Volate. L’arte (quasi persa) del fare da soli: parola ad Endrio Leoni

26.08.2021
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Anche alla Vuelta lo stiamo vedendo, vincono i velocisti che hanno un treno o quel che ne resta dell’immaginario comune, cioè il treno rosso della Saeco di Cipollini. E quando manca almeno quel paio di compagni fidati lo sprinter non vince. L’esempio Guarnieri-Demare ne è la prova più calzante. Dov’è finito il velocista che fa tutto da solo? Dov’è finito l’Endrio Leoni della situazione?

Beh, lo chiediamo proprio all’ex ruota veloce veneziana. Oggi Leoni lavora nel settore immobiliare, ma è sempre molto attento a quel succede nel ciclismo. Segue anche i giovani. Leoni ha vinto molto, ma spesso ha avuto degli infortuni e la sua bacheca poteva anche essere più folta.

Endrio Leoni, classe 1968, vanta oltre 20 vittorie in carriera e 13 anni da pro’
Endrio Leoni, classe 1968, vanta oltre 20 vittorie in carriera e 13 anni da pro’
Endrio, dicevamo: facevi le volate da solo. Pronto a fare a spallate, ad infilarti, a saltare da una ruota all’altra…

Le mie volate diventavano un lavoro. Quando non avevi un treno dovevi adattarti. Dovevi portare un risultato a casa ed ogni volta poi era una guerra per trovare un contratto. Oggi magari le cose sono un po’ cambiate, in ogni senso. Velocisti così ce ne sono pochi. In pochi hanno pelo sullo stomaco. Forse un po’ Groenewegen, ma gli altri sono tutti sui binari e se salta il treno non vincono, anzi non riescono neanche a fare la volata.

Sagan però è uno che sa fare anche da solo…

Però Peter non è un velocista puro e poi adesso ha perso un po’ di esplosività. E si è anche un po’ adagiato. Rischia meno.

Che differenze c’erano tra i tuoi tempi (gli anni ’90-2000) e le volate attuali?

Adesso i “treni” partono ai meno due chilometri, tre al massimo. Una volta iniziavano ai -10. Il treno di Cipollini era quello super-collaudato, ma lo poteva fare perché aveva gente adatta e dei “centochilometristi”: Poli, Vanzella, Scirea, Calcaterra, Ballerini… già in quella fase. Era già tanto stargli a ruota. Lì c’era la vera lotta. Però sapevi che stando lì, male che ti andava, facevi secondo o terzo. Era durissima restarci, perché una spallata, un colpo d’aria a 60 all’ora e perdevi un sacco di energie.

Ricordi una delle volte che hai battuto Mario?

A Bassano, avevo preso la sua ruota. Lui aveva Chioccioli e Ballerini. Quel giorno stranamente fu facile prendergli la ruota e restarci. Non ci fu troppa bagarre e arrivai “fresco” allo sprint, altrimenti facevo sempre la volata con “mezza gamba”. In carriera ho fatto 42 secondi posti, una ventina dei quali dietro di lui! Purtroppo non avendo un treno tutto mio negli d’oro è andata così.

Prendevi proprio la ruota di Cipollini o quella di un suo uomo?

No, no la sua. Mario era talmente tranquillo che non metteva nessuno dietro di lui. Anche perché quella gente che aveva lo portava allo sprint ad un velocità pazzesca. Credo che con le bici di oggi Cipollini avrebbe toccato 3-4 chilometri orari in più. Con i nuovi telai e le nuove ruote non disperdi energia.

Prima hai detto che gli sprinter attuali sono tutti “sui binari”, però è anche vero che hanno molte più regole da rispettare. Il “fair play” è, come dire, molto imposto…

Vero. Non dico che bisogna fare come negli anni ’60 quando in tanti arrivavano senza numero perché si attaccavano alla maglia, ma un po’ più di libertà ci vorrebbe. Le mani non vanno staccate dal manubrio e va bene, era così anche ai miei tempi, 20 anni fa. Però c’era più spazio per delle furbizie, come tenere un avversario alle transenne, mettergli paura, tenerlo in spazi stretti… E si vedeva chi aveva l’esperienza e la scuola della pista. Oggi invece una volta partito lo sprint devono mantenere la linea. Una regola un po’ estremistica per me.

Hai parlato di “guerra di posizione”: come ti sentivi quando era il momento di allargare il gomito?

Istinto – risponde secco Leoni – negli ultimi 10 chilometri sei come il toro che vede rosso. Non ricordi niente. Il velocista senza treno deve solo difendersi dall’avversario che viene a disturbarti, devi chiudere sulla ruota che hai battezzato. Però era bello. Io vivevo per quei dieci chilometri. Era adrenalina pura. E ancora oggi m’immedesimo nelle volate che vedo.

Come proteggevi quella posizione? Dove guardavi?

Ripeto: istinto. Facevi tutto sul momento. Eri a tre centimetri da quello davanti (gli spazi si restringevano) ma non guardavi davanti. Cercavi di capire dov’eri e chi c’era intorno a te. Per questo la volata non è per tutti. Ce n’è di gente forte e veloce, ma non tutta è adatta per la bagarre.

Si frenava?

Il freno non si toccava – esclama Leoni – In volata ti appoggiavi. Se frenavi perdevi posizioni e poi era un bel dispendio energetico per recuperarle. In quel caso, se non ne perdevi troppe, meglio restare dove eri finito e fare la volata magari dalla quinta, sesta ruota che cercare di risalire. Ma io lo dicevo ai miei avversari: non mi venite dietro perché io non freno!

Tra i battitori liberi come te chi è che ti dava più filo da torcere?

Beh, Abdujaparov era un “cagnaccio”. Ma negli ultimi tempi anche McEwen… caspita se ci sapeva fare! E infatti ha vinto tanto. Un altro davvero tosto era Kirsipuu. Lui era forte perché era capace di prendere molto vento ma di riuscire a fare la volata lo stesso. Molto bravo anche Danny Nelissen: fortissimo ma sfortunato.

Guarnieri-Demare, l’esempio migliore del feeling tra velocista e apripista attuali. Il francese è così coperto da Jacopo che quasi non si vede
Guarnieri-Demare, l’esempio migliore del feeling tra velocista e apripista attuali. Il francese è così coperto da Jacopo che quasi non si vede
La grande rivalità è stata con Cipollini e Mario era da volata lunga. Tu come ti allenavi per batterlo? Puntavi sullo sprint lungo o sugli ultimi 50 metri?

Di testa partivo sempre per batterlo, poi magari non ci riuscivo, ma sin da giovane avevo sempre vinto parecchio allo sprint e quella era la mia mentalità. Mi allenavo anche sulle volate lunghe. Le facevo anche da 250 metri e se serviva le facevo più corte, ma tutto stava a come ci arrivavi. Non era tanto la lunghezza dello sprint a fare la differenza, ma quanto spendevi per arrivarci. Con quante energie arrivavi ai 4-500 metri. A volte non avevi neanche la forza per alzarti sui pedali. In questo contava molto anche il ruolo dell’ultimo uomo.

Cioè?

Lui doveva, e deve, essere bravo a portarlo il più avanti possibile, ma in modo regolare. Senza strappare, perché più lo sprinter arriva regolare alla volata e più va forte. E per questo è molto importante che il pilota conosca bene il suo capitano.

Tra i tuoi tanti successi qual’è quello che ti ha dato più emozione?

La prima tappa del Giro (era il 1992 e Leoni prese la maglia rosa, ndr). Era il sogno da bambino, lo vedevi in tv. Ci misi un paio di giorni a realizzare, sul momento non mi resi bene conto.

Cadenza e rapporti nello sprint: qualcosa su cui riflettere

25.08.2021
4 min
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«Ho smesso di usare il 54 perché nelle tappe di pianura mi ritrovavo per tutto il giorno sempre a spingere troppo duro. E anche in volata. A me piace fare gli sprint a 130 pedalate, con il 54 non riuscivo. Ma è indubbio che con certe velocità fa la differenza». Forse ricorderete queste parole di Alberto Dainese di qualche giorno fa.

Il corridore della Dsm ce le disse dopo l’ennesimo piazzamento di questo scorcio di stagione tra Burgos e Vuelta. Si parlava quindi di frequenza di pedalate e rapporti durante la volata.

Vuelta Espana 2021, a La Manga del Mar Menor. Allo sprint Fabio Jakobsen precede Alberto Dainese
Vuelta Espana 2021, a La Manga del Mar Menor. Allo sprint Fabio Jakobsen precede Alberto Dainese

Rapporto e cadenza

La sua scelta è azzeccata? Impossibile dare una risposta univoca e a dircelo è Marco Villa, il cittì della pista, estremamente tecnico. La prima cosa che gli domandiamo è se la frequenza di pedalate indicata da Dainese non sia in realtà un po’ troppo elevata per la strada.

«Partiamo dal presupposto che in questo caso tra strada e pista non c’è differenza, per quel che riguarda il numero di pedalate. E’ un qualcosa di personale. Probabilmente Alberto ha impostato una preparazione che prevede “meno forza” e più frequenza. In questo modo arriva a fine gara con un pizzico di watt in meno e vuole sfruttare la frequenza di pedalata». Una disamina che fa subito centro con le parole di Alberto, quando dice: mi ritrovavo tutto il giorno ad andare duro.

«Ma sulla preparazione – riprende Villa – bisognerebbe chiedere a lui. Ripeto la scelta del rapporto è strettamente personale e per essere ottimizzata va fatta anche in base alla preparazione».

Le corone da 54 denti sono quelle che vanno per la maggiore nelle tappe pianeggianti, almeno per i passisti più veloci
Le corone da 54 denti sono quelle che vanno per la maggiore nelle tappe pianeggianti, almeno per i passisti più veloci

Le corone che cambiano

Oggi in effetti in molti, non solo i velocisti, tendono ad utilizzare corone da 54 denti per le tappe più filanti. Anzi, qualcuno (vedi Nizzolo) azzarda anche il 55. Ma la scelta del rapporto è molto personale. Si lega alle caratteristiche, alla preparazione, al percorso e persino al meteo.

«Viviani per esempio – che Villa conosce benissimo e che è la massima espressione della doppia attività strada e pista – di solito usa il 53, ma se al mattino sa che sull’arrivo avrà vento a favore monta il 54. O al contrario preferisce il 52 se l’arrivo “tira” un po’ o se c’è vento contro. E’ anche una questione di sensibilità del corridore: non c’è un meglio o un peggio».

La differenza di statura e postura tra Ewan (casco rosso) e Van Aert (caso nero-giallo). Sprint della prima tappa della Tirreno 2021
La differenza di statura e postura tra Ewan (casco rosso) e Van Aert (caso nero-giallo).

Non solo i rapporti

Ma esiste una cadenza perfetta? Una cadenza che statisticamente porta a migliori risultati?

«Beh, dipende da quello che si sta facendo – riprende Villa – se si è in pista e si deve fare un solo sprint si arriva anche a 135 pedalate, ma se per esempio sto facendo un’americana non è facile sprintare con quell’agilità. Si rischia di andare fuorigiri, di far alzare troppo i battiti e non si ha tempo poi per recuperare. 

«Su strada puoi anche arrivare a 135 pedalate, ma dipende da come stai, da come è andata la tappa, dal vento… ci sono molte più variabili».

E poi va considerata anche la lunghezza delle pedivelle. Pensiamo che differenza può esserci fra un Caleb Ewan (167 centimetri) e un Van Aert (190 centimetri). Il primo userà pedivelle da 170 millimetri, il secondo quelle da 175: un bel gap. Chiaramente l’australiano sarà più “agile” del belga, eppure spesso le differenze di velocità sono ridottissime. Le leve più corte di Caleb (arti e pedivelle) lo portano a schiacciarsi in virtù di una maggiore frequenza. Che poi è quello che fa Cavendish e che si vede anche nella prima foto di questo articolo, con lo stesso Dainese che cercando rpm più alte si abbassa con le spalle. Il belga al contrario sfrutta tutta la sua enorme potenza con le lunghe leve e resta più “aperto”. Pensiamo alla prima tappa della Tirreno-Adriatico di quest’anno (foto sopra). Proprio loro Caleb e Wout se la sono giocata al colpo di reni.

«Le pedivelle però – conclude Villa – si cambiano molto meno. Elia per esempio ha sempre usato quelle da 172,5 millimetri, almeno da che lo conosco io. Dainese invece non potrei dirlo. Lui l’ho visto da vicino solo agli europei del 2019 quando ero di supporto alla nazionale».

Ballerini. E lo chiamano velocista…

24.10.2020
3 min
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E lo chiamano velocista! Davide Ballerini è stato uno dei protagonisti di questo Giro d’Italia. Il ragazzo della Deceuninck-Quick Step si è visto soprattutto per l’appoggio alla maglia rosa di Joao Almeida. Tirandolo persino in salita.

Anche oggi è andato in fuga. E’ stato il primo a rientrare sull’attacco di uno scalatore come Nicola Conci. Ha attaccato in discesa. Ha tirato nel primo passaggio verso il Colle e anche nel fondovalle per Almeida. E lo chiamano velocista…

Davide Ballerini, da notare la cicatrice sul suo zigomo sinistro
Da notare la cicatrice sul suo zigomo sinistro

Un uomo squadra

In pianura, in salita, sul passo, Ballerini si è mostrato davvero un uomo squadra, anche sacrificando se stesso a volte.

«La tappa di oggi è stata bellissima. Conoscevo queste salite. Ero già stato al Sestriere quando ero venuto in ritiro con la nazionale under 23. Abbiamo provato (con lui c’era anche il compagno Serry, ndr) ad andare in fuga per vincere la tappa ma non ci siamo riusciti. Il gruppo non ci ha lasciato tanto spazio».

La squadra è sempre in cima ai suoi pensieri. Tanto che torna a parlare subito di Almeida.

«Joao ha dato ancora una volta una grande prova di sé stesso. Ha guadagnato qualcosa per il podio e domani sono certo che darà ancora il massimo. Mi dispiace che a crono non possiamo aiutarlo!

«Credo che noi della Deceuninck abbiamo fatto un grandissimo Giro. Compatti, uniti, amici. E quando è così fai la differenza. Siamo tutti giovani e abbiamo tenuto la maglia 15 giorni. Per Joao non è stato facile, perché se facciamo il conto lui ha almeno 15 ore di riposo in meno rispetto a tutti gli altri. Ogni sera arrivava in hotel più tardi, tra antidoping e interviste. Però ha tanta strada avanti a sé».

Sorpreso…

Davide vanta un palmares di corse veloci forte, ma ormai definirlo sprinter può sembrare riduttivo. Questa sua duttilità e queste sue performance nella terza settimana potranno cambiare qualcosa nel prosieguo della sua carriera?

«A dire la verità sono meravigliato anch’io. In quest’ultima settimana mi sono sentito molto bene rispetto all’inizio. Ho sentito che la gamba c’era e ho dato il massimo per aiutare team. Ci ho provato nella terza tappa, ma purtroppo non sono riuscito a vincere. Però credo che l’importante sia esserci ed esserci sempre». 

Il colpo di reni a Villafranca Tirrena con Demare e Sagan. Lui è il terzo.
Il colpo di reni a Villafranca con Demare e Sagan

Grinta e lavoro

Grinta e serietà non mancano. Mentre parla si nota la cicatrice (con i punti che penzolano) sotto l’occhio sinistro. Una ferita frutto di un scontro con un cartello uscendo da una curva. 

«Per fortuna sono riuscito a schivarlo con il resto del corpo! Ma pensiamo all’anno prossimo e alle Classiche. La mia foto del Giro? Bella domanda. Beh, lo Stelvio in quelle condizioni è stato fantastico. Però credo che il colpo di reni a Villafranca Tirrena sia unico. Sulla linea con Sagan e Demare. E’ da incorniciare. E anche da lavorarci su».

Van der Poel e Van Aert, sfida infinita

19.10.2020
4 min
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Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert, ancora loro. Il primo ha 25 anni il secondo 26. Eppure sembra ci siano da un secolo. Questa infatti è un’altra rivalità, o meglio, un altro dualismo che tanto piace ed esalta il ciclismo. Un olandese e un belga, una bici, del fango, della strada, a volte un po’ di pietre. E quei due a darsele di santa ragione.

E questa sfida ha trovato definitivamente il suo apice ieri nel Giro delle Fiandre, uno dei cinque Monumenti. Mathieu e Wout erano annunciati come favoriti e non hanno tradito le attese. Anche il terzo “incomodo” (e che incomodo) ha detto: presente. Julian Alaphilippe, con la maglia iridata era con loro due, prima di scontrarsi con una moto.

Julian Alaphilippe dopo la caduta. Si è scontrato con una moto
Julian Alaphilippe dopo la caduta

Una lunga sfida

Teatro del primo match internazionale tra i due fu Koksijde, uno dei templi del cross. Era il 2012 e Van Aert e Van der Poel erano juniores. Vinse l’olandese. Ma di quella edizione passò alla storia una fotografia che li ritraeva con un grosso microfono in mano dietro il tavolo di uno studio televisivo. Avevano le guance rosse e i lineamenti morbidi di chi ancora deve sviluppare.

Dall’epoca le sfide si sono ripetute ogni anno. Van Aert ha vinto tre mondiali elite consecutivi (dal 2016 al 2018), due Coppe del mondo, un Superprestige. Van der Poel ha vinto tre mondiali elite (2015, 2019, 2020), una Coppa del mondo, quattro Superprestige. E se uno trionfava l’altro faceva secondo o al massimo terzo. Fin quando non sono arrivati anche alla strada.

La loro potenza è strabiliante. All’inizio peccavano un po’ in errori tattici. Da quest’anno si sono affinati. Van Aert ha vinto la Strade Bianche e la Sanremo (il suo Monumento) dopo averci le preso le misure per tre anni. Van der Poel, di una potenza mostruosa, attacca quando vuole. Entrambi sono velocissimi. VdP ha perso la Freccia del Brabante da Alaphilippe qualche giorno fa solo perché certe tempistiche deve ancora limarle e perché il francese è una “volpe”. Ma l’esperienza di quello sprint a due gli è servita eccome. E infatti proprio ieri sull’arrivo di Oudenaarde è stato perfetto.

Van der Poel e Van Aert: la sfida sul Vecchio Kwaremont (senza pubblico)
Van der Poel e Van Aert: sfida sul Kwaremont (senza pubblico)

Tensione sul Kwaremont

Eh sì. Dopo che i due sono rimasti da soli a una trentina di chilometri dall’arrivo, hanno spinto e quasi hanno stipulato un accordo di non belligeranza. Entrambi contavano sull’immensa potenza che hanno in volata. Nel terzo ed ultimo passaggio sul Vecchio Kwaremont e sul Paterberg, insolitamente vuoti e silenziosi, si sono guardati. Pronti a inseguire se uno dei due avesse attaccato.

Nel finale, un rettilineo infinito, Mathieu si tiene tutto a destra. Come uno sprinter navigato concede un solo lato all’avversario. Trecento metri. Il rapporto è in canna ma nessuno si muove. 250 metri, ancora nulla, ma la presa sul manubrio si fa più forte. Duecento metri Van der Poel è davanti e non può più aspettare. A quella distanza dalla linea non avrebbe più tempo per risalire. Così parte, forse persino un po’ troppo agile. Riesce a buttare giù quel dente. Van Aert rimonta, rimonta, lo affianca, ma… Per un cerchio e un copertone è dietro. 

Il colpo di reni superbo di VdP: guardate dov’è la sella
Il colpo di reni superbo di VdP

Un colpo da biker

Il colpo di reni dell’olandese è strabiliante. Da antologia e da manuale al tempo stesso. O più semplicemente è da vero biker. La sella infatti gli arriva fin sullo sterno. Lancia la bici quei 15 centimetri più avanti che fanno la differenza.

Chissà allora, forse la differenza l’ha fatta proprio la Mtb. Entrambi sono l’esempio calzante della multidisciplinarietà. Strada, un po’ di pista, ciclocross… Ma Van der Poel in più ha dalla sua l’attività sulle ruote grasse. Attività a livelli siderali. Vince europei, gare di Coppa e punta deciso alle Olimpiadi.

Anche senza pubblico. E’ stato un Giro delle Fiandre da eroi, con quel cielo grigio che lassù è bellissimo.

Il ciclismo secondo Guarnieri

17.10.2020
6 min
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Parcheggio dei bus. Noi al di qua delle transenne, Jacopo Guarnieri al di là. Bolla inviolata. E’ sotto il cielo grigio di Conegliano prima della crono che incontriamo l’apripista più desiderato del Giro d’Italia. Il corridore della Groupama-Fdj però è molto più di un ultimo vagone da volata. E’ prima di tutto un uomo, un regista in corsa, un corridore vero.

Guarnieri (33 anni) è al suo secondo Giro d’Italia
Guarnieri (33 anni) è al suo secondo Giro
Jacopo, rispetto a molti tuoi colleghi sei sempre informato. Anche il fatto di usare molto Twitter la dice lunga. Non solo ciclismo, ma anche politica, ambiente… Dove nasce questo senso critico?

Ormai sono diventato grande. Nelle mie frequentazioni mi ritrovo a parlare di altri argomenti. Se capita una cena con i miei amici,  con le persone conosciute negli anni… non parlo di ciclismo.

Cosa hai studiato?

Itis e avevo iniziato legge a Brescia. Poi in concomitanza con il passaggio nel professionismo e col fatto che mi sentivo fuori luogo (erano tutti figli di avvocati) ho perso lo stimolo e ho lasciato. Penso che per essere istruiti e informati non si debba per forza passare dall’università.

Il cittì della nazionale di calcio, Roberto Mancini, sulla questione stadi chiusi e Covid, ha dichiarato che gli italiani hanno diritto al calcio. Cosa ne pensi? E soprattutto, cosa sarebbe successo se una cosa simile l’avesse detta un dirigente del ciclismo?

Ad un manager del ciclismo non lo avrebbero chiesto. Il problema per me è chi ha chiesto a Mancini una cosa che forse non è di sua competenza. Da parte sua avrei preferito una risposta del tipo: sarebbe bello che gli italiani potessero tornare allo stadio. Klopp a questa domanda replicò: e a me lo chiedete? 

A Villafranca Tirrena ha preparato il primo successo per Demare
A Villafranca Tirrena in testa per Demare
Come è cambiato il mestiere del ciclista da quando hai iniziato ad oggi? E in particolare quest’anno?

E’ sempre più esigente. Nelle prime gare da pro’ (2008-2009) riuscii a fare qualche risultato e per come mi allenavo allora oggi sarebbe impensabile. Anche con una condizione appena sufficiente potevi cavartela, oggi sarebbe impossibile. E quest’anno ancora di più. Per fare un esempio alla Poitou-Charentes, corsa di secondo piano, ho fatto la stessa fatica che sto facendo al Giro. 

Oggi nulla è lasciato al caso: tanti ritiri, alimentazione curata all’estremo…

Sì e no. E’ così per gli uomini di classifica e per alcuni team. Noi siamo un po’ diversi. Di ritiri e di altura ne facciamo poca. E questo mi piace visto che siamo molto lontano da casa per le gare. Prima del Giro abbiamo fatto un ritiro di sei giorni e basta. Pochi allenamenti, ma ben fatti. Quest’anno Demare ha voluto provare a fare un po’ di altura dopo il lockdown ed è andato a Sierra Nevada. Ma solo lui. Siamo più liberi. Sono energie “nervose” che si risparmiano.

I giovanissimi sono già vincenti. Pogacar, Evenepoel o lo stesso Antonio Tiberi che vince alla prima gara tra gli U23. Perché secondo te?

Quando sono passato io, i tempi per vincere erano diversi. Io ci misi qualche mese, Oss per esempio impiegò due anni. In generale si maturava più tardi. Non dico che i giovani di oggi siano sfruttati, ma certo sanno già tutto. Però non hanno margini di miglioramento. Sono già al 100 per 100. Io ho sempre fatto una distinzione tra campioni e fenomeni. Il campione è quello che si ripete. Pogacar è un fenomeno. Froome è un campione. Se Tadej si ripeterà sarà un campione. Perché un conto è vincere senza pressioni e un conto è farlo con le attese di sponsor, media, con uno stipendio pesante. Parlavo di questa cosa giusto l’altro giorno con Peter (Sagan, ndr). Gli ho detto: «Sono anni che vinci, ti sei ripetuto».

Demare con Guarnieri, i due corrono insieme dal 2017
Demare e Guarnieri corrono insieme dal 2017
A 25-26 anni potrebbero già “smettere”?

Voi media chiedete sempre fin dove possono arrivare. Pogacar vince il Tour, più di quello cosa può fare? Vincerne due in una stagione! Oltre questo non possono andare. Passano e sono pronti. E’ così. Questo magari limita ragazzi che da dilettanti non vanno così forte e che invece avrebbero margini più avanti. Il rischio vero è che se il prossimo anno Pogacar fa terzo al Tour, è andato male.

Non sei vecchio, ma neanche un ragazzino: cosa c’è nel futuro di Jacopo Guarnieri?

Per ora spero di fare altri quattro anni di carriera. Perché ho un sogno: Andare alle Olimpiadi. Voci di corridoio dicono che il percorso di Parigi 2024 sia per velocisti. Quella è la meta, poi vediamo cosa succede strada facendo. Il mio lavoro per ora mi piace e qualche progetto per la testa ce l’ho.

A Rimini la gioia immensa per il poker di Demare
La gioia immensa per il poker di Demare
Cosa?

Lo tengo per me. Vorrei allontanare la sfiga!

In gruppo sei un senatore. Lo vediamo in tv, ma anche come gli altri ragazzi s’interfacciano con te sui social. Questo ti rende orgoglioso? Ti cambia in qualche modo?

No, però mi dà sicurezza quando devo preparare uno sprint. Gli altri cercano di capire cosa farà la Groupama-Fdj con Guarnieri. Semmai sono un senatore del gruppetto! Davide Cimolai mi dice sempre: «Guarnierone come la vedi? Lo chiamiamo sto gruppetto?». Sarà che ho la voce grossa e mi sentono fino alla testa del gruppo…

Qual è lo sprint perfetto?

Non c’è. Forse c’è quello quasi perfetto. E credo che a Rimini ci siamo andati vicini. E infatti dopo l’arrivo si è vista la nostra felicità. Dipende da molte cose: larghezza della strada, vento, velocità, se tutti riescono a dare il 100 per 100.

Demare è partito quando tu eri ancora in piena spinta. Ha deciso lui tempi e lato per uscire…

Per questo siamo stati contenti. Perché è stata come una delle simulazioni che facciamo in allenamento. Quella cosa del “buco”, del metro di distanza in piena velocità consente ad Arnaud di lanciarsi più forte e quando mi affianca è già velocissimo. A Rimini mi ha passato che ero ai 150 metri. Meglio di così…

Sei il regista del treno. Parli molto in quelle fasi concitate?

In quel momento non molto. Parliamo più sul bus prima della corsa. In gara ognuno deve sapere cosa fare. Qui al Giro non essendoci Sinkeldam abbiamo lavorato su Scotson. Lui ha un po’ sbagliato nella prima volata, ma poi si è integrato subito.

Jacopo ha un grande rapporto d’amicizia con Peter Sagan
Jacopo ha un grande rapporto d’amicizia con Sagan
Visto che sei un “twitteriano” facciamo un tweet su un po’ di corridori. Partiamo da Almeida…

Coriaceo. Non credo che lo stiano sottovalutando, piuttosto fin qui non c’è stato il terreno per staccarlo. Le difficoltà vere arriveranno da oggi.

Sagan…

Una rock star, anche senza far risultato… (si ferma un istante, ndr). Vedete che anche io casco nel tranello. Alla fine ha vinto. Peter fa sempre notizia. Con le sue interviste e le sue impennate ha portato un vento di novità.

Pozzovivo…

Cavolo! Non molla mai. Determinato. Lo vedo in bici e mi chiedo come faccia a pedalare. Sinceramente dopo il ritiro dal Tour credevo fosse agli sgoccioli. Invece… Stoico!

Ganna…

Una centrale idroelettrica. Mai visto uno con così tanti watt. In una frazione di 100 abitanti illumina tutte le case! Senza limiti.

Infine Nibali…

Fenomeno… e campione. Se lo vuoi mandare più forte basta che gli vai vicino e gli dici: «Vince, ieri proprio non andavi eh…». Orgoglioso com’è vedi poi cosa combina. Allenamenti, corsa, fuori corsa… lui è un artista della bici.

E’ lui il tuo favorito del Giro d’Italia?

Di solito la terza settimana Vincenzo fa le buche per terra!

Ancora Ulissi. Vince la serenità UAE

16.10.2020
3 min
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Peter Sagan o Diego Ulissi. Erano questi i nomi più gettonati al via della tappa numero 13 di questo bellissimo e mai scontato Giro d’Italia. Quei due dentelli, brevi ma cattivissimi, sui Colli Euganei potevano mettere i velocisti puri fuori gioco. E così è stato.

Se dopo la prima salita la bilancia pendeva a favore di Sagan, dopo la seconda le quotazioni di Ulissi sono schizzate alle stelle.

Maturità e sangue freddo.

Diego va per i 31 anni. L’eterno ragazzino due volte iridate juniores alla fine è diventato maturo, come lui stesso ci tiene a dire.

«Aver vinto all’inizio ad Agrigento mi ha dato subito fiducia nella mia condizione. Durante un Giro ci sono giorni meno belli come quello di ieri. Per me che soffro particolarmente il freddo è stata dura. Oggi invece ho risentito una buona condizione e così ci abbiamo provato.

Ulissi precede Almeida al colpo di reni sul traguardo di Monselice
Ulissi precede Almeida al colpo di reni

«Il mio scatto era per togliere definitivamente dalle ruote i velocisti. Come sempre Valerio Conti ha impostato un grande ritmo. Mi ha portato fuori e poi io ho fatto la mia azione. La salita era breve ma davvero cattiva. Quando ho visto che si erano mossi anche gli uomini di classifica ho pensato di restare lì. Inoltre Brandon McNulty, che è il nostro uomo per la generale era un po’ in difficoltà. Così non ho insistito, ma a quel punto andava bene così. L’obiettivo di staccare i velocisti lo avevo raggiunto».

Ma lo spunto veloce resta

A quel punto con Demare indietro, Sagan che tentava una rimonta disperata, Ulissi sfrutta il lavoro della Deceuninck-Quick Step (sempre presente) che vuol portare la maglia rosa allo sprint. Almeida cannibale?

«Joao ha uno spunto veloce, è giovane e gasato dalla maglia rosa: era normale che volesse provarci. Loro hanno lavorato bene, ma NcNulty che era come me è stato bravissimo. E’ andato oltre ogni aspettativa. Nel finale gli ho detto di tenermi davanti in vista delle ultime curve e, se ce la faceva, anche di lanciarmi. Ha fatto tutto alla perfezione. Nel rettilineo finale c’era vento contro e non era facile. Sono uscito bene dalla sua ruota e…», ed è andata come abbiamo visto.

Tutti a disposizione di tutti: in UAE ci corre compatti
In UAE ci corre compatti

In UAE si ride

Ulissi mette così a segno l’ottavo sigillo al Giro. La serenità del suo team si riflette nei suoi occhi. La Uae sembra una macchina perfetta che fa correre i suoi corridori senza pressione. Lo si è visto al Tour de France con Pogacar e oggi con Conti e McNulty che hanno svolto al meglio il loro compito. Sapevano esattamente cosa fare. E lo stesso Ulissi non ha insistito quando ha visto il compagno in difficoltà. 

Richeze che lavora per Gaviria. Conti che lavora per Ulissi. Ulissi che tira per McNulty e viceversa…

«Da due anni a questa parte (guarda caso da quando c’è Matxin, ndr) cerchiamo di essere anche un gruppo di amici», ha concluso Ulissi.

Ulissi

Ulissi, ad Agrigento sprint perfetto

04.10.2020
3 min
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L’arrivo di Agrigento ricorda vagamente quello di Fiuggi del 2015. Strada che sale nel finale, velocisti che saltano, corridori potenti che si sfidano e Diego Ulissi che partendo “agile” (aveva il 53×15) li beffa tutti.

Quello che ospitò anche i mondiali del 1994, sembrava l’arrivo perfetto per Peter Sagan e Michael Matthews. Ma alla fine grazie a freddezza tattica, un grande gregario come Valerio Conti e gambe ottime, Ulissi è riuscito a far fuori l’asso della Bora-Hansgrohe. Il toscano, settimo sigillo nella corsa rosa, si riprende così dopo un approccio non perfetto al Giro.

Delusione iridata, gioia rosa

«Avevo vinto al Lussemburgo e mi aspettavo grandi cose al mondiale», racconta Ulissi. «Invece ad Imola sono stato male nel finale. Ho vomitato nel momento clou. Forse alla vigilia avevamo mangiato troppo. Cosa? Le solite cose: pasta, carne bianca… Io poi avverto molto gli sbalzi di temperatura. Ad Imola siamo passati dal caldo al freddo all’improvviso. Arrivarci con quella condizione e raccogliere così poco mi ha dato davvero fastidio.

«Non solo, ma poi sono stato male anche nei giorni successivi e temevo per il Giro. Il covid? No, non ho mai pensato di poterlo avere. Primo perché facevamo continuamente i tamponi e poi perché non ho mai avuto la febbre».

Giro d’Italia, Alcamo-Agrigento. Ulissi abbraccia il compagno di squadra Valerio Conti
Ulissi abbraccia il compagno di squadra Conti

La stoccata perfetta 

Quel momento però è alle spalle. Questa vittoria lo fa sorridere, dà certezze e morale. In conferenza stampa Ulissi indossa la maglia ciclamino. Lui assicura che non la terrà. Piuttosto cercherà di passarla al compagno di squadra Gaviria. Sempre molto generoso.

Il gioco di squadra oggi è stato un meccanismo perfetto, così come la scelta del rapporto per lo sprint e le tempistiche per l’attacco.

«Gli ho detto di provare, ma Fernando ha lasciato spazio a me. Nelle tappe veloci lavorerò per lui. In frazioni con strappi così cercherò io di portare a casa il risultato. Sapevo che dopo quel buco ai 600 metri chiunque fosse rientrato avrebbe speso tanto. Io invece prima dell’ultima curva sono anche riuscito a recuperare un po’. E infatti Sagan non mi ha rimontato. Un grande merito è di Conti che ha fatto esattamente quello che gli ho detto». 

Consapevolezza e maturità

Spesso ad Ulissi è stato imputato il limite della distanza. Sopra certi chilometraggi Diego non sfrutta le sue qualità. Perde forza e spunto veloce. 

«Noi della Uae siamo qui al Giro per vincere più tappe possibili. Per quanto mi riguarda ho fatto gare belle anche nelle classiche. Ho raccolto un terzo posto alla Freccia Vallone lo scorso anno. Però sono realista, guardo i numeri e so che certi numeri non ce li ho. Certo che mi piacerebbe vincere una Liegi, la corsa dei miei sogni, o un Lombardia. E magari chissà, un giorno ce la farò. Ad oggi però i risultati dicono che non ho vinto quelle gare». 

Quest’ultima frase è una presa di coscienza molto importante. A nostro avviso non è un ridimensionamento ma un segno di maturità. Saper valorizzare quel che si ha e non piangere per le mancanze magari potrà dargli quella serenità e quella sicurezza per spingersi oltre.