lo stesso rapporto più o meno. Può esserci un dente di differenza. Quello che forse potrebbe cambiare un po’ nell’economia della corsa, ma mi riferisco ad un grande Giro, è che un rapporto più lungo può incidere sul recupero e ad un passista-scalatore resterebbe meno nelle gambe».
Il discorso appassiona Cattaneo che rilancia: «E poi se dovesse esserci un limite di rapporto minimo, immagino dovrebbe essercene anche uno sui rapporti lunghi per compensare. A crono per esempio non si potrebbe andare oltre al 55 e per me che uso il 58 sarebbe un problema, mentre per Bernal che usa il 55 normalmente non cambierebbe nulla».
Parola al tecnico
Infine, ecco l’opinione del tecnico. Giampaolo Mondini cura i rapporti tra Specialized e le squadre che il marchio americano supporta. “Mondo” più di altri tasta il polso degli atleti e conosce l’evoluzione tecnica, tanto più se si considera il marchio per cui lavora che spesso traccia la via.
«Non credo si possano creare queste grosse differenze – dice Mondini – io non sono per le limitazioni, che tra l’altro, abbiamo visto, hanno sempre funzionato poco nel ciclismo. E’ invece un’occasione per lo sviluppo tecnico. Penso per esempio al monocorona che potrebbe aiutare a ridurre il gap di peso dovuto ai freni a disco. Poi, si sa, l’UCI può decidere quel che vuole.
«Parliamo di scalatori e grandi Giri, ma chi sono i vincitori dei grandi Giri? Non sono forse scalatori? Piuttosto più che sui rapporti parlerei dei percorsi delle crono. Oggi vedi un prologo piatto magari di 10-12 chilometri in cui un Bernal può perdere 30” e poi delle crono più lunghe ma con 700-800 metri di dislivello che sono più per scalatori, o atleti completi. E spesso queste crono arrivano alla fine delle tre settimane e più che esaltare le qualità dei cronoman contano le energie. Va meglio chi ha maggior recupero. Ricordiamo Pantani: anche se c’erano crono piatte arrivava davanti. Le differenze minime dipendono anche dai percorsi quindi».
«Vero – riprende Mondini – secondo la fisica chi ha una leva più lunga ha bisogno di un rapporto più agile per spostare il peso (in questo caso i pedali, ndr). La pedivella più lunga spinge di più, ma ha anche un punto morto maggiore. E quando cala la velocità (e di conseguenza la cadenza) questo punto morto diventa così ampio che interrompe l’impulso, crea un problema e il passistone ha bisogno di un rapporto più agile. Solo che mi chiedo: oggi chi trae vantaggio da tutto ciò? Gli Ullrich e gli Indurain non ci sono più. Credo che gli ultimi vincitori di un grande Giro al di sopra dei 68 chili siano stati Dumoulin e Froome, ma l’ultimissima generazione ha alzato ancora l’asticella».
Resta quindi un po’ di scetticismo su un’eventuale limitazione dello sviluppo metrico minimo. Un po’ per il concetto di evoluzione e un po’ perché cambierebbero le preparazioni.
Tuttavia su pendenze estreme qualche differenza ulteriore potrebbe esserci. Meno marcata di quel che si può immaginare, ma con qualche pedalata in più il “bestione” sui muri può salvarsi.